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Cos’è la moralità? Come si fa a svilupparla e a distinguerla negli altri?
Scegliere il percorso morale è a volte la strada più difficile, e questo perché la moralità prescinde dalla convenienza e dall’interesse personale.
Come nel caso dell’integrità, che è un concetto molto simile, la moralità si basa su valori sani, come il rispetto per gli altri, e incarna alla perfezione l’idea di forza interiore.
Senza moralità la vita può facilmente scadere in una continua lotta con il mondo, senza fiducia e rapporti sani, dove domina la mentalità del “fregare l’altro per non essere fregato”.
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È stato lo psicologo Jean Piaget a spiegare, nell’ambito della sua teoria sullo sviluppo cognitivo, cos’è la moralità e come essa si sviluppi in vari stadi, ognuno dei quali è caratterizzato da diverse consapevolezze ed esperienze di vita.
In sostanza, secondo lui lo sviluppo morale cambia il modo in cui cresciamo, ci guida nel comprendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Inoltre, quando si ha un forte senso di moralità si riesce a indirizzare meglio le proprie scelte e le proprie azioni, perché si ha una sorta di mappa mentale che permette di orientarsi quando affiorano le sfide e i problemi della vita.
Dopo Piaget, Lawerence Kohlberg ha ampliato le teorie sullo sviluppo morale e ha individuato 3 livelli di ragionamento morale.
Nelle sue ricerche, Kohlberg chiese a partecipanti di tutte le età di ragionare su un dilemma morale come questo:
Un uomo che si chiama Heinz, che viveva in Europa, aveva una moglie che lui amava molto. Sua moglie è stata diagnosticata con un raro tipo di cancro e non le rimaneva molto da vivere. Fortunatamente, c’era un farmacista che aveva inventato una cura chiamata radium che poteva salvarla. Il farmacista era l’unico proprietario dei diritti per questa medicina e decise di venderla a un prezzo elevato per aumentare i suoi profitti. Nonostante ci volessero soltanto 200 dollari per produrla, lui la vendeva a dieci volte il prezzo: 2000 dollari. Heinz non aveva abbastanza soldi per pagare quel prezzo esorbitante, così provò a fare una raccolta fondi per coprire il costo. Con il tempo che andava finendo, era solamente riuscito a raccogliere 1000 dollari, che non erano abbastanza per comprare la medicina. Heinz pregò il farmacista di vendergliela a un prezzo ridotto ma l’uomo si rifiutò. Disperato e senza più tempo a disposizione, Heinz irruppe nella farmacia dopo la chiusura e rubò la medicina. Fu la cosa giusta da fare? Perché?
Nella teoria dello sviluppo morale esistono 3 livelli che comprendono due stadi ciascuno, per un totale di 6 stadi. Ogni essere umano passa da uno stadio all’altro man mano che cresce e acquista una diversa prospettiva sulle cose.
I tre livelli sono Pre-convenzionale, Convenzionale e Post-convenzionale, e si susseguono in modo graduale nel tempo a partire dalla prima infanzia.
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Il primo stadio sottolinea l’interesse personale dei bambini nei loro processi decisionali mentre cercano di evitare la punizione a tutti i costi. In relazione all’esempio di dilemma morale summenzionato, l’uomo non dovrebbe rubare la medicazione dalla farmacia perché potrebbe finire in galera se viene preso.
Kholberg riflette qui sul pensiero morale dei bambini. A una tenera età loro credono che le regole siano fatte per essere seguite e che coloro che hanno il potere manterranno sicuramente la promessa di punizione.
Il ragionamento di un bambino al caso di Heinz potrebbe includere pensieri come “rubare è cattivo” o “è contro la legge”, senza valutare la prospettiva dell’uomo e della moglie malata.
Il livello si chiama pre-convenzionale perché i bambini non associano le regole a dei principi che hanno uno scopo e una utilità, ma le seguono ciecamente senza interrogarsi sulla loro validità.
Questo stadio dello sviluppo morale comporta un’attenzione maggiore al proprio interesse personale e produce diversi punti di vista su una determinata situazione.
Nel dilemma summenzionato, ogni persona coinvolta giudicherebbe il furto della medicina sulla base delle conseguenze che il gesto avrebbe per sé stessi, anche qui senza mettersi nei panni dell’altro.
I bambini esprimono questo tipo di moralità specialmente quando vengono motivati a fare qualcosa da piccoli “ricatti” e incentivi da parte dei genitori.
Questo stadio riconosce il desiderio di essere accettati in gruppi sociali e di compiacere le persone che ci stanno attorno.
Nel dilemma della medicina rubata, l’uomo irrompe nella farmacia per essere un buon partner per sua moglie.
Nella vita reale, gli adolescenti e pre-adolescenti si trovano spesso nella posizione di voler far parte di un gruppo e iniziano a far proprie le norme sociali dei contesti in cui vivono.
Ciò può anche portare a compiere azioni discutibili dal punto di vista morale, come cedere alla tentazione di provare droghe o fare atti pericolosi, ma che dal punto di vista del compiacimento del prossimo sono del tutto efficaci.
Il quarto stadio è dominato dall’obbedienza alle norme e alle regole.
Giudicare l’atto del dilemma di prima sarebbe semplice per chi è a questo livello dello sviluppo morale: rubare è contro la legge, dunque è sbagliato a prescindere dalle motivazioni e dalle circostanze.
Qui l’individuo arriva a essere parte della società e ne accetta i suoi precetti. Ogni persona diventa consapevole dell’impatto che le sue azioni hanno sugli altri e impara a obbedire all’autorità.
Mentre il terzo stadio enfatizza la relazione con famiglia e amici, il quarto stadio è caratterizzato dal desiderio di mantenere e rispettare l’ordine sociale della comunità di appartenenza.
Seppur si potrebbe comprendere l’atto dell’uomo che ruba un medicinale per la moglie malata, in tale fase di sviluppo morale l’obbedienza alle regole prende la precedenza, e impone che non si possano fare eccezioni.
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Questo stadio riconosce l’introduzione del ragionamento astratto mentre si tenta di dare una spiegazione a specifici comportamenti umani.
Nell’esempio di sopra, l’uomo dovrebbe rubare la medicina per sua moglie perché lei sta per morire e le leggi non tengono conto delle circostanze.
Il quinto livello di sviluppo morale considera dunque la domanda “Cosa rende una società buona?”.
L’individuo è qui in grado di staccarsi dalla situazione e riflettere su cosa è equo e giusto. Riflettendo su cos’è la moralità e osservando l’etica della propria comunità si possono notare le inconsistenze nei valori e si possono sistemare quelli che non vanno bene.
Lo step finale della teoria di Kohlberg afferma che il ragionamento morale deve essere basato su valori personali.
Richiamando il dilemma di sopra, va bene rubare una medicina che può salvare la vita di una persona cara perché la vita stessa vale di più della proprietà.
In questa fase si accetta il fatto che le norme condivise non sempre producono risultati giusti.
La base su cui poggia la giustizia non può dunque essere interamente coperta dalla legge, e laddove la legge non riesce a garantirla si deve usare il ragionamento morale composto da valori e principi etici e universalmente buoni e giusti.
Questi sono spesso astratti e non possono essere definiti in modo specifico, così come non si può spiegare esattamente come si raggiunga l’eguaglianza, la dignità o il rispetto.
Le leggi possono provare a proteggere tali principi e dovrebbero sempre avere lo scopo di preservarli, ma in ultima analisi è sempre l’uomo che ha raggiunto il pieno sviluppo morale a dover fare da loro garante.
Coloro che sono arrivati a questo livello di sviluppo agiscono come agiscono perché per loro è la cosa più giusta da fare e non sono motivati dalle aspettative della società né dalle regole.
Lettura consigliata: A tua insaputa – la mente inconscia che guida le nostre azioni, di John Bargh
Acquisisci una nuova comprensione dei processi mentali che governano la tua vita grazie ai racconti e agli aneddoti di uno dei principali esperti di mente inconscia al mondo.
Ordina su AmazonIn definitiva, la moralità è un’abilità di ragionamento su cosa è giusto e cosa è sbagliato, un’abilità che va maturando grazie al tempo, alle esperienze e al percorso di crescita individuale.
Nella sua fase iniziale, la persona che non è ancora in grado di scegliere autonomamente una condotta morale si affida alle autorità ed è motivato esclusivamente dalla paura della punizione o dal proprio tornaconto personale.
Successivamente entrano in gioco considerazioni di tipo sociale e la persona identifica ciò che è giusto con quello che viene considerato tale dalle persone che fanno parte del suo cerchio di conoscenze prima e della sua comunità poi.
Negli ultimi due step dello sviluppo morale ogni individuo inizia a interrogarsi sulla presenza di principi che siano indipendenti dalle leggi e dalle aspettative altrui.
Così facendo riconosce dei principi morali universali che lo portano a fare la cosa giusta anche quando le altre persone, la legge o le autorità la considerano sbagliata.
La conclusione di tutto è una sola e molto semplice: la moralità serve. Ci serve a creare un mondo dove le persone possano contare le une sulle altre e dove solidarietà ed empatia sostituiscano avidità e indifferenza.
La lezione che si può trarre dalla teoria dello sviluppo morale è che non basta diventare grandi anagraficamente per imparare a essere giusti.
Ci basta guardare il telegiornale per renderci conto che molte persone adulte sono ancora dominate da istinti infantili e considerazioni di convenienza e interesse personale.
Molte delle norme che regolano la nostra vita sono proprio state create per proteggerci da loro e da chi non ha rispetto per gli altri.
Ne consegue che una civiltà fatta di persone pienamente sviluppate dal punto di vista morale non avrebbe bisogno di tutte queste regole, perché i cittadini saprebbero auto-regolarsi da soli, scegliendo autonomamente di fare la cosa giusta quando le circostanze della vita lo richiedono.
E tu, cosa ne pensi? Ti sei mai trovato/a di fronte a dilemmi morali come quello di Heinz?
Sbagliare nella scelta di che lavoro fare non è cosa da poco. Come capire se quella grande decisione di carriera che stai per prendere è quella giusta per te e per la tua vita?
Magari dopo una chiacchierata casuale e inaspettata ti viene offerto un lavoro ma non sai capire se è il lavoro giusto per te.
O magari il tuo migliore amico ti ha appena proposto di mollare tutto, cambiare lavoro e aprire insieme a lui un nuovo franchising super promettente e dentro di te tutto grida sì facciamolo! A dispetto di ogni apparente buon senso.
Che si tratti di decidere se accettare un nuovo lavoro, cambiare lavoro, tornare a studiare per iniziare una nuova carriera, con ogni probabilità hai già chiesto ad amici e parenti il loro consiglio.
E con ogni probabilità alcuni di loro ti avranno consigliato di seguire il tuo cuore. Un modo di dire piuttosto comune, ma cosa significa esattamente? E soprattutto è giusto o sbagliato scegliere con il cuore, piuttosto che con la testa?
La maggior parte delle persone pensa che seguire il proprio cuore significhi avere atteggiamenti istintivi, emozionali. In effetti si è sempre associato il fare ciò che dice il cuore come opposto alla razionalità di ciò che dice il cervello.
Finchè però la scienza non ha fatto una sconcertante scoperta: il cuore È a tutti gli effetti un cervello. Il nostro terzo cervello.
Si era già molto parlato del secondo Cervello, considerando l’intestino con tutte le sue circonvoluzioni ed elucubrazioni, come un cervello a sé stante: il secondo cervello.
Recentemente, però, si è scoperto che c’é ancora un’altro cervello, da considerarsi tale a tutti gli effetti, cioè con circa 50mila neuroni: quello del Cuore.
Di fatto, possiamo considerare il cuore come un cervello completo. Con un Sistema Nervoso intrinseco Cardiaco di circa 50mila neuroni ed interneuroni, che creano circuiti neurologici complessi, sufficientemente sofisticati per qualificarli come un “Cervello”.
L’insieme dei circuiti costituiti da questi neuroni consente al Cuore di apprendere e comprendere, ricordare e prendere decisioni funzionali indipendentemente dal Cervello della testa, a cui invia informazioni e comunicazioni.
Queste ultime procedono dal Cuore al Cervello e non solo dal Cervello al Cuore, come un tempo si credeva. Esattamente come accade per il cervello dell’intestino.
Il cuore invia di gran lunga più informazioni al cervello di quante il cervello ne invii al cuore: il 90/95% dei nervi che connettono cuore e cervello, infatti, sono fibre neurali afferenti, cioè ascendenti, che portano l’informazione da cuore a cervello.
Il campo elettromagnetico del cuore ha una potente influenza sui processi comunicativi in tutto il corpo. Questa potenza elettrica del cuore è in ampiezza 60 volte più grande di quella del cervello e permea tutte le cellule del corpo.
Stupefacente vero?
Insomma, seguire il tuo cuore quando stai scegliendo che lavoro fare o che scelta di lavoro prendere, non significa per niente, come molti credono, che devi ignorare i fatti e seguire solo impulsi e sesto senso.
Né significa buttare tutto al vento e procedere senza un piano, come ripeto da sempre.
Per poter fare una buona scelta riguardo al che lavoro fare è importante sia conoscere quello che il tuo cuore (in questa nuova accezione ben più ampia e scientifica) vuole e allo stesso tempo quello che il mercato vuole.
Il che significa fare un sacco di ricerca dentro e fuori di te, prima di prendere qualunque decisione.
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I ricercatori hanno cercato di decodificare per decenni il cosiddetto sesto senso o intuizione. E sono in effetti riusciti a provare che l’essere umano ha realmente una forma di sesto senso.
Gli esperimenti hanno dimostrato, per esempio, che quando alle persone viene dato un set fortunato di carte, con molte carte vincenti per un certo gioco, il giocatore può sentirlo davvero, ancora prima di guardare le carte.
E questa valutazione non viene misurata a sensazione personale, ma dal grado di sudorazione dei palmi delle mani, ancora prima che la persona capisca cosa sta succedendo.
Perciò, una certa forma di intuizione e di sesto senso l’abbiamo. E molto probabilmente è proprio quella vocina che ti sta sussurrando per il sì o per il no sulla tua scelta del che lavoro fare.
Ma allo stesso tempo, altri scienziati come Daniel Kahneman della Princeton University, hanno passato la vita a dimostrare che le decisioni veloci che etichettiamo come “intuitive”, sono in realtà poco affidabili e sono giuste solo la metà delle volte.
Gli studi di Kahneman hanno dimostrato, con casi studio che andavano da scelte di salute a scelte di investimento finanziario, che quando si tratta di prendere decisioni intuitive, le persone tendono ad essere esageratamente ottimistiche e fiduciose.
La soluzione per fortuna è molto chiara, almeno agli scienziati: si tratta di maturare l’abilità di fermare la mente ed entrare in quello spazio silenzioso che gli occidentali indicano come “momento presente”.
Insomma, detta in altre parole, non c’è nessun bisogno di continuare a discutere se sia meglio essere analitici e razionali o piuttosto impulsivi e intuitivi quando è il momento di scegliere qualcosa, si tratti del decidere di che lavoro fare, del cambiare o no lavoro, o di altre decisioni per la propria vita.
La via maestra per fare scelte non avventate per il nostro futuro passa per il fermarsi e analizzare con attenzione gli elementi di valutazione che abbiamo davanti.
Come al solito, non sento di aver maturato abbastanza esperienza per poter dire con assoluta certezza che questo modo di procedere vale in qualunque ambito della vita.
Ma so con certezza che vale per ogni scelta di lavoro.
Vediamo quindi alcuni punti che possono esserti di grande aiuto per centrarti e valutare a partire dal momento presente, senza dimenticare che c’è un mercato del lavoro con sue regole ed esigenze, di cui devi tenere realisticamente conto.
È normale cercare suggerimenti e consigli quando stai facendo una scelta a riguardo del tuo lavoro, della tua carriera e in generale di qualunque scelta con un impatto sulla tua vita professionale.
Tanto più è delicata la scelta e tanto più è opportuno che tu cerchi di confrontanti con un professionista, non solo con amici e parenti.
Che sia un mentore o un career coach, l’importante è che sia qualcuno che ha ottenuto risultati per te di valore: a parlare sono bravi in tanti, ma sono i fatti che fanno la differenza.
Quanto è felice del e con il proprio lavoro la persona a cui stai chiedendo? Se non è una persona pienamente soddisfatta e realizzata nel proprio lavoro, a livello personale ed economico, allora non è probabilmente la persona giusta a cui chiedere consiglio o con cui confrontarti.
Attenzione però a non cadere nell’estremo opposto: anche se trovi qualcuno degno della tua fiducia, alla fine ricorda che l’unico padrone al comando della tua vita puoi e devi essere tu.
Altrimenti, prima o poi, finirai comunque per pentirti: qualunque scelta che non prenderai essendone pienamente convinto, prima o poi ti presenterà un conto salato che non sarai disposto a pagare.
Le nostre emozioni sono il sistema di navigazione migliore che esista: se provi una sensazione negativa, non ignorarla. Non necessariamente significa che stai facendo una scelta sbagliata, ma sicuramente significa che c’è qualcosa che ancora non ti è chiaro. Quindi torna alla fase di ricerca e valutazione.
Assicurati però di non essere in una condizione di troppa stanchezza e mancanza di lucidità perché in quel caso le cattive sensazioni vogliono solo dire che ti devi riposare per poter prendere decisioni serenamente.
Eh lo so, questa è facile a dirsi ma non a farsi. In questo qualunque fidato amico d’infanzia o persona di famiglia può esserti d’aiuto, DOPO che hai fatto le valutazioni a mente lucida.
Non si tratta quindi di prendere il coraggio e buttarti su scelte avventate.
Ma se hai fatto una valutazione attenta della tua situazione, magari con un coach del lavoro professionista, e ancora ti tremano le gambe… beh, niente di più normale.
Fai però in modo che questa normale reazione non ti impedisca di fare la scelta giusta per il tuo lavoro e la tua vita.
Ascoltare il proprio cuore e la propria saggezza interiore è più facile quando ti conosci bene. Perciò fai in modo di fare attenzione a quello che ti rende felice, nel lavoro e nella vita, per esempio. Con quali attività ti capita di perdere la cognizione del tempo?
Quelle sono sicuramente attività in cui stai dando il tuo meglio, perché ti permettono di entrare nella condizione di “flusso”, quella in cui i tuoi talenti e competenze migliori sono in pista e allineate con la realtà esterna.
Quali attività poi sono quelle in cui dai il meglio di te in termini di competenza ed efficacia? Quando sei alla ricerca di che lavoro fare, è importante portare con te il massimo di consapevolezza su quelle che sono le tue capacità migliori e fare leva su queste.
Sii realistico su quello che sei capace di fare e anche su ciò che sai di dover migliorare.
E se ancora vuoi approfondire questo delicato e fondamentale tema di invito a leggere l’articolo Che lavoro fare: il mito dell’unica vera vocazione
Non posso fare a meno di leggere i vostri articoli che mi guidano osempre ad una consapevole introspezione.
L’Enneagramma della personalità è forse il miglior strumento che abbia mai utilizzato per il supporto alla crescita interiore e consapevolezza di sé.
Non penso che sarei quello che sono oggi, che avrei la stessa visione del mondo, di me stesso e degli altri, se non avessi letto, studiato e assorbito i principi di questo meraviglioso sistema.
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Ho già parlato estensivamente di cos’è l’Enneagramma della personalità in questo articolo.
Per rinfrescare la memoria, si tratta di un sistema psicologico che serve a descrivere i punti di forza e di debolezza di 9 tipologie di personalità che vengono nominate in base alla loro caratteristica principale:
Per dirla semplicemente, l’Enneagramma della personalità rafforza la nostra capacità di auto-osservazione.
È una scorciatoia per individuare le dinamiche interne ed esterne che hanno il maggior impatto sulla nostra vita.
La mappa e le spiegazioni dettagliate dei vari enneatipi ci permettono di comprendere noi stessi come se stessimo osservando qualcun altro, e ci forniscono preziose informazioni sulle varie tappe del percorso di crescita del nostro enneatipo.
Tutto questo è un’utilissima risorsa per capire se siamo più o meno vicini al raggiungimento di un sano livello di maturazione della nostra personalità.
Per fare un esempio, ecco tre fasi dello sviluppo di un enneatipo 7 (riprodotto dal sito dell’Enneagram Institute).
Quando raggiunge il picco del suo sviluppo interiore l’enneatipo 7 apprezza le esperienze in profondità provando parecchia gratitudine e riconoscimento per quello che ha. Si lascia stupire dalle semplici meraviglie della vita: è gioioso ed estatico, connesso con la sua realtà spirituale e bontà interiore.
Nella fase intermedia del suo sviluppo, e con l’aumentare dell’irrequietezza, l’enneatipo 7 desidera avere a disposizione più opzioni. Diventa avventuroso e intraprendente, ma meno concentrato, alla continua ricerca di cose ed esperienze nuove. Molto attaccato al consumo e al divertimento, rincorre soldi, varietà e tendenze.
Nella fase primordiale del suo sviluppo questo enneatipo può diventare disperato nel tentativo di sedare le proprie ansie, ed è anche impulsivo e infantile. Non sa quando fermarsi. Le dipendenze e gli eccessi prendono il sopravvento rendendolo dissoluto, offensivo e persino abusivo.
Leggi anche: Test della personalità online: scopri il tuo livello di estroversione e stabilità
Ogni enneatipo ha una sua emozione negativa preponderante, ciò che nel linguaggio dell’Enneagramma della personalità viene definito “Passione Dominante”.
Attenzione, non si sta parlando di passione nel senso di amore per qualcosa, cosa che sarebbe costruttiva, ma di uno stato emotivo che ci domina nei momenti di debolezza e che prende piede quando perdiamo il controllo di noi stessi.
La Passione del tuo tipo potrebbe essere la rabbia, la nostalgia, l’avidità, la paura o il senso di colpa, e più ne sei controllato più sarai lontano dall’essere chi sei veramente.
L’Enneagramma della personalità ti permette di individuare qual’è la tua passione in modo tale che tu possa iniziare a liberartene.
A ogni passione di ogni enneatipo corrisponde una Virtù, cioè l’emozione che caratterizza il lato più evoluto della personalità.
Col tempo la maggior parte noi impara a gestire la propria Passione e diventa più buono, maturo, sereno o ragionevole.
Per facilitare questo processo di crescita, l’enneagramma della personalità ci dice quali sono le Virtù che fanno da contraltare a ogni Passione.
Una volta individuato il nostro enneatipo attraverso l’apposito TEST, conoscere la nostra Virtù è già un enorme passo avanti per la nostra crescita perché ci dà una direzione da seguire.
Provando a leggere questo schema in modo pratico:
… e così via.
L’Enneagramma della personalità afferma che ognuno di noi ha tre forme di intelligenza a propria disposizione.
Oltre alla mente, c’è l’intelligenza delle emozioni e l’intelligenza delle sensazioni/movimenti.
In breve, le tre forme sono indicate come centri della testa, del cuore e del corpo.
Ogni enneatipo è associato a uno dei centri – si dice che è “fissato” in un centro – e per questo tende ad agire, reagire o vivere sulla base di quel centro.
Ciò si può facilmente osservare in quelle persone che sono più razionali, sensibili o istintive, perché magari tendono a usare rispettivamente la loro intelligenza mentale, emotiva o corporea.
Il centro represso è quella parte di noi che abbiamo rimosso in tenera età a causa di una ferita infantile. Viene anche definito sé nascosto o ombra.
Si può trattare del lato emotivo della persona abituata a vedere tutto in modo logico/razionale, o del lato razionale per chi è abituato a essere impulsivo.
Essendo parte del tuo lato inconscio o represso, la tua intelligenza repressa sabota la tua vita senza che te ne accorgi.
Una volta che conosciamo il nostro centro rimosso, si apre la possibilità di provare in modo attivo a reinserirlo nella nostra consapevolezza.
Una persona che ha perso il centro del sentimento e che ha difficoltà a mostrarsi vulnerabile può riavvicinarsi alla sua emotività se si rende conto di avere questo freno.
Così facendo inizierebbe a trovare l’equilibrio e imparerebbe a sfruttare il potenziale di tutti i centri di intelligenza invece che essere limitato a uno solo.
È fondamentale ricordare qui una esperienza di vita piena può accedere solo se sappiamo pensare e sentire con la testa, il cuore e il corpo.
Senza uno di questi sentiremmo necessariamente che ci manca qualcosa.
I sottotipi descrivono delle sfumature dei 9 enneatipi e nascono quando la Passione di uno di loro incontra il suo l’Istinto.
Gli Istinti nell’Enneagramma della personalità sono:
Così come siamo fissati a un centro di Intelligenza, ognuno di noi è fissato a uno degli Istinti.
È possibile dunque che ci siano diverse forze a guidare il nostro modo di vivere: un Istinto dominante e uno secondario potrebbero “unirsi” nel reprimere un terzo Istinto.
Auto Conservazione: se sei un SP dominante, tieni maggiormente alla sicurezza fisica e al benessere. Il tuo obiettivo principale è lo stare al sicuro e il comfort nell’ambiente in cui vivi. Per te, gli stress maggiori nella vita sono i soldi e il sostentamento. Le tue strategie di sopravvivenza (quando malsane) possono includere eccesso di scorte, acquisti eccessivi ed eccessi di cibo.
Istinto Sessuale: se sei dominante SX, hai un grande bisogno di cose intense. Il tuo obiettivo principale sono le persone ed esperienze che promettono forti emozioni. Il tuo stress potrebbe includere una mancanza di stimoli mentali o emotivi, o una mancanza di senso di connessione. I tuoi metodi di sopravvivenza malsani potrebbero includere l’incapacità a concentrarsi, la promiscuità sessuale, e forse un atteggiamento pauroso e disfunzionale nei confronti del sesso e dell’intimità.
Istinto Sociale: se sei un SO dominante, ti interessa di più costruire un senso di valore, realizzazione e sicurezza del tuo posto in mezzo agli altri. Il tuo obiettivo principale è lo status sociale, l’approvazione e l’essere ammirato dagli altri. I tuoi metodi di sopravvivenza malsani includono comportamenti antisociali, risentimento e disprezzo sociale o persino isolamento.
Per capire al meglio il funzionamento degli Istinti bisogna osservarli in relazione all’enneatipo di appartenenza.
E qui entrano in gioco i profili specifici dei 27 sottotipi, perché ogni enneatipo esprimerà ognuno dei 3 Istinti in maniera diversa.
Per approfondire su questo aspetto consiglio la lettura del libro L’Enneagramma di Helen Palmer.
Per il momento sappi solo che esiste un percorso di crescita unico associato a ogni sottotipo e che ogni Istinto si manifesta attraverso i seguenti stati emotivi in ogni Enneatipo (l’ordine è Auto Conservazione, Sociale e Sessuale):
Leggi anche: Come avere successo nella vita personale e lavorativa
I sottotipi dovrebbero aiutarti a capire quali sono le tue spinte istintive dominanti.
Per quanto riguarda l’Istinto represso, è relativamente facile identificarlo perché è spesso associato a un senso di vergogna o deficienza.
Inconsciamente, infatti, pensiamo di poter fare a meno del nostro Istinto represso, così come alcune persone si convincono di non aver bisogno del sesso o di legami veri.
Poiché però sentiamo segretamente un senso di deficienza al riguardo, tendiamo a infastidirci quando notiamo che gli altri riescono a soddisfare quella stessa spinta istintiva.
Nell’esempio di prima, chi reprime l’Istinto sessuale può essere infastidito da chi una vita sessuale affermata. Mentre chi ha un senso sociale represso potrebbe sentirsi frustrata dal bisogno di affermarsi socialmente.
Gli esperti di enneagramma raccomandano che quando ci sentiamo ansiosi, depressi o frustrati a causa dell’incapacità di soddisfare i nostri bisogni, dovremmo provare a dedicare attenzione al nostro Istinto represso.
Ciò potrebbe alleviare l’ansia e i comportamenti compulsivi stimolati dal nostro Istinto dominante, e dimostrerebbe come ognuno di noi abbia bisogno di una sana ed equilibrata armonia tra le sue parti interne.
Per intenderci, un Enneatipo 1 con istinto dominante all’Auto Conservazione tenderà a preoccuparsi spesso per il suo futuro.I
Se il suo Istinto represso è quello Sessuale, che in questo caso si traduce in laboriosità, potrebbe allontanare le sue preoccupazioni dedicandosi anima e corpo ad una attività lavorativa significativa.
D’altro canto, un enneatipo 8 con tendenza al possesso verso gli altri (anche questa una variante dell’Istinto Sessuale) troverebbe sollievo nella solidarietà qualora il suo Istinto represso è quello Sociale.
Come si può vedere l’Enneagramma della personalità dà delle risposte concrete a dei problemi concreti.
A differenza di altri sistemi psicologici non identifica semplicemente dei personaggi ma fornisce indicazioni precise su come influenzare il loro comportamento e il loro sviluppo.
Non potrò mai sottolineare abbastanza quanto sia importante sapere il nostro Istinto dominante e quello represso.
Ci darebbe letteralmente la possibilità di rinascere, di diventare la persona che scegliamo di essere invece di quella che abbiamo imparato a essere da piccoli.
E la ragione principale è che da piccoli non potevamo comprendere quello che ci accadeva, adesso sì.
Adesso puoi capire se le tue continue liti di coppia siano causate dalla tua incapacità a legarti o da una incompatibilità di fondo col tuo partner.
Da grande ti puoi fermare prima che la rabbia ti porti a dire o fare cose di cui ti potresti pentire.
Puoi tenere sotto controllo la gelosia, l’insicurezza o qualsiasi altra emozione che continui a limitare la qualità della tua vita e il tuo processo di sviluppo personale.
Di sicuro potresti riuscire anche da solo in questo obiettivo.
Ma l’Enneagramma della personalità ti rende tutto più semplice, fornendo una mappa dettagliata delle emozioni coinvolte e una serie di strategie utili ad “aggiornare” il tuo modo di essere.
Hai mai avuto la sensazione che mangiare cibo da strada sia più appagante?
Magari in spiaggia, o la sera mentre cammini nelle vie della tua città. Sei all’aria aperta e scegli di mangiare fuori piuttosto che chiuderti in un ristorante.
Soprattutto per chi viaggia lo street-food è la giusta soluzione.
Vediamo spesso persone che mangiano fuori casa. Il più delle volte sono sorridenti, ma sono più immagini di copertina o davvero il cibo da strada rende più felici?
Il cibo da strada esiste da sempre.
Dai romani fino ai giorni nostri è un modo di mangiare adottato in tutto il mondo.
Ci sono però alcuni Paesi dove è normale mangiare fuori casa.
Vuoi per la frenesia di una giornata lavorativa, o perché la maggior parte delle case non ha la cucina, non si rinuncia a consumare un pasto seduti sotto il cielo.
Per la maggior parte, il mangiare in strada è sinonimo di libertà.
Ecco una breve lista di paesi dove lo si fa più spesso:
Ovviamente in quasi tutto il mondo è possibile gustare cibo da strada.
Un consiglio per chi viaggia è proprio questo: per quanto siano inusuali per noi certi cibi, mangiare le pietanze del posto è un’occasione per scoprire nuovi sapori e nuove culture.
Potremo abbattere quelle barriere che troppo spesso alziamo verso ciò che non conosciamo. Sarà un buon modo per aumentare la nostra apertura verso l’”altro”.
Leggi anche: Convinzioni limitanti: quali sono e come riconoscerle.
Questa potrebbe essere una domanda legittima.
Se immaginiamo un hamburger pieno di salse o un hot dog prima di una partita, probabilmente risponderei di sì. Spesso per mantenere i prezzi bassi, chi cucina street food lo fa con ingredienti di scarsa qualità.
C’è differenza tra street food e “cibo spazzatura” ed è bene non confondere le due cose. Lo street- food è quel cibo facile da preparare e veloce da mangiare. Non per questo deve essere malsano.
Rischiamo di perderci un buon kebab a Istanbul, solamente perché siamo abituati ai nostri panini a 3 euro. O rifiuteremo dell’ottimo Jerk Chicken giamaicano perché vediamo che assomiglia molto al pollo dei fast-food.
Una cosa a cui mi sono abituato quando viaggio è mangiare i piatti locali. Spesso il cibo da strada è cucinato all’aperto e quindi avrai sempre modo di vedere ingredienti e preparazione e scegliere quello che più ti dà sicurezza.
In molti paesi vicino a spiagge o foreste sono spesso proposti piatti a base di frutta fresca e di pesce appena pescato che potrai scegliere personalmente.
Se userai la stessa cura con cui scegli ciò che mangi a casa, non avrai nessun problema a scegliere il giusto posto dove mangiare il cibo da strada.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui mangiare in strada è l’ideale.
Lo streef-food però ha un altro potere al quale forse non avevi mai pensato.
Hai mai osservato chi mangia a una sagra o una pizza attorno a un falò?
Sembrano tutti felici di stare lì in quel momento. E secondo me, lo sono davvero.
Nel mio viaggio in Madagascar mi è capitato di mangiare sia al ristorante che cibo da strada. Indovina cosa ricordo di più? I sorrisi delle donne che ti offrivano il loro cibo. Avevano occhi curiosi di scoprire se il loro cibo piaceva anche a noi.
Generalmente ti aspettavano sedute ai loro banchetti. Avevano dipinti sui volti dei fiori bianchi, simbolo di benvenuto. Ed era proprio cosi che mi sentivo. E con il loro cibo te lo dimostravano ogni giorno.
Percepivi l’impegno e la curiosità nei loro occhi. Ti guardavano entusiaste fino a che facevi un segno. Poteva essere un sorriso o un “ok” con il pollice. Solo allora ti lasciavano mangiare per servire qualcun altro.
Questo nei ristoranti accadeva di meno. A prescindere dalla gentilezza personale, un locale ha dinamiche diverse:
Quando mangiavo nelle bancarelle o nelle griglie a bordo strada tutta questa “ansia da prestazione” spariva per lasciare posto a chiacchere e risate.
Sembrava di mangiare tra amici alla grigliata di Pasquetta.
Per molte persone questo modo di mangiare è la normalità. Non posso dire se erano felici o meno, di certo quello che vedevo erano sorrisi e convivialità.
Conoscere persone nuove è un grande vantaggio. Se sei triste o sei appena arrivato in un nuovo paese, incontrare qualcuno che non conosci può permetterti di:
Siamo sempre soggetti a cambiamenti
Mai come in quest’epoca dove tutto è frenetico, siamo travolti da repentine innovazioni.
Il rischio è che cominciamo a pensare che vivere così sia normale. Che non ci sia niente di male a correre per le scale della metro o affannarsi su internet per accaparrarsi l’ultima offerta.
Siamo così abituati a correre che abbiamo perso il piacere della lentezza.
Chi ancora riesce a vivere con ritmi meno affannati, è spesso dipinto come pigro e scansafatiche.
Ma è così sbagliato fermarci da tutta questa frenesia?
Ritornare a vivere piccoli momenti di felicità, dove anche tu poi rilassarti e staccarti dall’impazienza di una società che pretende sempre di più?
Se la vedi così il cibo da strada può essere un ottimo rimedio per tornare ad essere più presenti nelle nostre vite.
A volte ci bastano quei pochi minuti di spensieratezza da condividere con chi abbiamo vicino. Senza pensare ai rimpianti del passato o farci prendere dalla paura di non poter controllare il futuro.
Potrai diventare una persona migliore e tutto questo partendo dal cibo.
Non ti sto proponendo ravioli miracolosi. Ma solamente un pretesto per metterti in un flusso di energia positiva che potrà rigenerarti.
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Ognuno di noi darà la propria risposta.
Se lo riduciamo al nutrimento puro e semplice, non credo che mangiare cibo da strada ti renderà più o meno contento rispetto ad una cena casalinga.
Il cibo rende sempre felici
Se però coglierai le opportunità che si nascondono dietro ad un burrito messicano o a un cous cous marocchino, ti si apriranno infinite possibilità di espandere la tua cultura personale.
Sarai più felice perché riuscirai a superare i tuoi pre-concetti. Sarai capace di condividere momenti di convivialità con persone diverse da te.
Non importa in quale contesto ti trovi, l’importante è usare il cibo come pretesto per dare colore e gioia alla tua vita e, soprattutto quando sei in viaggio, come un portale di scoperta di nuovi modi stare al mondo.
“Uno non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene”
Virginia Woolf
Il senso di autoefficacia sta al centro della teoria sociale cognitiva dello Psicologo Albert Bandura e secondo le sue stesse parole è “la fiducia nella propria capacità di organizzare ed eseguire il corso d’azione richiesto per gestire situazioni future”.
Detto in parole comuni, il senso di autoefficacia è nient’altro che la convinzione di poter portare a termine i progetti che ci capitano davanti o che scegliamo di intraprendere.
Possiamo dire che quasi tutte le persone al mondo hanno degli obiettivi che vorrebbero raggiungere, magari una situazione che vorrebbero cambiare o un sogno che vorrebbero realizzare.
Allo stesso tempo, è facile rendersi conto che passare dal piano all’azione, o dalle idee alla realtà, non è cosa automatica.
È qui che entra in gioco il senso di autoefficacia, in quanto è quella qualità interiore che permette di accorciare il divario tra quello che vorremmo accadesse e quello che accade.
Quando ti viene un’idea o persegui dei buoni propositi, puoi solo concretizzare se hai pazienza, motivazione e autostima.
Tantissime persone vorrebbero aprire aziende, lanciare siti e-commerce o semplicemente perdere peso.
La difficoltà in progetti del genere è che suscitano entusiasmo all’inizio e poi ti scoraggiano quando ti rendi conto del reale sforzo necessario a mantenerli in vita.
Allora molti di noi lasciano perdere, perché non hanno le forze, la determinazione o, per l’appunto, il senso di autoefficacia che serve a superare gli ostacoli di percorso.
Bandura e altri psicologi hanno scoperto che l’autoefficacia individuale gioca un ruolo determinante nel modo in cui vengono approcciati i compiti e le sfide della vita.
In particolare, le persone che hanno un forte senso di autoefficacia:
Di contro, le persone con un senso debole di autoefficacia:
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Avere un maggior senso di autoefficacia potrebbe letteralmente cambiare la vita delle persone.
In degli scenari del genere non avere senso di autoefficacia potrebbe avere dei brutti risvolti.
Le persone che non credono di poter ottenere quello che vogliono finiscono facilmente per provare rancore o senso di colpa, sono più vulnerabili alle dipendenze e alla rabbia.
Quest’ultima, in particolare, è una naturale conseguenza del senso di impotenza che è l’esatto contrario di autoefficacia.
Ci arrabbiamo, ricorriamo alla violenza, ci ritiriamo in noi stessi o diventiamo tristi tutte le volte in cui siamo certi di non poter fare nient’altro per modificare le circostanze, specialmente se indesiderate.
Il senso di autoefficacia inizia a svilupparsi nell’infanzia, ovviamente, e continua a evolvere per tutta la vita.
Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, o riusciamo a compiere un’azione che prima sembrava impossibile, cresce la nostra fiducia in noi stessi e iniziamo ad abituarci alla mentalità del “ce la posso fare”.
Per fare degli esempi concreti, ciò può accadere dopo aver raggiunto la laurea, finito un importante progetto lavorativo, imparato una seconda lingua, smesso di fumare.
Tutte le volte in cui il nostro impegno e le nostre azioni conducono a risultati che in qualche modo arricchiscono la nostra vita sentiremo una crescita del senso di autoefficacia.
Queste azioni possono essere le più semplici, come lo può essere alzarsi in piedi per un bambino, fino alle più complicate, come scoprire il vaccino di una malattia infettiva.
Più impegnativo è il limite che sceglieremo di superare più facile sarà per noi credere di poterne superare altri quando si presenteranno.
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Un libro che spiega come sviluppare l’autostima e scoprire le proprie risorse e potenzialità.
Ordina su AmazonLo stesso Bandura afferma che riuscire a compiere bene determinate attività è il primo modo di sviluppare la fede nelle proprie capacità.
Quelle che lui chiama “mastery experiences” sono delle esperienze che avvengono quando riusciamo a ottenere la padronanza in qualcosa, che sia un sport, un lavoro, una materia.
Diventare bravi e preparati in un determinato settore, oltre a far stare bene con se stessi, pone le fondamenta per sviluppare sicurezza e consapevolezza di sé.
Osservare persone che compiono con successo determinate attività è un’altra importante fonte di autoefficacia.
Ciò significa che nel momento in cui guardiamo qualcuno di simile a noi riuscire a raggiungere un determinato obiettivo possiamo arrivare a credere di poter fare lo stesso.
Questo avverrebbe in tutti quei casi in cui pensiamo “se c’è riuscito lui posso farlo anch’io”, cioè quando qualcuno ci dimostra che qualcosa che ritenevamo impossibile è in realtà possibile.
Un esempio perfetto di questo meccanismo è l’impresa di Roger Bannister che nel 1954 riuscì a correre un miglio in meno di 4 minuti.
Prima di lui la barriera dei 4 minuti era considerata impossibile da abbattere e ci vollero decenni prima che qualcuno ci riuscisse.
Dopo che Bannister dimostrò che era possibile, però, ci vollero solamente 46 giorni prima che John Landy, un atleta australiano, lo seguisse.
Appena un anno dopo tre corridori ruppero quella barriera in una singola gara. Nella seconda metà del secolo scorso sono stati più di mille a farlo.
La lezione di questa storia è che l’impossibile esiste solo nella nostra mente fino a quando noi stessi, o qualcun altro, non dimostriamo il contrario.
Un altro modo per aumentare il senso di autoefficacia è ricever dei feedback positivi e incoraggianti dagli altri.
Qualcuno che non crede di poter compiere un impresa può infatti essere convinto di avere le qualità necessarie da una persona di fiducia.
Ottenere supporto morale e verbale può aiutarci a superare i dubbi esistenziali e le insicurezze, per questo dico spesso che è importante circondarsi di persone che ci aiutano ad accrescere il nostro senso di valore interiore.
L’opposto può accadere quando chi abbiamo accanto ci demotiva, sia volontariamente che involontariamente, perché non comprende quello che vogliamo fare o, peggio ancora, avrebbe invidia o paura del nostro successo.
Le nostre stesse reazioni emotive alle situazioni giocano un ruolo fondamentale per il senso di autoefficacia.
Gli umori, i livelli di stress e gli stati mentali e fisici possono avere un impatto determinante nel modo in cui percepiamo le nostre abilità.
Una persona che diventa nervosa quando deve parlare in pubblico può sviluppare un debole senso di autoefficacia in situazioni del genere.
Similmente si potrebbe “imparare” ad aver paura dei colloqui, del sesso, delle presentazioni o della tecnologia.
Per Bandura non è tanto l’intensità di quello che proviamo ma come interpretiamo le nostre reazioni.
Il segreto sta nel minimizzare l’importanza dei fattori di stress e nel riuscire a sostenere gli stati di soddisfazione e positività.
Un esempio perfetto sarebbe lasciarsi alle spalle i fallimenti e concentrarsi di più sui successi, evitando di pensare che siamo definiti dai nostri errori e fare l’opposto, cioè imparare da essi.
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Per riassumere quanto detto sulle strategie per aumentare il senso di autoefficacia ecco 4 consigli che ti aiuteranno a metterle in pratica:
Valutare il proprio senso di autoefficacia è una questione intima e personale.
Solo tu comprendere il tuo livello di fiducia nelle tue abilità e lo puoi fare ripensando a come ti sei comportato tutte le volte in cui hai affrontato un problema o una sfida nella tua vita.
In generale credi di essere resiliente in momenti difficili? Ti viene l’ansia al pensiero di dover assumere determinate responsabilità?
Spero che nessuno, te incluso, si aspetti che tu sia sempre sicuro e calmo nel gestire i tuoi affari.
Per questo la valutazione dell’autoefficacia serve solo a stimolare una riflessione, a capire se e dove si può fare meglio.
Nel test proposto qui troverai 10 affermazioni a cui dovrai rispondere cliccando su una scala di veridicità, da completamente non-vero a completamente vero.
Dopo averlo fatto valuta se è il caso di impegnarsi per migliorare il tuo senso di autoefficacia o meno.
VAI AL TESTMi capita spesso di leggere sul web di genitori disperati che non sanno gestire la rabbia dei figli. Famiglie intere “intrappolate” tra amore e odio.
Nel mio lavoro sono a stretto contatto con adolescenti. Vivo con loro vittorie e successi, ansie e frustrazione.
Questo dualismo è molto forte in loro.
Spesso confondono l’amore con l’odio. Interiorizzano nel modo sbagliato i due sentimenti e fanno pasticci anche con le persone a cui tengono.
Questo però non comincia con l’adolescenza.
Sarà un articolo dove proverò a mettere in ordine idee ed esperienze.
Non vuole essere giudicante nei confronti di nessuno.
Credo fortemente però che il nostro atteggiamento di genitori è fondamentale, anche nei primi anni di vita dei nostri figli.
Siamo pronti?
Sarà un’occasione per tutti (anche per me) di conoscere nuove prospettive per affrontare al meglio certi problemi adolescenziali.
Anche nei più piccoli, cominciamo a vedere questo dualismo.
Un bambino esplora il mondo e le persone che ne fanno parte, primi fra tutti i genitori.
Ci sfidano con i capricci e ci “manipolano” con le bugie.
Finchè sono piccoli può essere che diamo poco peso alla cosa.
Ho una figlia di 5 anni che a volte prova a raccontare la sua versione delle cose.
Probabilmente le viene anche più naturale essendo figlia di genitori separati.
Prova a vedere se riesce a ottenere qualcosa da uno dei due “tanto l’altro non lo sa”.
Come tutti i bambini però, la sua capacità di immaginare non è completa e quindi si contraddice.
Già quando sono piccoli manifestano “amore e odio” per i genitori:
Capita a volte che, per non vederli piangere o per non affrontare i loro capricci (soprattutto in luoghi pubblici dove le loro urla possono essere imbarazzanti) li accontentiamo.
Accettiamo per loro qualcosa che pensiamo essere sbagliato, tipo:
I nostri bambini ci provano sempre a ottenere qualcosa da noi.
E noi spesso cadiamo nella loro trappola.
“Dai, cosa sarà mai una puntata in più di Masha e Orso”
“Passo poco tempo con lui. Se poi devo anche rovinarci la serata per mezz’ora in più alzato…ne vale la pena?”
“Sì, l’ho visto il furbetto che “rubava” un cioccolatino. Dai però che tenero è?”
Torno a ripetere che non voglio giudicare nessuno.
Anche io spesso non sapevo cosa fare e ho accettato questi comportamenti.
Credo però che l’importante sia essere consapevoli delle conseguenze a breve e soprattutto a lungo termine.
Stiamo sempre parlando di relazione genitori e figli ed è bene che i ruoli non vengano mai scambiati.
A volte una piccola cosa sembra essere ininfluente.
Ma vediamo un ipotetico scenario futuro.
Un bambino accontentato troppo spesso rischia di crescere con l’idea che “tutto gli sia dovuto”.
Se fin dai primi anni non dovrà mai fare niente per conquistarsi qualcosa può essere che quando diventi adolescente vedrà solo sè stesso.
La priorità sarà (come sempre fino a quel momento) soddisfare i propri bisogni e vedrà il genitore come strumento per soddisfarli.
Dall’altra parte il papà o la mamma si ritroveranno davanti una persona quasi adulta che li manipola con richieste che adesso cominciano a diventare pesanti da sostenere.
Si può capire un genitore che accontenta un figlio per non vederlo soffrire, perché i “no” sono dolorosi e perché vorremmo che i nostri figli abbiano sempre il meglio.
“Voglio dargli tutto quello che non ho mai avuto”
Quante volte abbiamo sentito questa frase?
Come una sorta di riscatto alla vita, adesso che siamo noi genitori non vogliamo negare a nostro figlio qualcosa che oggi abbiamo l’occasione di dargli.
Così facendo però si ribaltano i ruoli.
In questo articolo abbiamo parlato di quanto sia importante dare delle regole ai figli e di quanto facciano loro bene.
Un figlio che “comanda” i genitori proverà:
È normale che un figlio ci sfidi, è la sua strada per crescere e passare a un “livello” successivo.
Siamo noi, che non dobbiamo retrocedere.
Un genitore che si vede imporre le cose dal figlio, non riuscirà ad avere un rapporto sano, né con lui, nè con gli altri componenti della famiglia.
Questo porterà tensioni che probabilmente sfoceranno in litigi.
Odio e amore si uniranno in una soluzione esplosiva.
Ci ritroveremo in un ambiente che non riconosciamo più come la nostra bella casa. Saremo frustrati e tristi. Spesso arrabbiati, rischiando di prendercela con la persona sbagliata, alimentando ancora di più l’”odio” che prenderà piano piano il sopravvento sull’amore.
Saremo spaesati e non sapremo cosa fare, magari penseremo che sia una fase che passerà.
“Succede anche nelle migliori famiglie”. Vero, la conflittualità è una fase normale.
Vivere irrequieti a casa propria è tutta un’altra storia.
In un clima così si rischia di perdere la lucidità e che i discorsi tra le parti siano sporcati da improperi ed insulti.
A tutti noi genitori sarà capitato di litigare con i figli.
Spesso si urla o e si ha rancore. A volte però capita che si vada oltre.
L’insulto di un figlio fa sempre male a un genitore. Capita di prendere la cosa sul personale e la reazione di un papà o di una mamma può essere di rabbia, frustrazione o tristezza.
Perché il figlio arriva ad insultarci?
Vero è che spesso le parole ci scappano dalla bocca e ci pentiamo subito dopo. Personalmente però credo che se si analizza più a fondo la questione, si possa trovare una spiegazione meno superficiale.
Le parolacce ormai sono considerate linguaggio comune. Le diciamo noi adulti anche per raccontare episodi divertenti, si sentono in tv e a volte anche in certi cartoni animati.
Capita anche che quando un bambino ripete la sua prima parolaccia, gli adulti “ridano”.
Ho assistito a scene in cui il bambino diceva delle parolacce e i genitori gli dicevano ridendo: “Non si dicono le parolacce”.
Il punto è che se si cresce con l’idea che le parolacce siano “divertenti” e che vengano usate come linguaggio comune dai propri genitori, si crescerà con l’idea che sia normale dirle.
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Ogni fase della crescita ha delle difficoltà, dalla prima infanzia fino all’adolescenza.
Le difficoltà creano disagio personale che possono portare a:
Sono tutti sentimenti che durante la crescita destabilizzano. Un ragazzo dovrà ancora imparare a gestire le proprie emozioni e spesso se la prende con le persone con cui ha più confidenza. I genitori.
Tra amore e odio in noi genitori vincerà sempre il primo nei loro riguardi e questo lo sanno benissimo.
Così sembra che a volte si approfittino della situazione e si sentano giustificati a trattarci male. Se scaviamo più a fondo dietro le loro parole o comportamenti probabilmente scopriremo che:
Dietro la vita e dentro la mente dei nostri figli spesso si nascondono sentimenti di cui non abbiamo idea.
Forse perché ci siamo dimenticati come essere adolescenti.
Loro in noi vedono una sicurezza, quindi si sentono liberi di esprimere i loro sentimenti in bene o in male.
L’insulto di un figlio verso un genitore non è fine a se stesso.
C’è altro dietro.
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Lo stesso figlio che si è arrabbiato con noi arrivando all’insulto, come per magia ci bacia e ci abbraccia.
Perché?
Ricordo che da bambino essere perdonato dai miei genitori mi liberava da un grosso peso sullo stomaco
La prima cosa che mi viene da dire è: non rispondere, non cadiamo nel gioco del “botta e risposta”.
Non intendo solamente di non rispondere con un insulto (questo mi sembra abbastanza scontato), ma di metterci su un altro livello di comunicazione.
Dietro l’insulto c’è rabbia e frustrazione da parte di chi lo dice. Non mettiamo benzina sul fuoco arrabbiandoci.
Accogliamo il malessere altrui e sgomberiamo il campo da sentimenti negativi. Sarà anche opportuno stoppare la discussione e calmarsi prima di proseguirla.
Non lasciamo però il “cerchio aperto”.
Evitare che la discussione vada avanti, non vuol dire che sia finita lì.
Un insulto deve essere riparato.
Mi spiego meglio
Nostra figlia ci prende a male parole. Abbiamo scoperto che non ha dormito dalla sua migliore amica come ci aveva detto. La prendiamo con le buone, ma appena si sente scoperta comincia a innervosirsi. Noi le gridiamo che non uscirà per una settimana e lei si chiude in camera sua.
La discussione è finita? Non ancora.
Sicuramente non è il momento buono per cercare di risolvere. Qualche ora di tempo servirà a entrambe le parti per calmarsi e pensare a quanto è successo. Ci sta anche che vengano fatte le scuse. Ma credo che un buon modo per chiudere questo spiacevole episodio sia che la figlia si impegni a riparare con noi.
Ci può aiutare nelle faccende domestiche o a preparare la cena. Può passare del tempo con noi a sistemare il giardino o a curare il fratello più piccolo quando non ci siamo. Fare qualcosa per la parte offesa è anche far sperimentare una riparazione concreta e non solo a parole. Questo risalderà il rapporto molto di più che lasciare andare la cosa con un semplice “Scusa pa’”.
Ogni relazione è a sé. Ognuno troverà le giuste soluzioni alle proprie questioni familiari. Questi volevano essere solo degli spunti da considerare, qualora ce ne fosse bisogno.
In linea generale credo che crescere in un ambiente senza offese e parolacce sia utile a evitare problemi come questi in futuro.
Un ambiente sereno e calmo è l’ideale per crescere in armonia con chi ci sta attorno.
Tutti hanno problemi e motivi per arrabbiarsi o essere tristi, ma è opportuno che nelle nostre vite tra amore e odio vinca sempre il primo.
Grazie mille per gli utili consigli. Ma se gli insulti e le aggressioni verbali arrivano senza un nostro errore percepito come tale da lui, continuando a provocare e persino rifiutando di accettare regole minime e riparazioni? Lui e i suoi amici comunicano con parolacce e scherzi di cattivo gusto, anche se non sfociano in violenza fisica. Non riesce a smettere di insultare e dire brutte parole, lo fa anche fuori contesto. Ci sentiamo provati e messi in croce!
Se sei come me ti sarai trovato spesso a pensare “non so cosa fare”.
È questo uno di quei pensieri che ti viene nei giorni liberi quando vorresti sfruttare il tempo per fare qualcosa di produttivo ma non sai cosa.
Oppure quando pensi alla tua vita e a tutte le cose che ti piacerebbe diventare, senza essere in grado di sceglierne una.
Beh, benvenuto nel club.
Ci convivo da una vita con questo sentimento di invalidante indecisione, ed è forse per questo che mi sento così a mio agio nel parlarne.
Quelli che non sanno cosa fare della loro vita sono una buona parte della popolazione.
Sono coloro che tentennano quando gli viene chiesto “cosa volevi fare da bambino”, che non hanno mai sentito di avere una passione in particolare.
È il gruppo dei curiosi, di chi si interessa di un po’ di tutto senza andare molto a fondo in niente.
Tra di noi qualcuno pensa “non so cosa fare” perché si sente poco stimolato dall’ambiente in cui vive, mentre qualcun altro ha troppe idee in testa e non sa metterle in ordine.
Capire cosa fare nella vita è difficile per diversi motivi.
Tra questi c’è il fatto che passiamo decenni in un sistema scolastico che non ci dà l’opportunità di allenare la nostra creatività e il pensiero divergente.
Ci sono poi le diverse condizioni psicologiche in cui si trova l’indeciso, perché:
In sostanza, non sapere cosa fare è normale tutte le volte in cui si viene a creare un distacco, una perdita di contatto con la parte più reale di noi stessi, quella che contiene la chiave per sbloccare il senso della nostra vita.
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Per passare da uno stato di indecisione a uno di chiarezza il nostro vero Io deve trovare un modo di esprimersi e di respirare.
Il fatto che possa essere rimasto in sordina è il motivo principale per cui la vita manca di direzione e coerenza.
Senza una solida connessione con la nostra “chiamata” o “dono” (comunque lo si voglia chiamare) siamo in balia delle onde dell’invidia e dell’auto-recriminazione.
Visto che non abbiamo un sentiero unico da seguire tutti gli altri sentirei diventano percorribili.
E visto che non abbiamo dei sogni precisi tutti i sogni diventano desiderabili.
Se non sai cosa fare della tua vita tenderai facilmente a paragonarti a chi ha un percorso più lineare, perché magari ha fatto strada o non ha mai avuto dubbi (almeno in apparenza).
Potrai arrivare a sentirti inferiore agli altri, confuso e disorientato, come se fossi in un tunnel buio senza via d’uscita.
Come dicevamo prima, il tunnel dell’indecisione è creato dalla disconnessione con la nostra bussola interiore, la consapevolezza della nostra identità.
Ad aggravare la confusione c’è poi il fatto che spesso viviamo delle giornate piene di cose, di impegni, preoccupazioni, problemi.
La nostra attenzione è monopolizzata da distrazioni continue, dalla TV al cellulare, dai cartelloni nel traffico alle scadenze lavorative.
In tutto questo rumore mentale continuo è difficile trovare l’elemento principale per iniziare a vedere la luce alla fine del tunnel: il silenzio.
Il silenzio è lo spazio mentale che serve a riconnettersi con il proprio scopo, la linea di comunicazione tra l’Io e il Vero Io, tra chi sei in apparenza e chi sei realmente.
Puoi aspettare anni nella speranza che un giorno capirai improvvisamente cosa fare. Ma la verità è che farai molto prima a prenderti cura della tua serenità mentale e ad accettare che le risposte arriveranno solo se smetti di cercarle con insistenza.
La consapevolezza della tua vocazione germoglierà a poco a poco nel terreno della tua mente, crescendo man mano che ti dai la possibilità di scoprire i tuoi reali interessi e le tue reali inclinazioni.
Lettura consigliata: Diventa chi sei di Emilie Wapnick
Scopri su AmazonNella mia esperienza, il “non so cosa fare” si trasforma in azione quando smetto di preoccuparmi di quello che dovrò essere in futuro e faccio quello che ha più senso per me in questo preciso momento.
Può darsi che si tratti di 20 minuti di meditazione per rasserenare la mente, di qualche ora di blogging o di una lettura che ispira: qualsiasi cosa riesca a distrarmi dalla preoccupazione di non stare lavorando verso un obiettivo di vita che non ho ancora ben chiaro.
E paradossalmente, noto che riesco a trovare più risposte in questi momenti che quando mi ostino a ragionare su cosa dovrei fare.
Nessuno di noi può prevedere adesso cosa saremo tra un anno o dieci.
Non possiamo pretendere di anticipare quello che accadrà domani per poter agire di conseguenza oggi.
Quello possiamo fare è adottare delle strategie efficaci che tengano in considerazione la difficoltà di capire cosa fare nella vita quando si hanno mille altre cose da fare e a cui pensare.
Per me la strategia più utile è quella di riservare dei momenti della giornata ad attività che aumentino la mia consapevolezza o che mi espongano a nuovi stimoli.
Per te potrebbe essere qualcos’altro come la scrittura di un diario o il giardinaggio.
Qualsiasi cosa tu possa fare, posso assicurarti che la lampadina mentale non si accenderà mentre ti preoccupi per le bollette o ti rammarichi per quello che non hai fatto in passato.
La lampadina si accende sempre quando riusciamo a guardare noi stessi con maggiore obiettività, cioè in due tipi di occasioni:
Il metodo che ti propongo per smettere di pensare “non so cosa fare” ha lo scopo di favorire la tua obiettività interna e di ricercare l’obiettività esterna. Ci sono dunque due fasi:
In questa prima fase l’obiettivo è di liberarsi, anche se per qualche minuto al giorno, di tutte le distrazioni, preoccupazioni e pensieri tossici che ci impediscono di vedere le cose con chiarezza.
Per farlo rifletti bene su come passi le tue giornate, su come impieghi, o riempi, il tuo tempo, soprattutto i momenti morti.
Cosa fai, per esempio, mentre sei sul treno per andare a lavoro? Ascolti musica? Guardi il cellulare?
Come impieghi le tue pause?
Se ci pensi bene, o se guardi i dati di utilizzo dello schermo del tuo smartphone, capirai che ore e ore delle tue giornate vengono passate e fare cose inutili come guardare Facebook.
Distrazioni del genere inquinano i nostri processi mentali e distorcono la nostra percezione della realtà.
Non sto dicendo che nel momento in cui spegni il cellulare tutto diventerà chiaro, ma che avrai più possibilità di capire cosa fare nella vita se riesci a stare più spesso da solo e in pace con i tuoi pensieri.
Trova dunque dei momenti di “stacco” in cui poter rilassare la mente e creare spazio mentale. Vedrai che a poco a poco inizierai a vedere la tua situazione attuale con maggiore obiettività.
Laddove finisce la consapevolezza individuale comincia quella sociale.
Senza gli altri non saremmo nulla, non saremmo in grado di fare nulla. Se non fossimo cresciuti tra altri esseri umani non avremmo imparato a parlare o a comportarci.
E l’aiuto di chi ci vuole bene non finisce nell’infanzia.
La reazione degli altri a quello che facciamo è una fonte preziosa di informazioni per capire quali potrebbero essere le nostre reali inclinazioni.
Ovviamente non bisogna prendere tutto per vero perché molti criticano e denigrano perché è l’unico modo che conoscono per nutrire il loro senso di importanza personale.
Dobbiamo essere dunque scaltri nel filtrare i pareri e capire quali ci possono aiutare a crescere e quali no.
C’è da valutare l’origine del parere e le possibili motivazioni a essere poco sinceri.
Un genitore potrebbe dirti che sei bravo a scrivere perché non ha il coraggio o la capacità di vederti come poco capace.
Un capo potrebbe evitare di dirti che hai fatto un’ottima presentazione perché ha paura che gli rubi il posto.
Cerca di trovare l’obiettività in persone che non hanno nulla da perdere o da guadagnare e sfrutta il loro punto di vista per scoprire cosa c’è al di là di quello che non riesci a vedere da solo.
Non ti prometterò che troverai le risposte dopo aver seguito i miei consigli, anche perché io stesso, a volte, non riesco a seguire i miei consigli.
Sono però sicuro di una cosa, che più combattiamo una situazione attuale e più faremo in modo che questa situazione persista.
Questo per dire che quando ti senti in colpa perché non sai cosa fare della tua vita non farai altro che alimentare la tua indecisione.
In ultima analisi, anche se non dovessi prendere per vero nulla di quello che ti ho detto finora, credimi quando ti dico che non c’è nulla di male nel non avere idea di chi vogliamo diventare in futuro.
Un anno fa nessuno avrebbe anticipato che ci sarebbe stata una pandemia mondiale che avrebbe cambiato il modo di lavorare e di relazionarsi.
Eppure oggi è normale parlare di smart-working, di didattica a distanza e video conferenze.
Questi nuovi aspetti della nostra vita sociale hanno aperto nuove possibilità lavorative prima sconosciute, e per quanto ci siano stati alcuni che hanno perso il lavoro a causa del Covid altri lo hanno trovato grazie ad esso.
Tutto questo per dirti che anche se adesso non sai cosa fare, domani potresti scoprirlo grazie a un cambiamento delle tue circostanze.
Quindi non preoccuparti di quello che non sai, concentrati sempre sul passo più ovvio davanti a te e lascia che gli eventi facciano il loro corso. Il tuo intuito e la tua naturale capacità di adattamento faranno il resto.
Lettura consigliata: Diventa chi sei di Emilie Wapnick
Un libro adatto a chi ha molti interessi, che vi aiuterà a capire come sfruttare molteplici potenzialità. Ho apprezzato parecchio la lettura perché vi ho trovato una prospettiva alternativa a quella comune, che vede l’uomo come un essere mono-dimensionale con un’unica vocazione.
Scopri su AmazonMoltissimi genitori, si troveranno a vivere problemi adolescenziali con i propri figli.
Indicativamente dopo i 15 anni (alcuni prima e alcuni dopo) i ragazzi affrontano cambiamenti fondamentali per la loro crescita e formazione futura.
Non è sicuramente un argomento facile da affrontare.
Ci sono troppe variabili e situazioni personali. In un blog si rischia di generalizzare e minimizzare, cosa di cui non ho assolutamente intenzione.
Volevo piuttosto concentrarmi più su come le difficoltà possono diventare delle opportunità.
La famiglia è un sistema di relazioni interpersonali.
Ognuno condivide la propria vita e costruisce la propria individualità grazie all’interazione con l’altro.
I componenti sono legati da:
Un’ottima vita famigliare, non ci “salva” dai problemi adolescenziali, ma ci mette in una posizione di vantaggio quando arriverà il momento di viverli.
Mc Goldrick e Carter in uno studio delle “fasi del ciclo vitale” di una famiglia parlano di “periodi critici” che la famiglia si troverà a vivere.
Uno di questi è “la famiglia con figli adolescenti”.
Essa dovrà affrontare un cambiamento, che porterà ad un naturale squilibrio, che potrà essere superato solo grazie all’interazione tra le parti.
Questo porterà ad una crescita (sia del singolo che dell’intero gruppo), che permetterà ai componenti di affrontare il cambiamento successivo.
Sembra tutto facile, ma molti di noi vivono i problemi adolescenziali ogni giorno e sanno benissimo che non è così.
Da dove partiamo quindi?
Come facciamo a sapere se ci comportiamo nel modo migliore per i nostri ragazzi?
Lettura consigliata: La mente adolescenziale di Daniel J. Siegel
Fra i dodici e i ventiquattro anni si verificano nel nostro cervello cambiamenti decisivi, non sempre facili da affrontare. Daniel J. Siegel, psichiatra di fama internazionale, sfata qui una serie di luoghi comuni sull’adolescenza.
Ordina su AmazonSul tema regole ognuno ha un’opinione.
Non mi soffermo sul fatto che esista una regola giusta o una sbagliata.
Credo però che siano molto utili se usate come guida.
Nella mia esperienza di educatore di adolescenti, ho notato che le regole in qualche modo rassicurano.
Inizialmente sono rifiutate dai ragazzi che le vivono come una costrizione senza senso.
Con il tempo però loro stessi ammettono (non sempre a parole, ma con il loro comportamento) di stare bene dentro le regole e, anzi, le ricercano.
Non devono però essere fini a se stesse o usate per paura di non sapere come gestire una situazione.
Per affrontare in serenità i problemi adolescenziali, una regola deve essere:
Esempio: mio figlia riceve la mancia settimanale per imparare a gestire i soldi. Li usa però per una cosa che mi spaventa e di cui non sono d’accordo: le sigarette. Ne parliamo insieme, ma mentre lo faccio tengo tra le dita una Camel. Lei me lo fa notare, allora io, preso in fallo, mi arrabbio e minaccio di non darle più un euro. La discussione finisce con una litigata senza risolvere il problema.
Esempio: credo che durante le ore notturne mio figlio non debba usare il cellulare. Spesso sta sveglio fino a tardi. La mattina è troppo stanco per svegliarsi in tempo per la scuola. Così ogni sera glielo ritiro. All’ inizio non l’ha presa bene: si è arrabbiato e non mi ha parlato per un bel po’. A volte se l’è tenuto con la forza o nascosto, portandomi allo sfinimento. Sono rimasto fermo sulla decisione presa e dopo avergli spiegato il motivo abbiamo raggiunto l’accordo che potesse tenerlo la notte in cui il giorno dopo non andava a scuola. Gli ho spiegato serenamente che non avrei ceduto sulle altre notti finchè non avesse dimostrato si saperlo gestire.
Esempio : credo che in ogni famiglia ciascuno debba contribuire come può. Anche nelle faccende domestiche. Come prima cosa però ci tengo che mio figlio faccia il letto tutte le mattine. È una regola che per me ha senso. Mettere in ordine il proprio spazio ci aiuta a mettere ordine nella testa. Con una testa ordinata riusciremo ad essere più organizzati ed efficienti. Vedere uno spazio pulito e ordinato, ci da’ benessere e crea un ambiente accogliente per ciò che dobbiamo fare (studiare per esempio). Non pretendo che pulisca tutta la casa quello non sarebbe sostenibile, ma i suoi spazi sì. Questo è un esempio di regola sostenibile per entrambi
“Le regole esistono per essere infrante”
Quante volte abbiamo sentito questa frase?
Può avere senso se vogliamo risolvere i problemi adolescenziali dei nostri figli? Secondo me sì.
Ogni adolescente ha bisogno di regole per essere guidato, ma ha bisogno di uno spazio grigio in cui infrangerle.
Sì, hai capito bene.
Deve avere la possibilità di infrangerle e tu devi dargli quello spazio, consapevole di questo.
Allora tutto quello detto fin ora non vale niente?
Certo che vale, ma spesso ci fermiamo a dare le regole e arrabbiarci quando non vengono rispettate, ma ci dimentichiamo dell’importanza di poterle disattendere.
Perché serve avere la libertà di infrangere le regole?
Una volta mi è capitato di parlare con un ragazzo. Era difficile avere una relazione di fiducia con lui. Gli ho chiesto perchè trattasse così male noi educatori.
“Non l’hai ancora capito?
Per vedere quanto ci tenete davvero a me”
Da allora la mia visione è completamente cambiata.
Leggi anche: La dipendenza affettiva: come riconoscerla per ritrovare sè stessi.
Arriva spesso però il momento di decidere qualcosa quando la regola viene trasgredita.
Molti genitori a volte si dividono tra dialogo o provvedimento.
La verità è che non c’è una soluzione standard per affrontare i problemi adolescenziali.
Tutto va bene se ha un senso di fondo.
Il dialogo deve essere usato come strumento di confronto.
Ci serve per capire le intenzioni del ragazzo e avere un’idea dei pensieri che ci sono dietro ad un gesto che abbiamo ritenuto inopportuno.
Importante parlare dei sentimenti.
Puntare sull’emotività può essere la chiave utile per capire i motivi di una trasgressione.
Il dialogo però, non deve diventare uno strumento usato per “scappare” dalle proprie responsabilità.
Spesso mi è capitato che un ragazzo sostenesse un buon momento di dialogo e che pensasse fosse sufficiente a risolvere un problema.
L’equilibrio è delicato: il messaggio che deve passare è:
Sostenere un buon dialogo di confronto non esula dal provvedimento anzi, se ben spiegato in precedenza può avere un’efficacia maggiore.
Leggi anche: Cosa fare dopo il liceo, 5 consigli
Il provvedimento deve essere:
Mi rendo conto che ci possono essere svariate situazioni che sono difficilissime da riassumere con qualche esempio.
Ogni rapporto è unico ed irripetibile.
Spesso chiediamo consigli di una situazione sperando che con qualche azione il problema si possa risolvere.
Ma i problemi adolescenziali sono affascinanti proprio per questo.
La soluzione non è facile, ma il percorso che siamo chiamati a percorrere è uno di quelli che ci fa crescere sul serio.
Spesso per gli adulti gli adolescenti sono un mondo lontano.
Ci spaventano perché non sappiamo come prenderli.
Anche noi siamo stati adolescenti e ci “nascondiamo” dietro la frase:
“Ai nostri tempi non eravamo così”
In realtà “così” lo siamo stati anche noi:
Affrontare i problemi adolescenziali non sarà semplice.
L’importante è essere consapevoli che la giusta via è l’equilibrio.
Spesso vuol dire anche “fare un passo indietro”
Accettare che un figlio cresca e abbia idee e pensieri lontani dai nostri.
Che faccia degli errori per imparare da solo.
La cosa importante è che lui abbia bene in mente che noi ci saremo sempre. Sia coi “no” che con le punizioni. Anche quello è un modo per dire “ti voglio bene”
Non dobbiamo avere paura di questo.
Se noi siamo sinceramente convinti il messaggio passerà.
Perché abbiamo con i nostri figli gli stessi comportamenti che da bambini ci hanno fatto soffrire? Come liberarci dai vincoli del passato che continuano a condizionarci nel presente? In questa edizione aggiornata del classico “Errori da non ripetere“, Daniel Siegel, psichiatra infantile di fama internazionale, e Mary Hartzell, educatrice e psicologa, evidenziano quanto le esperienze infantili influenzino il modo di essere genitori.
Sei davanti a una persona affetta da narcisismo covert se con lei ti senti a disagio senza capirne il motivo.
Magari c’è qualcosa che non va ma non riesci a dare un nome a quel presentimento che ti dice “a pelle non mi piace!”.
Come spesso accade in natura, l’istinto è incontrollabile, ma serve a segnalare qualcosa che è bene sapere nell’immediato.
Essendo questo tipo di narcisismo covert, ovvero velato, avverrà tutto in sordina ed è quindi essenziale che tu ti fidi delle tue sensazioni e metti sin da subito le mani avanti.
“Il delitto di Narciso è di preferire, alla fine, la sua immagine a sé stesso”
Louis Lavalle
Narciso si innamora di sé e muore specchiandosi nell’acqua. Amore e morte in un solo nome. Il bene e il male in una sola espressione.
Spesso “i narcisi” si riconoscono a miglia di distanza, ma alcuni si nascondono dietro l’immagine di brave persone ed è più difficile stanarli.
Vediamo l’identikit di entrambe le tipologie.
Il narcisista overt ama molto sé stesso e ha pochissima empatia verso gli altri.
Il suo egoismo e la sua vanità sono evidenti. Ha manie di superiorità e non accetta le critiche anche se costruttive.
Si mostra molto sicuro nelle relazioni con gli altri, ma rifiuta legami affettivi limitandosi ad attaccamenti superficiali.
Ha difficoltà a instaurare un rapporto sano, fatto di fiducia e intimità reciproca, e raramente si interroga sul perché.
A lui interessa poco comprendere i bisogni dell’altro, il suo vero scopo è prendere il più possibile da lui o lei perché, in sostanza, le persone sono delle cose, cose che devono farlo sentire bene, gratificato, amato.
Nel momento in cui qualcuno non riesce più a dargli nulla perde di importanza e viene scaricato, poco importa cosa prova, poco importa se soffre.
La sua ossessione con sé stesso è così ingombrante da impedirgli di vedere o intuire l’umanità altrui.
Il narcisista covert è molto simile e potenzialmente più pericoloso. Si tratta di una persona che presenta una forma più discreta di narcisismo, cioè, ama pur sempre sé stesso ma lo dà meno a vedere.
Mostra poca autostima e si nasconde dietro comportamenti ansiosi e auto-svalutanti.
All’apparenza è una persona introversa, disponibile e quasi timida verso gli altri.
In realtà però ha un senso grandioso di sé, cova invidia e manipola gli altri a suo vantaggio.
Tende a gravitare intorno alle persone più premurose e gentili, creando in loro dipendenza affettiva e portandole a prendersi cura di lui.
Con chi ha appena incontrato è molto piacevole ed è anche capace di fare un’ottima impressione.
È però quando si va a fondo che la sua vera natura viene a galla.
Nella privacy delle mura di casa il narcisista covert è in grado di frantumare il cuore di chi gli sta accanto.
Leggi anche: 5 modi per iniziare a credere in se stessi
Il narcisismo covert viene espresso con attitudini condiscendenti, atteggiamenti passivo-aggressivi o difensivi, ostilità e bugie.
Chi gli sta vicino ha l’impressione che ci sia una dimensione che non viene mostrata, come se ci fossero degli scheletri dentro l’armadio.
I suoi occhi mancano di sincerità e rivelano assenza di coinvolgimento e comprensione.
La conseguenza per chi frequenta il narcisista covert può essere dunque un senso di inadeguatezza e spossatezza emotiva, come se si dovesse remare controcorrente per salvarsi da una cascata.
Se non si sta attenti c’è il rischio di schiantarsi, di farsi inglobare in un mondo di pretese impossibili da soddisfare, legami impossibili da costruire.
Per fare ulteriore chiarezza, vediamo come ti puoi sentire quando frequenti un narcisista covert:
“L’hai voluto tu”
“Si ma, che colpa ne ho io?”
“Hai capito male”
“Non ho voglia di parlarne, fai come vuoi”
“È un problema tuo”
Sei in presenza di un narcisista covert se:
Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili
A posteriori anche io posso dire di aver avuto a che far con un narcisista covert: era sempre molto teatrale nel raccontare, capace di incantare i più ingenui e poi fregarli.
Presenza davvero tossica, che mi faceva venire ansie che fino a quel momento mai mi avevano sfiorato.
La colpa non era mai sua, ma scaricava la responsabilità sugli altri, arrivando ad accusarli di averlo condotto verso comportamenti sbagliati.
È il classico personaggio che “tira in mezzo” chiunque pur di scagionarsi e per farlo usa frasi come:
“Non è colpa mia. Avrò un problema”
“Mi ci hai costretto tu”
“Sei tu che non mi capisci”
Mi sono finalmente reso conto del suo incantesimo dopo essermene allontanato, quando con più chiarezza mentale sono stato in grado di vedere l’inquinamento emotivo che aveva portato.
Le emozioni per il narcisista covert sono come una droga che lo coinvolge.
Vive tutto come un affamato che ingurgita cibo e una volta sazio si stanca.
Rabbia, gioia, entusiasmo, tristezza lo travolgono per poi lasciarlo improvvisamente. Ma a lui nulla lo turba a lungo andare. Non si crea il problema del male che può fare nei momenti di maggiore agitazione.
E quello è un altro segnale che dovrebbe farti capire che c’è qualcosa di anormale.
In uno stato di normalità mentale le persone si sanno auto-esaminare, hanno una coscienza che li tiene in riga, che gli fa prendere in considerazione il bene altrui prima di fare o dire qualcosa.
Una persona serena è in pace con sé stessa e con gli altri, è genuina nell’aiutare e farsi aiutare e soprattutto valorizza gli altri prendendoli come esempio per migliorarsi.
Il narcisista, invece, è più incline a fregarsene, è troppo spesso indifferente e non sa rispettare.
Dice frasi come “È un problema tuo” o “Veditela tu” con nonchalance.
È disinteressato a ciò che accade al di fuori di lui, prosegue per la sua strada come se niente potesse toccarlo.
E per quanto tu possa esserci non ti dirà mai grazie, perché a lui tutto è dovuto.
Leggi anche: Se pensi sempre “sono infelice” starai facendo uno di questi errori
In definitiva, riconoscere i tratti di un narcisista covert non basta a difendersi dalla sua influenza distruttiva.
Un articolo di Very well mind propone 4 strategie da mettere in atto per gestire meglio la relazione.
In primis, e soprattutto…
Quello che lui fa o dice non ha nulla a che fare con te. Il suo comportamento egoista nasce da un percorso di crescita tribolato, in cui lui stesso avrà forse sofferto l’indifferenza ai suoi bisogni.
Tieni in mente questo quando sarai tu a soffrire, e considera sempre questa grande verità:
Quello che gli altri ti dicono non ha mai nulla a che fare con te e sempre tutto a che fare con loro stessi.
C’è un limite a quello che una persona può fare, o calpestare.
Se non ti va che ti chiami solo nel momento del bisogno o che ti tratti con cattiveria dillo chiaramente, fa capire che la tua presenza va rispettata e guadagnata.
Stabilisci tu quando potete vedervi o quando hai bisogno di stare da sola, dimostragli che hai il controllo.
I tuoi bisogni valgono, i tuoi sentimenti valgono, le tue ragioni valgono.
Non puoi essere l’unica a sbagliare, è realisticamente e statisticamente impossibile che in un rapporto ci sia un unico colpevole.
La responsabilità va sempre condivisa in ogni rapporto che si rispetti. Quindi non permettergli ti farti sentire in colpa e afferma chiaramente quello che pensi.
Infine c’è un ‘altra arma utilissima contro il narcisismo covert: l’indifferenza.
Mantenersi a distanza, o persino ignorare, è la strategia migliore per uscire dal vortice auto-distruttivo in cui spinge il narcisista.
Quindi se qualcuno gioca con te smettila di giocare e costruisci un muro che ti protegga dalla sua carica negativa.
Più sei impermeabile ai suoi attacchi e prima il narcisista covert si stancherà di giocare con i tuoi sentimenti, liberandoti dalla sua pesantezza.
È arrivato il momento di focalizzarti su di te e su ciò che ti fa sentire bene.
Costruisci una relazione sana con qualcuno che non mette sempre sé stesso davanti a tutto e ricordati che anche tu come chiunque altro ti meriti di essere felice, è un tuo diritto di nascita.
Devi trovare il coraggio di lasciare andare ciò che non ti rende libero.
Solo così potrai amarti davvero.
“Il segreto della felicità è la libertà, il segreto della libertà è il coraggio”
Carrie Jones
Scopri come fare a liberarti dagli artigli di un uomo tossico e ricominciare da capo.
Anche se al momento può sembrare impossibile, puoi riuscirci, se impari le regole fondamentali del comportamento narcisista.
Impara a trattare con il narcisista e a batterlo al suo stesso gioco.
In questo libro ho aperto il mio cuore più di quello che avrei mai pensato possibile… ma l’ho fatto perché volevo dare a più donne possibili l’opportunità di imparare dai miei errori ed evitarli, o di guarire come sono guarita io.
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Sono infelice è una frase che capita a tutti di pensare, o di dire.
Il problema, però, non è tanto dirlo o pensarlo, ma crederci.
Perché più si crede nell’infelicità più la si rende padrona della nostra vita.
È così nei casi estremi il sono infelice più che un incidente di percorso diventa la strada principale da percorrere.
Partiamo da un concetto chiave più volte ripetuto in questo blog: essere tristi o frustrati per un particolare evento è umano, ma diventare infelici e vivere tutti i giorni con questo sentimento sulle spalle è tutta un’altra storia.
In altre parole, sono infelice può facilmente, e involontariamente, trasformarsi in una scelta.
Sì, hai capito bene, perché c’è differenza tra il sentirsi abbattuti per un accadimento e vivere di infelicità.
Possiamo rispondere con ottimismo o essere pessimisti cronici. Tutto sta negli occhi con cui decidiamo di osservare il mondo.
Leggi anche: Cosa distingue le persone felici dalle altre
Prima di parlare di rimedi, vediamo quali sono gli errori più comuni che fanno coloro che si sentono infelici:
Io sono infelice quando una cosa che speravo succedesse non si avvera.
La frustrazione che ne deriva mi farà sentire inappropriato e piccolo piccolo.
Ne deriva che più alte sono le mie speranze più probabilità ci sono che non si avvereranno.
Come avevamo già detto in un altro articolo, le aspettative sono il nemico principale della felicità, perché impongono sulla realtà una visione che può essere miope o persino distorta.
Se tendi a lamentarti in ogni occasione, ovviamente, vedrai tutto nero.
Avrai forse una rabbia latente che ti accompagna, facendoti risultare una persona burbera, poco affabile o persino ostile.
Ai tuoi occhi la tua negatività sarà anche giustificata, ma la gente non ha sempre la pazienza o capacità di essere comprensiva.
Potrà dunque capitare che più ti lamenti e più le persone si allontaneranno da te, dandoti ulteriori motivi per alimentare la tua infelicità.
Non si può essere felici se non abbiamo stima di noi stessi.
La domanda che devi farti è “sarei felice di vivere con una persona che non mi stima?”
La risposta deve essere sempre no, sia nel caso in cui la persona che non ti stima è un partner in un rapporto poco equilibrato, sia che si tratti di te stesso.
Lo stile di vita di un procrastinatore incallito è avvilente e demotivante.
Io sono spesso infelice se non ho obiettivi a cui ambire, che siano piccoli o grandi, o se non sono capace di programmare i miei progetti e lavorare oggi per migliorare la mia situazione.
La procrastinazione dunque, se diventa un modo di vivere, può farci arrivare sul baratro della depressione.
Cominci a capire cosa intendevo che essere infelici è una scelta?
È vero… più volte ci siamo detti che siamo noi a scegliere la vita che vogliamo vivere, ma non fraintendere, gli imprevisti accadono a tutti.
Ci sono cose che non possiamo evitare.
Se la persona che amiamo perdutamente ci lascia dobbiamo avere la forza di andare avanti.
Possiamo piangerci addosso sentendoci vuoti e soli, o possiamo essere felici di aver vissuto un pezzo della nostra vita con una persona straordinaria.
È solo questione di scelta.
Qui ci cadiamo in molti, anche io ovviamente. Quando sono infelice tutto mi sembra più complicato e macchinoso. Anche il più piccolo degli sforzi è un ostacolo insormontabile.
E qual è la reazione più naturale che purtroppo abbiamo? Fare ancora meno.
Non vediamo una soluzione, siamo troppo impegnati a piangerci addosso piuttosto che muoverci per essere felici.
Rimani spesso in attesa del momento buono per essere felice? Se pensi spesso al proverbio giapponese “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico” occhio! Perché in questo caso il nemico sei tu.
La felicità non è una mosca da acchiappare, e di certo non è una cosa, ma un modo di essere che prescinde il cattivo tempo.
Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella vita ed essere più appagati
Adesso passiamo ai rimedi.
Non dico che saranno strategie magiche, ma ti posso promettere che se provi un attimo a metterle in pratica avrai molte più probabilità di costruire la tua felicità rispetto a chi le ignora.
Il problema delle aspettative è che spesso non sono in linea con la realtà.
Quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti il disegno è stato per molto tempo fonte di piacere.
Mi sono spesso trovato però ad essere deluso dal risultato finale. Perché?
Semplice: perché nella mia mente vedevo già un’opera “alla Michelangelo”, quando poi la realizzazione non era per niente paragonabile.
Questo senso di frustrazione mi ha abbandonato quando ho scelto di abbassare le mie aspettative e ho cominciato a lavorare sul migliorare il mio stile. Da allora disegnare è solo un piacere.
Quando ragiono sulla mia vita mi trovo spesso a evocare frasi o immagini che mi aiutano a focalizzare un concetto lungo in poche parole. Per smetterla di lamentarmi quando sono infelice ho trovato una frase che spero aiuti anche te:
“Se hai tempo di lamentarti, hai tempo di cambiare ciò di cui ti lamenti”
A.J.D’Angelo
Comincia a ringraziare per ciò che hai. Spesso hai molto di più di ciò che altri possano mai sognare di avere: una casa che ti accoglie, un lavoro che ti piace (e di questi tempi anche che non ti piace), una donna da amare o anche un cane che scodinzola quando torni a casa.
Avrai sempre un motivo per lamentarti, come avrai sempre motivi per essere soddisfatto.
“Quello che guarderai è ciò che vedrai”
Credere in sé stessi è fondamentale per essere felici. Il pensare bene di sé ci fa sentire appagati di trascorrere il nostro tempo con una persona che ci arricchisce ogni giorno.
Prima del mio primo esame all’università ero molto agitato. Ero in macchina e alla prima rotonda sono letteralmente tornato indietro. Ero già padre di famiglia quando ho deciso di ricominciare gli studi ma la paura dell’esame mi ha fatto tornare indietro di 10 anni.
Ho riparcheggiato la macchina sotto casa e la prima cosa che ho sentito è stata la tristezza di aver fallito senza nemmeno provarci.
Non poteva andare così. Ho riacceso la macchina, ho discusso e superato il primo esame e via via gli altri, fino a completare gli studi mentre lavoravo.
Questo è stato uno di quei traguardi che ha rafforzato tantissimo il mio senso di auto-efficacia, ed è stata una grossa spinta verso la mia felicità.
Un giorno accendo la luce in bagno e su tre lampadine ne vanno solo due.
Beh, che male c’è ci vedo lo stesso.
Ogni volta che accendevo quella luce però c’era qualcosa che mi diceva che sarebbe stato il caso di cambiare quella fulminata. “Oggi non ho avuto tempo, magari domani”. Un giorno anche un’altra si fulmina e sono costretto a cambiarle.
Salgo sulla scala e già che ci sono non vuoi spolverare tutto il lampadario?
Cambio le lampadine e mi accorgo che c’era un po’ di polvere anche sui mobili.
Perché non fare un bel lavoro a questo punto?
Non sto qui a dilungarmi troppo sulle mie doti da casalinga, sta di fatto che a fine pomeriggio avevo cambiato le lampadine e pulito tutto il bagno.
A risultato finito come pensi mi sia sentito? Alla grande!
E sta qui una verità da considerare…
Non far nulla ti rilassa solo nel momento ma ti crea problemi a lungo andare.
Agire è più difficile nel momento ma ti regala tante soddisfazioni nel tempo.
Accettare ciò che ci succede non vuol dire arrendersi, ma essere consapevoli che non possiamo avere il controllo su tutto.
Ci hai mai fatto caso che i media ci bombardano di notizie sulle quali non abbiamo nessun potere? Politica, cronaca, sport, il meteo.
Sono tutti argomenti di cui parliamo e su cui spesso litighiamo, ma per cosa? Niente. Comincia ad accettare le cose che non puoi cambiare senza farti turbare. Impara a lasciare andare.
Immagina una piccola piantina che nasce in un bosco. Lo stelo si fa strada nella terra tra le radici delle grandi querce.
Che possibilità ha la nostra piantina di sopravvivere all’ombra del bosco? Poche giusto? Sbagliato.
In natura anche il più piccolo organismo fa sempre del suo meglio per prosperare. Non gioca al risparmio, ma farà di tutto per ottenere il massimo dalla situazione sfavorevole in cui si trova.
Noi spesso ci raccontiamo che “va bene così” e molliamo quando ancora abbiamo possibilità di crescita, nascondendoci dietro la bugia del “chi si accontenta gode”.
Vuoi sapere chi gode veramente? Solamente chi ha il coraggio di superare se stesso. E per superare intendo anche una piccola paura come quella di imparare a nuotare o andare in moto.
Ci sono persone che hanno tutto e non sono felici perché danno tutto per scontato.
Invece apprezzerai di più le cose che sarai in grado di conquistare malgrado le tue difficoltà interiori.
Fai sempre più di quello che pensi sia il tuo limite, perché se oggi ti dici “sono infelice” è forse perché ti sei accontentato di rimanere nella tua confort zone.
La felicità non è un punto di arrivo, ma è il come mi sento mentre cerco di arrivarci. Non esiste una “bella vita”, devi lavorare per essere una bella persona e godere di tutto ciò che ti capita.
Non ci sarà mai un momento in cui tutto va come vuoi, quindi stai sereno. La felicità è un’attitudine alla vita, impara a viverla con grazia e tutto sarà più leggero.
Leggi anche: Come leggere libri di crescita personale mi ha cambiato la vita
Abbiamo visto insieme gli errori che forse stai facendo se pensi sempre di essere infelice.
Subito a “specchio” le possibili soluzioni per cambiare le nostre emozioni.
L’infelicità è uno stato mentale molto pericoloso che ci può portare alla depressione e alla solitudine.
Non aspettiamo che qualcuno o qualcosa ci risolva il problema.
Se sono infelice è mia responsabilità scegliere la felicità.
“Goditi la vita. Questa non è una prova generale”
Frederich Nietzsche
Perché nella società occidentale del benessere sembriamo tutti stressati, depressi e insoddisfatti?
Perché siamo prigionieri della “trappola della felicità”, un circolo vizioso che ci spinge a dedicare il nostro tempo, la nostra energia, la nostra vita, a una battaglia persa in partenza: quella contro i pensieri e le emozioni negative.
Che è poi una battaglia contro la realtà e contro la stessa natura dell’essere umano.
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La dipendenza affettiva è la condizione di chi si sente così attratto da un’altra persona da pensare, “è tutta la mia vita”.
Ne è vittima chi costruisce una storia amorosa nella propria testa senza appigli concreti nella realtà.
O chi si trova in una relazione in cui il pensiero e le azioni sono rivolte esclusivamente al partner.
Indice
Immagina di incontrare una persona per la quale sviluppi un interesse.
Provi piacere a stare con lei perché il tempo trascorso insieme ti fa sentire bene, ti fa provare quel brivido che tanto ti mancava e riaccende la speranza di aver incontrato l’anima gemella.
Con il tempo scopri di avere interessi comuni e ricerchi sempre di più la sua presenza, cercando di farla diventare parte integrante della tua quotidianità.
Sei sempre più ammaliato dalla sua bellezza, incantato dai suoi pregi, e non ti accorgi (o scegli di ignorare) i suoi difetti.
Quando sei solo non fai altro che pensare a lei, immaginando il prossimo incontro, un weekend romantico o, perché no, persino una vita insieme!
Pian piano questa persona prende sempre più spazio nella tua mente e ogni pensiero è dedicato a lei, al nuovo amore che sta nascendo.
Dopo un po’ non c’è più spazio per i tuoi interessi, le tue abitudini e le tue attività. In ogni cosa che pensi e fai c’è sempre lei.
Nel momento ti senti bene, finalmente hai uno scopo, una persona con cui condividere la tua esistenza, un progetto di vita da immaginare e disegnare.
Quello che però non sai è che stai cominciando a seguire una strada che, probabilmente, ti porterà verso l’annullamento di te stesso a favore di qualcun altro.
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Che tu ti riveda o meno nella situazione appena descritta, è utile essere consapevoli di quali siano i segnali premonitori di una dipendenza affettiva in modo tale da poterla riconoscere prima che sia troppo tardi.
Quando credi che solo lei ti possa rendere veramente felice, quando la vedi come il miraggio nel deserto più caldo della tua vita e continui a cercare la sua presenza perché solo lei ha il potere di farti sentire sereno.
È un sintomo come l’astinenza, senti un vuoto nella tua vita che pensi possa essere colmato solamente dall’altra persona. Non esiste più niente se non è legato a lei.
Isolamento da ogni relazione che non comprenda anche lei. Non hai più i tuoi amici, ma i vostri amici, se non addirittura i suoi. Il rischio è di isolarsi dagli affetti di una vita, non importa se familiari o amici.
La paura di perdere il partner credo che sia uno di quei pensieri che abbiamo un po’ tutti, soprattutto all’inizio di una relazione o in momenti di crisi e incomprensioni. Il problema è che se questa paura si trasforma in terrore senza nessun motivo apparente, forse stai già camminando sul sentiero della dipendenza affettiva.
Ognuno di noi ha diverse esigenze come lo stare da soli o frequentare persone in modo indipendente. Se soffriamo di dipendenza affettiva ci troveremo a non comprendere più i nostri bisogni, andando a spendere energie fisiche e mentali per soddisfare unicamente quelli del nostro partner.
Anche la sfera fisica in una relazione è fondamentale per una lunga e sana vita di coppia. È quell’aspetto più materiale capace di stimolare i sensi e avvicinare due anime. Se però cerchiamo il nostro partner solo per timore di perderlo, attaccandoci all’aspetto sessuale come unico modo per rimanere uniti, allora siamo di fronte a un’altra caratteristica che ci dovrebbe far pensare a una dipendenza.
Queste sono alcune condizioni che potrebbero farci cadere nella trappola della dipendenza affettiva e allontanandoci da una relazione sana e serena.
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E qui arriviamo al punto più “tragico” dove la dipendenza affettiva si concretizza in una relazione vera e propria formando ruoli disfunzionali.
Entrambi i protagonisti della storia d’amore soffrono dello stesso disturbo, contribuendo a creare un clima di paura e frustrazione all’interno della coppia: vivere insieme diventa una tortura comune.
Ogni giorno è buono per perdersi, ritrovarsi, litigare, amarsi e sfogare sull’altro la paura di un futuro incerto.
Solo lo stare insieme può placare la propria ansia, quello stesso stare insieme esclusivo e ossessivo che porterà all’inevitabile distruzione della coppia.
Come nelle cosiddette profezie auto-avveranti, in cui una paura trova spazio nell’inconscio, per poi realizzarsi nella realtà.
Questa è una dinamica molto comune, soprattutto quando la relazione sfocia in sopraffazione fisica o psicologica: il partner del dipendente si fa desiderare in tutti modi, è sfuggente e trova piacere nel condurre i giochi.
Ci troviamo in una situazione dove il dipendente rincorre l’altro, nella speranza di farsi amare solo grazie alla sua presenza e attenzione, accettando qualsiasi condizione anche quelle più dure, pur di non vedere la relazione finire.
Di questa mi sento di dire di averne “sofferto” anche io in età adolescenziale (chissà quanti come me!).
Per anni sono stato innamorato di una ragazza che aveva già un compagno e nessuna intenzione di lasciarlo per me.
Ricordo ancora l’estate in cui siamo andati in vacanza insieme, come al mio sogno d’amore che si realizzava: io e lei in spiaggia, io e lei a cena, io e lei a bere caipiroska alla fragola per tutta la notte.
È stata una bella fantasia che si è infranta quando le due settimane insieme sono finite e ognuno è tornato a casa sua.
Avevo 16 anni, ma qualcuno questi amori impossibili li vive quotidianamente, accontentandosi di immaginarli piuttosto che correre il rischio di realizzarli.
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Se sei un dipendente affettivo avrai pensieri ed emozioni che, pur facendoti male andrai sempre a ricercare.
Tenderai a paragonarti agli altri, valorizzando l’altro piuttosto che te stesso o confondendo un tuo bisogno di essere amato per amore vero.
Potrai sentirti geloso senza un perché o avere paura di perdere la persona che ami, arrivando a non accettare un’eventuale separazione o persino alla depressione.
La dipendenza emotiva può essere una nebbia, che silenziosa scivola nel tuo cuore e ad un tratto offusca tutto facendoti perdere l’orizzonte.
“O mamma! Credo di essere un dipendente emotivo! Cosa posso fare?”
La dipendenza emotiva può essere davvero una tortura, in parte l’ho provata anche io in adolescenza, ma se ci penso oggi vedo tutto con più lucidità.
Per fortuna una soluzione c’è!
Chi soffre di dipendenza affettiva tende a ignorare i sintomi e a giustificare ogni suo pensiero e comportamento considerandolo normale: fermarsi e porsi delle domande è dunque il primo passo.
Ma non basta.
Dobbiamo porci le giuste domande per arrivare alle risposte che ci serviranno a stare bene con noi stessi.
Siamo noi la persona con cui dovremo trascorrere tutta la vita e per (con)vivere felici è fondamentale trovare un giusto equilibrio tra i nostri desideri, i nostri istinti e le nostre paure.
Ecco alcuni punti da cui partire per ritrovare sé stessi e sganciarsi dalla dipendenza affettiva:
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Guarire dalla dipendenza affettiva è un processo lungo e difficile, bisogna imparare a guardarsi dentro, analizzarsi e cambiare ciò che ci ha portato a questo punto.
Spesso è indispensabile l’aiuto di un professionista che ci indichi il cammino da seguire; altre volte basta leggere un libro di crescita personale a parlare con un amico.
In ogni caso, seppur accettare le cose che non vanno di noi non è mai facile, è l’unica strada per ritrovare la serenità.
Ho fatto miei due concetti molto cinici, ma che penso spesso quando tutto mi sembra difficile.
È sta qui il punto…
…Tu sei molto di più di quello che pensi.
Abbi fiducia in te e nella tua capacità di amare.
Tutto parte da lì.
“Chi ama riesce a vincere il mondo, non ha paura di perdere nulla. Il vero amore è un atto di totale abbandono”
Paulo Coelho
Quante volte al giorno esprimi gratitudine dicendo, o pensando, grazie?
Non intendo quando il cameriere ti porta la pizza o quando qualcuno del palazzo ti tiene aperto il portone.
Intendo grazie per quello che hai, per la persona che sei, per l’amore che ricevi (e quello che non ricevi), per le opportunità, la salute, la famiglia, gli amici.
Grazie è una parola meravigliosa, perché dentro di sé contiene un messaggio.
Il messaggio parte dalla vibrazione della gratitudine e si propaga nell’Universo comunicandoGli che siamo aperti a ricevere, che siamo capaci di apprezzare.
Per Universo non intendo qui solo un piano di realtà astratto o superiore ma, più concretamente, la rete di esseri umani attorno a noi.
La positività della gratitudine è un vero e proprio magnete sociale, attira e ispira fiducia.
Chi è grato è felice, e le persone felici sono quasi sempre quelle che fanno la miglior impressione, che guadagnano di più o che hanno migliori relazioni interpersonali.
Di contro, le persone infelici, essendo spesso concentrate su quello che non hanno, raramente provano gratitudine e raramente rendono le persone ben disposte nei loro confronti.
È ovvio se ci riflettiamo un po’ su.
Se tu fossi il manager di un’azienda e ti trovassi a scegliere tra due candidati con le stesse qualifiche ed esperienze quale sceglieresti?
Quello che si presenta al colloquio col sorriso o quello col broncio?
E quando sei fuori con amici con quali persone tendi a parlare di più, con quelle allegre o seriose?
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Sarò sincero sono stato più volte la persona imbronciata alla festa.
Se parlo e scrivo così spesso di felicità è, dopotutto, perché non sono stato molto felice nei primi anni della mia vita e adesso sento di dovermi rifare.
Ho vissuto entrambi i lati della medaglia, fatto esperienza di entrambi gli stati d’animo, è ho visto l’effetto che hanno su me stesso e sulle altre persone la gratitudine e l’ingratitudine.
Quando non trovo motivi per essere grato mi concentro solo su quello che non ho e che non sono.
Mi paragono agli altri, provo invidia o rabbia nei confronti di chi riesce ad avere una vita migliore con un minor sforzo.
Arrivo persino a sentirmi inferiore.
Di contro, ci sono momenti in cui mi sento pieno di gratitudine per la vita che sono riuscito a costruire, giornate leggere in cui sembra che il mondo intero mi voglia bene.
Sono questi i giorni in cui mi sento fortunato, in cui arrivano le buone notizie, i complimenti e persino denaro inaspettato.
E non è un caso.
Gli effetti evidenti che la gratitudine ha sugli altri mostrano come esista una vera e propria legge dell’attrazione, una sorta di corrispondenza tra ciò che siamo dentro e ciò che è fuori.
Sento spesso dire ad amici e parenti che le emozioni negative vanno espresse liberamente, che se c’è una qualche frustrazione bisogna “sfogarsi” per far passare tutto.
L’idea è, in sostanza, che basta lamentarsi per tornare a sentirsi leggeri.
In passato credevo molto a questa idiozia così mi lamentavo tutte le volte che ne avevo la possibilità, la maggior parte delle volte per amori non corrisposti.
Martoriavo i miei amici con sermoni infiniti sull’ingiustizia della vita e dell’amore.
Li tenevo in ostaggio e li costringevo ad ascoltarmi mentre provavo a convincerli del fatto che l’universo avesse scelto me personalmente come zerbino.
Nonostante creasse sofferenza era un pensiero che mi faceva sentire importante questo: io, l’unico al mondo a non aver nessun motivo per essere felice.
Se qualcuno provava a farmi notare che non era tutto così male mi incazzavo quasi, come osate provare a tirarmi su il morale?
Sentirmi triste era una mia prerogativa, la mia strategia per avere attenzione, ricevere compassione ed empatia dagli altri.
Ogni volta che l’Universo metteva sul mio cammino persone che mi avrebbero lasciato, ignorato o rigettato, pensavo tra me e me, “Visto? Sono proprio uno sfigato non c’è nulla da fare!“.
Non mi chiedevo mai quale fossero le mie responsabilità, se per caso fossi stato io a fare scelte sbagliate, a dare attenzione alle persone sbagliate e ignorare quelle giuste.
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La soluzione al mio approccio malsano alla vita arrivò dopo un po’ di anni, e iniziò proprio da questa parola: Gratitudine.
Inizialmente provai molta resistenza visto che ero troppo abituato a vivere nella tristezza per pensare di poter convivere con la gioia.
Quando pensavo alla gratitudine mi veniva quasi da urlare, “Grato!? Per cosa dovrei essere grato se vivo in un tugurio, sono povero e sempre solo?!“.
Si venne a creare una sorta di contrapposizione tra due menti, una che voleva continuare a fare lo zerbino e l’altra che voleva addestrare la prima ad apprezzare invece che biasimare.
Per farlo decisi di iniziare con qualcosa di molto semplice e mai provata prima.
Per diversi giorni, prima di andare a letto, scrivevo su un diario personale almeno dieci motivi per cui dire Grazie.
Dicevo grazie per le cose basilari, come un tetto sopra la testa, una mente sana, un corpo sano, la possibilità di comprare libri, imparare cose nuove, mangiare bene.
A poco a poco vidi che riuscivo a trovare nuovi motivi per provare gratitudine e imparai a sentirmi fortunato di avere cose che fino al giorno prima davo per scontate.
Fu allora che notai i primi cambiamenti nel modo di pensare, di relazionarmi agli altri con maggiore coraggio e positività.
Per esempio, ricordo che una sera andai da solo in un bar (esperienza che prima di allora era sempre stata un dramma) e senza sforzarmi feci amicizia con un gruppo di ragazzi e ragazze che “dal nulla” mi invitarono a unirmi a loro.
Sentii come se la gratitudine mi avesse reso più sfacciato e meno intimorito dalle persone.
Avevo l’attitudine di chi non ha nulla da perdere e nessun bisogno di proteggersi, cosa che mi fece sentire in perfetta sintonia col mondo.
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Ci sono sempre buone ragioni per essere ingrati, sentirsi vittime o lasciarsi andare all’apatia.
Ci sono sempre soldi che mancano, coincidenze sfortunate, speranze infrante, esami andati male, colloqui andati peggio, giornate troppo corte e pandemie impreviste.
Possiamo lamentarci perché viviamo in città invece che in campagna o in campagna invece che in città.
Perché non abbiamo una moglie abbastanza bella o comprensiva, o perché i nostri figli non ascoltano come dovrebbero.
Che succede però quando le lamentele diventano la normalità, quando ci svegliamo con loro e andiamo a letto con loro?
Per esperienza ti dico che la gente si allontana da te quando sai solo pensare o parlare di cose negative.
Inizi a cercare conforto nelle attività più distruttive, a essere più vulnerabile alle dipendenze, a stare più incollato al cellulare, a mangiare più schifezze o guardare più TV spazzatura.
L’ingratitudine è come un pozzo nero che continua a sprofondare fino a quando non vedi più la luce dell’imboccatura.
Credimi l’ho provato.
E alla fine di quel pozzo ho solamente trovato altri pensieri marci, disistima, odio, ansia e, in ultima analisi, voglia di spegnermi e smettere di provare.
(forse persino smettere di vivere)
Adesso arriva il momento in cui dirò cose che alcuni non vorranno sentire.
Lo so perché anch’io non volevo sentirle.
Sbuffavo sempre quando da piccolo mi dicevano che mentre noi avevamo cibo in tavola in Africa morivano di fame.
E forse sbufferei ancora adesso se fossi povero e mi dicessero che non posso lamentarmi perché c’è chi vive sotto un ponte.
A volte si confonde l’apprezzare quello che si ha con il compromesso, l’accontentarsi, la rinuncia a una vita migliore.
Eppure per cambiare la propria vita si inizia proprio e per forza da lì, dalla parola grazie.
Può essere un grazie per i genitori, perché anche se ti deludono finiscono sempre per forgiare il tuo carattere e darti dei valori da seguire.
Si può essere grati per il tempo, perché anche se ti senti vecchio non sarai mai più giovane di oggi.
Personalmente adoro dire grazie per le persone che mi amano, perché non è per nulla scontato che ci debba essere qualcuno che ti vuole bene a questo mondo e se c’è vuol dire che avrai fatto qualcosa di buono.
C’è poi il grazie per le possibilità economiche, soprattutto quando ti permettono di fare esperienze che arricchiscono.
Ti consiglio di dire grazie per la tua intelligenza, perché credo sia lo strumento più potente che hai a disposizione.
Se vuoi essere più pratico apprezza anche il cibo che hai nel frigo, la macchina parcheggiata sotto casa, i calzini nella cassettiera della stanza da letto.
Dì grazie per Google che ti permette di trovare articoli come questo e un’infinità di risorse per formarti.
Grazie per chi sceglie quotidianamente di condividere il proprio sapere con gli altri. Grazie per chi è disposto a darti una mano se ne dovessi avere bisogno.
Ma soprattutto grazie per la possibilità di cambiare, per la libertà di muoversi, di sbagliare, di crescere e imparare dagli errori.
Ti lascio dunque con questo augurio, che tu possa trovare la capacità di provare gratitudine per le strade sbagliate che prenderai, perché vorrà dire che avrai capito, grazie a loro, come imboccare quelle giuste.
“Dentro la Tana del Coniglio” parla di felicità, di cosa la favorisce e di cosa la limita.
È uno spazio di condivisione dove si parla del percorso di crescita, di cosa vuoi dire diventare grandi, creare la vita che si desidera.
In queste pagine si raccontano esperienze di cambiamento, si sfida il concetto di “normale”, si mettono in discussione tutte quelle convinzioni che impediscono di scoprire il proprio talento, quello che si è veramente.
Così come il bianconiglio portò Alice nella sua tana per farle scoprire un mondo diverso, questo libro ti porterà in una dimensione dove la realtà è più fluida e reattiva, dove si capisce il perché delle cose, dove si acquista il potere di cambiarle.
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Ordina su Amazon Ordina su AmazonÈ facile pensare alla felicità come a un risultato, un posto da raggiungere, ma la verità è che le persone felici lo sono perché si impegnano per rimanerci.
L’impegno sta nel prendersi cura di sé e nell’evitare quelle abitudini che abbassano il morale e tolgono energia come guardare Netflix per 6 ore o mangiare cibo spazzatura.
Quanto tempo e salute sprechiamo in (non)attività del genere?
E soprattutto come possono ore e ore di schermi e cibi malsani aiutarci ad avere una vita appagante, un fisico sano e una mente sana?
Semplicemente, non possono.
Hai mai visto il film 50 volte il primo bacio?
È una commedia romantica in cui Henry (Adam Sandler) si innamora di Lucy (Drew Barrymore), la quale a causa di un incidente ha una perdita di memoria a breve termine.
In sostanza, Lucy non ricorda nulla del giorno prima.
Così ogni mattina Henry deve trovare nuovi modi di corteggiarla e farla innamorare.
All’inizio commette errori madornali e fallisce miseramente nell’intento però, a poco a poco, impara a conoscere meglio Lucy e quello che deve fare per conquistarla.
Bene, la felicità è raggiunta più o meno allo stesso modo.
Anche noi soffriamo di perdite di memoria, ci dimentichiamo delle cattive scelte fatte in passato e le rifacciamo pensando che “questa volta andrà meglio“.
Poi se le cose non vanno meglio incolpiamo la sfiga o il destino quando, in realtà, dipende tutto da noi.
Per interrompere il ciclo vizioso dobbiamo imparare a conoscere noi stessi così come Henry ha imparato a conoscere Lucy.
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C’è un altro aspetto del film che va menzionato.
Visto che Lucy dimentica tutto quello che le è successo il giorno prima, Henry deve fare in modo che lei ricordi la loro storia d’amore man mano che progredisce.
Per farlo utilizza video e foto in cui mostra alla ragazza quello che c’è stato tra loro negli anni precedenti, in modo tale che lei non si confonda quando si trova davanti un fidanzato che non ricorda di aver incontrato.
In modo simile, aiuta moltissimo avere delle prove tangibili di quello che facciamo nei mesi e negli anni, come la scrittura di un diario personale che documenti i nostri processi decisionali.
Così quando rileggiamo le vicende di ieri saremo meglio equipaggiati ad affrontare le nuove circostanze di oggi e, soprattutto, potremo evitare di fare le stesse scelte di sempre.
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La felicità non è una scelta definitiva, o un luogo in cui arrivi e ti fermi, ma è come una batteria, va cioè ricaricata giorno dopo giorno con piccole azioni quotidiane.
Si inizia dal momento in cui ti alzi la mattina, con il modo in cui ti senti quando apri gli occhi e con quello che scegli di fare.
Per esempio, tempo fa ho capito che alzarmi dopo le 11 creava un pesante senso di colpa e mi impediva di lavorare ai miei progetti in modo produttivo.
Così mi è bastato prendere un cane per creare la motivazione di alzarmi ogni giorno alle 7:30 (non è stato l’unico motivo ovviamente ma ha aiutato molto).
Ciò non vuol dire che quando mi sveglio sento gli uccellini cantare. Sono ancora di cattivo umore per i primi 30 minuti della mia giornata.
Eppure, alzandomi presto ho il tempo di ricaricare la mia batteria mentale con una buona colazione, un po’ di meditazione e una bella passeggiata.
E la giornata prende un’altra piega.
Prima di passare a vedere quali sono le abitudini che distinguono le persone felici dalle altre, dobbiamo prima ricordare che la felicità ha anche una componente genetica.
Questo vuol dire che alcuni di noi hanno la predisposizione all’ottimismo, mentre altri sono più tendenti alla negatività.
Rimandando ad altri articoli per approfondire la valutazione della personalità, ci basta qui notare che, a prescindere dal proprio livello innato, una buona percentuale della nostra felicità è influenzabile dalle nostre azioni.
Quindi anche se siamo crediamo di essere infelici di natura, possiamo esserlo meno se ci impegniamo a costruire la felicità come ha fatto Henry con l’amore di Lucy: giorno dopo giorno.
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Adesso parliamo di cosa fanno le persone felici che le altre non fanno.
Possono essere abitudini che portano a stare meglio chi tende a essere cupo, oppure predisposizioni caratteriali di chi già sta bene di suo.
Che siano la causa o la conseguenza, sono comunque abitudini estremamente connesse a una più stabile felicità.
In particolare, le persone felici…
Spesso l’infelicità è causata dal vedere tutto nero e dal pensare che non ci siano, né ci saranno mai, opportunità e bellezza intorno a noi.
Le persone felici sono in grado di mantenere la felicità perché vedono le situazioni in modo più positivo, mantengono una visione generale più ottimistica.
Hanno speranze nel futuro e sono consapevoli del fatto che anche quando le cose vanno male non vuol dire che debbano rimanere così per sempre.
Gli errori e gli imprevisti non sono per loro una scusa per piangersi addosso ma possono costituire motivo di crescita e una sfida personale nel trovare soluzioni creative.
Come dicevo già in questo articolo paragonarsi agli altri fa male al cervello e alla salute.
Ognuno di noi segue dei percorsi di vita che sono unici e non esiste uno standard generale con il quale poter valutare il valore di un essere umano.
(Il denaro che guadagniamo, per esempio, non è un buon metro perché ci sono persone che guadagnano tanto e sono completamente infelici, e viceversa).
L’unica persona a cui ti puoi paragonare sei tu. Valuta dunque i tuoi progressi pensando a come eri ieri, non a come sono gli altri oggi.
Quando sei grato per quello che hai quello che hai diventa abbastanza.
Va benissimo essere ambiziosi e stabilire obiettivi, purché l’idea di quello che ti manca non diventi un’ossessione che ti fa vivere nel reame del potenziale e non dell’attuale.
Parti dalle basi e sii grato per la tua salute, per le persone che fanno parte della tua vita, per il computer o il telefono che ti sta permettendo di leggere questo articolo.
Per arrivare a diventare chi vuoi diventare devi pur sempre partire da qualcosa, e molto probabilmente quel qualcosa ce l’hai già.
Parlando di gratitudine, poi, consiglio sempre il libro di Ivan Nossa, Il potere e la magia della gratitudine.
Qui l’autore spiega perché la gratitudine alza le tue vibrazioni e ti porta a vedere il mondo sotto una luce diversa.
Detta in modo semplice, le persone felici non si sentono minacciate dalle persone.
Le trattano con gentilezza e viene loro spontaneo aprire porte, sorridere e dire buongiorno e buonasera agli sconosciuti.
A sua volta questo crea un effetto “a cascata” e aiuta loro a donare piccole gocce di felicità agli altri.
Essendo molto concentrate su se stesse e quello che gli manca, le persone infelici possono arrivare a trascurare certe amicizie.
Le persone felici sanno invece mantenersi in contatto con gli amici veri, anche quelli che vivono lontano o hanno più successo di loro.
Essendo più immuni all’invidia degli altri, si concentrano su quello che di positivo e sano un vero rapporto di amicizia può dare.
Sanno essere presenti per gli amici e sanno anche chiedere loro aiuto quando c’è bisogno.
Quando si imbattono in ostacoli le persone infelici tendono a fare le vittime e a perdere facilmente la motivazione e la fede.
Le persone felici fanno l’opposto, trovano le opportunità nelle difficoltà, o quantomeno traggono lezioni di vita preziose da esse.
Alcune persone sono infelici perché non hanno nessun progetto di vita su cui lavorare, nessuna passione o sogno da perseguire.
Una persona felice si distingue da loro nella misura in cui costruisce la sua vita su obiettivi consapevolmente scelti.
Non si può infatti sperare di mantenere alta la soddisfazione quando si va dove porta il vento o si fanno scelte sulla base di quello che sembra più conveniente in un determinato momento.
L’economia cambia, così come le circostanze, per questo l’arma migliore a disposizione di chi vuole costruire un po’ di equilibrio è l’avere chiaro degli obiettivi personali da raggiungere.
Se non si riesce a stabilirli, è fondamentale avere almeno un’idea di quali sono i propri valori, così da avere dei punti fermi che aiutino a fare scelte coerenti.
Il vecchio proverbio del Mens sana in corpore sano è ancora attualissimo oggi.
E come potrebbe essere altrimenti.
Hai mai provato a essere felice quando hai la febbre a 40 o quando hai il mal di stomaco a causa delle schifezze che hai mangiato?
Non sto dicendo che puoi essere felice solo se vai in palestra ogni giorno e mangi zucchine a pranzo e cena.
Ci vuole però un minimo di manutenzione, di ovvio buon senso che può essere dormire il giusto numero di ore, fare un minimo di attività fisica e assicurarsi di non essere sovraccaricati di impegni stressanti.
Leggere libri di crescita personale o di mindfulness, viaggiare o sperimentare sono sinonimi di scoperta e contatto con il nuovo.
Il nuovo, a sua volta, aiuta le persone a essere felici perché le fa crescere, porta nella loro vita il senso di sorpresa e anticipazione.
D’altro canto, l’infelicità è sinonimo di ripetitività delle giornate, monotonia, prevedibilità.
La nostra memoria è organizzata in modo tale da rendere indistinguibili i ricordi simili tra loro e trattenere le esperienze più particolari ed emozionanti.
Una vita passata a fare le stesse cose negli stessi posti potrebbe compromettere la felicità perché diventerebbe difficile mantenere l’idea di aver vissuto realmente.
Cimentarsi in cose nuove e vedere posti nuovi aiuta a essere felici ci dà nuove energie nonché ricordi preziosi da raccontare.
Immagina di sognare un’auto nuova, di volerla talmente tanto da essere completamente sicuro che, una volta seduto al volante, sarai al settimo cielo.
Adesso pensa a come ti sentiresti il giorno in cui la compri, poi un settimana dopo e poi un mese dopo.
Credi che la tua felicità rimarrà invariata nel tempo?
Sinceramente non credo. Come con tutte le cose che compriamo, ci fanno stare bene all’inizio e poi ci dimentichiamo di averle.
La comunità scientifica ha osservato questa dinamica, dimostrando che gli eventi positivi hanno un’impatto limitato sulla nostra felicità, così come quelli negativi sulla nostra infelicità.
In altre parole, le aspettative di ciò che pensiamo ci renderà felici o infelici hanno entrambe vita corta.
Una ricetta per l’infelicità sarebbe avere desideri irrealizzabili e sperare che accadano da soli, aspettarsi troppo dalle persone o avere pretese di perfezione.
Si farebbe molto meglio ad acquisire un po’ di sano scetticismo ed evitare di rendere troppo irrealistici i nostri pronostici.
Le persone felici sono molto equilibrate in questo senso in quanto, come già detto, non fanno dipendere la loro felicità da condizioni o avvenimenti esterni, diminuendo così il rischio di rimanere deluse.
In ultima analisi, le persone felici non sono necessariamente quelle super attive o estroverse, ma piuttosto coloro che hanno imparato a rimanere in equilibrio su un filo.
Questo filo rappresenta la linea di demarcazione tra l’eccessiva tendenza allo scoraggiamento e l’eccessiva tendenza all’eccitazione.
Diffidano dal buono e dal cattivo tempo rimanendo ancorati al punto fermo della consapevolezza delle loro capacità e dei loro obiettivi.
Più che pretendere di avere tutto e subito, creano abitudini utili a elevare la salute della mente e del corpo, puntano a una pace interiore raggiungibile più che a uno stato di improbabile beatitudine perenne.
“Dentro la Tana del Coniglio” parla di felicità, di cosa la favorisce e di cosa la limita.
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Come Trilly l’impenitente dongiovanni, o la fragile Lisa che ha conquistato tutti con il suo sguardo, o Zoe che ha saputo resistere a ogni colpo. Animaletti feriti, maltrattati, indifesi, ma in grado di trasmettere una grande voglia di vivere.
AmazonIn tema di amore vero ci sono molte domande a cui non è semplice dare una risposta.
Tutti questi dubbi rendono la vita sentimentale, già afflitta dai fraintendimenti e dalle inesauribili distrazioni dei social, ancora più complicata.
Per questo può aiutare fare un po’ di chiarezza su cosa sia l’amore vero e cosa lo differenzi da altri tipi di sentimenti.
Indice
Per capire esattamente cosa sia l’amore vero, dobbiamo prima distinguerlo dalle sue versioni meno “mature”: l’infatuazione e l’innamoramento.
L’infatuazione è quello che ti capita a 15 anni, cioè la cotta di cui scrivi nel diario personale quando pensi che sarà per sempre e dici a te stessa che non potrai mai vivere senza di lui.
Non importa se tu conosca o meno la persona (o se lei conosca te) e non importa neanche se il tuo sia un sentimento corrisposto.
L’infatuazione è un amore idealizzato che accade principalmente sul piano dell’immaginazione senza bisogno che ci sia un legame reale tra i due.
Di contro, per definirsi innamoramento si devono conoscere più a fondo le qualità del nostro lui o della nostra lei.
In questo caso il rapporto è necessario, deve cioè esserci un minimo di conoscenza tra i due, che sia questa nell’ambito di un vero rapporto di coppia o di amicizia.
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Le persone si innamorano per diversi motivi.
A volte è il sesso o l’attrazione sessuale che ti fa perdere la testa.
Altre volte è la voglia di avere qualcuno accanto per non sentirsi soli.
In certi momenti accade invece che si crei una complicità perfetta dove lui ti fa ridere, parla di cose in cui ti rivedi e ti fa venire le farfalle allo stomaco.
Allora pensi per un attimo che si tratti di vero amore, magari arrivi anche a sposarti, a volergli molto bene.
Ma poi l’incantesimo si rompe e, dopo mesi o anni, ti rendi conto che non eravate ancora pronti per una relazione vera, che semplicemente non eravate fatti per durare, così vi lasciate.
L’innamoramento non è ancora amore vero, ma può precederlo.
Può essere folle, intenso e passionale, ma in quanto volubile può arrivare a spezzarti il cuore, a lasciare cicatrici che rimangono una vita sulla pelle.
Quando si è innamorati si prova gelosia, senso di possesso, paura dell’abbandono.
Si arriva a litigare, a maledire il giorno che ci si è incontrati.
A differenza dell’amore vero l’innamoramento non ha equilibrio né saggezza.
È come se fosse un sentimento un po’ acerbo ma che serve a preparare il campo all’arrivo di un amore più stabile e maturo.
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Quando accade l’amore vero è un po’ come se ci si stancasse di giocare.
Basta con le montagne russe, con gli alti e i bassi, con il perdere tempo in litigi inutili e ripetitivi, con le frustrazioni non espresse, con le aspettative irrealistiche.
L’amore vero condivide ugualmente gioie e dolori, rimane inalterato (se non rafforzato) dalle difficoltà e non ha paura dei silenzi.
Esso alimenta una relazione sana, dove si parla, si progetta, si vive la quotidianità e ci si ama per quello che si è veramente.
Per fare un paragone, se l’innamoramento è come una pianta che può crescere fino a un certo punto e poi si ferma perché non sono presenti le condizioni giuste, la pianta dell’amore vero nasce da una terra ricca di nutrienti e può continuare a evolversi all’infinito.
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Quando si ama veramente si desidera la crescita e il benessere della persona amata anche se questa crescita e questo benessere la possono portare lontano da noi.
La qualità che, più di tutte, contraddistingue l’amore vero è dunque la mancanza del senso di possesso.
Da questa base si sviluppano i 10 pilastri portanti di una relazione destinata a durare.
Si prova rispetto quando si onorano le scelte del partner e si evita di giudicarlo; quando si supportano le sue passioni e i progetti e si evita di proiettare le proprie ansie e insicurezze su di essi.
Il rispetto reciproco ha a che fare con il riconoscimento dell’individualità che esiste al di là della coppia, con quelle libertà che non possono e non devono essere compromesse solo perché si sta insieme.
Per fiducia non si intende soltanto la fiducia nel partner, ma anche la fiducia in se stessi.
Senza questa fiducia si è destinati a vivere nella paura di essere abbandonati, finendo inevitabilmente per tentare di tenere tutto sotto controllo e per sabotare le chance di vivere felici.
L’onestà è una qualità che include il coraggio di dire la verità nei momenti in cui è importante dirla, anche se nel farlo si ammette una colpa o si fa soffrire l’altro.
Attenzione però, ciò non significa dire tutto quello che passa per la testa, in quanto a volte è meglio una bugia bianca a una verità gratuita che crea sofferenze evitabili.
In una coppia si deve essere onesti, prima di tutto con sé stessi, facendo chiarezza interna sulle proprie intenzioni e rendendole esplicite all’altro.
Solo così si può evitare di dover nascondere e mentire.
Supportare l’altro non vuol dire affatto dirgli cosa fare o provare a risolvere i suoi problemi.
Il vero supporto accade soprattutto quando vedi delle scelte che non condividi e non tenti di bloccarle a tutti i costi, quando gli consenti di sbagliare e imparare dai propri errori, quando metti i suoi desideri davanti ai tuoi.
C’è differenza tra equità e uguaglianza.
L’uguaglianza è dare a due persone le stesse cose, a prescindere dalla loro situazione di partenza.
L’equità è considerare le differenze e appianarle.
In una relazione ciò si traduce nel tenere in considerazione i diversi bisogni di ognuno prima di pretendere reciprocità.
Per esempio, uguaglianza sarebbe pretendere di parlare dei propri problemi per lo stesso ammontare di tempo in cui si è parlato dei problemi dell’altro.
L’equità è invece una componente dell’amore vero perché include la capacità di comprendere quando l’altro ha più bisogno di attenzioni.
In un rapporto equo capita dunque che per mantenere l’equilibrio si debba dare di più e ricevere di meno, e viceversa.
Secondo la visione di Erich Fromm in L’arte di amare, non si può definire amore vero quando le identità di due persone si estinguono in una coppia.
In questo libro meraviglioso si afferma che la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare.
Se non si è capaci di stare soli la coppia sarà soltanto un mezzo egoistico per placare la propria ansia da solitudine o per evitare di sentirsi inferiori agli altri.
Il sesso non è una causa dell’amore vero ma una conseguenza naturale.
Esso si evolve con la relazione e riesce a essere variegato, sia tenero che passionale, sia frettoloso che lento.
Fare l’amore con chi ami veramente è una gioia che si rinnova nel tempo, come se fosse sempre la prima volta.
Come dice Eric Berne nel suo libro Fare l’amore, il sesso dovrebbe essere una festa per tutti i sensi: vista, udito, odorato, gusto, temperatura e tatto.
Il senso di appagamento che ne deriva va molto al di là del semplice orgasmo.
È il raggiungimento di un desiderio di unione sia carnale che spirituale, una forma di comunicazione non verbale che utilizza tutto il corpo.
Ci vuole tempo per imparare a comunicare veramente.
Non solo perché bisogna arrivare a comprendere lo stile comunicativo del partner e a intuire il suo linguaggio verbale e non verbale.
Ma anche perché ci vuole tempo per acquisire l’abilità di esprimere chiaramente le proprie emozioni, per maturare l’intelligenza emotiva e la consapevolezza di sé.
Nell’amore vero i due partner hanno la pazienza di superare le difficoltà che nascono dai fraintendimenti e di imparare a poco a poco a usare le parole giuste nei momenti giusti.
La serietà nelle relazioni che durano appartiene solo alle intenzioni e all’impegno reciproco.
Per tutto il resto a mantenere viva la relazione c’è il sento di giocosità e di affetto.
Ridere e scherzare insieme aiuta a costruire il legame e prepara per i periodi di avversità; alimenta un senso di spontaneità e rende più predisposti a lasciarsi andare, incrementando così il benessere mentale individuale e della coppia.
L’empatia è forse l’emozione più sana e costruttiva in assoluto.
È la quintessenza della bontà umana, l’abilità di mettersi nei panni dell’altro per comprendere il suo punto di vista.
Se provi empatia, proteggi il tuo amore dall’influenza di sentimenti distruttivi come il rancore e il risentimento, e proteggi l’altro dai danni che potrebbero causare le tue parole e le tue azioni nei momenti di rabbia.
Moltissimi psicologi esperti di terapia di coppia affermano che l’empatia è il collante che mantiene vivo un rapporto e che senza di esso la relazione ha pochissime possibilità di sopravvivere.
Nel libro Perfect Love, Imperfect Relationships, John Welwood pone l’empatia alla base dell’amore vero in quanto elemento che consente di creare un reale contatto, diventare un tutt’uno con se stessi, con gli altri e con la vita stessa.
accorgersi che lei si è sentita attratta dalla notorietà del corteggiatore, indipendentemente se hanno o no avuto rapporti sessuali, avvelena l’anima. Si continua ad amare , ma diventa un amore triste, che porta sofferenza. E’ come per certi insetti che vengono catturati per fornire carne fresca ai discendenti. Si vive esternamente, dentro si muore.
bellisimo blog..continuerò a leggerlo…
Ai tempi di mio nonno per trovare l’amore bastava uno sguardo.
Non esistevano strategie, non c”erano messaggi whatsapp, like su Facebook e storie su Instagram.
Mio nonno, è questa è una storia vera, ha conquistato mia nonna semplicemente guardandola, lui per strada, lei alla finestra.
Se poi quello che è successo dopo, i 4 figli, gli 8 nipoti e i 72 anni insieme, sia o meno definibile come amore vero, questo non posso dirlo.
Ma di certo si potrebbe pensare che sia meglio di quello che accade a molti al giorno d’oggi, quando l’unica cosa che si guarda con attenzione non sono gli occhi di chi amiamo ma lo schermo del cellulare.
Secondo dati Istat il 33% della popolazione italiana è single, un dato che è in costante aumento nel corso degli anni.
Le motivazioni per cui così tante persone hanno difficoltà a trovare l’amore, o a mantenere una relazione sana, possono essere molteplici.
Per tutti coloro che sono alla ricerca dell’anima gemella c’è una dura verità da considerare: trovare l’amore diventa molto più difficile quando si è disperati.
In altre parole, se tutto quello che vuoi è avere qualcuno accanto perché odi la solitudine, perché ti annoi o hai bisogno di costruire autostima, non farai altro che diminuire le tue chance di trovarla.
Il motivo è che le persone non si mettono insieme ad altre persone per farle stare meglio, ma lo fanno per stare meglio loro stesse, per essere viste e amate per chi sono veramente.
Se dunque dimostri di non avere un sincero interesse rischi di dare l’idea di avere un secondo fine, cosa che di solito aliena e allontana gli altri.
Così come le persone subdole, egoiste, appiccicose o troppo bisognose allontanano, quelle che sono a proprio agio nei propri panni attirano.
Il primo step per trovare l’amore è allora costruire la propria serenità accettando pienamente la vita da single, i cui vantaggi includono:
Quando stai bene con te stesso e ti godi la tua vita emani una energia diversa rispetto a quando sei triste perché ti senti solo.
Trovare la tua felicità interiore, autonoma da circostanze o persone, è il primo step per iniziare ad attirare nuove opportunità amorose.
È praticamente impossibile essere attratti da chiunque o poter avere un rapporto di coppia con chiunque.
Per questo per trovare l’amore è essenziale saper individuare ciò di cui abbiamo veramente bisogno e distinguerlo da desideri passeggeri.
Sarà anche facile dire di desiderare una persona intelligente, bella, attraente, con la giusta occupazione e i giusti tratti caratteriali.
Ma nel lungo termine non saranno questi gli aspetti che terranno in vita la tua relazione amorosa.
A volte si trova l’amore in posti inaspettati e le qualità che sembrano necessarie in apparenza diventano futili nella vita reale.
Per fare degli esempi concreti, nella vita reale:
I bisogni sono diversi dai desideri in quanto questi ultimi possono essere stimolati dall’esterno, come quando qualcuno o qualcosa attira la nostra attenzione, mentre i primi nascono da dentro.
Per intenderci, tra i normali bisogni umani c’è il bisogno di essere ascoltati, compresi o abbracciati, di condividere le proprie esperienze e le proprie emozioni, di costruire un intimità fisica e mentale.
Alcune delle persone che incontreremo strada facendo sapranno accontentare desideri temporanei e superficiali, ma alla lunga solo una di loro riuscirà a soddisfare i nostri veri bisogni.
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Le persone felici, consapevoli di se stesse e dei propri bisogni/valori, sono avvantaggiate nella ricerca del partner ideale, ma non per questo il risultato per loro sarà garantito.
La brutta notizia è infatti che uno studio dell’Università di Bath, nel Regno Unito, ha calcolato che le chance di trovare l’amore al giorno d’oggi sono 1 su 562.
Quella buona è che queste probabilità si possono aumentare attraverso 8 semplici strategie:
1. Incontrare persone sui siti di incontri online (il cosiddetto online dating – aumenta le chance del 17%);
2. Uscire con colleghi e amici di colleghi (aumenta le chance del 16%);
3. Parlare con persone in palestra (aumenta le chance del 15%);
4. Incontrare persone attraverso hobby in comune o gruppi/associazioni di appartenenza (aumenta le chance dell’11%);
5. Parlare con persone nei bar o in discoteche (aumenta le chance del 9%);
6. Incontrare amici di amici (aumenta le chance del 4%);
Come si intuisce dalla lista, trovare l’amore è per lo più una questione di incontrare più persone possibile, che siano queste online o offline, ma c’è dell’altro.
A influenzare la ricerca di un partner sono anche le circostanze in cui ci troviamo, l’età, l’aspetto fisico, le aspettative, gli interessi, la personalità.
È per questo motivo che prima ancora di parlare delle strategie abbiamo parlato dell’attitudine e della consapevolezza dei bisogni personali.
Alcuni dei fattori menzionati sono completamente o parzialmente fuori dal nostro controllo, come l’età o l’aspetto fisico, ma altri invece possono cambiare.
Tra questi ultimi c’è per l’appunto il nostro livello di benessere personale, quello che ci aspettiamo da un partner, il luogo in cui viviamo o il nostro modo di pensare.
Per trovare l’amore serve mettersi in gioco.
Per esperienza personale posso affermare che a volte è molto più facile scegliere di rimanere a casa al posto di uscire, guardare un film ed evitare ogni tipo di rischio o tensione sociale.
Ma molto spesso le cose belle nella vita non ci cadono dal cielo mentre oziamo nella nostra zona di confort, ma accadono quando facciamo ciò che ci fa paura o che non ci sentiamo di fare.
Il 17 aprile del 2017, per esempio, dovetti fare una scelta: o la comodità del mio divano (zona di confort) o una gita fuori porta con dei nuovi amici con cui avevo legato da poco (tensione sociale).
Ricordo che avevo già scritto il messaggio in cui dicevo che stavo poco bene, ma una vocina dentro la mia testa mi impedì di premere “invio” perché pensai che nulla di buono sarebbe mai nato dallo stare a casa.
Così decisi di andare, e a causa di una fortunata coincidenza mi ritrovai a condividere il viaggio in macchina con Giuliana, la ragazza che, come divenne chiaro a fine giornata, avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
Se la mia storia ti ha ispirato a uscire di più mi fa piacere e mi preme anche ricordarti che hai a disposizione una miriade di opportunità per incontrare gente.
Per esempio potresti:
Tutte queste attività, e molte altre ancora, ti forzano a stare in mezzo alle persone, a superare la timidezza e interagire, facendo domande e raccontando di te.
Inoltre saranno tanto più proficue quanto affini ai tuoi interessi e passioni.
Voglio concludere con dei consigli utili per affrontare meglio i vari incidenti di percorso tanto comuni al “gioco” degli appuntamenti.
Prima o poi capita a tutti di affrontare un rifiuto o di dover rifiutare qualcuno.
Rimanendo positivi e onesti con se stessi e gli altri, il rifiuto può essere molto meno distruttivo.
La chiave è non prenderla sul personale quando ci capita di essere rifiutati e di essere rispettosi dell’altro quando ci capita di rifiutare.
Visto che non possiamo essere compatibili con tutti, il rifiuto va accettato come una parte inevitabile delle relazioni di coppia.
Anche se nell’incontrare una persona nuova tendiamo a idealizzare e a vedere solo i tratti positivi, è possibile notare sin da subito dei campanelli d’allarme, ovvero quei comportamenti che segnalano una potenziale fine prematura della relazione.
Alcuni di questi possono essere:
La fiducia reciproca è la colonna portante di ogni solido rapporto di coppia.
Ma essa non accade dall’oggi al domani; si sviluppa nel tempo man mano che aumenta la connessione con l’altra persona.
Quando non c’è fiducia la relazione sarà dominata dalla paura di essere traditi, delusi o lasciati, e questo porterà a sua volta ad altri problemi come l’incapacità di lasciarsi andare o di condividere le proprie vulnerabilità. .
Come già detto parlando di intelligenza emotiva, le emozioni possono rendere un momento memorabile o rovinarlo completamente.
Bisogna dunque distinguere tra emozioni costruttive e distruttive, positive e negative.
Le ultime sono come la rabbia, il rancore o l’invidia, emozioni che ti fanno dire cose non pensi veramente possibilmente portandoti a ferire una persona a cui vuoi bene.
Nei casi in cui sei agitato dunque prova a controllarti, valuta bene da dove vengano le tue emozioni e se valga la pena dare loro libero sfogo.
Soprattutto nella prima fase di un rapporto non è facile capire cosa si vuole l’uno dall’altro.
Sii sincero e onesto nel comunicare i tuoi bisogni e nel dire esattamente cosa ti aspetti dalla relazione.
Se vuoi una relazione seria e hai bisogno di avere un contatto giornaliero dillo chiaramente.
Se sei in una fase della vita in cui vuoi prendere le cose con calma comunicalo, senza mezzi termini.
Non aver paura di litigare.
Non ti vergognare di quello che sei e di quello che vuoi, e considera sempre che è molto meglio far male a qualcuno dicendo la verità che farlo sentire meglio mentendo.
Tutte le relazioni cambiano nel tempo, alcune in meglio altre in peggio.
Quello che vuoi da un partner all’inizio potrebbe essere molto diverso da quello che vuoi dopo qualche mese o anno.
E questo non deve per forza spaventarti, il contrario.
Perché trovare l’amore non è solo innamorarsi a prima vista di chi non conosciamo, ma anche innamorarsi di nuovo di chi è già al nostro fianco.
Amare non significa possedere in maniera esclusiva, limitare la libertà del partner o escludersi dalla vita del mondo; al contrario l’amore può aprirsi all’intero universo, spalancando inattese prospettive.
Un trattato sull’amore che insegna a sviluppare la propria personalità e raggiungere la pienezza affettiva.
Copertina Flessibile €12,35I test della personalità sono un ottimo modo per interrogarsi sui propri comportamenti e le proprie tendenze, soprattutto quando si risponde in modo sincero.
Spesso quello che facciamo è automatico e non ci rendiamo conto di avere un determinato carattere perché, semplicemente, siamo abituati a essere chi siamo e non conosciamo nessun altro modo di essere.
Quando però scopriamo, grazie a un test della personalità o altri mezzi, di non essere la persona perfetta che credevamo, abbiamo la possibilità di cambiare noi stessi e il nostro modo di pensare.
Il test della personalità che state per fare (link a fine articolo) si basa sulla teoria della personalità dello psicologo tedesco Hans Eysenck.
La sua idea è che la personalità umana dipende in buona parte da fattori biologici, e che gli individui ereditano un tipo di sistema nervoso che influenza la loro capacità di apprendere e adattarsi all’ambiente.
Grazie alla sua esperienza lavorativa in un ospedale psichiatrico di Londra, Eysenck fu in grado di compilare una serie di domande sul comportamento che in seguito vennero somministrate a 700 soldati con disturbi nevrotici.
La scoperta dello psicologo fu che le risposte dei soldati sembravano collegarsi naturalmente tra loro, suggerendo che c’erano caratteristiche della personalità riscontrabili in individui diversi.
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In particolare, il comportamento dei soggetti in quesitone poteva essere rappresentato da due dimensioni:
In base alla teoria di riferimento, ognuno di questi aspetti della personalità può essere ricondotto a una diversa causa biologica.
Gli estroversi sono di norma persone socievoli che bramano l’eccitazione e il cambiamento, e che quindi possono annoiarsi facilmente.
Tendono a essere spensierati, positivi e impulsivi, come nel caso dell’enneatipo 7, e hanno maggiori probabilità di correre rischi.
Secondo Eysenck ciò è dovuto al fatto che ereditano un sistema nervoso sotto-stimolato e quindi cercano stimoli esterni per ripristinare un livello ottimale.
Le persone introverse invece si trovano all’altra estremità di questa scala, essendo principalmente riservate e silenziose.
Il loro sistema nervoso è già abbastanza stimolato dai loro pensieri e per questo evitano eccessivi input e sensazioni esterne.
Gli introversi vivono principalmente nella loro mente, come nel caso dell’enneatipo 5, pianificano le loro azioni e tengono sotto controllo le loro emozioni.
Sono di norma seri, affidabili e pessimisti, maggiormente tendenti ai momenti di tristezza.
Il livello di neuroticismo di una persona è determinato dalla reattività del suo sistema nervoso simpatico, ovvero la parte del nostro cervello adibita alle reazioni di attacco o fuga dinnanzi un pericolo.
Nelle persone stabili il sistema nervoso è meno reattivo, permettendo loro di mantenere la calma e l’uso della ragione in situazioni di agitazione.
Chi ha un alto livello di neuroticismo, invece, sarà molto più instabile e incline a reagire in modo eccessivo agli stimoli, per esempio preoccupandosi facilmente o manifestando una sproporzionata rabbia/paura.
Eysenck in seguito aggiunse una terza caratteristica / dimensione – lo psicotismo.
Coloro che presentano questo tratto sono in genere privi di empatia, tendenzialmente crudeli, solitari, aggressivi e problematici.
Il fattore biologico alla base di tali comportamenti potrebbe essere correlato ad alti livelli di testosterone: più alto è il testosterone, maggiore è il livello di psicotismo, con minori possibilità di riscontrare un comportamento equilibrato e normale.
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Secondo Eysenck, le due dimensioni del neuroticismo (stabile vs. instabile) e la scala dell’introversione-estroversione si combinano per formare una varietà di caratteristiche della personalità.
Il suo Eysenck Personality Inventory (EPI) ha proprio lo scopo di misurare dove va a cadere la personalità del soggetto all’interno delle due scale.
Il test contiene 57 articoli con risposta secca “Sì-No” senza ripetizione degli articoli.
L’inclusione di una scala di falsificazione prevede il rilevamento della distorsione della risposta.
Quando rispondi alle domande del test di Eysenck ottieni tre tipologie punteggi.
Il “punteggio della veridicità” misura quanto socialmente desiderabile stai cercando di essere nelle tue risposte.
In altre parole, il test della personalità è tarato per riconoscere quando un individuo prova a dare la risposta giusta piuttosto che quella onesta.
Il “punteggio E” misura quanto sei estroverso.
Il “punteggio N” misura quanto sei nevrotico.
I punteggi E ed N saranno tracciati su un grafico dal quale potrai leggere le caratteristiche della tua personalità.
Più vicino sarai all’esterno del cerchio, più marcati sono i tratti della tua personalità.
Tieni presente che l’EPI è un tipo molto basilare di misurazione della personalità, quindi per aumentarne la veridicità è necessario rispondere alle domande nel modo più diretto e onesto possibile.
L’intero questionario non dovrebbe richiedere più di qualche minuto.
VAI AL TESTPer comprendere meglio il mondo della mente il dottor Ambridge ha scritto un libro scientifico, ma pieno di humour, in cui descrive gli 80 test psicologici più importanti e famosi, mostrandone i punti di forza e debolezza e le applicazioni concrete.
In questo viaggio impareremo a misurare il nostro quoziente di intelligenza psicologica e resteremo sorpresi, compiaciuti, frustrati, sconcertati e… molto divertiti!
Formato Kindle €9,99Che cosa è esattamente e come si forma l’intelligenza?
Fino a che punto la si eredita, e quanto invece dipende dall’ambiente?
È possibile elaborare un metodo scientifico per misurarla?
I due opposti punti di vista sull’intelligenza vengono sostenuti in un confronto affascinante da due massimi paladini dell’uno e dell’altro campo.
Copertina Flessibile €5,25In mezzo alle miriadi di cose da chiedere per dare un taglio interessante alla conversazione le domande esistenziali sono quelle che spiccano maggiormente.
Sono queste domande che fanno riflettere, che non hanno tanto a che fare con aspetti pratici della vita quotidiana ma con una prospettiva più ampia sulla vita e l’esistenza in generale.
Rispondere a una domanda esistenziale richiede allora la capacità di formulare un pensiero astratto, di ragionare su grandi idee e valori.
In alcune occasioni le domande filosofiche possono essere un vero e proprio “mood killer”, cioè rovinare il morale, mentre in altre sono il pretesto perfetto per avviare un dibattito avvincente.
Tali occasioni dipendono, ovviamente, dalle persone con cui ti trovi.
Alcuni di noi sono tendenti al cinico e preferiscono parlare di fatti concreti, altri amano fare gossip e incentrare le conversazioni sui trend del momento.
Le domande esistenziali sfondano una porta aperta con i tipi riflessivi, intellettuali, forse un po’ sensibili, ma di sicuro curiosi.
Rassicurati che ci sia il tempo di approfondire il discorso di prima di fare una delle domande che stai per leggere dunque, e che la persona che hai di fronte sia aperta mentalmente.
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La parola “esistenziale” ha a che fare con tutto ciò che ruota attorno all’esistenza, quindi di argomenti che possono essere ritenuti tali ce ne sono tanti.
Domande esistenziali per eccellenza sono quelle sulla vita e la morte ma non dobbiamo essere per forza così deprimenti.
Personalmente, mia piace fare domande sul senso della vita di ognuno e sulle motivazioni che spingono le persone a fare quello che fanno.
Altre domande potrebbero essere incentrate sulla natura di un determinato aspetto della vita come le relazioni interpersonali, l’amore, il senso di colpa o la sofferenza.
Argomenti del genere sono semplicemente meravigliosi perché ci permettono di capire come gli altri elaborano la realtà, aiutandoci ad arricchire la nostra prospettiva.
Ecco dunque la nostra lista di domande esistenziali divise per categoria.
Ci sono quelle incentrate sulle relazioni e più filosofiche. Le domande sulla vita e la morte per rendere seria la discussione e alcune un po’ divertenti per alleggerirla.
1. Quali grandi cambiamenti potranno sconvolgere il futuro dell’uomo sulla terra?
Dopo la pandemia del Covid è divenuto chiaro che la vita su questo pianeta è molto più incerta di quanto pensassimo.
C’è il rischio ambientale, quello delle guerre e delle continue crisi economiche, ognuno dei quali ha la possibilità di stravolgere il modo in cui viviamo.
2. Le persone hanno il diritto di essere felici o dovrebbero guadagnarselo?
In altre parole, dobbiamo necessariamente fare sacrifici per costruire la vita che vogliamo, o è possibile che la nostra felicità venga maggiormente garantita e protetta dallo stato come diritto costituzionale?
3. Se potessi modificare geneticamente gli esseri umani per renderli persone migliori cosa cambieresti?
Una domanda su cui si sono interrogati diversi filosofi, e che rimanda all’antico dibattito sulla natura umana, sulla bontà e la cattiveria dell’uomo.
4. Il fine giustifica davvero i mezzi o ci sono delle eccezioni?
Importa come arrivi da qualche parte purché ci arrivi? O il viaggio è più importante della destinazione? Cosa sacrifichi lungo la strada?
5. Credi nel destino o nel libero arbitrio?
Cioè, c’è una sorta di piano divino dietro le nostre vite o tutto dipende dalle nostre e scelte strada facendo?
6. Siamo soli nell’universo?
Credi negli alieni o nella presenza di altre forme di vita in altri pianeti?
6. Quali sono gli elementi fondanti di una relazione sana e duratura tra due persone?
7. Esiste il vero amore? Come si potrebbe definire?
8. Nei rapporti con il prossimo è meglio essere egoisti o altruisti?
Ci sono persone che pensano esclusivamente a sé stesse mentre altre sono proiettate verso gli altri. È possibile un equilibrio tra i due estremi?
9. Esiste una definizione di tradimento che va oltre quello sessuale?
10. Quali azioni per te significherebbero la fine definitiva di una relazione?
11. Esiste l’anima gemella?
12. È vero che l’amore supera ogni distanza?
13. Ci sono dei casi in cui le bugie sono ammesse o bisogna dire sempre la verità?
14. Cos’è la fiducia reciproca?
15. Credi in un potere superiore all’umanità come l’Universo o la legge dell’attrazione?
16. Pensi che l’etica umana sia appresa o naturale?
Abbiamo un innato senso di giusto e sbagliato o impariamo tutto da genitori, colleghi e società?
17. Come si misura il valore di una vita?
Quando una vita si può ritenere degna di essere vissuta? Alcune creature hanno più diritto alla vita di altre?
18. Come facciamo a sapere se stiamo facendo la cosa giusta?
19. Esiste un Dio e, in tal caso, qual è la sua natura?
Se qualcuno ci ha creati, perché? Dio vuole che siamo felici? Si preoccupa anche di noi?
20. Perché pensi che siamo qui?
Qual’è il ruolo degli esseri umani sulla terra?
21. È ciò che percepiamo la realtà o solo un costrutto delle nostre menti?
22. Che cos’è una persona, la mente o il corpo?
I nostri corpi pullulano di molecole e sostanze chimiche che ci influenzano in vari modi, ma si può dire che dettano loro i nostri pensieri e le nostre azioni? O abbiamo noi il controllo totale?
23. Se un albero cade nel mezzo della foresta e nessuno è in giro per ascoltarlo, emette un suono?
24. Qual è la differenza tra vivere ed esistere?
25. Perché le persone si feriscono a vicenda?
26. Cos’è la libertà?
27. Qual è il primo consiglio che daresti a un figlio sulla vita?
28. Dove pensi che andremo quando moriremo?
Paradiso o inferno? Smettiamo semplicemente di esistere? Siamo sfere di energia che hanno una capacità illimitata di muoversi nel tempo e nello spazio?
29. Da dove pensi che veniamo?
La razza umana si è evoluta? Dio ci ha creati a sua immagine? È successo qualcos’altro?
30. Esiste un modo giusto di affrontare la morte dei nostri cari?
31. Il suicidio è giustificabile?
32. Cos’è che dà significato e senso alla vita?
Troviamo tutti un significato in luoghi diversi. La risposta a questa domanda esistenziale può darti una buona idea di come gli altri vivono la loro vita.
33. L’umanità è diretta nella direzione giusta o sbagliata?
34. Il significato della vita è lo stesso per gli animali e gli esseri umani?
35. Quand’è che si cresce e si diventa pienamente adulti?
La legge dice che si diventa maggiorenni a 18 anni, ma l’esperienza dice che a quell’età alcuni di noi sono ancora molto immaturi. Quali sono le esperienze e attitudini che ci rendono grandi?
36. Cosa significa vivere una buona vita?
Felicità personale? Relazioni significative? Lasciare il mondo in un aspetto migliore rispetto a quando sei arrivato?
37. Si può vivere con poco ed essere felici?
38. Chi chiude la porta dell’autobus dopo che l’autista è sceso?
39. Di che colore sono gli specchi?
40. Esiste un sinonimo della parola “sinonimo”?
41. Qual era il nome di Capitan Uncino prima che avesse l’uncino?
42. Se un vampiro mordesse uno zombie sarebbe lo zombie a trasformarsi in vampiro o il vampiro a trasformarsi in zombie?
43. Se dovessero colpirti con un dizionario verrebbe considerata violenza fisica o verbale?
44. Se la vendetta è un piatto che va servito freddo ed è dolce, vuol dire che è un gelato?
45. Se il genio della lampada dice che puoi solo esprimere tre desideri e non più, puoi usare uno di questi per desiderare un altro genio?
46. Se noi diciamo “o mio Dio”, allora Dio dice “o Me Stesso?
47. E se fosse l’ossigeno che rende la nostra voce più profonda mentre l’elio la riporta alla normalità?
48. Perché è impossibile starnutire con gli occhi aperti?
49. Perché sogniamo?
50. Se gli uomini discendono dalle scimmie, perché ci sono ancora le scimmie?
estremamente provocatorio. rispondono le individualità ?
L’intelligenza emotiva è ormai un’abilità internazionalmente riconosciuta nel mondo della psicologia e dell’organizzazione aziendale.
Il termine è stato utilizzato per la prima volta negli anni 80, quando lo psicologo Howard Gardner introdusse i concetti di:
È stato però il giornalista scientifico Daniel Goleman a rendere l’intelligenza emotiva famosa a seguito della pubblicazione del suo libro “Intelligenza Emotiva: che cos’è e perché può renderci felici”.
Nel testo Goleman spiega perché il quoziente intellettivo non basta a garantire la performance nel lavoro e il benessere nella vita, in quanto a governare le nostre scelte è spesso una miscela di autocontrollo, perseveranza, empatia e attenzione agli altri.
Indice
Ci sono diverse teorie di riferimento che spiegano cos’è l’intelligenza emotiva e in misure diverse tutte la descrivono come una serie di competenze che gli individui usano per gestire le loro emozioni e le loro relazioni interpersonali.
In parole semplici, l’intelligenza emotiva è l’abilità di riconoscere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, nonché l’abilità di usare questa consapevolezza per meglio gestire il proprio comportamento.
Il motivo per cui ciò ci può rendere felici è semplice.
Le emozioni spesso prendono il meglio di noi, ci portano a sabotare le chance di riuscita e a dire o fare cose di cui spesso ci pentiamo.
Grazie all’intelligenza emotiva possiamo evitare che ciò accada e fare scelte che siano guidate dal buon senso e dalla consapevolezza di chi siamo veramente più che dall’impulsività o dalla paura.
Quando facciamo cose che amiamo e che ci rispecchiano la prima conseguenza è il benessere e la serenità mentale.
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Tutto quello che vediamo, odoriamo, sentiamo, tocchiamo o assaggiamo viaggia attraverso il nostro corpo attraverso una serie di segnali elettrici.
Questi segnali passano da cellula a cellula fino a quando non raggiungono il nostro cervello, dove entrano alla base, nel midollo spinale, passano per il sistema limbico, dove vengono prodotte le emozioni, e arrivano finalmente al lobo frontale, la sede del pensiero logico e razionale.
Ne consegue che…
…prima ancora di poter valutare la realtà razionalmente la “sentiamo” emotivamente, reagendo agli stimoli esterni con il centro emotivo e poi con quello logico.
Questo è il motivo per cui a volte è difficile controllarsi e nei momenti di rabbia si tendono a dire cose che non si pensano sul serio.
La ragione viene “bloccata” dalle emozioni e non ha la possibilità di valutare le informazioni per scegliere la reazione appropriata.
L’intelligenza emotiva non fa altro che accorciare questo divario e favorire la comunicazione tra il centro emotivo e il centro razionale del cervello.
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Come abbiamo già detto, l’intelligenza emotiva parte dalla capacità di riconoscere le emozioni, che vuol dire anche saper dare un nome a quello che proviamo.
Seppur ci sia una moltitudine di parole con cui esprimerle, tutte le emozioni derivano da 5 stati emotivi fondamentali:
Tutto ciò che viviamo nella nostra vita quotidiana, che sia nel lavoro, con gli amici, in famiglia o in amore, ci induce a provare un diverso livello di intensità di una di queste emozioni.
La capacità di comunicare chiaramente le proprie emozioni senza offendere viene chiamata assertività ed è una componente fondamentale dell’intelligenza emotiva.
Senza assertività si rischia di proiettare le proprie emozioni sugli altri e persino di arrivare a perdere il controllo delle proprie parole e azioni.
Per fare un esempio, una persona insicura in amore ha paura di essere abbandonata, ma scambia l’ansia per insoddisfazione e se la prende con il partner senza apparente motivo (diventando geloso e facilmente infastidito).
Da qui nasce una serie di liti che inquinano la serenità della coppia e inaspriscono il rapporto.
Basta davvero poco a farsi dirottare dalle emozioni, per questo bisogna chiamarle per nome, avere il coraggio di scoprire e dire apertamente ciò che si prova.
Ammettere a sé stessi di essere spaventati, infelici o mortificati ci consente di provare a capire come usare questa emozione per cambiare le circostanze interne ed esterne.
Rispetto al rapporto con gli altri, invece, la verità su quello che proviamo avrà un effetto liberatorio e ci aiuterà ad avvicinarci di più a chi amiamo.
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Alcune esperienze producono emozioni che riusciamo a riconoscere immediatamente, mentre altre sembrano non avere nessun impatto.
L’evento che scatena una reazione emotiva viene chiamato “trigger” che letteralmente vuol dire “grilletto” (la causa dell’esplosione dell’emozione).
La reazione a determinati trigger dipende in gran parte dalla nostra storia personale e dalla nostra infanzia.
Come nel caso di prima, alcune persone hanno un inconscio terrore di essere abbandonate, così reagiscono irrazionalmente ogni volta che un qualsiasi evento (come la non-risposta a un messaggio) gli ricorda di questa eventualità.
Altre sono eccessivamente sensibili alle ingiustizie e si indignano senza dare il beneficio del dubbio o provare a valutare meglio una situazione.
Quando si lavora sull’intelligenza emotiva si acquista la capacità di riconoscere gli eventi grilletto così da poter controllare le emozioni sul nascere.
Con questo non si sta dicendo che si diventa completamente razionali e privi di emotività.
Semplicemente, la persone emotivamente intelligenti hanno la libertà di scegliere come reagire a un determinato trigger.
Possono decidere di seguire il corso d’azione dettato dal centro emotivo o andare per la via più razionale.
La cosa essenziale è che grazie all’intelligenza emotiva smetteranno di essere schiave dell’impulsività.
Lavorare sulla propria intelligenza emotiva conviene non solo in termini di miglior benessere mentale e qualità della vita, ma anche in termini di performance nel lavoro.
Si stima infatti che l’intelligenza emotiva sia responsabile per il 58% della prestazione lavorativa in tutti i tipi di lavoro e che sia il più grande fattore di supporto alla leadership ed eccellenza personale.
Le persone con alti punteggi di intelligenza emotiva guadagnano di più, con una media di 29,000 dollari in più all’anno.
Fonte
Inoltre, secondo gli esperti, si tratta di una qualità indispensabile per la carriera, ancora più importante di un alto quoziente intellettivo.
Aiuta a gestire meglio lo stress e le relazioni nell’ambiente lavorativo, e favorisce l’acquisizione delle soft skills tanto necessarie a svolgere meglio le proprie mansioni.
Ma andiamo più a fondo.
In cosa consiste esattamente l’intelligenza emotiva?
Per cominciare, essa è composta da due competenze principali:
Le competenze personali sono la consapevolezza di sé e l’autocontrollo, che includono l’abilità di riconoscere le proprie emozioni e controllare il proprio comportamento.
Le competenze sociali sono la consapevolezza sociale e la gestione delle relazioni interpersonali, in cui c’è anche la capacità di comprendere gli umori, le motivazioni e i comportamenti degli altri.
La consapevolezza è un’abilità fondamentale per l’intelligenza emotiva in quanto da essa dipendono anche le altre competenze.
In sostanza, essere consapevoli significa conoscere la propria natura, le motivazioni e tendenze, nonché gli eventi che scatenano le nostre reazioni emotive.
Non si tratta dunque di scoprire degli oscuri segreti o traumi inconsci, ma piuttosto di sviluppare una chiara visione delle nostre potenzialità e dei nostri punti deboli.
Quando siamo consapevoli abbiamo più possibilità di rincorrere le giuste opportunità, sfruttare al meglio i nostri talenti ed evitare che emozioni come la paura ci impediscano di trovare il senso della nostra vita.
Se la consapevolezza ha a che fare con quello che sappiamo di noi stessi, l’autocontrollo è direttamente correlato al modo in cui utilizziamo questo sapere per dirigere il nostro comportamento.
Come dice il vecchio detto, sapere e non agire equivale a non sapere.
Se dunque conosciamo la nostra tendenza verso l’invidia o il rancore e non facciamo nulla per contrastarli quando sorgono è come se non ne fossimo consapevoli affatto.
Chi è in grado di controllarsi riconosce l’emergere di un’emozione negativa e riesce a usare il pensiero razionale per convincere sé stesso a non dire o fare ciò che l’emozione stessa spingerebbe a dire o fare.
La consapevolezza sociale è l’abilità di percepire accuratamente gli stati emotivi di altre persone e capire con esattezza cosa gli sta accadendo.
Ciò implica anche la capacità di comprendere cosa sentono e pensano anche quando non lo condividiamo o la pensiamo allo stesso modo.
Gli elementi principali della consapevolezza sociale sono l’ascolto e l’osservazione.
Chi sa ascoltare e osservare sa spostare la sua attenzione dai propri pensieri a quelli degli altri.
In altre parole, sa cambiare prospettiva e mettersi nei loro panni così da poter essere più comprensivo e calmo.
Milioni di persone al giorno d’oggi ignorano l’impatto che il loro comportamento ha sugli altri.
Capita spessissimo di interagire nella vita e sui social con chi ha poca empatia, con chi mette i propri bisogni davanti al resto o con chi denigra e manca di rispetto.
La capacità di gestire le relazioni interpersonali serve proprio a costruire un mondo più pacifico e delle relazioni più sane.
Chi ha poca intelligenza emotiva tende a fare due scelte nei momenti di scontro: evitare il confronto diretto o rispondere alle provocazioni in maniera passivo-aggressiva.
A casa o in ufficio entra in disaccordo con gli altri e quando non sa gestire la propria rabbia sceglie di sfogarla su di loro.
Chi è dotato di intelligenza emotiva, invece, sa evitare di cedere alla tentazione di attaccare ed è guidato dalla motivazione di comprendere l’altro piuttosto che sconfiggerlo o umiliarlo.
Le persone che hanno intelligenza emotiva sono particolarmente sensibili, coscienti e attente.
Fanno parte di quel tipo di persone con cui è facile avere a che fare e chi ti ispirano fiducia.
A differenza di coloro che hanno un basso QE ci sono alcune cose che non fanno, per esempio:
Il criticismo fine a se stesso è una forma di auto-condanna perché, come diceva l’arcivescovo Fulton Sheen, proviamo a raddrizzare le foto dei nostri muri dicendo ai nostri vicini che le loro sono storte.
Pre-occuparsi vuol dire letteralmente occuparsi prima del tempo, ed è un’attività nociva in quanto non risolve i problemi di domani ma depriva oggi della sua gioia.
Come dice Dostoyevsky pensare troppo è una malattia, che ci inquina la mente e ci impedisce di voltare lo sguardo alla realtà che abbiamo davanti gli occhi.
Le aspettative irrealistiche sono una delle motivazioni principali per cui la gente non riesce a essere felice. Che siano di nostra creazione o imposte dagli altri, aspettative del genere semplicemente ci rendono cechi a nostri stessi reali bisogni.
Infine, coloro che hanno intelligenza emotiva si assumono la responsabilità delle proprie azioni e dei loro sbagli.
Non si nascondono dietro a un dito dicendo frasi del tipo “non posso farci nulla se sono fatto così” o “non ci ho visto più dalla rabbia”.
In altre parole, non incolpano le emozioni per quello che gli accade, perché sanno che non sono queste a controllare noi, ma viceversa.
Abbiamo detto all’inizio che l’intelligenza emotiva riguarda la comunicazione tra il centro emotivo del nostro cervello e il centro razionale.
Quello che non abbiamo accennato è che più questa comunicazione viene allenata e più si potrà sviluppare il “muscolo” dell’intelligenza emotiva.
Il nostro cervello infatti è flessibile e altamente malleabile, e può per questo diventare più forte, cioè imparare a modificare le proprie reazioni automatiche a determinati stimoli.
Ciò equivale letteralmente a costruire massa muscolare attraverso il sollevamento pesi.
Ma mentre l’allenamento fisico equivale all’aumento di muscoli, l’allenamento mentale dell’intelligenza emotiva equivale all’aumento di consapevolezza, autocontrollo e capacità di gestione delle relazioni.
I benefici di questo allenamento sono indiscutibili e comprovati.
Oltre all’impatto sulla performance nel lavoro chi è in grado di sviluppare la propria intelligenza emotiva può:
Ci sono diversi modi di migliorare la propria intelligenza emotiva, dal life coaching ai viaggi, dalla terapia cognitivo-comportamentale alla lettura di romanzi o libri di psicologia positiva.
In sostanza, tutto ciò che può ampliare i nostri orizzonti e la nostra apertura mentale ci può aiutare a migliorare le competenze personali e interpersonali.
Se però si vuole provare un metodo più strutturato, uno molto valido è quello proposto dal libro Intelligenza emotiva 2.0, di Travis Bradberry e Jean Greaves.
Intelligenza emotiva 2.0 rivela il rivoluzionario programma della TalentSmart, studiato per aiutare le persone a identificare le loro capacità personali e interpersonali, e a trasformarle in punti di forza nel perseguimento dei loro obiettivi.
Si tratta di collaudate strategie pratiche, considerate estremamente efficaci dai massimi dirigenti di aziende di tutto il mondo, e frutto di oltre un decennio di ricerca.
Il primo step dell’allenamento è capire come funziona il test dell’intelligenza emotiva e trovare quello più adatto a noi per individuare accuratamente le competenze su cui lavorare.
Si può scegliere di fare un test autonomo (auto-valutazione) o contattare professionisti del settore (come Six Seconds) per una valutazione più accurata.
Su questo blog è disponibile un test che è stato creato prendendo spunto da quattro diversi questionari di intelligenza emotiva, contiene 40 domande e ci vogliono meno di 10 minuti per completarlo.
VAI AL TESTQuando si finisce il test appariranno dei risultati relativi al livello di competenza nelle quattro aree di intelligenza emotiva.
Per iniziare l’allenamento si parte dalle abilità in cui si è ottenuto il risultato peggiore, e lo si può fare leggendo le strategie previste dal programma di TalentSmart:
Il programma prevede la scelta di 3 strategie per ogni area. Dopodiché ci si dovrebbe dedicare all’utilizzo di queste strategie nella nostra vita quotidiana e al monitoraggio di come il nostro comportamento cambia grazie ad esse.
Con il suo lavoro, Goleman ha messo a fuoco per la prima volta l’importanza delle componenti emotive anche nelle funzioni più razionali del pensiero.
Per lui l’intelligenza emotiva è una capacità insita in ognuno di noi, che può essere sviluppata, perfezionata e trasmessa per migliorare il proprio rapporto con sé, con gli altri e con le realtà che viviamo ogni giorno.
Con una scrittura accattivante e scorrevole, Goleman ci mostra la via per ottenere sempre il massimo da noi stessi.
Formato Kindle 7,99€Per la maggior parte delle persone le emozioni restano ancora un mistero.
Come se le emozioni fossero forze oscure che hanno il potere di impossessarsi di noi e guidare il nostro comportamento indipendentemente dal nostro volere.
Per fortuna, però, non è così.
In questo libro Giulia Nobili spiega come governare i meccanismi che regolano le emozioni per esprimere al meglio il proprio potenziale.
Formato Kindle 3,99€Psicologo noto in tutto il mondo per i suoi studi sul ruolo delle emozioni nella crescita e nel rapporto tra genitori e figli, John Gottman mostra in questo libro come i genitori possono diventare dei bravi “allenatori emotivi”.
Servendosi di test, esercizi ed esempi tratti dalla vita quotidiana, l’autore ci insegna a riconoscere le emozioni dei figli, a comprendere le ragioni alla base dei loro comportamenti e a guidarli verso uno sviluppo autonomo delle proprie idee e dei propri talenti.
Formato Kindle 6,99€Con la gestione delle relazioni interpersonali si conclude l’allenamento delle 4 competenze di intelligenza emotiva.
Le relazioni con i colleghi di lavoro, i familiari e gli amici si fondano sulla consapevolezza sociale e il rispetto dei bisogni altrui, senza i quali affioreranno facilmente dissidi e fraintendimenti.
Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali e inter-personali.
Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva in questa guida.
Essere aperti vuol dire condividere sé stessi con gli altri, non aver paura di svelare insicurezze e di mostrarsi vulnerabili.
Essere curiosi invece vuol dire dare il beneficio del dubbio ed evitare di etichettare, di ridurre le persone che incontriamo a delle categorie sulla base di quello in cui credono o che fanno.
Ogni individuo è molto di più della sua appartenenza politica o religiosa.
Siamo esseri complessi e pieni di contraddizioni, dopo tutto, e dietro ognuno di noi c’è una storia da raccontare.
Tratta ogni relazione interpersonale con l’animo di chi è disposto a scoprire questa storia e non con l’animo di chi pensa di averla già letta.
Come comunichi con le persone? Preferisci scrivere, chiamare, parlare di presenza?
Ti piacciono le conversazioni brevi o ti piace passare ore a discutere di un argomento?
Considera il modo specifico in cui comunichi, che può essere aggressivo, timido, contorto, semplice, diretto.
Quando parli con qualcuno dici chiaramente cosa provi o ci giri intorno? Come vieni recepito di solito dagli altri?
Queste sono domande essenziali a cui rispondere per poter poi migliorare il proprio stile comunicativo.
Interrogati sugli aspetti della tua comunicazione che non vengono recepiti favorevolmente dagli altri e poi prova a pensare a cosa potresti fare di diverso.
Leggi anche: Identikit di un amore non corrisposto
Essere chiari con la propria parola è un prerequisito fondamentale per ottenere la fiducia altrui.
Dì chiaramente cosa pensi e cosa vuoi, per evitare di sembrare insicuro ma anche per evitare di restare deluso quando la tua volontà viene fraintesa.
Non ci facciamo nemmeno caso a volte, eppure basta un “grazie” o “buona sera” o “mi dispiace” per avere un impatto positivo sulle persone.
In quei preziosissimi frangenti in cui si formula un’impressione di chi abbiamo davanti, un sorriso o un po’ di sincera cordialità può fare la differenza.
E poi ricorda, non sai mai chi ti potrà capitare davanti un giorno, quindi è sempre meglio sviluppare l’abitudine di essere gentili con tutti.
Ci sono due tipi di criticismo, quello distruttivo, fatto da chi non ha a cuore la tua crescita e parla solo per mostrare la sua superiorità, e quello costruttivo che viene invece fatto da chi ti vuole del bene.
Il primo tipo di criticismo va ignorato per quanto possibile, evitando di darci troppa importanza o attaccare il mittente.
Il secondo tipo di criticismo invece va riconosciuto e accettato.
Le critiche sono di solito uno spunto perfetto per litigare e adottare atteggiamenti altamente lesivi come quelli passivo-aggressivi.
Se invece si mette l’orgoglio da parte e si ascolta ciò che l’altro ha da dire possono avere l’effetto opposto, di solidificare il livello di fiducia nelle relazioni interpersonali.
Leggi anche: La solitudine oggi, da dove nasce, cosa comporta e come si può combattere
Altri modi di costruire la fiducia sono il mantenere la parola data e l’essere disponibili a condividere le verità più intime.
Con un po’ di pazienza questa fiducia si trasformerà nel tempo in affidabilità e connessione.
E sono le persone di cui ci possiamo fidare che rappresentano la vera ricchezza della vita.
Riconoscere le emozioni degli altri è una qualità che fa capo all’empatia e all’ascolto attivo.
Per farlo non c’è bisogno di fare da specchio agli altri e mostrare loro di stare provando le stesse emozioni.
Pensa a come sarebbe l’assistenza clienti se gli operatori telefonici si arrabbiassero insieme ai chi li chiama o se gli psicoterapeuti si angosciassero per i problemi dei pazienti.
Le emozioni di uno farebbero da cassa di risonanza per le emozioni dell’altro e il mondo diventerebbe un posto estremamente volubile.
Per questo serve che qualcuno si elevi dalle emozioni e che le guardi con curiosità e accettazione, che riconosca da dove vengono e che mostri alla persona tutta la sua comprensione.
Solo così si disinnescano le emozioni, soprattutto quelle negative.
Così come basta un po’ di cordialità per fare una buona impressione, basta mostrare un po’ di interesse per guadagnare punti di simpatia nelle relazioni interpersonali.
Per rafforzare una relazione importante servono sia le parole che le azioni, come un lungo messaggio sentito, un regalo inaspettato o dei fiori.
Quando sono fatte con tatto le azioni che mostrano interesse vengono ben ricevute e apprezzate.
Quando prendiamo delle decisioni che hanno un impatto sugli altri e non le spieghiamo alle stesse persone coinvolte rischiamo di farli sentire poco importanti.
E quando una persona si sente poco importante di solito tende a ritirarsi, difendersi o ad attaccare.
Per evitare che ciò accada coinvolgi gli altri nei tuoi processi decisionali facendo loro capire che ci tieni al loro punto di vista.
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Se ti trovi ad avere una discussione con un partner o collega non provare a vincere a tutti i costi.
Di solito quando la gente percepisce che il tuo intento è avere ragione faranno di tutto per difendersi e non ne uscirete vivi.
Se invece mostri di avere la sincera intenzione di trovare un accordo e che tieni di più ad avere un buon rapporto che a vincere, saranno più disponibili e aperti nei tuoi confronti.
Proponi soluzioni che possono migliorare la situazione e che abbiano dei benefici per entrambi, vedrai l’altro non avrà altra scelta che abbassare l’ascia di guerra.
Non serve a nulla evitare un confronto, specialmente quando riguarda una situazione delicata o ne dipende il destino stesso della relazione.
Non avere paura di avere conversazioni difficili e quando ti capitano affrontale sempre con l’attitudine di chi vuole aiutare a risolverla.
Evita a tutti i costi i commenti spigolosi e le uscite di scena furiose.
Seppur ti diano l’illusione di aver avuto l’ultima parola ti assicuro che non durerà molto e, quel che è peggio, se continui per quella strada non farai altro che pregiudicare ulteriormente la relazione.
Se dici a qualcuno di voler fare una cosa, falla. Se prometti che farai una cosa, falla.
In alternativa, non promettere e non dire.
O al massimo, utilizza il fatto di aver condiviso un intenzione con qualcuno come un fattore di motivazione per portare a termine ciò che ha detto di voler fare.
Così facendo prenderai due piccioni con una fava: avrai mantenuto la parola data e mostrato a te stesso un modo di raggiungere un obiettivo.
Tutti hanno il diritto di provare emozioni, quindi se ti capita di trovarti nel mezzo di uno sfogo non provare a contrastarlo, negarlo o risolverlo.
Limitati a essere presente e disponibile.
Ricorda di guardare le emozioni dall’alto e di essere curioso nei loro confronti.
Vedrai che aumenterai la tua consapevolezza e abilità sociale.
Rendersi accessibili agli altri, nel senso di rispondere alle chiamate o ai messaggi e di dire di sì, è un tratto comune alle persone più socievoli e amate.
Una persona inaccessibile, che ignora le richieste di attenzione o non fa favori a nessuno, alla lunga finirà per avere meno amici o per non averne affatto.
Chi invece è aperto e disponibile agli altri potrà godere dello stesso trattamento quando sarà lui ad aver bisogno di una porta aperta.
Per concludere, non potremo mai allenare le nostre abilità sociali se non facciamo parte di una “comunità”, ovvero di un gruppo di persone a cui siamo legati da qualcosa di più che la semplice cittadinanza o cultura.
Che sia il gruppo di persone con cui lavori o l’associazione di cui fai parte, impara a riconoscere le situazioni in cui devi lasciare che siano gli altri a guidare e quando invece è il tuo turno di impegnarti.
Il mondo non è fatto di satelliti solitari, non potremo mai essere felici e abili socialmente se pensiamo solamente a noi stessi.
Per questo per crescere come esseri umani bisogna anche provare cosa vuol dire essere uno fra tanti, un pezzo di un insieme con caratteristiche uniche, ma pur sempre eguale agli altri.
Ecco dei link utili per continuare la lettura sulle relazioni e l’intelligenza emotiva:
Per misurare il tuo livello di abilità sociale vai al Test online d’intelligenza emotiva.
Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo).
Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).
I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni interpersonali.
Formato KindleLe parole che Carnegie suggerisce non sono divagazioni teoriche di un esperto in relazioni interpersonali, né capitoli di un altisonante trattato di psicologia: semplicemente sono consigli che hanno un immediato utilizzo pratico sul lavoro, in casa, negli affari e nei rapporti sociali in genere.
In uno stile colloquiale e piacevole Carnegie dà una soluzione ai problemi di tutti i giorni che nessuna scuola prepara ad affrontare.
Formato Kindle 6,99€Ci sono numerosi test di intelligenza emotiva a disposizione online e offline, ognuno con un diverso approccio e modello teorico.
Un comune denominatore tra loro è il fatto di essere basati sulla valutazione di competenze che non rientrano negli scopi dei test di intelligenza tradizionali, ovvero quelli mirati a valutare il quoziente intellettivo (QI).
Negli ultimi decenni del secolo scorso, infatti, scienziati e ricercatori hanno capito che il QI non basta a fare un quadro completo delle competenze di una persona e, cosa più importante, che non basta a evitare i fallimenti nella vita.
Così già partire dagli anni 80 si è iniziato a parlare di altre forme di intelligenza, tra le quali una particolare attenzione fu posta sull’intelligenza emotiva e il rispettivo quoziente emotivo (QE).
Seppur l’intelligenza emotiva venga generalmente vista come la capacità di gestire e comprendere le emozioni, gli aspetti specifici e dunque i loro criteri di misurazione cambiano da modello a modello.
I due modelli principali che vengono utilizzati da molti test di intelligenza emotiva sono quello di Mayer-Salovey e quello di Goleman.
Gli psicologi statunitensi Peter Salovey e John D. Mayer sono stati tra i primi a offrire, negli anni 90, una definizione precisa di intelligenza emotiva, intesa come “la capacità di ragionare sulle emozioni e delle emozioni, e di facilitare il pensiero”.
Il loro test d’intelligenza emotiva, l’Emotional Intelligence Test (2.0) è composto da 141 domande mirate a testare 4 tipologie principali di abilità personali:
Come già accennato nella guida completa per comprendere l’intelligenza emotiva, Daniel Goleman è stato lo scrittore che più di tutti ha popolarizzato il QE in occidente, tanto che adesso viene persino considerato un requisito fondamentale per raggiungere l’eccellenza personale e lavorativa.
L’intelligenza emotiva per Goleman comprende 5 aspetti fondamentali:
Leggi anche: Enneagramma test della personalità online: scopri il tuo enneatipo
Per testare l’intelligenza emotiva sulla base del modello Mayer-Salovey si utilizza il Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test (MSCEIT) che è basato su una serie di problemi emotivi e situazioni che mettono alla prova le 4 tipologie di abilità previste dal modello stesso.
Gli strumenti principali per misurare l’intelligenza emotiva sulla base del modello Goleman sono invece l’Emotional Competency Inventory (ECI) o l’Emotional and Social Competency Inventory (ESCI) e l’Emotional Intelligence Appraisal.
Come già le altre forme di intelligenza quella emotiva non è una caratteristica innata ma qualcosa che si può allenare.
Visto che i test di solito danno dei risultati specifici per le varie competenze (oltre che un risultato generale), facendo il test di intelligenza si può acquistare consapevolezza delle aree che necessitano attenzione per poi lavorarci sopra.
I test offrono l’opportunità di conoscere i propri punti deboli ma anche i propri punti di forza.
Per questo è essenziale rispondere alle domande nel modo più onesto possibile, per far sì che si possa ottenere un quadro accurato delle nostre abilità di comprensione e gestione delle emozioni.
Nota: nelle premesse dei test viene spesso raccomandato di riflettere su esperienze passate o chiedere aiuto a qualcuno nei casi in cui non si riesce a trovare la risposta più onesta a determinate domande.
Chiedere aiuto a chi ci conosce bene è particolarmente utile quando la persona non condivide i nostri pregiudizi e le nostre emozioni, e può essere anche un modo di scoprire utili verità su noi stessi.
Le affermazioni presentate nei test di intelligenza emotiva hanno lo scopo di metterci davanti a scenari di vita comune in cui è necessario conoscersi o controllarsi.
Tali situazioni possono mostrarci come affrontiamo:
Seppur ci siano dubbi sull’accuratezza di un test fondato sull’auto-valutazione, è stata riscontrata un’associazione rilevante tra le risposte date dai partecipanti e le effettive abilità emotive degli stessi (fonte).
Una valutazione obiettiva e completa dell’intelligenza emotiva richiede l’intervento di professionisti del settore (come Six-Seconds).
È possibile anche trovare diversi test online ma il problema con questi è che o sono gratuiti e troppo corti (tipo una decina di domande); o sono molto lunghi e complessi (o solo in inglese) e prevedono una forma di pagamento per avere il report finale completo.
Il test che state per fare è una mediazione tra i due estremi in quanto comprende domande prese da 4 diversi test e questionari di intelligenza emotiva (per arrivare a un totale di 60):
Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo).
Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).
I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni interpersonali.
Formato KindleL’intelligenza emotiva ha insegnato a milioni di persone a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni; l’intelligenza psicologica le aiuta a comprendere le basi della personalità e del comportamento e a promuovere la crescita personale.
Perché facciamo determinate cose? La psicologia ci guida a conoscere meglio noi stessi (e gli altri) studiando e spiegando non solo i comportamenti, ma anche i valori, l’intelligenza, i gusti, la logica.
Per comprendere meglio il mondo della mente il dottor Ambridge ha scritto un libro scientifico, ma pieno di humour, in cui descrive gli 80 test psicologici più importanti e famosi, mostrandone i punti di forza e debolezza e le applicazioni concrete.
Formato Kindle 9,99€La consapevolezza sociale rappresenta la capacità di capire gli altri, nel senso che grazie a essa si sapranno individuare i loro stati d’animo e i motivi dei loro comportamenti.
Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali e inter-personali.
Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva, e il link per il test gratuito, in questa guida.
Uno studio del 2006 ha dimostrato che quando una persona sente il proprio nome si attivano delle parti del cervello che sono associate al riconoscimento della propria identità (come quando ci guardiamo allo specchio).
In parole semplici ciò vuol dire che chiamando le persone per nome le aiutiamo a rafforzare il loro rapporto con sé stessi dandogli così una forma di piacere.
Inoltre, quando mostriamo di ricordare il nome di chi incontriamo o di coloro con cui lavoriamo mostriamo di valorizzarli e li rendiamo più aperti nei nostri confronti.
Gli occhi, il viso e il corpo in generale comunicano molto di più di quanto dicano le parole.
Spalle alte o gambe incrociate comunicano tensione, mentre quando la persona con cui parliamo non mantiene lo sguardo fisso su di noi può voler dire che è distratta e ha altro per la mente.
Osservare questi piccoli gesti può aiutarci a scegliere il comportamento più appropriato.
Non chiedere un aumento quando sai che l’azienda non va bene e non provare a chiedere un favore a chi è arrabbiato.
Trova il momento giusto per fare domande e tieni sempre a mente la situazione in cui si trovano gli altri nel relazionarti a loro.
Leggi anche: Come migliorare la propria vita: 4 scelte fondamentali da fare
A volte le conversazioni non vanno come vogliamo, perché l’altra persona non sembra interessata o perché è timida e ci dà solo risposte monosillabiche.
Pensa in anticipo a quali domande possono essere ricevute bene da chi vuoi conoscere e usale quando ti serve un pretesto per alimentare la conversazione.
Prova a farci caso, quante volte durante una conversazione tra amici o colleghi rispondi a quello che dicono per parlare di te e non di loro?
Visto che molti di noi sono tendenzialmente incentrati su sé stessi è molto più facile che la prima parola che esca dalla bocca sia “io” e non “tu”.
E non c’è nulla di sbagliato in questo, solo che nei casi più estremi si potrebbe trattare di una forma di ego-ismo che implica l’incapacità di prestare sincera attenzione nonché di capire gli altri.
Se ti capita di organizzare un evento o di invitare degli ospiti a casa pianifica il più possibile così che poi tu possa goderti la serata senza stress.
Assicurati che non ci siano inimicizie tra gli invitati e, se devi offrire del cibo, che non ci siano intolleranze.
Nel creare l’ambiente adatto poni sempre l’attenzione sugli altri provando a pensare a cosa li farebbe sentire a loro agio.
Anche se hai l’istinto di buttarti nella conversazione per condividere la tua opinione fermati un attimo.
Lascia che l’altro finisca di parlare o, meglio ancora, aspetta che ti venga chiesto come la pensi.
C’è più piacere a dire la tua quando nel farlo soddisfi anche la curiosità altrui.
Vivere nel momento significa essere consapevoli dell’ambiente che ci circonda, delle persone e delle loro emozioni.
Ogni interazione sociale ti dà l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo sull’animo umano e sul modo in cui le persone vedono il mondo.
Evita le distrazioni il più possibile e quando sei in un meeting o scambi due battute amichevoli con un vicino di casa allenati a essere presente resistendo alla tentazione di pensare a quello che devi fare dopo.
Quando un collega o amico si comporta in modo indisponente sospendi l’istinto di giudicare e di pensare che si tratti soltanto del solito seminatore di zizzania.
Nessuno “fa i capricci” per niente.
Anche dietro i comportamenti più antisociali c’è sempre una velata richiesta di attenzione e se scopri da dove viene ti verrà più facile entrare in relazione con la persona piuttosto che renderla ancora più ostile.
Anche se il tempo passato a guardare film è per lo più passivo, c’è molto da imparare sull’evoluzione dei personaggi di una storia.
Quando osserviamo le interazioni nello schermo, infatti, ci esercitiamo involontariamente a leggere segnali sociali verbali e non verbali, a comprendere le intenzioni di una persona e a capire di chi fidarsi e non fidarsi.
A differenza della vita reale è molto più semplice farlo dal divano di casa perché non siamo direttamente coinvolti nella storia.
Leggi anche: 3 motivi per smettere di guardare il telegiornale
Quando sei al parco o in metropolitana fermati due minuti a osservare la gente (senza fissare ovviamente).
Vedrai che è possibile capire molte cose dal modo in cui gli altri si comportano in pubblico.
Ci sono situazioni, come quella del traffico, in cui diventiamo altamente agitati e passiamo dalla calma al piede di guerra nel giro di pochi istanti.
Queste sono le situazioni più adatte a imparare l’arte di mettersi nei panni degli altri e provare a immaginarsi il motivo per cui hanno fatto quello che hanno fatto.
Per esempio, se qualcuno ti ha tagliato la strada in circonvallazione pensa che forse stava andando in ospedale o che era in ritardo per prendere il figlio a scuola.
Le nostre emozioni a volte ci regalano momenti da ricordare ma altre volte ci fanno diventare la peggior versione di noi stessi.
Prova dunque a mitigare la loro spinta bellicosa con la comprensione e l’empatia.
Non c’è nulla di male a chiedere.
Se l’atteggiamento di qualcuno ti confonde e non vuoi fare supposizioni chiedi chiarimenti.
Vedrai che capire gli altri diventa più semplice quando sono loro stessi a spiegare i loro comportamenti.
Le relazioni in società sono fatte di moltissime regole non scritte ma che vanno comunque seguite.
Alcuni esempi sono:
Non si tratta di regole fisse e universali ovviamente, sono regole che si rifanno al buon senso e alla considerazione per gli altri.
Una regola d’oro da seguire sempre è di non trattare gli altri come non si vorrebbe essere trattati:
Fa questo anche se non ricevi lo stesso trattamento in cambio, e vedrai che col tempo le tue relazioni miglioreranno notevolmente.
Non ci sono scorciatoie.
Il miglior modo di capire gli altri e aumentare la propria consapevolezza sociale è ascoltare, veramente, le persone.
L’ascolto non è soltanto l’attività passiva di recepire il generale significato di quello che ti dicono, ma è una vera e propria attività che richiede l’utilizzo di tutte le tue facoltà mentali.
Per questo si parla di ascolto attivo come del segreto di tutte le relazioni sane.
Ascoltare attivamente vuol dire partecipare a quello che ci viene detto, mostrare di comprenderlo non solo con le parole ma anche con le emozioni.
Se è il caso, l’ascolto attivo può comportare l’assoluto silenzio, ma il nostro interlocutore capirà se si tratta di un silenzio di imbarazzo o di riflessione.
Quindi fai questo grande sforzo e se puoi prova a farla diventare un’abitudine. Ascolta gli altri.
Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo). Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).
I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione dei rapporti.
Formato KindleL’obiettivo di questo libro è di dare consigli PRATICI ed APPLICABILI sulla comunicazione non verbale, attraverso le migliori strategie tutt’ora in uso dagli psicologi più famosi al mondo.
Immagina quanto sarebbe diversa la tua vita se avessi la capacità di riconoscere con certezza se qualcuno sta mentendo o dicendo la verità.
Grazie a questo libro, scoprirai come analizzare da testa a piedi chi hai di fronte e interpretare correttamente i segnali involontari provenienti dal suo corpo.
Imparerai come decifrare il nostro linguaggio segreto, quello che non mente mai.
Formato Kindle 3,99€Grazie a questo libro, scoprirai esattamente le stesse tecniche usate dall’FBI durante gli interrogatori per analizzare qualunque persona, leggere la loro mente e capire se stiano mentendo o meno.
Conoscere queste tecniche ti darà un potere sconosciuto alla gente comune e potrai imparare informazioni che ti saranno utili per il resto della tua vita
Formato Kindle 3,99€La consapevolezza di sé è la competenza portante dell’intelligenza emotiva in quanto se non conosciamo noi stessi difficilmente potremo capire cosa ci rende felici.
Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali e inter-personali.
Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva in questa guida.
Spesso abbiamo la tendenza a giudicare noi stessi in termini molto estremi.
Il fatto è però che non c’è solo il bianco e il nero e le persone, noi stessi inclusi, non sono mai completamente cattive o completamente buone.
Evita di pensare che un errore ti renda incapace o che un fallimento definisca il tuo valore.
È normale sbagliare, provare rancore o senso di colpa così come è normale avere momenti in cui si vede tutto nero.
Sii equo con te stesso, così come lo saresti con un figlio o una persona a cui vuoi molto bene.
La chiave per comprendere meglio le emozioni è osservare il loro impatto sugli altri.
Nella solitudine infatti è difficile vedersi dall’esterno e rendersi conto delle azioni tossiche o idiote che ci fanno fare le nostre emozioni.
Ogni tanto bisogna avere il coraggio di vedere gli strascichi delle nostre abitudini disfunzionali sugli altri per poter acquisire la giusta consapevolezza di sé.
Al posto di evitare un’emozione scomoda (che ti mette a disagio) faresti meglio a guardarla da vicino con curiosità.
Quando scegli di ignorare un’emozione, come quando ti arrabbi per cose minuscole e non ti chiedi se c’è qualcosa che non va, ne diventi schiavo e l’amplifichi.
Al contrario, quando fai la cosa più difficile, cioè riconoscere che stai provando un’emozione negativa, puoi sfruttare l’opportunità per capire da dove viene e imparare a gestirla.
Visto che la mente e il corpo sono strettamente correlati, un ottimo modo di individuare le emozioni è notare i cambiamenti che esse provocano nel nostro fisico, magari in termini di postura o respiro.
Per esempio, un respiro corto è provocato da uno stato di tensione sottostante o ansia, mentre le braccia incrociate potrebbero comunicare un desiderio inconscio di proteggersi.
Presta attenzione a questi piccoli segnali e chiediti quale emozione rappresentano.
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È fondamentale sapere chi e cosa ti fa scattare, innervosire o arrabbiare, così da poter sviluppare l’abilità di mantenere la calma quando necessario.
Per farlo non puoi ragionare in termini generici.
Bisogna individuare nello specifico chi e cosa suscita in te emozioni negative.
Per esempio potrebbe essere un genitore o un parente che ti fa innervosire quando ti chiede perché non hai una relazione.
O il telegiornale che ti ricorda che c’è la crisi e ti fa temere di non poter trovare un lavoro stabile.
So che è difficile cambiare un’attitudine che possibilmente abbiamo impiegato anni a sviluppare.
Le nostre reazioni automatiche sono ormai parte integrante dei nostri ingranaggi mentali e non c’è nulla che io o nessun altro ti possa dire per farti smettere di provare certe emozioni o avere certi pensieri.
Sei tu l’unica persona a poter prendere l’impegno di smussare gli angoli e lo puoi fare solo se inizi a osservarti, cioè a smettere di identificarti completamente con quello che pensi e che provi.
La tecnica più consigliata per farlo è la meditazione, il cui scopo principale è farti capire che non sei l’emozione o il pensiero, ma colui, o colei, che li osserva.
È molto difficile sviluppare una prospettiva obiettiva delle nostre emozioni soprattutto quando ci troviamo nel loro mare mosso.
Grazie a un diario personale puoi facilmente notare quello che ti è successo e il modo in cui hai reagito senza essere offuscato dalla foga del momento.
In tal modo sarai libero di fare qualcosa di diverso la prossima volta che ti ritrovi nella stessa situazione.
Le emozioni cambiano tutto il tempo e il cattivo umore passerà se lo lasci fare.
Evita di prendere decisioni importanti quando sei nervoso, triste o arrabbiato.
Prova a ricordarti che, per quanto la realtà possa sembrare obiettivamente deprimente a volte, c’è la possibilità che siano soltanto le nostre emozioni a farcela vedere così.
Anche il buon umore può ingannare tanto quanto il cattivo.
L’eccitazione che si prova in alcune situazioni ci può portare a prendere decisioni impulsive, di cui poi ci potremmo pentire.
Per esempio, quando ci convincono che sia un affare sottoscrivere un abbonamento o fare un prestito.
I venditori più abili sanno come stimolare l’esagitazione e convincerci a fare scelte di fretta, con le cui conseguenze dovremo convivere anche dopo che l’entusiasmo sarà passato.
Dunque goditi le giornate di buon umore più che puoi, ma non fare promesse o prendere impegni che non vorrai mantenere in futuro.
La tua consapevolezza personale migliorerà di molto quando diventerà chiaro il motivo per cui fai quello che fai.
Prendi l’abitudine di fermarti e chiederti quale emozione sia alla base delle tue scelte, se il tuo lavoro e le attività che svolgi rispecchiano le tue priorità e i tuoi valori.
Se dalle tue riflessioni emerge un’incongruenza tra quello che fai e quello in cui credi hai due alternative: o cambi quello che fai o cambi quello in cui credi.
In altre parole, quando non puoi cambiare drasticamente la tua vita rivedi i tuoi valori e le tue priorità per adattarli alla vita che hai adesso.
Può darsi che avevi scelto quei valori per i motivi sbagliati o che sei cresciuto abbastanza da rimpiazzarli con dei nuovi.
Può darsi che non ha più senso preoccuparsi solo dei soldi e che è arrivato il tempo di pensare alla famiglia per esempio, o che bisogna allentare un po’ con i viaggi e pensare a mettere qualcosa da parte per comprare casa.
I valori non sono fissi, ma cambiano con noi e crescono man mano che cresce la consapevolezza di sé.
Ogni tanto guardati allo specchio, controlla il tuo corpo, la tua espressione facciale, i tuoi vestiti o anche i tuoi capelli.
Qual’è il tuo umore? Come ti senti?
Sei in forma ed energico o ti senti trasandato e giù di morale?
Controllati come controlleresti un figlio o una persona a cui tieni.
Quando le parole di una canzone risuonano dentro di te non dicono soltanto quello che dicono ma ti comunicano anche qualcosa che hai già dentro.
Lo stesso vale quando ti colpisce il protagonista di un libro o di un film: magari ha degli aspetti che vorresti avere o ti assomiglia in qualche modo.
A volte non riusciamo a dar voce a un pensiero o a una emozione fino a quando non ce la ritroviamo davanti.
Non sempre il modo in cui vediamo noi stessi coincide con il modo in cui ci vedono gli altri.
Cercare un consiglio o chiedere a qualcuno una prospettiva alternativa su noi stessi può mostrarci dei lati di noi che prima erano inaccessibili.
Seppur rimuginare con malinconia sul passato sia un’attività in sé dannosa, se viene fatto con l’intenzione di riconnettersi con sé stessi può invece essere utile.
I cimeli dell’infanzia e dell’adolescenza, come vecchie foto o lettere, ti fanno vedere com’eri e, di conseguenza, cosa è cambiato rispetto a prima.
Ti potrebbero ricordare che hai sempre avuto una particolare passione o che c’è stato un tempo in cui ti bastava una giornata di sole per essere felice.
Cosa più importante, potresti trovare la motivazione che ti mancava a perseguire un obiettivo ambizioso quando riscopri che nel periodo più puro e spontaneo della tua vita eri ancora capace di sognare.
Ecco dei link utili per continuare il percorso di auto scoperta:
Se non l’hai già fatto vai al test dell’intelligenza emotiva per misurare il tuo livello di consapevolezza di sé.
Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo). Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).
I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni interpersonali.
Formato KindleRiconoscere in noi stessi gli stili e gli atteggiamenti del bambino che siamo stati è importante perché essi continuano ad agire nella nostra vita adulta causandoci spesso sofferenza e difficoltà.
Gli schemi psicologici introiettati dai nostri genitori con l’educazione sono i più diversi: il perfezionismo (e tu allora devi lottare per “fare ancora meglio”), la coercizione (e tu allora tendi a rimandare), la remissività (e tu allora sei impulsivo), l’eccessiva indulgenza (e tu allora sei sempre insoddisfatto), l’abbandono (e tu allora non riesci a provare un senso di “appartenenza”), il rifiuto (e tu allora cerchi di isolarti e ne soffri) ecc.
Affrontando questi schemi, è possibile imparare a gestire le relazioni interpersonali e il rapporto con se stessi.
Copertina flessibileCiao grazie per questo articolo, soffro di dispnea dà ansia/stress e cerco dei metodi di uscirne. Volevo dire che manca il punto nr 5
L’autocontrollo è la parte “pratica” della consapevolezza di sé. Ha a che fare con l’autoregolazione delle proprie emozioni e la capacità di resistere alla tentazione di fare/dire stupidaggini quando agitati.
L’autocontrollo è talmente importante nella vita di ciascuno di noi che un famoso esperimento degli anni 70 ha dimostrato che chi non ce l’aveva da piccolo ha avuto meno successo da adulto rispetto a chi ce lo aveva.
L’esperimento di cui stiamo parlando fu condotto dallo psicologo Walter Mischel all’università di Stanford.
In breve, dei bambini di scuola materna furono portati in una stanza dei giochi insieme a un esaminatore.
A un certo punto l’esaminatore lascia la stanza, ma prima di andarsene chiede a ogni bambino se vuole avere un marshmallow subito o due quando ritorna.
Dai questionari che furono somministrati 15 anni dopo ai genitori dei bambini, emerse che quelli che erano stati capaci di aspettare per avere il secondo marshmallow erano maggiormente in grado di:
A prescindere da quale sia stata la loro strategia per evitare il richiamo della gratificazione istantanea, quei bambini hanno dimostrato al mondo che l’autocontrollo è una competenza essenziale dell’intelligenza emotiva.
In aggiunta, l’esperimento ha svelato ancora una volta il meccanismo controproducente delle emozioni, che sono come un cavallo selvaggio che si può domare e addomesticare soltanto con le redini della ragione.
Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali e inter-personali.
Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva in questa guida.
Il tuo cervello utilizza il 20% dell’ossigeno del nostro corpo.
I respiri corti fanno sì che arrivi meno ossigeno al cervello e ci portano a essere meno attenti, a dimenticare più facilmente e a essere più tesi.
Senza il giusto apporto di ossigeno è più facile che si abbiano pensieri negativi e che ci si senta meno energici.
Per questo ricordarsi di respirare bene è il primo fattore di supporto all’autocontrollo.
Per capire esattamente cosa comporta affidarsi totalmente alle emozioni nel prendere decisioni fa una lista di situazioni che richiedono il tuo intervento e poi scrivi cosa faresti se seguissi le tue emozioni e se invece seguissi la ragione.
Vedrai che spesso le il risvolto pratico di una scelta può cambiare drasticamente se consenti al buon senso di dire la sua.
Una grandissima parte dell’autocontrollo è la motivazione.
Capita non di rado che un giorno abbiamo la motivazione a fare qualcosa, come andare a correre tutte le mattine, e il giorno dopo l’abbiamo persa.
Per evitare questa eventualità può essere d’aiuto coinvolgere altre persone nei nostri piani.
In questo modo anche se non ce la sentiamo di proseguire nell’intento di raggiungere l’obiettivo saremo motivati dalla voglia di non deludere le aspettative dell’altro.
Quando noti la frustrazione o la rabbia che montano fermati e prendi un bel respiro provando a contare fino a dieci.
Vedrai che già dalle prime inspirazioni l’afflusso di ossigeno al cervello permetterà al centro razionale di recuperare a scapito del centro emotivo.
Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella ita ed essere più appagati
Qualunque sia la decisione che ti crea stress puoi sempre regalarti quell’ora, giorno o settimana in più per pensarci sopra.
Magari in quell’intervallo di tempo verrai a conoscenza di informazioni che ti aiuteranno a gestire meglio il caso e a prendere una decisione più sicura.
O, semplicemente, distaccandoti un attimo dalle tribolazioni emotive del momento riuscirai a guadagnare una prospettiva più obiettiva e rilassata.
Uno dei migliori modi di migliorare il proprio autocontrollo è parlare con chi già lo sa fare meglio di noi.
Prendi spunto da chi sa gestire il proprio tempo e riesce a mantenere la calma in circostanze complicate.
Quando puoi concediti 15 minuti per rilassarti e riflettere su quello che sta accadendo nella tua vita, senza telefono, senza computer, senza musica o distrazioni varie.
È un ottimo modo per evitare che le emozioni offuschino il tuo giudizio e le tue decisioni.
Sapevi che quando sorridi i muscoli del viso comunicano al cervello che sei felice?
Dunque non sorridiamo solo quando siamo felici, ma possiamo anche diventare più felici quando sorridiamo.
Diverse ricerche suggeriscono che ognuno di noi ha in media 50,000 pensieri al giorno.
Ogni volta che uno di questi pensieri viene prodotto rilascerà delle sostanze chimiche che si espanderanno dal cervello al resto del corpo.
Ciò implica che c’è una relazione molto stretta tra quello che pensiamo e il modo in cui ci sentiamo, sia fisicamente che emotivamente.
Molti di noi non sono minimamente consapevoli di quanto i propri pensieri guidino le emozioni giornalmente perché, nella maggior parte dei casi, crediamo che sia il nostro stato d’animo a dettare quello che pensiamo, quando in realtà è il contrario.
Soprattutto quando parliamo a noi stessi con termini negativi, come quando ci sentiamo perseguitati dalla sfortuna, ci mettiamo i bastoni tra le ruote da soli, impedendo alla nostra creatività di trovare le giuste soluzioni ai nostri problemi.
In definitiva, l’abitudine di essere pessimisti è la causa per cui molte persone non riescono a ottenere ciò che vogliono dalla vita.
Leggi anche: L’invidia e le sue insidie, 4 consigli per smettere di paragonarsi agli altri
Come avevamo già detto parlando della legge dell’attrazione, il nostro cervello fatica a distinguere la realtà dall’immaginazione, cioè quello che vediamo con i nostri occhi da quello che vediamo con la mente.
Al posto di sfruttare questa capacità immaginando scenari negativi è molto più producente fare l’opposto, immaginare uno scenario in cui siamo riusciti a realizzare qualcosa di significativo.
Così facendo le reazioni chimiche che si scateneranno nel cervello ci metteranno nello stato emotivo e psico-fisico adatto a far accadere sul serio ciò che volgiamo.
Non è tanto un fattore di quante ore a notte dormi, ma di come dormi.
Dormire bene è fondamentale per avere una mente riposata e attenta, nonché per avere le giuste energie necessarie ad alimentare l’autocontrollo.
Ci sono molte cose su cui non abbiamo controllo e molte cose che siamo impossibilitati a fare per mancanza di risorse o capacità.
Al posto di concentrarti su di queste pensa a quello che puoi fare, alle libertà che hai e che magari altri non hanno.
Non crescerai mai rivolgendo lo sguardo a quello che ti manca, perché non farai altro che creare uno stato d’animo chiuso e depresso.
Se vuoi andare avanti nella vita, se vuoi andare ovunque, dovrai per forza di cose partire dalla consapevolezza di avere le capacità adatte a costruire il tuo successo personale.
Le emozioni creano spesso un filtro che limita il nostro coinvolgimento nella realtà che stiamo vivendo.
Quando stai facendo un lavoro sintonizzati con esso e non pensare a nient’altro, non lasciare che le emozioni ti distraggano e impediscano di portare a termine quello che devi fare.
Se ti trovi in una situazione che provoca emozioni negative evita di parlarne con chi è direttamente coinvolto.
Molto meglio avere un parere esterno e obiettivo, perché più la persona sarà lontana dal problema più potrà dare dei consigli che partono dal centro razionale e non da quello emotivo.
Le persone cambiano, le circostanze cambiano e niente rimane lo stesso per sempre.
Questo verità ti può aiutare in due modi:
Ecco una serie di link utili per chi volesse continuare la lettura su autocontrollo e crescita personale:
Per valutare il tuo livello di autocontrollo vai al test dell’intelligenza emotiva.
Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo).
Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).
I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, coscienza sociale e gestione dei rapporti.
Formato KindleOsservare e governare le emozioni proprie e degli altri: a questo vi porterà Bernhard Moestl con le strategie di pensiero che ha appreso direttamente dai monaci del monastero Shaolin, noti per la loro capacità di vincere senza combattere.
Condensandola in sette passi essenziali, Moestl mostra una via da seguire a quanti vorrebbero avere il controllo della propria vita, non essere dominati e manipolati da sentimenti come la paura, la frustrazione o la rabbia, raggiungere i propri obiettivi con equilibrio e chiarezza di pensiero.
In modo lucido, sereno e vincente, senza perdere la testa.
Formato Kindle €5,99Ovunque vi giriate, ci sono ostacoli a bloccarvi il cammino.
Avere successo non significa evitarli, significa affrontarli a testa alta e superarli.
Avete bisogno dell’autocontrollo e della forza di volontà per arrivare fino in fondo
Ogni pagina di questo libro è stata pensata per aiutarvi a costruire l’autodisciplina che porta alla resilienza e alla forza mentale di cui avete bisogno quotidianamente.
Semplici esercizi quotidiani e pratiche per creare abitudini vi insegneranno le abilità necessarie per superare gli ostacoli e avere fiducia in voi stessi e nel vostro cammino verso il successo.
Formato Kindle €4,58Ciao,adoro il tuo blog,complimenti.
Volevo solo fare un appunto su pensieri ed emozioni, anch’io la pensavo come te: le seconde subordinate ai primi, ma il mio terapeuta di cui ho grande stima dice che è il contrario.
just to know and may be to have a gentle conversation XD Saluti!
Trovare domande da fare a una ragazza che hai appena incontrato è tanto una questione di creatività quanto di schiettezza.
La natura e durata della conversazione dipenderà in gran parte dalla circostanza in cui vi trovate, da chi ti trovi davanti e dall’eventuale assenza di distrazioni e impegni.
Ci sono un miliardo di possibili domande da chiedere, ma ho deciso di provare a rendere tutto il più semplice possibile con una lista graduale che parte dal primo scambio di battute superficiali fino a domande più intime.
Nota: seppur vengono presentate come domande da fare a una ragazza si tratta di domande “unisex” che possono essere fatte anche a un ragazzo.
Se ti trovi a una festa privata e vuoi iniziare una conversazione con una persona di potenziale interesse inizia con delle domande che siano attinenti alla situazione in cui vi trovate e alle persone che vi stanno intorno.
1. Cosa ne pensi della festa?
2. Come conosci (nome di chi ha dato la festa)?
3. Ti stai divertendo?
4. Serata perfetta per una festa. Non credi?
Se si tratta di un bar vale lo stesso principio:
5. Che ne pensi di questo posto?
6. Venite spesso qui?
7. Che programmi avete per la serata?
(nota: se parli al plurale e ti rivolgi al suo gruppo di amici più che a lei da sola la farai sentire meno sotto osservazione)
Un altro approccio sarebbe quello di fare un commento positivo e poi una domanda, per esempio:
8. Mi piace molto la tua maglietta. Dove l’hai presa?
9. Bello questo pezzo. Chi lo canta?
10. Perdona la schiettezza ma sembri davvero simpatica, come ti chiami?
Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona
Adesso che hai rotto il ghiaccio devi fare in modo di mantenere viva la conversazione.
Ricorda di ascoltare cosa ti dice e trovare le giuste domande da fare, cioè quelle che partono da qualcosa che ti ha detto e non dalla voglia di fare colpo a tutti i costi.
Un buon metodo è prendere spunto da una sua risposta per poi provare a dirigere la conversazione sui suoi interessi:
11. Cosa ti piace fare nel tempo libero?
12. Cosa faresti se non fossi qui in questo momento?
13. Ti piace la musica? Se fossi bloccata in ascensore con un solo pezzo da ascoltare quale sarebbe?
14. Preferisci leggere o guardare film?
15. Qual è l’ultimo film che hai letto/film che hai visto? Perché (non) ti è piaciuto?
16. Qual’è la tua serie TV preferita?
17. Ti piacciono i cani/gatti? Ne hai (mai avuto) uno?
18. Ti piace andare in palestra/fare sport?
Un ottimo argomento da prendere con persone che abbiamo appena conosciuto è quello dei viaggi.
Si tratta di un argomento positivo che mette chiunque a proprio agio e ti consente di comprendere meglio la loro personalità.
19. Hai dei programmi per le vacanze quest’estate/natale?
20. Preferisci mare o montagna?
21. Con chi ti piace andare in vacanza?
22. Sei mai stata fuori dall’Italia? Dove di preciso?
23. Qual è la destinazione turistica dei tuoi sogni?
24. Qual è stata la tua vacanza preferita?
25. Che tipo di turista sei, da visite guidate o avventure fai-da-te?
26. Come ti piace viaggiare: treno, aereo o macchina?
27. Se potessi vivere ovunque per un anno dove vivresti?
Se vedi che la conversazione procede bene e ti senti più rilassato passa pure a domande sull’infanzia, la scuola, il lavoro e la vita privata in generale:
28. Dove sei cresciuta?
29. Hai fratelli/sorelle?
30. Che lavoro/scuola fai? Ti piace?
31. Come sei arrivata a decidere di farlo?
32. Cosa volevi fare quando eri piccola?
33. Qual era il tuo cartone animato/gioco preferito?
34. Sei mattiniera o ti piace dormire?
35. Sei mai stata bocciata a un esame? Quale?
36. Ti piace fare esperienze nuove? Di che tipo?
37. Dove ti vedi tra 5 anni?
38. Qual è stato il lavoro peggiore che hai mai fatto? Perché?
39. Qual è la cosa più bella che ti è capitata quest’anno?
Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre
Un ottimo modo per conoscere meglio una persona è fare domande sulle relazioni e storie passate.
Presta attenzione a eventuali segnali di imbarazzo e se capisci che non vuole parlare di una storia finita male non pressare.
40. Hai mai avuto una storia importante?
41. Quanto è durata? Perché è finita?
42. Cosa ne pensi delle relazioni a distanza? Sei mai stata in una?
43. Quali sono le caratteristiche principali di un tuo potenziale partner?
44. Cosa ti attira in un ragazzo?
45. Hai mai provato un amore non corrisposto?
46. Quali atteggiamenti ti fanno allontanare da una persona?
47. Come preferisci comunicare? Messaggi o chiamate?
48. Quanto spesso ci si dovrebbe tenere in contatto in una relazione secondo te?
49. Hai mai smesso di farti sentire con qualcuno senza spiegazione? Perché?
50. Quando è stata la tua prima storia?
51. Cosa pensi sia peggio lasciare o essere lasciati?
52. Quali sono le lezioni più importanti che hai imparato dalle tue relazioni passate?
53. Quali sono le tre cose essenziali che un ragazzo dovrebbe sapere su di te?
54. Cos’è per te l’amore vero?
55. Qual è stata la relazione più strana che tu abbia mai avuto?
56. Come ti comporti durante una lite quando qualcuno di fa arrabbiare?
57. Cos’è meglio ascoltare la mente o il cuore?
Leggi anche: 10 modi per affrontare e superare il senso di colpa nelle relazioni
58. Quale emoticon usi più spesso?
59. Se potessi cambiare il tuo nome come ti chiameresti?
60. Se dovessero fare un film su di te che tipo di personaggio saresti?
61. Se potessi comunicare con te stessa a 18 anni quale consiglio le daresti?
62. Hai mai baciato una ragazza?
63. Ti capita mai di parlare da sola?
64. Quale parolaccia dici più spesso?
65. Sai fare torte?
66. Qual è la tua verdura preferita?
67. Piangi mai durante un film?
68. Quali poster erano appesi nella tua stanza nel periodo della scuola?
69. Hai mai rubato?
70. Cosa credi sia più semplice essere un ragazzo o una ragazza?
71. Qual è la cosa più strana che hai in borsa in questo momento?
72. Riusciresti a sopravvivere nella giungla? Come?
73. Quale app usi più spesso?
74. Credi nella legge dell’attrazione?
75. Qual è la cosa più strana che hai mai comprato online?
Leggi anche: Amori romantici e cinema, quello che i film non ti dicono sull’amore
Durante le prime conversazioni non sappiamo ancora molto su di lei e non possiamo limitarci a ripetere una lista di domande per suscitare il suo interesse.
La spontaneità è sempre la parola chiave e con essa serve anche la sensibilità di capire quando approfondire un discorso o cambiarlo.
Ecco dunque 4 consigli per rendere la conversazione più gradevole:
Quando prendete un discorso che ti appassiona o quando hai qualcosa da dire evita di interrompere e aspetta che lei finisca di parlare.
Commenta quello che dice con frasi del tipo:
In tal modo, susciterai la sua curiosità e la spingerai a chiederti di condividere la tua esperienza.
In generale è meglio evitare di parlare di certi argomenti quando si incontra una persona nuova.
Non parlare di denaro, non chiederle quanto guadagna o quanto paga d’affitto.
Soprattutto se siete di due culture diverse sta lontano da politica, sesso e religione (a meno che non sia lei a prendere il discorso e sembri aperta ad affrontarlo).
Una triste ma obiettiva verità di tutti i primi incontri è che è facilissimo scambiare la cortesia per interesse.
Per quanto una conversazione possa essere piacevole c’è sempre la possibilità che si tratti soltanto di scambi amichevoli.
Presta attenzione ai segnali che comunicano interesse o mancanza di interesse.
Osserva il suo atteggiamento prima di chiederle di uscire o darti il numero di telefono.
Per concludere, potrai anche fare le domande più interessanti di questo mondo ma alla fine l’unica cosa che conta è che tu ti diverta.
Non soltanto le ragazze ma la gente in generale è attratta da chi si sente apposto con sé stesso ed emana energia positiva.
Quindi il mio ultimo consiglio per parlare a una ragazza che hai appena incontrato è… sorridi.
Conoscere persone nuove è una delle cose più piacevoli nella vita, non renderla una prova da superare, non metterci troppe aspettative.
Prendila così come viene e se non va come speri non prenderla sul personale: ricorda che ci sono persone là fuori che non aspettano altro che incontrare qualcuno come te e rispondere alle tue domande.
Vademecum pratico per affrontare una conversazione con persone conosciute e non, risultare interessanti e brillanti col capo o fare nuove amicizie.
Saranno trattati tre macro-argomenti:
1.Come iniziare una conversazione mancando di argomenti;
2.Come prendere parte a una conversazione;
3.Come rendere interessante una conversazione.
Liberarsi dal senso di colpa, soprattutto se patologico, è un obiettivo che richiede un minimo di consapevolezza e lavoro su di sé.
Se la colpa che sentiamo è sganciata da sbagli obiettivi potrebbe essere il frutto di un conflitto interiore e di un rapporto di disistima nei confronti di sé stessi.
Prima di vedere cosa possiamo fare per superarlo dobbiamo allora capire l’origine del senso di colpa e imparare a distinguerlo da emozioni simili… come la vergogna.
Non è detto che ogni volta che commettiamo un errore dobbiamo vergognarci di noi stessi, così come non è detto che il senso di colpa ci debba portare a disfare il buono che c’è in noi.
Il sentirsi in colpa è attribuibile a singole azioni, mentre la vergogna è un sentimento che riguarda l’intera personalità.
In genere ci vergogniamo di noi stessi perché non sentiamo di avere le qualità che desidereremmo avere o non abbiamo imparato ad apprezzare quello che siamo veramente.
Il senso di colpa sarebbe qui una conseguenza del nostro conflitto interiore, ma non la causa.
In generale, dunque, si può provare senso di colpa senza vergogna ma difficilmente si prova vergogna senza senso di colpa.
Leggi anche: L’invidia e le sue insidie: 4 consigli per smettere di paragonarsi agli altri
Prima di chiederci come possiamo liberarci dal senso di colpa dobbiamo chiederci se questo sia legato al nostro comportamento in una relazione specifica oppure generato dalla vergogna nei confronti di noi stessi.
In quest’ultimo caso non basterebbe provare a rimediare un torto, ma ci sarebbe bisogno di un lavoro di scoperta personale più intenso (possibilmente fatto con l’ausilio di terapia o life coaching).
Se invece si tratta di un senso di colpa legato a una relazione specifica possiamo iniziare a superarlo comprendendo meglio la natura della relazione stessa.
Lo dice anche la Bibbia, i genitori vanno amati e onorati perché (nella maggior parte dei casi) ci hanno messi al mondo e dato ciò che ci serve per sopravvivere.
Il problema è però che non è sempre facile amare i propri genitori, soprattutto quando le loro azioni compromettono il nostro benessere.
Anche se da piccoli tendiamo a vederli come supereroi, la cruda verità è che i genitori sbagliano, come chiunque altro.
Sarebbe contro-produttivo pensare di poter essere in debito con loro tutta la vita o di dover sacrificare sé stessi per assecondare le loro aspettative.
Se un genitore ci fa sentire in colpa o, peggio ancora, fa dei ricatti emotivi per tenerci vicino a discapito del nostro benessere, non sta pensando a noi ma sta pensando a sé stesso.
Per liberarsi dal senso di colpa nei confronti dei genitori dobbiamo allora capire che il vero modo di onorarli è scoprire il senso della nostra vita, cioè la stessa vita che ci hanno regalato.
In altre parole, imparare ad amare e onorare noi stessi per poter meglio amare e onorare loro.
Il naturale risvolto del senso di colpa verso i genitori è il senso di colpa verso i figli.
Come già detto ci si aspetta che un genitore sia perfetto e che sia in grado di dare a un figlio tutto ciò di cui ha bisogno.
Beh, non è sempre quello che accade.
Capita spesso di essere troppo severi o troppo indulgenti, o che un figlio si ritrovi a pagare il prezzo di approcci educativi sbagliati in età adulta.
Non serve a nulla piangerci sopra.
Affrontare il senso di colpa nei confronti dei figli inizia dalla consapevolezza anche gli errori servono a farli crescere.
Per amare veramente un figlio bisogna lasciarlo libero di capire cosa fare della sua vita e avere fiducia che sarà in grado di riconoscere, accettare e trarre una lezione dagli errori dei suoi genitori.
A differenza dei genitori e dei figli il partner è qualcuno che scegliamo in età adulta e con cui (si spera) si dovrebbe passare il resto della vita.
Ciò vuol dire che il livello di impegno nel costruire una relazione sana è maggiore visto che una condotta sbagliata potrebbe portare alla fine del rapporto.
Il miglior modo di superare il senso di colpa nei confronti del partner è il lavoro su sé stessi mirato a incrementare il rispetto dell’altro.
Succede in ogni relazione di dire o fare cose che fanno soffrire il nostro partner e anche nei casi più estremi come il tradimento non esistono vie d’uscita facili.
Il vero problema sarebbe se non ci si sentisse affatto in colpa.
Nelle relazioni amorose il senso di colpa può aiutare a far evolvere la relazione se viene usato come pretesto per agire diversamente.
Per essere efficace va però comunicato apertamente, con le parole e con le azioni.
Se viene negato, cioè se non vuoi ammettere di avere una colpa e scarichi la responsabilità sul partner, rischierai di compromettere definitivamente la relazione.
Dare sempre la colpa agli altri è tanto lesivo quanto dare sempre la colpa a sé stessi.
Non possiamo aspettarci che gli altri si comportino in linea con quello che ci aspettiamo da loro, perché ognuno ha la sua natura, e alla lunga agiamo in base a quello che siamo non in base a quello che vogliono gli altri.
Come dimostra la storia dello scorpione e della rana, lo sbaglio non sta nelle azioni di chi ci delude, ma nel porre aspettative sbagliate sulle persone sbagliate.
Uno scorpione deve raggiungere l’altra sponda di uno stagno e chiede a una rana di accompagnarlo.
“Ma sei sicuro che non mi pungerai?” chiede la rana?
“Certo, hai la mia parola” risponde lo scorpione.
Quando i due sono arrivati a metà strada la rana sente un forte dolore alla schiena e mentre stanno annegando chiede allo scorpione, “avevi promesso di non farlo”.
Al che lo scorpione risponde, “non posso farci nulla, è la mia natura”.
Siamo arrivati al momento dei consigli pratici.
A prescindere dal tipo di relazione in cui si manifesti, il senso di colpa può essere superato con impegno e azioni concrete.
Eccone 10 da cui trarre spunto.
Se ti senti in colpa perché non passi abbastanza tempo con i tuoi cari chiedi loro se si sentono allo stesso modo.
Può darsi che sia solo una tua impressione e che in realtà non hai nessuna colpa.
Considera se gli altri ti biasimano o meno per il tuo comportamento e se lo fanno chiediti se hanno ragione nel farlo.
Se concludi che il senso di colpa è ben fondato trova la soluzione che rispetti i bisogni di tutti.
Ammettere di aver sbagliato è tutt’altro che un segno di debolezza ma il contrario: dimostra maturità, intelligenza emotiva e forza d’animo.
Prima che sia troppo tardi chiedi scusa e cambia il tuo comportamento, se possibile evitando di rimuginare troppo sul rimorso.
Ricorda inoltre che ci sono modi e modi di chiedere scusa.
Una cosa è ottenere perdono per un commento poco appropriato, un’altra il perdono per anni di assenza in famiglia. Calibra dunque il tuo impegno sulla base della gravità dell’azione per cui ti senti in colpa.
Se hai sbagliato in qualche modo non dovrai soltanto fare ammenda ma anche accettare che non puoi cambiare il passato.
Quindi una volta che hai trovato il modo giusto di chiedere scusa, assicurati di aver chiuso la questione anche con te stesso e lasciala andare.
A volte più ci si concentra sulla convinzione di essere colpevoli e più si commettono azioni che interferiscono con il benessere della relazione.
Fare troppo per superare il senso di colpa è tanto sbagliato quanto non fare nulla.
Immagina questa situazione.
Ti sei reso conto che il tuo comportamento ha fatto soffrire una persona che ami, avete avuto una lite di coppia e dopo infinite discussioni hai finalmente riconosciuto le tue responsabilità.
Implori il tuo partner di perdonarti e prometti che non lo farai più.
Ma passano appena due settimane che l’abitudine ti porta a ripetere gli stessi atteggiamenti di prima.
A cosa è servita la lite? A cosa è servito chiedere scusa?
Il miglior modo di liberarsi dal senso di colpa è emanciparsi dalla parte di noi che ci conduce all’errore, migliorarsi, diventare grandi.
Ricorda che il senso di colpa nasce da una contrapposizione di valori.
Non puoi cambiare il tuo passato ma se c’è una cosa che puoi fare è cambiare le tue azioni per adattarle a valori più autentici.
Solo dopo aver fatto l’esame di coscienza e riparato eventuali torti è il caso di ricostruire la propria fiducia in sé stessi e imparare ad apprezzarsi.
Puoi scegliere di scrivere un diario personale dove scrivi quello per cui sei grato, fare meditazione o yoga, riprendere una vecchia amicizia.
Non importa cosa fai, basta che trovi il modo di ritrovarti e riconoscere il buono e il bello che hai dentro.
Se qualcuno si fosse comportato con te come tu ti sei comportato con loro cosa faresti?
Avresti la stessa reazione? Ti giudicheresti allo stesso modo?
Certe volte è facile essere comprensivi nei confronti degli altri ma non lo è tanto esserlo con sé stessi.
Altre volte siamo indulgenti con noi stessi ma non con gli altri.
In entrambi i casi, immaginare un’altra prospettiva ha i suoi benefici: può servire a riconoscere meglio le nostre colpe o a provare più empatia per noi stessi.
Nel sentirsi in colpa capita anche di vedere tutto in bianco e nero e ingigantire l’importanza dei propri errori.
È molto difficile però che nella realtà la responsabilità stia tutta da una parte ed è quasi impossibile che uno sbaglio con un figlio/partner ci renda pessimi genitori/compagni.
Tra il bianco e il nero esiste il grigio, tra due verità estreme esistono verità di mezzo.
Prova a giudicare il tuo comportamento nel contesto e valutare tutti i fattori che ti hanno portato a comportati in un determinato modo: probabilmente scoprirai che non è tutta colpa tua.
Alcuni di noi sono dei pacificatori, forse perché abituati a soccombere davanti alle esigenze altrui o cresciuti in famiglie dove non sono mai stati veramente accuditi.
Se ti riconosci in questo scenario è probabile che il tuo senso di colpa sia il frutto della tua incapacità di dare priorità a te stesso rispetto all’altro.
Non c’è nulla di male nel farlo. Ma è un illusione pensare che dedicarsi interamente agli altri sia un cosa totalmente positiva.
Prendersi cura degli altri senza prendersi cura di sé stessi è in sé un atto egoista, che serve a colmare un vuoto interiore, e non un atto di vero altruismo.
L’altruismo vero presuppone una dose di sano egoismo, che include la capacità di capire quando il rispetto per il proprio benessere deve avere la precedenza sul benessere altrui, e viceversa.
Se sei in una relazione con una persona narcisista il tuo partner potrebbe convincerti che sei una persona egoista quando in realtà lo fa per scaricare su di te le sue responsabilità.
Chiediti se valga la pena sentirsi in colpa per una persona del genere, se il tuo senso di colpa non sia in realtà una forma di rancore per il fatto di essere vittima di un colpevolizzatore.
Puoi leggere questo articolo per imparare come riconoscerne uno.
La perfezione non esiste, in nessuno.
Anche le persone che hanno delle vite e delle condotte apparentemente perfette sono vulnerabili ai sensi di colpa.
Puntare alla perfezione è il segreto per rimanere delusi.
Siamo degli esseri umani, dopo tutto. Prima lo riconosciamo e prima possiamo accettare l’imperfezione che fa parte della nostra natura.
Non perdere tempo a darti contro perché non hai raggiunto abbastanza o fatto abbastanza.
Quella che tu vedi come sfortuna, ingiustizia o colpa è semplicemente la “vita”, e a volte è amara e ingiusta e dolorosa, per noi come per chiunque altro.
C’è un ultimo consiglio che serve a combattere il senso di colpa in ogni tipo di relazione.
Si tratta di una verità universale, una regola d’oro che si basa su un aspetto fondamentale della natura umana: la libertà di scelta.
Riconoscere la libertà altrui è fondamentale perché per quanto possiamo chiedere scusa o provare a riparare quello che abbiamo fatto, alla fine della giornata non starà a noi decidere per loro.
Ciò implica due cose:
Quindi non ti resta che questo da fare: fa del tuo meglio per comportati secondo i tuoi standard di moralità, se sbagli accetta il fatto che sei umano e assumiti le tue responsabilità.
Se dovessi perdere una persona cara a causa del tuo comportamento sarà una cosa tremenda (ci sono passato) ma non sarà la fine del mondo.
Accetta la loro decisione e ricordati quanto detto prima, quello che fanno gli altri è in primis per sé stessi, non per noi.
Prima lo capisci e prima potrai perdonarti e andare avanti.
La paura più grande di un essere umano, insieme a quella della morte, è di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità.
Non è quasi mai vero che gli altri si occupino così tanto di noi; lo fanno solo occasionalmente e di sfuggita.
Quando si prova questa sensazione vuol dire che agiscono ricordi emotivi di ferite che la nostra autostima ha subito durante l’infanzia.
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Il senso di colpa è quella sensazione dolorosa che ti fa sentire di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver offeso o arrecato un danno a te stesso o agli altri.. anche quando non hai fatto nulla di male.
Parte da un eccessivo senso di responsabilità ma, allo stesso tempo, da un’eccessiva tendenza al rimuginare.
Chi si sente spesso in colpa pensa troppo insomma, ripete nella mente i ricordi del passato, incluse le discussioni, le scelte e i fallimenti, e si giudica per quello che ha fatto o non fatto.
Il senso di colpa non è qualcosa con cui nasciamo, è una reazione che impariamo dai nostri genitori intorno ai 4/6 anni e che serve a demarcare la linea di separazione tra giusto e sbagliato.
Quando siamo piccoli veniamo rimproverati se diciamo una parolaccia o se non andiamo bene a scuola.
Il disappunto di mamma e papà ha l’effetto di farci sentire in colpa ed evitare di comportarci in un modo che sia contrastante con i loro valori.
Man mano che andiamo crescendo iniziamo a rimpiazzare i valori impartiti dalla famiglia con i nostri, ma capita lo stesso di continuare a portare con sé il “ricordo” di ciò che non si dovrebbe fare dall’infanzia.
Quello che può capitare è allora che il senso di colpa continui ad agire anche quando non ha più un motivo di esistere, quando non serve tanto a capire cosa è giusto o sbagliato ma a renderci incapaci di vivere esperienze utili che, seppur innocue, non sono in linea con l’educazione ricevuta.
Dal liceo fino ai trent’anni avevo l’abitudine di assumermi le colpe di tutto quello che mi accadeva e delle reazioni di chi mi stava intorno.
Mi sentivo in colpa se balbettavo, se dicevo una parola sbagliata, se spendevo troppo, mangiavo troppo, se non passavo abbastanza tempo a casa, se mi concedevo una vacanza, se facevo una battuta che non faceva ridere, se non prendevo un buon voto a scuola.
Tendevo a prendere quasi tutto sul personale, e se qualcuno non rispondeva a un messaggio o a una chiamata, pensavo subito che fosse per qualcosa che avevo fatto io.
Non lo avevo capito ai tempi, ma questo era anche il mio modo di sentirmi importante, di illudermi di avere un impatto, seppur negativo, sulle persone.
A livello emotivo convivere con il senso di colpa è un po’ come avere un critico sul groppone che ti punta il dito contro tutto il tempo, uno che giudica ogni tuo singolo gesto, persino ogni tuo singolo pensiero.
Nei casi più esagerati il senso di colpa provoca così un’alterazione dello stato emotivo che si traduce in battito cardiaco aumentato, respiro corto e tensione muscolare.
È un po’ come essere dei fuggiaschi, ricercati dalla polizia: la notte si sognano inseguimenti e si sente il terrore della cattura imminente.
Poi ci si sveglia e si vive la giornata con un peso di piombo sullo stomaco, la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e l’incapacità di individuare esattamente cosa.
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Per moltissimi anni ho creduto che il mio senso di colpa mi rendesse speciale, che fosse una mia prerogativa l’essere responsabile per la tristezza, la felicità e persino le azioni degli altri.
Poi ho capito che non ero per niente solo e che il senso di colpa è uno stato d’animo molto comune a molte persone, sia per un fatto predisposizione caratteriale che come il risultato di traumi/eventi negativi.
In particolare, le persone più inclini a sentirsi in colpa sono:
Diversi studi hanno riscontrato che le donne si sentono più in colpa, sia perché tendono a rimuginare di più rispetto agli uomini sia perché, storicamente, vengono educate alla gentilezza e alla disponibilità.
In molte famiglie sono le donne ad avere più responsabilità e non riuscire a fare tutto può a volte essere un peso per loro.
Chi non ha un forte senso di onestà tende a non pensarci due volte prima di commettere un atto ingiusto.
Di contro, chi ha una personalità rispettosa e onesta presta più attenzione alla natura giusta o sbagliata della propria condotta di vita.
Seppur l’appartenenza a una religione non è di per sé un fattore decisivo, il senso di religiosità interna lo è.
Per questo, coloro che si affidano a principi religiosi per dirigere il loro approccio alla vita hanno più probabilità di sentirsi in colpa quando i loro impulsi li allontanano dai precetti religiosi.
Non è un collegamento ovvio, eppure il sentirsi in colpa è connesso con il narcisismo e la volontà di sentirsi al centro del mondo.
Così come ci si può vantare per quello che va bene anche quando non si ha nessun merito, si può reclamare la colpa di quello che va male anche quando non si ha nessuna responsabilità.
Un’educazione eccessivamente rigorosa può portare i bambini a interiorizzare il disappunto della propria madre o del proprio padre, finendo per giudicare se stessi per le più piccole e normali trasgressioni.
Similmente, una relazione tossica incentrata sulla manipolazione e il controllo attraverso il senso di colpa può avere lo stesso effetto.
Il rapporto tra senso di colpa e depressione è di causalità reciproca, nel senso che uno può originare dall’altro e viceversa.
La persona depressa di solito ha uno scarso senso del proprio valore e si sente in colpa per non essere in grado di essere migliore e di fare meglio.
Un possibile effetto collaterale del disturbo da stress post traumatico è che ci si sente in colpa per essere sopravvissuti a un evento tragico e per aver avuto una sorte migliore di altri.
Come raccontavo prima, convivere con il senso di colpa compromette la serenità quotidiana in modo non indifferente.
Ci sono però altre conseguenze pratiche per coloro che hanno il giudizio facile, alcune positive, altre negative:
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Il senso di colpa può essere sia una emozione sana che una emozione non-sana.
La parte sana del senso di colpa ti motiva a vivere in accordo con valori autentici che, a loro volta, possono migliorare le relazioni con gli altri.
Una persona che pensa alle conseguenze delle proprie azioni sarà più incline al rispetto e maggiormente in grado di fare la cosa giusta.
Il senso di colpa diventa qui un fattore di autocontrollo e autogestione del comportamento, strettamente correlato al senso civico e al riconoscimento dei bisogni altrui.
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Il senso di colpa patologico, invece, va oltre ciò che è obiettivamente sbagliato: compromette la qualità della vita, tormenta anche quando non hai fatto nulla di male, non tollera gli errori e si aspetta troppo da te e dagli altri.
È una reazione sproporzionata e scomoda che può emergere a causa di diversi motivi:
In questi casi il senso di colpa non ha più la funzione di fattore motivante al cambiamento in positivo.
Esso si sgancia dal reale peso delle azioni e finisce per diventare una bestia autonoma che tiene imprigionati senza possibilità di redenzione.
Purtroppo molte relazioni affettive, sia familiari che sentimentali, si basano sul senso di colpa.
Nella pratica ciò vuol dire che uno dei due, “il colpevolizzatore“, utilizza il senso di colpa per far pagare all’altro il prezzo di appartenenza alla relazione e, nei peggiori casi, per manipolarlo e controllarlo.
I motivi per cui si possa voler fare una cosa del genere sono molti ma in generale diciamo solo che è più semplice spostare la colpa su qualcun altro piuttosto che guardare dentro sé stessi.
Ecco quali sono alcune frasi comuni ai colpevolizzatori:
Il colpevolizzatore è una persone che dissemina colpe ovunque vada, ed è dunque particolarmente importante poterlo riconoscere sia negli altri che, soprattutto, in sé stessi.
I tratti più comuni di un colpevolizzatore sono:
Il primo step per superare il senso di colpa patologico è capire una verità fondamentale e molto utile alla felicità.
Gli errori sono nostri amici e hanno una funzione educativa e di crescita personale.
Come dice il detto, sbagliare è umano. È perseverare nella convinzione di poter e dover essere perfetti che è completamente controproducente.
Accetta dunque questo fatto: sbaglierai di certo nella tua vita.
Se sarai fortunato, avrai la possibilità di imparare dallo sbaglio e fare meglio la volta dopo.
Se sarai sfortunato, potresti non avere una seconda opportunità, ma avrai comunque imparato qualcosa.
L’unica eventualità in cui sbaglieresti sul serio è se ti illudi di poter eliminare completamente gli errori e fare solo scelte giuste.
Quella sarebbe la vera colpa.
Una delle paure più grandi di un essere umano è di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità.
Quando si prova questa sensazione vuol dire che agiscono ricordi emotivi di ferite che la nostra autostima ha subito durante l’infanzia.
Per la prima volta, in questo volume vengono analizzate la natura e la genesi dell’emozione denominata “senso di colpa”, e viene affrontato il tema delle vere origini dell’ansia e del panico.
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Molto interessante..grazie.👏👏👏
Non ci vogliono discorsi contorti per spiegare cos’è l’amore o per comunicarlo a chi amiamo, e a volte le più belle frasi sull’amore sono quelle che hanno poche parole, quelle giuste.
Non tutte risuoneranno, non tutte rispecchieranno la nostra esperienza, eppure ti assicuro che gli elementi chiave dell’amore vero sono qui, tra le più memorabili citazioni sull’amore del web.
Non c’è regalo migliore delle parole sentite, non c’è gesto più apprezzato di quello che ha l’intenzione di far sentire qualcuno speciale.
Leggi le seguenti frasi sull’amore e invia la tua preferita a chi vuoi bene.
1. Giuro che non potrei mai amarti più di quanto ti amo adesso, eppure so che ci riuscirò domani.
Leo Christopher
2. Se avessi un fiore tutte le volte che ti penso… potrei camminare nel mio giardino per sempre.
Alfred Tennyson
3. Se riesco a comprendere cos’è l’amore, è solo grazie a te.
Herman Hesse
4. Sei come una canzone che ho sentito quando ero piccolo ma che avevo dimenticato fino a quando non l’ho sentita di nuovo.
Maggie Stiefvater
5. Amore non è guardarci l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.
Antoine de Saint-Exupéry
6. Sei come un dizionario, aggiungi significato alla mia vita.
7. Ti amo anche quando sto morendo di fame.
8. Lascia stare le farfalle, io sento l’intero zoo sullo stomaco quando sto con te.
Leggi anche: Insicurezza in amore: da dove nasce e perché può far bene (fino a un certo punto)
9. Ti amo con tutta la pancia. Direi con tutto il cuore, ma la pancia è più grande.
10. Un bacio senza baffo è come un uovo senza sale.
Proverbio spagnolo
11. Ti amo come un bimbo grassoccio ama le torte.
Scott Adams
12. Niente toglie il sapore al burro d’arachidi quanto un amore non corrisposto.
Charles M. Schulz
13. Non sposi qualcuno con cui riesci a convivere. Sposi qualcuno senza il quale non riesci a vivere.
Anonimo
14. L’amore è fare gli stupidi insieme.
Paul Valery
15. La storia d’amore ideale si svolge per posta.
George bernard shaw
16. Dicono che l’amore sia più importante dei soldi, ma hai mai provato a pagare le bollette con un abbraccio?
Anonimo
17. L’amore è condividere i pop corn.
Charles Schultz
18. Se sei un uomo in una relazione hai due opzioni: puoi avere ragione o vivere felice.
Ralphie May
19. Spòsati: se trovi una buona moglie sarai felice; se ne trovi una cattiva, diventerai filosofo.
Socrate
20. Ci sono solo tre cose di cui le donne hanno bisogno: cibo, acqua e complimenti.
Chris Rock
21. Una relazione di successo richiede che ci si innamori molte volte, sempre della stessa persona.
Mignon McLaughlin
22. L’amore è non doversi più tenere dentro le scoreggie.
Leggi anche: Liti di coppia, 3 regole per affrontarle al meglio
23. Puoi cercare in tutto l’universo qualcuno che sia meritevole del tuo amore e del tuo affetto più di te stesso e non lo troverai in alcun luogo. Tu stesso, come chiunque altro nell’intero universo, meriti il tuo amore e il tuo affetto.
Buddha
24. Quando le persone ti fanno soffrire più e più volte, pensa che siano come la carta vetrata. Potranno anche graffiarti e farti un po’ male, ma alla fine tu sarai levigata, e loro inutili.
Andy Biersack
25. È meglio essere odiati per quello che si è che essere amati per quello che non si è.
Andre Gide
26. La più grande singola causa della scarsa considerazione di sé è la mancanza di amore incondizionato.
Zig Ziglar
27. Il tuo scopo non dovrebbe essere di cercare l’amore, ma semplicemente di cercare e trovare tutte le barriere che hai costruito contro di esso.
Rumi
28. Accettiamo solo l’amore che pensiamo di meritare.
Stephen Chbosky
29. Dobbiamo essere di noi stessi prima di poter essere di qualcun altro.
Ralph Waldo Emerson
30. Conoscere, capire e accettare te stesso è il primo step verso tutto ciò che vuoi dalla vita.
Maxime Lagacé
31. Non ami qualcuno perché è perfetto, lo ami a dispetto del fatto che non lo è.
Jodi Picoult
32. Ho visto che eri perfetto e ti ho amato. Poi ho visto che non eri perfetto e ti ho amato ancora di più.
Angelita Lim
33. L’amore non è trovare la persona perfetta. È vedere una persona imperfetta come perfetta.
Sam Keen
34. Non importa se il ragazzo è perfetto o la ragazza è perfetta. L’importante è che siano perfetti l’uno per l’altra.
Genio Ribelle
35. La perfezione del carattere è questa: vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, senza frenesia, senza apatia, senza pretese.
Marco Aurelio
36. Amare non significa trovare la perfezione, bensì perdonare terribili difetti.
Rosamunde pilcher
Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona
37. Gli affetti sono responsabili per nove decimi di ogni forma di solida e durevole felicità che c’è nelle nostre vite.
C. S. Lewis
38. Non è la mancanza di amore, ma la mancanza di amicizia che rende i matrimoni infelici.
Friedrich Nietzsche
39. L’amore è quella condizione in cui la felicità di una persona è essenziale alla tua.
Robert A. Heinlein
40. Dicono che a questo mondo una persona abbia bisogno di tre cose per essere felice: qualcuno da amare, qualcosa da fare, e qualcosa da sperare.
Tom Bodett
41. Le ragazze felici sono le più carine.
Audrey Hepburn
42. Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici. Sono i premurosi giardinieri che fanno fiorire la nostra anima.
Marcel Proust
43. Gli amori che sembrano assurdi certe volte sono i migliori.
Margaret Mazzantini
44. Credo sia questo il vero amore: avere l’impressione di stare al centro della propria vita, non ai margini. Nell’angolo giusto. Senza aver bisogno di sforzarsi per piacere all’altro, restare se stessi.
Katherine Pancol
45. Quando amiamo, lottiamo sempre per diventare persone migliori di quelle che siamo.
Paulo Coelho
46. I cuori sono fatti per essere spezzati.
Oscar Wilde
47. Se ami qualcuno, lascialo andare. Se ritorna, sarà tuo per sempre. Se non lo fa, non lo è mai stato.
Kahlil Gibran
48. Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi alla fine, anche se non nel modo in cui ci aspettiamo.
J.K.Rowling
49. La più grande felicità della vita è la convinzione di essere amati, amati per quello che siamo, o meglio, amati nonostante quello che siamo.
Victor Hugo
50. È meglio aver amato, e perso, che non aver mai amato.
ALFRED LORD TENNYSON
51. Con lui, la vita era una routine; senza di lui, la vita era insopportabile.
Harper Lee
52. Alcune volte perdere il tuo equilibrio per amore è necessario per vivere una vita equilibrata.
Elizabeth Gilbert
53. L’amore è la sorgente dell’affinità spirituale e se tale affinità non nasce all’istante, non potrà svilupparsi nel corso degli anni e neanche delle generazioni.
Khalil Gibran
54. Quando non sarai più parte di me ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.
WILLIAM SHAKESPEARE
55. Essere profondamente amati da qualcuno ti dà forza, amare qualcuno profondamente ti dà coraggio.
Lao Tzu
56. Ho deciso di restare nell’amore… l’odio è un fardello troppo pesante da portare.
Martin Luther King Jr.
57. C’è sempre un poi di pazzia nell’amore. Ma c’è anche un po’ di ragione nella pazzia.
Friedrich Nietzsche
58. Dove c’è amore, c’è vita.
Mahatma Gandhi
Elie Wiesel
59. L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza.
60. Se non abbiamo pace è perché ci siamo dimenticati che apparteniamo l’uno all’altro.
Madre Teresa
61. L’arte dell’amore è in gran parte l’arte della persistenza.
Albert Ellis
62. Avere paura dell’amore è avere paura della vita, e coloro che hanno paura della vita sono già morti per tre quarti.
Bertrand Russell
63. C’è differenza tra amare una donna e amare l’idea di lei.
Gillian Flynn
64. L’amore è composto da una singola anima che abita due corpi.
Aristotle
65. L’amore immaturo dice “ti amo perché ho bisogno di te”. L’amore maturo dice “ho bisogno di te perché ti amo”.
Erich Fromm
66. L’unica cosa di cui non abbiamo mai abbastanza è l’amore, e l’unica cosa di cui non diamo mai abbastanza è l’amore.
Henry Miller
67. Il cuore ha le sue ragioni, delle quali la ragione non sa nulla.
Blaise Pascal
68. Ogni persona deve amare almeno un partner sbagliato nella vita così da essere veramente grati per quello giusto.
69. Senza amore l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno.
Erich Fromm
70. Se hai amore nella tua vita puoi compensare la mancanza di molte cose. Se non ce l’hai, non importa cos’altro c’è, non sarà mai abbastanza.
Ann Landers
71. La vita è il primo dono, l’amore il secondo e la comprensione il terzo.
Marge Piercy
72. L’età non ti protegge dall’amore, ma l’amore ti protegge dall’età.
Jeanne Moreau
73. Più una persona giudica, e meno ama.
Honore de Balzac
74. Il primo dovere dell’amore è di ascoltare.
Theodore Zeldin
75. L’amore è l’espansione di due mondi in modo tale che l’uno include l’altro e l’uno è arricchito dall’altro.
Felix Adler
Leggi anche: Amori romantici e cinema: quello che i film non ti dicono sull’amore
76. Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un’ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, tutta una vita per dimenticarla.
Charlie Chaplin
77. Quando ti rendi conto che vuoi passare il resto della tua vita con qualcuno, vuoi che il resto della tua vita cominci il prima possibile.
Harry ti presento Sally
78. L’amore non ha niente a che fare con quello che ti aspetti di ricevere ma con quello che ti aspetti di dare – che è tutto.
Katharine Hepburn
79. L’ho amata anche quando l’odiavo…
Crazy, Stupid, Love
80. Anna: Olaf, ti stai sciogliendo!
Olaf: Per alcune persone vale la pena sciogliersi…
Frozen
81. Non dire che non siamo giusti l’uno per l’altra. Per come la vedo io. Non siamo giusti per nessun altro.
Vincere Insieme
82. L’amore vero non può essere trovato dove non esiste, né può essere nascosto dove esiste.
Amore tra le righe
83. Preferisco morire domani, che vivere cent’anni senza conoscerti.
Pocahontas
84. Io la amo, e questo è l’inizio e la fine di tutto.
Il Grande Gatsby
85. Tu sei il primo ragazzo che abbia mai baciato, Jake, e voglio che sia l’ultimo.
Tutta colpa dell’amore
86. Se riesci a far ridere una donna, puoi farle fare qualsiasi cosa.
Marilyn Monroe
87. Se l’amore non è l’impegno che ci metti allora cos’è?
L’altra metà
88. L’amore non conosce la sua vera profondità fino al momento della separazione.
Kahil Gibran
89. Esisto in due posti, qui e dove sei tu.
Margaret Atwood
90. L’assenza è per l’amore quello che il vento è per il fuoco; estingue quello piccolo e infiamma quello grande.
Roger de Bussy-Rabutin
91. Sentire la mancanza di qualcuno è parte integrante dell’amore per loro. Se non siete mai distanti non saprete mai quanto è forte l’amore che vi unisce.
92. Se vuoi veramente essere rispettato dalla persona che ami devi dimostrarle che sai sopravvivere senza di lei.
Michael Bassey Johnson
93. La definizione di una relazione a distanza è: “sconvenientemente il modo più efficace di scoprire se vi amate o meno”.
94. La tua assenza non mi ha insegnato a stare in solitudine, ma mi ha mostrato che insieme proiettiamo un’unica ombra sul muro.
Doug Fetherling
95. Quando manca qualcosa nella tua vita, di solito va a finire che è qualcuno.
Robert Brault
96. La semplice mancanza di lei vale più per me della presenza di chiunque altro.
Edward Thomas
97. Ho lasciato cadere una lacrima nell’oceano. Il giorno in cui la troverai sarà il giorno in cui smetterai di mancarmi.
98. Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è starci seduto vicino e sapere che non la potrai mai avere.
Gabriel García Márquez
99. Non ti sto dicendo che sarà facile; ti sto dicendo che ne varrà la pena.
Art Williams
100. L’amore è quella cosa che tu sei da una parte, lui dall’altra, e gli sconosciuti si accorgono che vi amate. Chestè.
Massimo Troisi
Amare non significa possedere in maniera esclusiva, limitare la libertà del partner o escludersi dalla vita del mondo; al contrario l’amore può aprirsi all’intero universo, spalancando inattese prospettive.
Un trattato sull’amore che insegna a sviluppare la propria personalità e raggiungere la pienezza affettiva
Copertina flessibile 12,35€Quando si parla di amore non corrisposto ci sono diversi scenari che vengono in mente, tra cui:
Ognuno di questi amori non corrisposti ha due lati, uno romantico/poetico e l’altro reale.
Da Leopardi ad Adele, dai classici al pop moderno, amare chi non ci ama induce in uno stato di nostalgia romantica che fa soffrire e al tempo stesso sentire stranamente vivi.
Nella letteratura, nella musica e nelle commedie romantiche, l’amore non corrisposto viene così dipinto come una forza nobile ed eroica, alimentata da una quasi stoica volontà di accettare la sofferenza.
L’innamorato combatte una sfida esaltante contro le complicanze della relazione e subisce in silenzio quando vede l’altra con un altro o le cose non vanno come si aspetta.
In film come 500 Days of Summer o Forrest Gump, il protagonista viene raccontato come la persona con il miglior cuore, una povera vittima dell’insensibilità e dell’incapacità di amare della persona amata.
Il presupposto è che l’amore di chi ama è reale e puro, mentre a non essere reali sono le motivazioni che impediscono all’altro di lasciarsi andare.
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Nella vita reale le cose sono leggermente diverse.
Sarà anche vero che alcune volte l’amante caparbio alla fine riesce a convincere la persona amata e trionfa l’amore.
Ma forse più spesso accade che si fraintenda la gentilezza per interesse romantico o che ci si innamori di un’idea o, meglio ancora, di un ideale.
L’amore non corrisposto diventa allora sinonimo di infatuazione, di ossessione, di fissazione.
L’oggetto del desiderio può essere una persona amica o un conoscente che si vede spesso a lavoro, all’università o sui social.
Questo crea per l’ammiratore una situazione difficile in cui coesistono sentimenti contrastanti: c’à l’attrazione fisica e spirituale, la paura di essere rigettati e l’eventualità che una manifestazione di interesse possa addirittura sembrare fuori luogo.
In casi del genere non si tratta più, come nei film, del preambolo di una storia d’amore condivisa, ma piuttosto di un desiderio autolesionista che provoca principalmente ansia e insicurezza, e che può addirittura portare all’esaurimento fisico e alla disperazione (fonte).
Diversamente dall’immaginario popolare, ricerche dimostrano che a subire le conseguenze negative dell’amore unilaterale non è solo chi ama ma anche chi riceve attenzioni.
Sia per gli uomini che per le donne, infatti, dover respingere dei pretendenti può creare senso di colpa e frustrazione.
Non è facile dire a qualcuno “tu non mi piaci e le tue avance mi mettono a disagio”, così la tattica più comune è far finta di niente, continuare a essere gentili e aspettare che l’infatuazione svanisca.
Purtroppo però questo atteggiamento finisce per inviare segnali misti e alimentare le fantasie dell’amante indesiderato.
Si entra così in un tacito accordo dove una persona non ha il coraggio di dire la verità e l’altra non ha il coraggio di accettarla.
L’amore non corrisposto è un può come il cugino sfigato dell’amore vero tra due persone che hanno una relazione sana.
È un amore che vive e si alimenta soltanto nell‘aspettativa.
È un amore che preferisce vivere in un futuro ipotetico e potenziale piuttosto che accettare la realtà del presente.
Paradossalmente, è anche un amore che si nutre di dolore, che appartiene a coloro che “amano” farsi del male.
È anche l’amore di chi non ha conosciuto altri tipi di amore, di chi porta con sé il ricordo infantile del rifiuto e lo replica inconsciamente in età adulta.
È un sentimento che pone una conditio sine qua non alla felicità, l’amore di chi crede che può essere felice solo se viene ricambiato e di chi ha bisogno di avere accanto una persona per sentire di avere un valore.
È l’amore di chi vede la perfezione altrui ma non la propria; di chi sogna di essere salvato e legittimato dalla bellezza della persona amata.
Infine, l’amore non corrisposto può essere il frutto di una dipendenza, dell’irresistibile desiderio di amare persone impossibili da amare e immeritevoli del nostro amore.
È troppe volte un amore a senso unico, dove a prendere l’iniziativa è una sola persona, senza i cui messaggi non ci sarebbe comunicazione, senza i cui sforzi si sgonfierebbe tutto come un palloncino senz’aria.
Ci sono dei chiari sintomi di stare vivendo un amore non corrisposto e bisogna essere sinceri e onesti con se stessi se si vuole notarli.
Per esempio, quando le chiedi di fare qualcosa insieme e ti risponde con delle scuse, quando lui ti dice che si farà sentire e poi non lo fa o quando si è i soli a cercare il contatto fisico.
Sono questi dei campanelli di allarme quasi universali, che si ripetono in diversi contesti e diverse culture.
Per andare più a fondo e capire se i tuoi sentimenti non sono pienamente corrisposti, rispondi a queste 10 domande:
Se hai rivisto la tua storia in almeno due di queste domande potrebbe essere arrivato il momento di fare alcune considerazioni.
Se qualcuno ti ha fatto soffrire o ti ha fatto credere che tu non vali abbastanza ricorda una cosa fondamentale:
Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.
Non condizionare il tuo valore personale alla buona riuscita di una relazione, non dare questa responsabilità a nessun altro che a te stesso/a.
Il giudizio degli altri su di te non è mai obiettivo ma filtrato da esperienze, insicurezze e valori, quindi non prenderla sul personale.
Ricorda che se qualcuno non ti ama non è perché non vali, ma semplicemente fa parte di un processo di scoperta personale, in quanto hai bisogno di innamorarti delle persone sbagliate prima di poter capire chi è quella che merita il tuo amore.
Ci sono casi in cui la caparbietà paga e i sogni si realizzano grazie alla resilienza.
Pensa però quanto sarebbe stupido applicare questa regola a tutto, continuare a sbattere la testa contro lo stesso muro fino a quando non si rompe il muro ma si rompe la testa.
A volte la cosa più intelligente da fare è alzare bandiera bianca e lasciar perdere, dedicarsi ad altro o ad altri.
Perseverare in un amore tossico, o in un sogno tossico, non solo è diabolico ma anche da stupidi.
Se dunque stai vivendo una relazione che ti provoca più dispiaceri che altro, abbi la forza di mollare la presa.
Non c’è nulla di male nel farlo, anzi, dimostra che sai imparare dai tuoi errori e che preferisci perdere oggi per guadagnare qualcosa di meglio domani.
Non pensare che i sentimenti vadano seguiti ciecamente perché possono ingannare.
Spesso, infatti, ci dirigono verso persone non disponibili o distanti perché vogliamo (inconsapevolmente) sabotare le nostre chance di riuscita.
In altre parole, capita che la paura più grande non sia quella di essere rigettati ma di essere ricambiati, di trovarsi cioè nella condizione di dover vivere un rapporto vero e intimo, esponendosi alla possibilità di fallire ed essere lasciati.
L’amore non corrisposto accade anche quando si vuole amare ma non si è pronti per essere amati, così si fa in modo di vivere relazioni unilaterali dove si ama nella realtà ma si è amati solo nella fantasia.
Un’altra domanda difficile a cui devi saper rispondere è:
Amo questa persona per quello che è o perché mi fa sentire meno solo/a?
La solitudine è una condizione orrenda da sopportare, talmente tanto che ci può portare a immaginare di vivere un amore fittizio pur di avere qualcuno a cui pensare.
Sulla base di quanto detto emerge un’altra possibilità: che l’amore non sia corrisposto perché non è reale.
In pratica, la persona amata si rende conto che l’ammiratore stia vivendo un’infatuazione priva di fondamento e decide di non dargli corda.
Il test per capire se il tuo è un amore vero consiste nel vagliare le motivazioni che ti hanno portato a scegliere quella determinata persona:
Considera la possibilità che possa essere in realtà tu a non provare nulla di serio per questa persona e che potresti averla scelta perché ti attirano gli amori impossibili o sei in cerca di qualcuno che elevi il tuo status sociale.
Concludiamo con la verità più importante di tutte.
Non puoi pretendere di essere amato da nessuno se tu non ti ami.
Quando non ti ami invii dei segnali all’esterno che fanno percepire agli altri che hai un bisogno egoistico di amore per sentirti meglio con te steso/a.
Questo atteggiamento di norma scoraggia e più che suscitare empatia fa allontanare.
Una cosa che invece attrae è il rispetto per se stessi, l’atteggiamento sicuro di chi sa mostrare interesse senza dare troppa importanza all’esito della risposta.
In definitiva, la persona dei tuoi sogni, la cui immagine hai proiettato sulle persone sbagliate, arriverà quando avrai imparato ad amare te per quello che sei.
Dal presupposto dell’amore per se stessi nasce così l’opposto dell’amore non corrisposto: l’amore a doppio senso, quello dove esiste corrispondenza di intenti e di sentimenti, dove entrambi sanno dare e ricevere, amare ed essere amati.
Descrizioni a cura di Angelica Elisa Moranelli.
Gatsby era troppo povero per sposare l’amore della sua vita, così sparisce dalla circolazione per tornare anni dopo, bello e ricco, a reclamare la sua bella.
La donna per la quale continua a struggersi è sposata con un ubriacone, un uomo di poco valore e dai bassi istinti.
Perché mai la bella e infelice Daisy non ha scelto Gatsby?
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Per tutta la durata del romanzo respirerete frustrazione, dolore, solitudine, abbandono (almeno per quel che riguarda la vicenda che vede protagonista Anna).
Anna Karenina è intrappolata in un matrimonio infelice, la sua fortuna/disgrazia è proprio quella d’incontrare, invece, l’uomo di cui s’innamorerà davvero, Vrònskij.
Ma può un amore nato sulla sofferenza altrui, che ha distrutto le regole della “buona società”, essere anche felice?
Prezzo Kindle €0,00Le notti bianche di Dostoevskij, il libro sull’Amore, che non chiede nulla in cambio, l’amore puro e profondo solo per l’altro, che non conosce egoismo o bramosia.
Il protagonista di questo breve romanzo giovanile di Dostoevskij è un sognatore che durante una passeggiata notturna incontra l’amore della sua vita, una ragazza sola e disperata, che ha appena perso il suo amore.
Prezzo Kindle €1,99Articolo che ha saputo farmi riflettere, dato che purtroppo anche io sto vivendo una situazione di questo tipo. Grazie anche dei consigli letterari.
Detta nel modo più semplice possibile, l’amore incondizionato è quel tipo di amore che non chiede nulla in cambio, come l’amore di un genitore per un figlio.
Nel suo senso più puro amare in modo incondizionato vuol dire avere a cuore la felicità di un’altra persona senza preoccupazione alcuna per come questa felicità possa beneficiare noi stessi.
Le ricerche confermano che a livello neurologico la soddisfazione dell’amore incondizionato sta dunque nell’atto di dare e non nel ricevere.
Ciò rende questo un tipo di amore quasi indipendente, a cui basterebbe la semplice consapevolezza dell’esistenza e del benessere della persona che amiamo.
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Ci sono delle differenze sostanziali negli effetti che l’amore incondizionato ha sui bambini e sugli adulti.
Da piccoli abbiamo un bisogno quasi fisiologico di essere amati incondizionatamente.
L’amore dei genitori ci aiuta a sviluppare l’idea di un attaccamento sano e sicuro a un altro essere umano, ci porta ad avere fiducia in noi stessi e a poter credere di essere meritevoli di affetto.
In teoria, il compito di ogni genitore è quello di regalare al proprio figlio l’esperienza di essere amato per quello che è, senza se e senza ma.
In pratica accade spesso che genitori ben intenzionati pongano delle aspettative sui propri figli, che lascino passare messaggi come “se fai il monello fai arrabbiare mamma/papà” o “se non hai buoni voti a scuola deludi mamma/papà”.
Ovviamente non si tratta di genitori cattivi, questo approccio è semplicemente ciò che passa per buon senso da decenni a questa parte.
Il problema è che può essere interpretato dai bambini come una forma di amore condizionato, un amore che inizia con “ti amo se…”.
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A quei bambini che sentono delle forti condizioni nell’amore dei propri genitori può accadere di crescere con delle convinzioni altamente lesive alla loro felicità futura.
Amare un figlio anche quando va male a scuola o quando è confuso, insicuro, arrabbiato o perso serve proprio a evitare che possa avere difficoltà ad accettarsi e, in ultima analisi, a fare in modo che in futuro possa dare a sé stesso quello stesso tipo di amore e comprensione che ha ricevuto da piccolo.
Negli adulti l’amore incondizionato è diverso, seppur i suoi presupposti siano sempre gli stessi.
La sfida nelle relazioni tra adulti è trovare il giusto compromesso tra apertura all’altro e affermazione dei propri bisogni.
Ciò significa che, a differenza dell’amore nei confronti dei bambini, che non sono in grado di farlo, tra adulti bisogna saper stabilire dei confini precisi tra quello che può essere considerato accettabile e inaccettabile.
Come già detto parlando di relazioni sane e non sane, amare qualcuno non vuol dire diventare una cosa sola, fondersi e annullare le proprie identità.
Prima di amare incondizionatamente qualcuno dobbiamo imparare ad amare prima noi stessi, a onorare il nostro corpo e il nostro spirito.
Per questo l’amore incondizionato in età adulta non può mai essere equiparato con l’accettare l’altro a discapito del proprio benessere personale.
Non possiamo amare chi ci fa del male, chi ci mente, chi ci tradisce, chi ci manca di rispetto. Non si può dire, “ti amo incondizionatamente anche se mi calpesti”.
Come vedremo tra poco, seppur esista una componente di tolleranza e di convivenza con la frustrazione, ogni tipo relazione che si basi sull’amore vero deve essere anche fondata sul rispetto reciproco delle rispettive individualità e libertà.
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Ci sono diversi modi per sviluppare l’abilità di provare amore incondizionato, eccone 5:
Una verità che troverai spesso tra le pagine di questo blog è che non puoi mai conoscere l’amore vero (in qualsiasi forma) se prima non avrai imparato ad amare te stesso.
Chi non si ama non può credere neanche all’amore altrui, non può apprezzare la presenza di una persona o avere piena fiducia negli altri.
Di conseguenza, non potrà essere presente al 100% nella relazione e fare al meglio la propria parte nel costruire un legame intimo e inscindibile.
Questo presupposto aiuta non soltanto nei rapporti familiari ma nel modo generale di relazionarsi con gli altri esseri umani.
Una caratteristica dell’amore incondizionato è infatti il suo infinito raggio di azione.
Chi ha amore nel suo cuore riesce a vedere il bene nelle persone, sa dare fiducia agli sconosciuti e riesce a sentirsi parte di una comunità più grande del proprio cerchio ristretto di conoscenze.
Qui l’amore incondizionato diventa un augurio di pace e serenità, un condizione che i buddhisti chiamano Bodhcitta, cioè l’amore illuminato verso tutti gli esseri senzienti.
L’empatia è quel sentimento che accomuna noi umani, è la comprensione e la condivisione del dolore altrui, compreso chi non conosciamo, chi è malato o ha perso una persona cara.
È quel sentimento che ti fa dire “capisco cosa provi” o “capisco perché lo hai fatto”.
L’empatia è una qualità bellissima, che ti porta a essere più solidale e meno belligerante, più aperto e generoso e meno prevenuto.
Provare amore condizionato non vuol dire vivere in uno stato di perenne beatitudine e ottimismo.
Ovviamente ci saranno momenti in cui gli altri ci faranno arrabbiare, momenti di tristezza, fastidio e frustrazione, ma non saranno certo questi a cancellare l’amore che abbiamo dentro.
La persona che ama in modo incondizionato può trovarsi in qualsiasi momento a dover scegliere tra tenersi il rancore dentro o lasciarlo andare per il bene della relazione e della sua salute mentale in primis.
Visto che quello che ci tiene legati agli altri esseri umani è la comunicazione, un perno fondamentale di ogni relazione sana è la capacità di esprimersi senza arrecare danno o offesa agli altri.
La comunicazione nell’amore incondizionato è aperta e non-difensiva, usa un linguaggio privo di cariche distruttive e comporta anche la capacità di chiedere scusa.
Nel parlare agli altri bisogna tenere il più possibile a bada le reazioni eccessive e irrazionali.
Perché anche chi sa amare incondizionatamente ogni tanto litiga o perde la pazienza, ma non per questo si può giustificare l’uso della violenza verbale.
La comunicazione aperta è anche la comprensione del proprio stato emotivo, assertività, capacità di cambiare opinione, umiltà.
Nel suo libro L’uomo in cerca di senso Viktor Frankl fa un parallelo tra la capacità umana di amare in modo incondizionato e il vivere una vita piena di significato.
Secondo lui l’amore è l’unico modo di afferrare la vera essenza di un altro essere umano e, quel che è di più, consente ad esso di attualizzare le sue vere potenzialità.
Grazie all’amore incondizionato, dunque, non solo diventiamo persone migliori ma aiutiamo anche gli altri a diventare la versione migliore di sé stessi, diamo senso e significato alla nostra vita e aiutiamo gli altri a dare senso e significato alla loro.
E questo non lo dico io. Lo dice una persona che ha subito le cattiverie più inaudite da parte del regime nazista, e che in quella sofferenza inenarrabile è riuscito a trovare nel suo cuore la capacità di amare i suoi carnefici… e una ragione per continuare a vivere.
Uno dei libri più venduti di tutti i tempi sul vero significato dell’amore.
Erich Fromm spiega come Amare non significhi possedere in maniera esclusiva, limitare la libertà del partner o escludersi dalla vita del mondo; al contrario l’amore può aprirsi all’intero universo, spalancando inattese prospettive.
Un trattato sull’amore che insegna a sviluppare la propria personalità e raggiungere la pienezza affettiva.
Copertina flessibile €12,35Chiunque abbia mai vissuto un amore a distanza sa benissimo che la lontananza mette alla prova ogni relazione.
Ci sono coppie che non sopravvivono senza vedersi in carne e ossa, altre invece riescono a trovarsi nella mancanza e a stringere ulteriormente il loro legame.
L’amore a distanza avrà dunque le sue difficoltà ma ci sono anche dei lati positivi, degli aspetti di una relazione sana che possono emergere solo quando si è lontani.
Indice
In uno studio condotto dall’azienda KIIROO su un campione di mille americani sono state individuate le 8 sfide più comuni che le coppie a distanza si trovano a dover affrontare.
La conseguenza più immediata dello stare lontani è l’impossibilità di potersi toccare, baciare o fare l’amore.
Il sesso, in particolare, è una componente fondamentale di ogni relazione in quanto funge spesso da barometro per misurare la salute emotiva della coppia.
Per di più, la dimensione sessuale ha una sua vita propria.
Così come si impara a conoscersi grazie alle conversazioni, alle liti di coppia e alle esperienze condivise, ci si conosce e si cresce insieme anche sessualmente.
Ne consegue che, in un amore a distanza, la crescita sessuale viene inevitabilmente rallentata, anche se non del tutto arrestata.
L’eventualità di incontrare qualcun altro non è un pensiero che si ammette sempre ma è di sicuro presente nella mente di chi vive una relazione a distanza.
Quando non sai cosa sta facendo il tuo partner o non riesci ad avere un’idea precisa del posto in cui si trova la fantasia può giocare brutti scherzi e farti immaginare il peggio.
L’amore a distanza è più vulnerabile alla paura del tradimento perché non ha molte armi a disposizioni per difendersi dalle tentazioni della vita mondana.
Non potendo impedire al partner di uscire di casa, l’unica cosa a cui ci si può affidare per contrastare la gelosia è la fiducia nella relazione, ovvero la consapevolezza di avere un rapporto unico e impossibile da replicare.
La solitudine è una brutta bestia che spaventa tutti.
Può essere affievolita grazie all’utilizzo della tecnologia ma non esiste app o smartphone che possa rimpiazzare la presenza fisica di un essere umano al tuo fianco.
Quel che è peggio è che in un amore a distanza la solitudine non è soltanto mancanza di un qualsiasi contatto, cosa che potrebbe essere risolta andando a una festa per incontrare qualcuno, per esempio.
Quella di cui stiamo parlando è l’impossibilità del contatto, è la solitudine che deriva dal non avere accanto una persona specifica, cosa che solo chi ha perso una persona amata o chi vive lontano da una persona amata può provare.
Nei casi in cui la lontananza è più o meno permanente sorgono delle difficoltà logistiche.
C’è la necessità di organizzarsi per vedersi, ci sono biglietti di aerei e treni da prenotare, ferie da programmare e gli annessi costi.
Si tratta in fondo di una difficoltà molto pratica e facilmente risolvibile, che però può diventare un problema per chi non ha la possibilità finanziaria o il tempo di viaggiare ogni fine settimana.
Quello di allontanarsi è il rischio più insidioso di tutti.
In ogni amore a distanza esiste una lotta tra circostanze esterne e interne, tra la vita individuale e la vita di coppia.
Gli interessi e gli impegni possono anche essere diversi ma se si trova il modo di condividerli o quantomeno rispettarli non dovrebbero rappresentare una minaccia.
Il rispetto reciproco e la volontà di partecipare anche agli aspetti della vita dell’altro che non condividiamo mantengono stretto il nodo del legame.
Come ho scritto nell’articolo sull’amore vero, amare vuol dire anche mettere da parte sé stessi per il bene del partner, mostrarsi presenti e comprensivi.
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Le difficoltà degli amori a distanza possono essere legate alle differenze negli stili di vita, perché magari uno esce molto e l’altra poco, o lei incontra molte persone per lavoro e lui è un lupo solitario.
Oppure l’ostacolo sta semplicemente nella difficoltà di trovare il tempo di sentirsi, nel dover parlare la mattina presto o la sera tardi quando si è stanchi, nel non poterci essere in un momento di bisogno a causa del fuso orario.
Specialmente se la relazione è nata a distanza, tipo quando ci si conosce su internet, diventa esponenzialmente più complicato capire bene il punto di vista dell’altro.
Se capita una lite tra due persone che abitano insieme sai che, anche se lei è uscita sbattendo la porta di casa, tornerà e potrete chiarirvi.
Se c’è un fraintendimento e uno dei due stacca il telefono la lontananza potrebbe distorcere il giudizio di quello che sta accadendo e compromettere la rappacificazione.
In più, si possono creare problemi di differenza di opinioni legate al metodo di comunicazione preferito, perché magari lui preferisce chiamare e lei scrivere messaggi, o viceversa.
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In ultima analisi, il limite più grande di un amore a distanza è che non può crescere grazie alla condivisione delle piccole abitudini quotidiane:
L’amore mentale e spirituale tra i due potrebbe anche non essere toccato dalla distanza, ma la quotidianità della vita di coppia viene eclissata a causa della digitalizzazione della relazione.
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L’amore a distanza non è solo problematico.
Una volta superata la fase iniziale, che secondo lo studio summenzionato si aggira intorno ai primi 4 mesi, diventa molto più gestibile e inizia anche ad avere i suoi lati positivi.
Il primo pregio dell’amore a distanza è che forza a instaurare un altro tipo di intimità.
Così come i ciechi, non potendo vedere, finiscono per sviluppare gli altri sensi, i partner lontani imparano a comunicare meglio e a rafforzare la loro connessione spirituale in mancanza di quella fisica.
Un altro studio della Cornell University ha scoperto che negli amori distanti si presta più attenzione alla relazione.
Nonostante le interazioni quotidiane siano inferiori rispetto a quelle delle coppie vicine, i partner lontani si chiamano di più, si scrivono più messaggi e si video-chiamano di più.
A causa del cosiddetto effetto “iper-personale”, l’intensificazione dell’interazione digitale forza due persone a idealizzarsi a vicenda per ovviare al senso di mancanza e a concentrarsi sulle loro parti migliori.
A sua volta, grazie a questa idealizzazione reciproca si fa uno sforzo maggiore nel comunicare il proprio affetto e nei momenti passati insieme si prova un maggior apprezzamento.
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Una cosa che può sfaldare un amore a distanza è l’incertezza sulla natura, la direzione e l’obiettivo della relazione.
Più tempo si passa lontani e più queste incertezze rischiano di trasformarsi in crisi e minacciare la stabilità del legame.
È fondamentale allora avere una data o un evento, qualcosa da attendere o su cui lavorare insieme.
Per esempio, se il piano è di passare del tempo lontani per poter poi vivere insieme in futuro la lontananza acquista una funzione e diventa più facile da sopportare.
Se, al contrario, non si capisce dove si sta andando e si hanno dubbi sulla possibilità di ricongiungersi ogni ostacolo rischia di diventare un vicolo cieco.
Per contrastare il rischio di allontanamento fate in modo di condividere il più possibile.
Ciò vuol dire non solo raccontare la vostra giornata ma anche fare attività insieme come guardare lo stesso documentario, leggere lo stesso libro o fare un gioco online.
Non sentitevi solo per abitudine ma trasformate i momenti su Skype o FaceTime in esperienze.
Per esempio potreste cucinare in diretta o fare un aperitivo mentre chiacchierate sullo schermo.
Se le coppie che vivono nello stesso luogo vivono la vita di coppia in diverse circostanze, la coppia a distanza può solo variare modo di stare insieme cambiando metodo e orario della comunicazione.
Fate dunque in modo che ci sia un’intesa sul mezzo preferito e sulla frequenza dei contatti.
Non rendete la comunicazione una forzatura e non date orari fissi.
La chiamata o il messaggio del partner devono essere, il più possibile, un evento che fa piacere e non un atto scontato.
Se l’altro preferisce scrivere e voi parlare fate in modo di venirvi incontro.
Se vuole parlare la sera e voi preferite il mattino non negategli la possibilità di sentire la vostra voce prima di andare a letto perché siete stanchi.
Le parole e le attenzioni che vi scambiate sono l’unico elemento che tiene la relazione in vita.
Se non vi parlate abbastanza, oltre a essere un sintomo di mancanza di interesse, rischiate di far morire la relazione.
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In ogni tipo di coppia è facile che nel tempo ci si abitui alla presenza dell’altro.
Creare uno stato di sorpresa ed eccitazione è l’antidoto contro l’appiattimento di ogni amore, specialmente di quello a distanza.
Per farlo manda un regalo o dei fiori a casa della tua lei o del tuo lui.
Se siete abituati a scrivervi su whatsapp manda una mail ogni tanto oppure scrivi una lettera cartacea.
Sorprendila/o con una chiamata in un momento inaspettato della giornata o, meglio ancora, fatti trovare davanti la porta di casa sua quando rientra da lavoro.
Prenota un weekend romantico senza dire nulla o dedicale una canzone nella sua stazione radio preferita.
Usa le risorse messe a disposizione da internet, come il sito di Direzione Amore per esempio, per trovare consigli su come alimentare la passione.
Essere fidanzati/sposati non vuol dire rinunciare alla vita sociale completamente, ma se sai che il tuo partner si trova a disagio quando vai alle feste magari evita di andare ogni settimana o fai in modo di rassicurarlo/a quando vai.
C’è un punto oltre il quale la fiducia reciproca non basta a contenere la paura irrazionale dell’abbandono e anche le coppie più aperte devono trovare il giusto equilibrio tra vita individuale e di coppia.
Capisci quando è giusto rimanere e parlare o quando puoi dirle di voler passare del tempo con i tuoi amici.
Infine, anche se esci non escludere il tuo partner da quello che fai.
Se, quando sei fuori, sei irraggiungibile e non rispondi ai messaggi potresti far sorgere dei sospetti infondati.
Sii il più aperto e onesto possibile riguardo a quello che fai e con chi lo fai.
Ricorda che una cosa innocua che viene nascosta può diventare un pretesto per non fidarsi in altre occasioni.
Se quando ti chiama sei fuori dì chiaramente dove sei e con chi sei.
Esprimi sempre le tue frustrazioni e sii paziente con le sue.
Ascolta, affronta di petto i problemi e sforzati di mostrare la tua presenza anche quando verrebbe più comodo fare altro.
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Infine, come dico spesso parlando di relazioni, lavorate insieme per la salute della relazione.
La cosa più importante da ricordare è che il partner non è il nemico ma un alleato.
Non trattatevi con ostilità e risentimento, non serbate rancore.
Provate a lasciar andare ciò che vi dà fastidio e tenete a mente l’obiettivo finale, quello di stare bene insieme.
Francesco Cibelli, l’autore del best seller “I segreti del seduttore – Le tecniche del playboy”, il maestro più amato e recensito in Italia in materia di seduzione, dopo anni di studi di psicologia della coppia e tecniche sperimentate sul campo, ha creato questa guida utile a gestire i rapporti di coppia, sia nella fase fisiologica che patologica.
La prima parte è dedicata a fornire delle strategie orientate a far crescere l’amore in ogni fase della relazione, dall’innamoramento in poi.
Nella seconda parte l’autore insegna una strategia pressoché infallibile per riconquistare il partner dopo la rottura del rapporto attraverso tecniche elaborate dagli psicologi più famosi in materia di relazioni di coppia e testate sul campo.
Prezzo Kindle €2,99C’è un vecchio motto di Sun Tzu che dice se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Allo stesso modo, nella ricerca della felicità, è tanto importante conoscersi quanto conoscere il nostro nemico, l’infelicità.
L’infelicità non è un incidente di percorso o un sentimento che capita quando ci si imbatte in dei problemi, ma è parte integrante della cultura moderna.
Nella conferenza TED da cui è tratto questo articolo, Srikumar Rao afferma infatti che nella nostra società ci insegnano a essere infelici, in quanto il modello di vita che molti di noi scelgono finisce col produrre più stress che serenità.
Puoi affermare, con certezza, di stare dedicando la tua vita all’essere felice?
Ogni cosa che fai – che sia il lavoro, la famiglia, i bambini, l’amore – ha lo scopo, o quantomeno l’intento, di renderti felice, giusto?
Esattamente cosa credi che ti farà raggiungere questo obiettivo?
Quando chiediamo ad altri cosa gli servirebbe per essere felici molti diranno qualcosa sulla linea di:
In sostanza ognuno di noi ha un elenco di cose che deve avere per essere felice, ovvero una serie di condizioni che, fino a quando non si avverano, ci mantengono nella dimensione dell’infelicità.
Ma consideriamo un altro aspetto di quanto appena detto.
Così come è possibile ottenere qualcosa che ci rende felice è anche possible perderla.
Un’immensa ricchezza può renderci felici. E può svanire l’indomani.
Una relazione ci può rendere felici oggi e rendere completamente infelici domani.
Un nuovo lavoro può anche creare entusiasmo all’inizio ma impedirci di vivere la nostra vita nel tempo.
Uno dei primi modi per essere infelici è affidare la propria felicità a condizioni esterne che sono mutabili nel tempo.
Se l’infelicità parte da fuori ne consegue che la felicità parte da dentro.
Essa fa parte della nostra natura fin da quando siamo piccoli.
Nel nostro stato di default non c’è niente che dobbiamo fare o avere per essere felici, e per capirlo basta guardare all’attitudine alla vita e alla creatività che hanno i bambini.
Ma allora perché così tante persone non riescono ad apprezzare pienamente la loro vita?
Perché da grandi si diventa così cinici, materialisti e – a volte – pessimisti?
Credo che la risposta sia in realtà molto semplice e sta nel nostro modo di pensare, ovvero in ciò che Srikumar Rao chiama il modello mentale.
Un modello mentale è come un manuale di istruzioni, una serie di indicazioni su come funziona il mondo.
Tutti noi abbiamo modelli mentali, dozzine di modelli mentali.
Abbiamo un modello mentale su come trovare lavoro, su come fare carriera, trovare un partner, scegliere un ristorante o un film su Netflix.
Il problema non è tanto il fatto di avere dei modelli mentali, ma che non sappiamo di avere dei modelli mentali.
Scambiamo la nostra percezione del “è così che vanno le cose” per realtà e raramente ci chiediamo se le nostre convinzioni siano giuste o sbagliate.
Ci sono casi in cui è proprio quello che diamo per scontato che crea la nostra infelicità e non ce ne rendiamo conto perché, beh, lo diamo per scontato.
Ad esempio, crediamo sia scontato che per essere felici bisogna fare successo, che per fare successo bisogna fare soldi, avere un bell’appartamento e una macchina nuova, che bisogna viaggiare in posti esotici d’inverno e mostrare un fisico tonico d’estate.
Questi sono vari modelli mentali, modelli che possono permettere ad alcuni di provare momenti di felicità, ma che collettivamente non fanno altro che contribuire all’infelicità generale del pianeta.
Leggi anche: Come vivere felici, 6 consigli che funzionano sul serio
Gli esempi appena menzionati sono delle variazioni del modello SE-ALLORA.
Il modello SE-ALLORA funziona così: se accade questo, allora sarò felice.
Se ottenessi un lavoro migliore, se guadagnassi più denaro, se il mio capo avesse un attacco di cuore, se fossi sposato, se fossi single, se non avessi figli, se avessi figli, se avessi più fiducia in me stesso, se non avessi il mutuo, ecc.
La cosa che adesso mi viene da chiederti è…
Su quale particolare SE ti stai concentrando adesso? E su quali SE ti sei concentrato in passato?
In altre parole, cosa ti manca per essere felice e cosa è cambiato rispetto a quello che ti serviva un anno o dieci anni fa?
Scontato dire che il modello SE-ALLORA è errato in partenza in quanto ci induce nella trappola dell’infelicità, uno stato di cose in cui si vive solo l’attesa della felicità senza mai veramente incontrarla.
Ma invece di riconoscere questa verità, e cambiare modello mentale, ciò che facciamo è passare un’enorme quantità di tempo a cambiare il “SE”.
Io per primo lo posso testimoniare.
E così via.
Potrei continuare per ore ma credo che il messaggio sia chiaro.
Proiettare la felicità su un risultato, sul modello SE-ALLORA, è il miglior modo per entrare nel circolo vizioso dell’infelicità.
So che alcuni di voi non vorranno sentirselo dire ma la vostra vita, così com’è, è già perfetta.
Non c’è bisogno di modificarla, non c’è bisogno di imporre su di Essa la nostra idea di come dovrebbero andare le cose.
Ogni organismo vivente del pianeta cresce ed evolve senza bisogno di controllare gli eventi, senza bisogno di aggiustare ciò che non va.
La felicità si manifesta quando si smette di ossessionarsi sui se e sui ma e ci si prende del tempo per apprezzare quello che c’è.
Passiamo anni a provare a rendere la nostra vita diversa da quello che è ma quante volte proviamo gratitudine per quello che abbiamo?
E c’è dell’altro.
Quando non accettiamo la nostra vita e iniziamo a lavorare per il raggiungimento di un risultato entriamo nel modello SE-ALLORA e rischiamo produrre il risultato opposto a quello desiderato.
Magari ci adoperiamo per far aumentare il fatturato della nostra azienda e finiamo per far aumentare le spese.
Proviamo a risolvere i nostri problemi di coppia ma finiamo per complicare ulteriormente le cose.
Praticamente rischiamo di incontrare il fallimento tutte le volte in cui poniamo le nostre aspettative di felicità su risultati che sono al di fuori del nostro controllo.
All’origine dei nostri desideri di felicità c’è spesso una tendenza all’infelicità.
Quando siamo infelici la nostra scelta di obiettivi da perseguire (i nostri SE) non parte da una profonda conoscenza di noi stessi ma dalla volontà di essere diversi da quello che siamo.
Quando dico vorrei essere felice è come se dicessi all’Universo: non sono felice.
E quando dico e credo di non essere felice l’Universo, il mondo intorno a noi, recepisce questo messaggio.
Come credi che venga vista una persona che porta dentro la frequenza energetica dell’infelicità? Cosa credi che attirerà nella sua vita?
Mi fa male ammetterlo, ma è per questo motivo che non sono riuscito a manifestare il risultato del successo musicale.
Avevo scelto quell’obiettivo da uno stato mentale di infelicità, senza aver prima chiesto a me stesso se era una cosa che desiderassi veramente, senza considerare cosa avrebbe comportato se ci fossi riuscito.
La mia infelicità influenzava il modo in cui suonavo.
Essa veniva percepita dalle persone che mi vedevano sul palco e faceva sì che ad andare avanti in quella carriera fosse sempre qualcun altro, una persona che mostrava segni di vera felicità, che mostrava di volerlo veramente.
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Fortunatamente non dobbiamo rimanere bloccati nella trappola dell’infelicità.
C’è un’alternativa.
L’alternativa è non investire nel risultato, ma nel processo.
Investire nel processo significa trovare godimento in quello che si fa a prescindere da quello che accade.
Per gli atleti vuol dire giocare al meglio delle proprie possibilità e sentirsi soddisfatti anche quando si perde.
Per i musicisti vuol dire amare l’atto di creare o suonare musica anche se questa non viene ascoltata da milioni di persone.
Per gli imprenditori vuol dire amare il lavoro di dirigere la propria azienda anche quando gli affari vanno male.
Nel processo abbiamo il controllo delle nostre azioni, nel processo la felicità è stabile poiché parte da dentro.
Ora, concentrarsi sul risultato va bene, ci dà la direzione.
È investire nel risultato che è sbagliato, significa far dipendere il nostro benessere dal suo raggiungimento… e questa è la ricetta infallibile per l’infelicità.
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Come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, nella nostra società ci insegnano a essere infelici, letteralmente, in quanto il modello mentale SE-ALLORA è radicato nel metodo scolastico.
Impostando la nostra istruzione sul sistema del voto ci viene indirettamente detto che il processo, lo studio, è strumentale al risultato, il voto.
Per tale motivo diversi educatori sono convinti che la scuola uccide il pensiero creativo e ci porta, in età adulta, a porre troppe condizioni esterne alla felicità.
A scuola il modello è: se studi avrai un bel voto e sarai promosso.
Nella vita reale questo diventa: se trovi un lavoro avrai dei soldi e sarai felice.
La differenza tra i due modelli è che, mentre a scuola ci viene dato un programma di studi da seguire per arrivare al diploma o alla laurea, nella vita reale non ci viene dato un programma di step da prendere per arrivare alla felicità.
Possiamo solo sperare che il lavoro che troviamo non faccia schifo, che il nostro capo non sia uno stronzo e che ci lasci abbastanza tempo e risorse per costruire una vita decente nel tempo che non passiamo a lavorare.
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Voglio concludere con un concetto che è molto più facile da comprendere in questo particolare periodo storico, in cui due terzi del pianeta sono agli arresti domiciliari per il coronavirus.
Tutto quello a cui diamo importanza e per cui lavoriamo non è essenziale.
Il tuo ufficio, in sostanza, non esiste, l’azienda per cui lavori non esiste, la tua busta paga non esiste, le tue ferie non esistono.
Quando ci si trova davanti al pericolo per la propria salute, tutto ciò che in tempi normali ci fa alzare al mattino smette di esistere.
Lo sai però cosa non può essere spazzato via da un virus o una recessione economica?
La tua passione.
Se ti appassiona qualcosa non c’è nulla che ti può portar via quella passione, che può toglierti quell’amore.
E se trovi questa passione scoprirai che il mondo esterno si riordina da solo per permetterti di viverla.
Quando la scoprirai vedrai che i miracoli avvengono regolarmente e che i risultati arrivano in modo naturale, senza molto sforzo.
Adesso che sai che ci sono queste due alternative, quella del modello SE-ALLORA e quella del modello processo/passione, chiediti su quale strada sei in questo momento.
Stai facendo le cose che fai perché stai inseguendo un risultato o perché sei innamorato del processo?
Cioè,
questo viaggio che, come tutti noi, hai intrapreso ti porterà in un luogo in cui vorrai restare o una volta lì vorrai andare da un’altra parte?
Immagina per un momento che quasi tutto ciò che credi su come raggiungere la felicità sia in realtà inesatto, fuorviante o falso.
E immagina che siano proprio queste tue convinzioni a farti sentire infelice.
E se in realtà fossero proprio i nostri sforzi per trovare la felicità a impedirci di ottenerla?
Prezzo Kindle €9,99“Dentro la Tana del Coniglio” parla di felicità, di cosa la favorisce e di cosa la limita.
In queste pagine si raccontano esperienze di cambiamento, si sfida il concetto di “normale”, si mettono in discussione tutte quelle convinzioni che impediscono di scoprire il proprio talento, quello che si è veramente.
Così come il bianconiglio portò Alice nella sua tana per farle scoprire un mondo diverso, questo libro ti porterà in una dimensione dove la realtà è più fluida e reattiva, dove si capisce il perché delle cose, dove si acquista il potere di cambiarle.
AmazonViviamo in un mondo in cui non molte persone sanno come essere felici.
Una cosa che dico sempre è che a scuola ci insegnano molte cose ma la felicità non è una di queste.
Le istruzioni che ci danno insegnanti e genitori vanno bene per alcuni, ma non per tutti.
Chi, come me, non è portato per la vita da ufficio non se ne fa niente della preparazione per l’università o dei consigli su come passare un colloquio di lavoro.
E anche chi ha le qualità necessarie a fare successo nel mondo di oggi non sempre riesce a essere felice.
Allora cosa fare?
Online ci sono parecchie indicazioni sulle strade per la felicità e sia in questo blog che nell’omonimo libro ho già parlato dell’argomento.
Quello che voglio fare adesso è provare a fornire una sistema estensivo su come essere felici che non si concentri soltanto sulle strategie per la felicità ma anche su una miglior comprensione del lato più realistico della medaglia: l’infelicità.
Per questo il sistema è diviso in due fasi.
Rispondi con sincerità:
Appena qualche anno fa avrei risposto di no a tutte queste domande.
Ho passato gran parte dei miei vent’anni a essere infelice della mia vita, e in quel periodo avevo l’abitudine di pensare che il motivo era la mancanza di soldi, di intelligenza o di fiducia in me stesso.
Poi un giorno sentii un discorso che, a distanza di anni, ha cambiato il mio modo di vedere le cose, un discorso in cui si diceva che la causa della nostra infelicità è strutturale e non circostanziale.
In generale, ciò vuol dire che l’infelicità origina dal modo in cui pensiamo piuttosto che dalle circostanze in cui viviamo.
Nel mio caso particolare, voleva dire che non ero infelice perché non avevo soldi o talento, ma ero infelice perché ero convinto di essere e di avere meno degli altri.
So che quando si è infelici è difficile individuare la nostra responsabilità e capirne la vera causa, quindi voglio mostrarvi un metodo utile a farlo.
In poche parole, si parte dalla considerazione di un problema concreto per poi andare a ritroso e arrivare ai meccanismi di pensiero che lo hanno creato.
Per fare un esempio, facciamo finta che una ragazza di nome Marta non riesca a trovare un fidanzato.
Lei si sente sola e vorrebbe avere una relazione duratura, magari provare cosa vuol dire l’amore vero, sposarsi, fare una famiglia.
All’apparenza il suo problema è conseguenza della sfortuna, del caso o del fatto che ha semplicemente incontrato i ragazzi sbagliati.
Ma immaginiamo di poter isolare al microscopio le convinzioni dentro il cervello di Marta e di trovare quanto segue:
“non sono bella senza trucco” – “non verrò mai accettata così come sono” – “devo essere divertente altrimenti se ne vanno” – “i ragazzi vogliono solo ragazze leggere” – “il mondo è fatto di gente falsa e vuota se non mi adeguo rischio di restare da sola per sempre”.
Come pensi si comporterà una persona con questi pensieri in testa?
A causa delle sue convinzioni, Marta mostra spesso dei segni di nervosismo e tensione negli appuntamenti e nei messaggi, cosa che inconsciamente spinge i ragazzi che incontra a smettere di scriverle.
Il suo problema, dunque, non è tanto la sfortuna ma la struttura mentale, il fatto che abbia una definizione negativa di sé stessa, dei ragazzi e del mondo.
Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama
L’infelicità è come una casa fatiscente dove alcuni di noi vivono per molto tempo.
Se vogliamo vivere felici non possiamo semplicemente costruire una casa nuova, cioè sforzarci di essere ottimisti, ma dobbiamo prima capire cosa non va in quella vecchia e perché.
Come mostrato nel caso di Marta, il metodo per farlo è individuare le convinzioni negative che guidano le nostre azioni compilando una scheda di valutazione dei problemi.
Questa scheda è uno strumento che ci permette di svelare i meccanismi inconsci che sabotano la felicità e di individuare con maggior precisione le cause di un determinato problema.
La scheda è allora un altro step per capire come essere felici perché ci indica dov’è che sbagliamo permettendoci di scegliere un corso d’azione alternativo.
Le istruzioni per compilarla sono abbastanza semplici:
Per mostrare come si compila la scheda di valutazione di un problema usiamo il caso di un’altra persona immaginaria, chiamiamola Saverio.
Saverio è depresso perché non ha né lavoro né speranza nel futuro.
Ha alle spalle una laurea triennale in ingegneria che non gli è servita a molto in termini lavorativi.
Non ha una grandissima stima di se stesso, pensa di essere poco intraprendente e qualificato, vede gli altri più sicuri e in gamba di lui e crede che il mondo fuori di casa sua sia un posto sostanzialmente ostile.
Con definizioni del genere in testa è quasi inevitabile che sorgeranno dei problemi per lui, il primo dei quali l’incapacità di trovare un lavoro.
Da questo problema sorgono per Saverio altre complicazioni come un generale sconforto che lo porta a passare alcuni periodi davanti la TV e a trovare scuse per non uscire di casa.
Il suo modo di pensare gli impedisce di essere felice e ha un impatto sul portafogli di suo padre visto che spende molti soldi in corsi di formazione e seminari online.
Nel compilare la scheda di valutazione del problema Saverio scrive qualcosa del genere:
Leggi anche: Come affrontare la vita quando sorgono i problemi
Come si vede, il problema di Saverio non è tanto il fatto che non abbia un lavoro stabile.
L’insicurezza in amore o la mancanza di lavoro, così come le varie difficoltà economiche e relazionali, partono sempre da una definizione distorta della realtà.
Se Marta potesse vedere le cose con più chiarezza si renderebbe conto che non tutti i ragazzi sono superficiali, che non c’è nulla di sbagliato in lei e che la sua bellezza non dipende dal fondo tinta.
Similmente, anche Saverio scoprirebbe nuove possibilità se cambiasse le definizioni di sé stesso e degli altri.
Con una diversa struttura di pensiero potrebbe decidere di partire e fare un’esperienza all’estero o andare a vivere da solo, fare il cameriere part time mentre usa il tempo libero per capire cosa fare nella vita.
Invece la sua attenzione è rivolta verso quello che non va nelle sue circostanze.
La realtà vista attraverso il filtro delle sue definizioni lo spaventa e suscita in lui una frustrazione che gli annebbia la mente.
Il messaggio dietro queste storie è che se le fondamenta della nostra casa sono negative, se cioè abbiamo definizioni negative di noi stessi, degli altri e del mondo, la nostra vita non potrà mai essere positiva e felice.
Molto prima di provare a sforzarsi di essere positivi e felici, allora, bisogna riconoscere le radici della nostra infelicità: le convinzioni limitanti e i pensieri negativi che abbiamo ogni giorno.
Dopo aver vissuto in prima persona un cambiamento tangibile nella struttura di pensiero posso affermare con certezza che la nostra realtà esterna cambia quando cambiamo le nostre definizioni.
Il fatto è però che ciò non avviene dall’oggi al domani.
I pensieri che abbiamo oggi sono il risultato di anni e anni di ripetizione. Essi sono diventati come delle piante che hanno messo radici nella nostra mente occupando molto spazio.
Non basta iniettare un semino di positività per rimpiazzare la negatività ma ci vuole un allenamento costante nel tempo.
Se attualmente vediamo tutto nero dobbiamo addestrare la mente a vedere anche i colori.
Se pensiamo che ci sia qualcosa di sbagliato in noi dobbiamo imparare a riconoscere quello che c’è di buono.
E quando sentiamo di non aver nulla per cui essere grati dobbiamo trovare la forza di apprezzare quello che abbiamo.
Leggi anche: Terapia di coppia, come funziona e quando conviene farla
La gratitudine è la prima dimensione di una nuova struttura mentale, la porta d’ingresso della nostra nuova casa.
Vi racconto la storia di come l’ho scoperto.
Tempo fa mi ritrovai a vivere uno dei miei soliti momenti bui e, come facevo sempre, mi rivolsi a un amico per chiedere aiuto.
Dopo aver esposto le motivazioni della mia tristezza questa persona mi disse qualcosa che non mi aspettavo: “se vuoi un consiglio, prova a scrivere dieci cose diverse per cui sei grato ogni sera, prima di andare a dormire, e vedi cosa succede”.
All’inizio pensai che fosse impossibile, 10 cose nuove ogni sera? Sarà già tanto se ne riesco a trovare 2! pensai.
Ma poi decisi di provare lo stesso e per più di una settimana, prima di andare a letto, mi sforzai di scrivere sul il mio diario dieci cose nuove per cui essere grato.
Dopo appena qualche giorno sentii emergere una nuova vitalità, un nuovo apprezzamento per le persone che avevo intorno.
I miei rapporti con i miei amici e con la mia famiglia migliorarono, sentivo di avere una maggior energia che mi portava a uscire e a sorridere di più.
Così facendo incontrai persone nuove a cui davo un’impressione diversa rispetto alla definizione che avevo di me stesso: venivo visto come una persona solare, affettuosa, positiva.
Un’immagine ben lontana dalla vecchia convinzione di essere un pessimista insicuro e negativo.
Come nel mio caso, molte persone hanno scoperto che la gratitudine ha parecchi benefici e che può essere “allenata”.
Grazie a essa entriamo in una dimensione energetica positiva dove il peso di quello che va bene nella nostra vita supera il peso di quello che va male.
Studi in questo campo confermano la verità che mantenere un diario della gratitudine ha dei benefici psicologici, fisici e sociali.
Il buon umore che deriva dall’essere grati ci fa guardare le cose sotto una diversa prospettiva, rafforza i legami e ci permette di attutire l’effetto distruttivo di sentimenti negativi come rancore o invidia.
È realistico pensare che non tutti avranno la pazienza di scrivere quello per cui sono grati ogni giorno.
Io per esempio, non ci sono riuscito.
Ho sperimentato sulla mia pelle i benefici concreti della gratitudine ma nel tempo sono ritornato a essere il solito me, con le mie solite convinzioni.
Per questo credo ci sia bisogno di integrare la dimensione della gratitudine con un’altra dimensione, quella dell’empatia.
Per empatia intendo la capacità di essere comprensivi e pazienti con se stessi e con gli altri.
L’empatia è mancanza di giudizio e di pregiudizio, assenza di permalosità.
Quando sbagliamo noi o gli altri l’empatia ci permette di avere un atteggiamento meno bellicoso e di essere invece più curiosi riguardo alle motivazioni dietro lo sbaglio.
È grazie all’empatia, quindi, che si impara.
Essa ci permette di comunicare meglio e di costruire relazioni più sane con le persone che ci stanno intorno.
Perché, se ci pensi bene, è facile ammettere che nessuno vuole stare con qualcuno che critica e giudica di continuo, e nessuno dovrebbe trattare se stesso in quel modo.
Si impara come essere felici quando si smette di prendersela con sé stessi e con gli altri per quello che non va, quando si apprezza di più quello che va e quando si diventa comprensivi con le proprie mancanze.
Da questo stato d’animo, grato e paziente, si può andare avanti e lavorare sulla propria fiducia.
La fiducia in se stessi e nel mondo è un altra dimensione del pensiero felice, cioè quello che crea felicità.
Una persona che si concentra sui problemi (e che è infelice) è anche una persona che non ha fiducia nella bontà della vita, che è convinta di dover tenere tutto sotto controllo.
La paura è il sentimento sottostante le sue azioni, la stessa paura che è il risvolto negativo della fiducia.
Essa ci fa temere che le cose andranno sempre male in futuro, che non avremo abbastanza amore o risorse per vivere ed essere felici.
La paura è la madre dell’infelicità perché parte dal presupposto che quello che ci serve per stare al sicuro è all’infuori di noi.
La fiducia, invece, si basa su presupposti diversi, e cioè che la vita è orientata verso il bene, che non c’è nessun pericolo e che tutto quello di cui abbiamo bisogno per essere felici è già dentro di noi.
Concludiamo con un po’ di sano realismo.
Abbiamo già detto che non è semplice cambiare modo di pensare perché l’infelicità è strutturale ed è fatta di pensieri radicati nella nostra mente da anni o addirittura decenni.
Non credete a chi vi promette formule magiche di trasformazione personale perché spesso non bastano neanche molti mesi a imparare come essere felici.
Quel discorso in cui si diceva che per essere felici bisognava cambiare modo di pensare è stato più di dieci anni fa e, a essere completamente sincero, dopo aver apprezzato il messaggio sono tornato a fare quello che facevo sempre…
…fino a quando ho smesso di farlo.
A un certo punto la disistima e il biasimo personale hanno desistito, perché i semi della gratitudine, dell’empatia e della fiducia avevano anche loro preso spazio nella mia mente.
Erano cresciuti ed erano diventati delle abitudini, una parte integrante della mia struttura mentale.
Adesso sono abituato a non prendermela con me stesso e con chi mi sta intorno, a ringraziare l’universo per tutto quello che ho, ad avere fede che la vita mi mostrerà quello di cui ho bisogno per essere felice.
Ad oggi posso dire che, grazie alle nozioni appena condivise, sono più felice.
Ed è realistico affermare che, seppur non basti un articolo su come essere felici per cambiare vita, di certo basta a fare il primo passo, a piantare il primo seme.
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La solitudine è diversa dallo stare da soli.
Quest’ultimo può essere una scelta, un bisogno, una forma di sollievo.
La solitudine vera è una sensazione di profondo isolamento che si prova quando la propria esistenza sembra essere scollegata dalle altre, quando si vive in una dimensione parallela dove non c’è condivisione.
È uno stato mentale che affligge anche chi è circondato da volti familiari ma estranei.
La solitudine è quel senso di schiacciante vuoto quando apri la porta di casa e senti il silenzio dell’assenza.
È un dolore acuto, a tratti terrorizzante. Una paura ancestrale di non poter sopravvivere all’abbandono.
Indice
Come vedremo tra poco ci sono diversi motivi per cui una persona può sentirsi sola, ma in generale rientrano tutti nelle due tipologie principali di solitudine: la solitudine emotiva e la solitudine sociale.
La solitudine emotiva risulta dalla mancanza di una relazione intima e soddisfacente con un altro essere umano.
Sin dall’infanzia siamo abituati ad avere uno speciale attaccamento a certe persone.
Da piccoli il nostro bisogno di contatto viene soddisfatto dai genitori, mentre da grandi dagli amici e dai partner.
Per questo degli psicologici hanno suddiviso la solitudine emotiva due sotto-tipologie, la solitudine romantica e la solitudine familiare.
La prima causata dalla mancanza di una relazione sentimentale, la seconda dalla mancanza di un nucleo familiare.
La solitudine sociale ha a che fare con il senso di appartenenza a una più o meno ampia rete di supporto.
Può nascere dalla mancanza di un gruppo di amici o dal non riconoscersi nei valori della società/comunità in cui si vive.
La solitudine è un’esperienza altamente soggettiva in quanto è determinata dalla differenza tra le aspettative personali e la qualità delle reali interazioni umane che si vivono.
C’è, per esempio, chi si sente escluso pur avendo molti amici e chi si sente incluso con pochi; chi si sente solo in una festa, chi sta bene lontano dal mondo.
Ciò che rende una persona “sola”, insomma, è il tipo specifico di contatto che le manca.
Le interazioni superficiali che abbiamo quotidianamente non sono sempre abbastanza a colmare il nostro bisogno di attaccamento agli altri.
Si possono incontrare centinaia di persone al giorno ma se non ci sentiamo veramente visti da nessuno ci sentiremo inevitabilmente soli.
Non serve avere mille amici su Facebook, a volte basta un’unica, autentica conversazione con un altro essere umano per placare la nostra solitudine.
Leggi anche: Dipendenza dal cellulare, cosa comporta e come superarla
Si narra di un monaco buddhista che, in visita a Londra e rattristato dallo sguardo assente delle persone in metropolitana, disse ai suoi accompagnatori “Poverini, come vi posso aiutare?”
Per chi viene da un’altra cultura non è facile comprendere lo stile di vita occidentale.
Siamo una tribù frammentata, fatta di milioni di individui ossessionati dal lavoro e dal denaro, che convivono senza conoscersi o… riconoscersi.
Viaggiamo in metropolitane e camminiamo in marciapiedi stracolmi di persone che nella maggior parte dei casi non vediamo neanche.
Insegniamo ai nostri figli a non dare confidenza agli estranei, a non guardarli e a guardarsi da loro.
Viviamo in città affollate dove è facilissimo incontrarsi e nonostante questo siamo noi stessi a scegliere la solitudine quando lasciamo che il pregiudizio e il sospetto abbiano la meglio sulla fiducia nel prossimo.
Prima del 1960 le cose non erano proprio così, ci si sentiva meno soli, ci si fidava forse di più degli altri.
Era molto più comune per le persone rimanere nel posto in cui erano cresciute e mantenere legami con la propria comunità.
Con il boom economico e l’urbanizzazione tutto è cambiato: sempre più persone si sono trasferite in città e hanno scelto, per volontà o bisogno, di rinunciare a quei legami per le opportunità lavorative.
Essere indipendenti e vivere da soli sono così diventati qualcosa a cui aspirare, nonché degli indicatori di successo personale e stabilità economica.
Si pensi che oggi a Stoccolma il 60% degli adulti vive da solo mentre a Berlino è quasi il 50%.
È come se l’essere dipendenti dagli altri, emotivamente o economicamente, fosse visto come una forma di debolezza, soprattutto nei paesi più individualisti dell’occidente come quelli anglosassoni.
Non è forse un caso che qui il tasso di solitudine sia molto più alto rispetto ai paesi più orientati alla vita collettiva.
Si pensi, ad esempio, che negli Stati Uniti o in Inghilterra la percentuale di popolazione che si sente sola oscilla tra il 20 e il 28% – contro il 3-10% della Cina o del Sud Africa.
(Fonte)
È difficile dire con esattezza quale sia la correlazione tra internet e solitudine.
Alcuni studi hanno riscontrato che il web aiuta alcuni a sentirsi meno soli e a combattere la depressione.
Altre ricerche hanno avuto dei risultati opposti.
La verità sta forse nel mezzo, ovvero nel tipo di utilizzo che facciamo di internet e dei social media.
Si può usare Facebook per mantenersi in contatto con i propri cari oppure per paragonarsi agli altri amplificando il senso di distacco e solitudine.
Oppure possiamo usare Google per leggere fake news, scovare il peggio che il mondo ha da offrire e trovare una buona scusa per non uscire di casa.
La verità è che molte persone, me incluso, hanno trovato una voce grazie al web, e hanno potuto migliorare le loro vite, imparare cose nuove grazie al confronto con l’immensa comunità virtuale.
L’illustratore Jonny Sun nel suo monologo “Non siete soli nella vostra solitudine” (a fine articolo) esprime lo stesso concetto:
Molti considerano Internet un luogo solitario. Può esserlo, un enorme vuoto senza fondo da cui tu puoi gridare incessantemente senza che nessuno ti senta. In realtà, io ho trovato conforto nel parlare a quel vuoto. Ho scoperto che se condividevo i miei sentimenti col vuoto, alla fine questo mi rispondeva.
Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama
Ci si sente soli in diverse situazioni, per diversi motivi e in diverse fasi della vita.
A sentirsi soli sono spesso gli anziani, i genitori single e gli immigrati.
Si sentono soli gli adolescenti che non hanno amici o parenti che li aiutano ad affrontare l’incertezza della vita che li attende.
Si sente solo lo studente universitario fuori sede che è passato dal paesino alla grande città e non sa come fare per ricreare quel senso di comunità a cui era tanto abituato.
Anche i disoccupati si sentono soli, esclusi dal cerchio degli indaffarati e degli impiegati.
Poi si sente solo chi ha perso una persona cara, chi soffre a causa di un divorzio o della fine di una relazione.
Si sentono sole alcune mamme dopo aver partorito.
Ci si sente soli in alcuni matrimoni, quando la solitudine viene amplificata dalla distanza di chi è più vicino.
Infine, riprendendo il filo della solitudine nel mondo moderno, ci si sente soli nelle grandi città, specialmente quando non ci si sente accolti e non c’è nessun vicino di casa o fruttivendolo a darci un sorriso e dirci “buongiorno, come stai?”.
Nel libro Solitudine. L’essere umano e il bisogno dell’altro il neuroscienziato John Cacioppo sostiene che la solitudine è qualcosa di ben radicato nella nostra biologia, che coinvolge il corpo in maniera totale, dalla circolazione del sangue alla trasmissione degli impulsi nervosi.
Le immagini del cervello ottenute con la neurovisualizzazione confermano che le sensazioni provocate dall’emarginazione sociale e il dolore fisico condividono lo stesso meccanismo fisiologico.
La solitudine fa male al corpo tanto quanto la mente e il cuore. Essa può indebolire il sistema immunitario, aumentare la produzione di ormoni dello stress e disturbare il sonno.
Una ricerca ha trovato un legame tra la solitudine e il maggior rischio di infarto, demenza, pressione alta e un generale aumento nel rischio di morte prematura del 50% (un rischio comparabile a quello di fumare 15 sigarette al giorno!).
Riguardo agli effetti psicologici, la solitudine è strettamente collegata alla depressione, l’ansia e le tendenze suicide.
Negli adulti può portare all’alcolismo mentre nei minori a comportamenti auto-distruttivi, antisociali e persino delinquenti.
Nella vita di tutti i giorni il sentirsi soli può compromettere lo svolgimento delle normali incombenze quotidiane e farci sentire come se fossimo delle comparse invisibili nel mondo.
Passando all’aspetto più positivo dell’argomento, stare soli non è sempre un dramma.
In certi casi la solitudine serve e fa bene. Essa è fondamentale per trovare la concentrazione e la creatività, nonché per permettere l’auto-riflessione necessaria a conoscere se stessi.
Altre attività utili alla crescita personale vengono spesso fatte da soli come la preghiera o la meditazione.
Vivere o viaggiare da soli lontani da casa può anche regalare senso di indipendenza e autonomia, aumentare la propria autostima e fiducia in sé stessi.
Ricordo, per esempio, il giorno in cui sono atterrato negli Stati Uniti: ero solo in una cultura lontana anni luce dalla mia e mi sentivo impaurito, impotente.
Col tempo, però, la solitudine iniziale ha iniziato a recedere e ho visto che dietro c’era una forza che non credevo di avere.
Quell’esperienza ha così migliorato di molto la mia vita, mi ha permesso di conoscere meglio me stesso e apprezzare di più la presenza delle persone.
Una soluzione che avrebbe un grandissimo impatto nel combattere il senso di solitudine che molte persone sentono oggi è l’aumento di spazi condivisi per vivere e lavorare.
Per intenderci, stiamo parlando di co-housing e co-working.
Co-housing vuol dire letteralmente “abitare insieme” ed è un trend che è nato in America e in Danimarca intorno agli 80.
Quello che accade, in sostanza, è che diverse famiglie decidono di acquistare le loro case in una stessa zona e di raggrupparle intorno a una casa comune che di solito include:
Grazie a una tale disposizione si riducono di molto le possibilità che gli anziani si possano sentire isolati o che alcune mamme possano avere difficoltà con la cura dei bambini.
La vita comune diventerebbe una sorta di cooperativa, dove i problemi e le gioie del singolo vengono condivisi dal gruppo.
Co-working vuol dire letteralmente “lavorare insieme” ed è uno spazio usufruito da diversi professionisti.
A differenza di un tipico ufficio le persone che lavorano in un co-working space lavorano per diversi clienti o diverse compagnie.
Inoltre ci sono spesso ambienti per rilassarsi, fare una pausa o persino cucinare.
Lo scopo non è dunque solo quello di permettere la flessibilità lavorativa ma anche di favorire opportunità di collaborazione e aggregazione.
Per risolvere il fenomeno dell’isolamento delle persone c’è molto da fare sia online che offline.
A livello governativo si potrebbero varare leggi che finanziano la costruzione di spazi pubblici, riducono le ore lavorative o promuovono la costituzione di associazioni culturali e organizzazioni ricreative.
Gli amministratori locali potrebbero adottare misure per spingere le persone a usufruire dei parchi pubblici; architetti e ingegneri potrebbero includere aree comuni e spazi aperti nei progetti di edifici pubblici e privati.
Anche i social media, il nostro spazio di condivisione virtuale, possono fare molto per far sentire le persone meno sole.
Instagram ha già eliminato il numero di like dai suoi post per evitare che alcuni utenti si potessero sentire inferiori agli altri.
Allo stesso modo altre piattaforme potrebbero riadattare la loro funzionalità al benessere del singolo invece che alle possibilità di guadagno.
Per quanto si possa incoraggiare a vivere insieme, ogni sforzo sarà inutile se alla base non esiste una ferma volontà di superare la propria solitudine.
Per chi è intenzionato a farlo ci sono tantissimi modi di connettere con gli altri, anche qui sia online che offline.
Sul web ci sono siti come meetup.com che danno la possibilità di partecipare agli incontri di gruppi di persone con interessi in comune come la cucina o lo yoga.
Si può poi usare il web per farsi un’idea di quello che accade nella vita reale e trovare concerti, mostre, attività a cui partecipare ed eventi dove andare.
In ultima istanza, il problema della solitudine è un problema di tutti e al tempo stesso di ogni singolo individuo.
La circostanze in cui viviamo hanno sicuramente un impatto decisivo sulla nostra socialità, ma nessun posto o comunità può mai compensare la nostra mancanza di interesse verso gli altri.
Oltre a sfruttare le opportunità che ci offre la nostra città, per essere meno soli dobbiamo coltivare un elemento essenziale al senso di appartenenza: la fiducia nel prossimo.
Solo con la fiducia si può placare la morsa invalidante della solitudine; solo riuscendo a vedere gli altri come alleati, e non nemici, ci si può sentire meno soli.
la solitudine a me non mi spaventa, non è una cosa così brutta come la descrivano le persone, a volte è saggezza vuol dire non seguire un gregge che non ci piace, vuol dire essere liberi vuol dire essere se stessi
Ho letto volentieri tutto l’articolo, grazie! Apprezzo tutte le attestazioni emerse.
Una mia personale considerazione? L’assenza o la distanza da chi amo avere intorno non la chiamo solitudine ma mancanza, vuoto, rimpianto. La solitudine, invece, è quello spazio gioioso nel quale amo rifugiarmi per ritrovarmi, per lasciarmi andare, per appagare il mio sentire, lontana da qualsiasi tipo di condizionamento, sia affettivo che mediatico.
Un sentito abbraccio di solidarietà per un tema che mi è caro.
Le relazioni romantiche non sono cosa semplice e, come le macchine, di tanto in tanto hanno bisogno di essere portate dal meccanico per sistemare quello che non va, ovvero di ricorrere alla terapia di coppia.
È vero, ci sono problemi che possono essere risolti in casa con un po’ di buona volontà e pazienza.
Ci sono però delle fasi di una relazione che sono un po’ come delle sabbie mobili, in quanto l’unico modo di uscirne è farsi tirar fuori da qualcuno al di fuori, possibilmente qualcuno con le dovute competenze.
Uno dei motivi per cui le persone non ricorrono alla terapia di coppia è che il concetto stesso di terapia nella nostra cultura è frainteso.
Come nella psicoterapia individuale, molti pensano che sia qualcosa che solo persone con gravi problemi fanno o che sia un modo di forzare il proprio partner a cambiare.
Molte persone non sono consapevoli dei benefici che il confronto con un terapeuta può avere nella vita, non capiscono che ricorrere alla terapia non è tanto una scelta contro un malessere ma una a favore del proprio benessere psicologico.
Con questa dovuta premessa vediamo più in dettaglio cos’è la terapia di coppia.
La terapia di coppia è un tipo di psicoterapia nel quale un professionista, abilitato e con esperienza, aiuta due persone ad approfondire e risolvere le cause dei loro problemi relazionali.
Il percorso terapeutico di solito inizia con una serie di domande mirate a comprendere la storia della coppia, le origini familiari, i valori e il background culturale.
Il terapista può puoi scegliere il tipo di intervento in base al suo orientamento: può partecipare attivamente alla soluzione della crisi o limitarsi a fare da specchio per aumentare la consapevolezza.
Durante la fase di trattamento, il terapeuta aiuta la coppia a ottenere una nuova prospettiva sulle dinamiche del rapporto che mantengono in vita il problema.
Allo stesso tempo, aiuta entrambi a capire meglio il loro ruolo e le loro responsabilità.
Ciò li aiuterà a migliorare la comunicazione e cambiare il modo in cui percepiscono sé stessi, il partner e i reciproci ruoli nella coppia.
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Un beneficio importantissimo della terapia di coppia è dunque un miglioramento dell’assertività, che è la capacità di esprimere chiaramente le proprie emozioni senza aggredire l’altro.
Oltre a questo c’è poi una parte più pratica, in cui l’obiettivo non è tanto di comprensione ma di cambiamento del comportamento.
A tal fine il terapeuta può assegnare dei “compiti”, o chiedere alla coppia di modificare qualcosa nella loro routine per stabilire una nuova dinamica e ottenere diversi risultati rispetto al passato.
Molte coppie terminano il loro percorso di terapia con una nuova visione di quello che vuol dire stare insieme e avere una relazione sana.
Imparano a rispettare/ascoltare di più l’altro e a tenere a bada le cattive abitudini di comportamento che hanno creato malumori in passato.
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Con questo non si vuole di certo far passare il messaggio che la terapia di coppia sia la panacea di tutti i mali e che possa risolvere ogni tipo di problema.
A volte, e semplicemente, non c’è la volontà di stare insieme.
In altri casi, e visto che il terapeuta viene spesso considerato come l’ultima spiaggia, molte coppie scelgono di fare terapia quando la loro crisi è già in corso da diversi anni.
L’efficacia dell’intervento è dunque altamente influenzata dalla tempistica e dalla professionalità del terapeuta scelto.
Vale la pena ricordare che molti terapeuti, sia individuali che di coppia, offrono qualche forma di prima consulenza gratuita per permettere ai partner di decidere autonomamente cosa fare.
Quindi la fase di esplorazione delle opzioni non comporta nessuna spesa.
La cosa più importante da considerare, oltre al chi, è capire esattamente quando chiedere aiuto.
Per chiarire meglio la questione riporto qui una lista di problemi individuati da PsychologyToday comuni alle coppie che scelgono di fare terapia.
Uno dei problemi più frequenti nel ricorso alla terapia di coppia è il bisogno di superare una profonda rottura della fiducia.
Forse la causa è stato un tradimento sessuale; forse un tradimento affettivo; o forse ci sono state delle bugie inerenti al denaro.
Grazie alla terapia si offre in questi casi uno spazio sicuro all’interno del quale si può essere vulnerabili e ricostruire fiducia reciproca.
Le liti di coppia sono una parte normale di ogni relazione, ma se la vita quotidiana inizia a essere orientata sempre di più verso il conflitto potrebbe esserci un problema più profondo sotto la superficie.
Ciò sarà da attenzionare soprattutto quando le cause dei litigi sono apparentemente banali.
Forse non è una quesitone di conflitto ma di una incapacità di comprendersi a vicenda.
Il tuo partner sembra distante e non capisci cosa pensa o cosa prova.
Spesso uno dei risultati più tangibili della terapia di coppia è un miglioramento della qualità della comunicazione.
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Come accennavamo prima la terapia di coppia, come quella individuale, è utilissima non solo a risolvere i problemi ma anche a identificarli.
In altre parole, grazie a essa impariamo a dare un nome alle cose.
Magari ci rendiamo conto che il problema non è il fatto che il nostro partner passi troppo tempo a lavoro ma che quando torna a casa non fa nulla per farci sentire apprezzati.
Oppure percepiamo che qualcosa è cambiato nel modo in cui si sta insieme e non si riesce a trovare l’origine di tutto.
La bellezza della terapia è che crea un ambiente dove tutto può essere detto e condiviso.
Il terapeuta funge spesso da cuscinetto tra te e le verità più nascoste della tua mente, e anche da cuscinetto tra te e il partner.
Ti fa sentire protetto/a abbastanza da dire ciò che ti passa per la testa senza timore di innescare reazioni di giudizio e biasimo.
I professionisti più in gamba hanno poi la capacità di parafrasare le nostre parole per renderle più chiare e meno soggette a fraintendimenti.
Lui o lei, può dunque fare un po’ da traduttore per il nostro partner, e riportare il nostro punto di vista in un modo che sia più facile da accettare e comprendere.
Gli studi di John Gottman dimostrano che il modo in cui una coppia gestisce i litigi è un indicatore della stabilità della coppia e delle possibilità di divorzio in futuro.
Tra i segnali che lasciano intravedere il pericolo di rottura ci sono quelli che Gottman chiama i quattro cavalieri dell’apocalisse, ovvero degli stili comunicativi altamente nocivi alla crescita della relazione.
Questi stili sono:
Lo stonewalling è una tecnica di ostruzionismo che adotta chi vuole evitar il confronto diretto o far innervosire il partner.
In concreto può consistere nel lasciare la stanza durante un litigio, nell’assumere un atteggiamento indisponente o passivo-aggressivo, nel fare scena muta.
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Ci sono eventi nella vita che hanno il potere di cambiarci da dentro e, di conseguenza, di cambiare le nostre relazioni.
La perdita di una persona cara, per esempio, o un lungo periodo di disoccupazione, possono infrangere le basi di un legame e far allontanare due partner.
Il ricorso alla terapia in questi casi può essere d’aiuto nel ripartire da zero e uscire insieme dal periodo difficile.
Ci sono diverse cattive abitudini che possono mettere alla prova un rapporto di convivenza o di matrimonio.
Si può trattare del modo di comunicare o di trattare l’altro, come l’abitudine di lamentarsi continuamente con il partner del proprio lavoro e l’incapacità di fare lo stesso per lui/lei.
Magari c’è uno squilibrio eccessivo nelle responsabilità attinenti alla vita di coppia o alle faccende di casa.
Più l’abitudine va avanti nel tempo e più è difficile modificarla.
È molto comune vedere una forte passione nella fase iniziale di ogni relazione seguita da un calo di interesse nel corso egli anni.
La causa di ciò può essere il semplice eclissarsi dell’intimità di fronte ai sempre più pressanti impegni familiari quotidiani o il sintomo di una frattura più profonda.
La terapia di coppia può sicuramente aiutare ad andare a fondo alla questione ed eventualmente a ritrovare la complicità perduta.
I problemi a letto possono essere il sintomo di altri problemi relazionali e di frustrazioni non adeguatamente attenzionate.
Il modo in cui si presentano varia dal blocco immediato a un raffreddamento graduale della vita sessuale, che può essere vissuto in modo simile da entrambi o avere un impatto maggiore su uno dei due.
A prescindere dal tipo di causa o problema un terapeuta esperto di solito riesce a far luce sulla situazione e dare consigli su un’ipotetica soluzione.
Il fatto che le persone che vanno dal terapeuta vengano chiamate “pazienti” può scoraggiare molte persone dal cercare aiuto psicologico.
Quando abbiamo un problema fisico come un dolore o una frattura, non ci facciamo problemi a cercare un dottore.
Il paziente mentale, però, viene visto in modo diverso rispetto al classico paziente d’ospedale.
Le problematiche mentali non sono così chiare come quelle fisiche e, per evitare di ammettere di averle, ci si ostina troppo spesso a pensare di poter risolvere tutto da soli.
Cosa che, a pensarci bene, è alquanto ingiusta da pretendere da sé stessi.
A scuola nessuno ci insegna come controllare le nostre emozioni o come affrontare la vita quando sorgono i problemi.
Molti di noi riescono a imparare grazie all’esperienza e a sviluppare una spiccata intelligenza emotiva.
Ma non tutti apprendiamo allo stesso modo e con la stessa facilità.
Di fronte a una delusione lavorativa/scolastica/amorosa c’è chi si rimbocca le maniche e si rimette a lavoro e chi cade a terra e non riesce più a rialzarsi.
Allo stesso modo, davanti un problema matrimoniale alcune coppie sviluppano una naturale resilienza psicologica, altre soccombono davanti l’ostacolo.
Tutto ciò che la terapia individuale o di coppia fa è ridurre il divario tra chi fa da sé e chi ha bisogno di aiuto.
È un intervento di benessere, di costruzione della felicità, di costruzione della maturità e dell’integrità personale.
Non c’è assolutamente nulla di male nel chiedere aiuto o nell’ammettere di essere in difficoltà.
La nostra accettazione della vulnerabilità è il primo passo verso la forza, così come l’umiltà di ammettere di non essere in grado di risolvere una crisi relazionale è il primo passo verso una più matura e solida relazione.
Un romanzo a due voci, maschile e femminile, che si alternano a raccontare la loro storia mentre la vivono, perché «ci sono fasi dell’amore in cui la realtà diventa un punto di vista, generalmente quello di chi lo impone».
Due adulti sposati (non tra loro) che si ritrovano uniti da una passione incontrollabile e da un amore coriaceo, particolarmente resistente alle intemperie.
Amazon 7,99€Di recente ho visto una serie televisiva che descrive l’amore moderno chiamata Modern Love.
La cosa che ha colto subito la mia attenzione è il realismo con cui la serie racconta i legami sentimentali al giorno d’oggi.
Non in modo edulcorato e idealizzato, ma attraverso il racconto di personaggi vulnerabili, ansiosi, depressi, imperfetti, come chiunque di noi potrebbe essere in qualsiasi momento della propria vita.
Il messaggio centrale è che tutti possono amare ed essere amati, è che tutti hanno il diritto di amare e di essere amati.
Perché anche quando si manifesta tra persone di diverse generazioni o culture o dello stesso sesso, l’amore mantiene sempre la sua integrità e fa quello per cui molti lo cercano: fa sentire al sicuro.
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Tutti abbiamo familiarità con l’idea di innamoramento e di amore eterno.
Ma, e il tasso di divorzi lo conferma, non tutti sanno cosa succede 10 anni dopo la luna di miele o dopo l’ennesimo litigio.
Così come una storia d’amore apparentemente perfetta potrebbe rivelarsi un incubo dopo un mese, una relazione all’apparenza improbabile potrebbe durare per sempre.
Nessuno può sapere con esattezza cosa sia l’amore o cosa porti due persone a innamorarsi.
Non si può dire a qualcuno, o a se stessi, “tu puoi amare questo ma non quello”, non esistono regole, non esistono parametri universali che rendono un amore più legittimo di un altro.
Ciò era vero ai tempi in cui l’amore veniva impedito e punito con la violenza ed è vero anche oggi in cui è più semplice essere esposti alle sue infinite forme.
Per questo, adesso più che mai, serve sviluppare una cultura sull’amore, per poter meglio navigare le tortuose acque della vita sentimentale moderna ed essere più consapevoli nelle proprie scelte amorose.
Da come ne parlano cinema e televisione, vivere l’amore romantico nel ventunesimo secolo sembra un’avventura avvincente… in teoria.
Nella pratica, ogni relazione porta con sé “complicazioni”: c’è la mancanza di tempo, le numerose tentazioni online e offline, i problemi economici, lo stress, le aspettative disattese, le mancate risposte ai messaggi, i tradimenti.
Alcuni di questi problemi sono gli stessi che avevano le coppie cento anni fa.
Altri invece sono legati al periodo in cui viviamo.
Seppur, infatti, la tecnologia non abbia cambiato l’impulso ad amare, ha però cambiato il contesto e il modo in cui corteggiamo: con le email, gli emoticon, i messaggi vocali, le foto osé, i like e i selfie.
In più, grazie ai social e a siti/app di incontri online come Tinder, Meetic o Ciaosingle abbiamo molte più scelte rispetto a quelle che si avevano a inizio secolo scorso.
Quest’ampio spettro di alternative rappresenta un cambiamento drastico col passato perché, creando un sovraccarico cognitivo nel nostro cervello, ha alterato il modo in cui scegliamo.
Oggi non basta sempre che qualcuno sia di bell’aspetto o che venga dal giusto contesto familiare/sociale, come una volta. Ci sono molti più aspetti da considerare e da comparare con la miriade di altri potenziali partner là fuori, cosa che crea molta più titubanza.
Il sovraccarico di scelte oggi porta alcune persone a provare quella che la psicologa Esther Perel definisce come “stabile ambiguità”, ovvero uno stato in cui si ha paura di stare soli ma anche paura di impegnarsi e costruire un’intimità.
Ciò crea un tipo di relazione non sana (che vedremo tra poco) chiamata relazione distaccata, all’interno della quale la persona rimane fredda e irraggiungibile pur alimentando a tratti le aspettative dell’altro.
Si tratta, sostanzialmente, di una tecnica di stallo che permette di avere un partner mentre si continua a guardarsi intorno per placare la propria FOMO – la paura di delle opportunità perse.
Nei casi più estremi questa forma di incertezza può risultare nel “ghosting”, cioè nello scomparire da tutti i messaggi per non avere a che fare con il dolore che si infligge all’altra persona.
L’esposizione a molti più potenziali partner, insieme con la liberalizzazione della sessualità, ha aumentato, e forse complicato, la fase di esplorazione pre-matrimonio.
Se prima il matrimonio era considerato l’inizio della vita sentimentale, insomma, oggi è la fine.
Oggi siamo più liberi di sperimentare in amore e di avere multiple relazioni. Abbiamo molti meno preconcetti, molte meno convenzioni.
Non crediamo più nella verginità prima del matrimonio, nei matrimoni combinati o nella figura dell’uomo come capo della famiglia.
Viviamo la vita amorosa senza vergognarci più di tanto e con meno paura di malattie o gravidanze inaspettate.
Abbiamo meno restrizioni culturali da parte di famiglia, stato e società.
Ed è curioso considerare che, nonostante tutto, cerchiamo sempre la stessa cosa.
Si stima che il 97 per cento delle persone vuole qualcuno che le rispetti, in cui possano credere e confidare; qualcuno che le faccia ridere, che dedichi loro tempo e che trovino fisicamente attraente. Questo non cambia mai.
Riguardo alla relazione tra modernità e relazioni sentimentali, possiamo dunque concludere che il contesto sociale e tecnologico in cui viviamo non abbia intaccato di molto l’inestinguibile e primordiale impulso umano verso l’amore.
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Passiamo adesso a vedere quali sono le tipologie di relazioni non sane e come costruire una sana.
Ci sono coppie che sono molto strette, forse troppo strette.
Se si potesse rappresentarle sarebbero come due cerchi che si intersecano, che non hanno vita propria al di fuori della relazione.
Sono questi i casi di relazioni co-dipendenti in cui l’obiettivo di ciascuna persona è difendersi dalla solitudine inglobando e facendosi inglobare dalla vita dell’altro.
Il risultato è una volontaria o involontaria restrizione della libertà propria e altrui.
Ogni elemento esterno che possa distrarre dalla piena partecipazione alla relazione viene visto come una minaccia da annientare.
Razionalmente i due giustificano la loro co-dipendenza dicendo che non possono vivere l’uno senza l’altro.
Ma nel profondo la relazione è solo un calmante, uno scudo che li protegge dalla paura di affrontare il mondo da soli.
Anche se dietro l’attaccamento morboso e le manie di controllo ci possa essere un sentimento puro, la tendenza a perdersi nella coppia impedisce a entrambi di scoprire il lato più libero dell’amore e crescere come individui.
In altre coppie la dipendenza non è tanto reciproca ma unilaterale in quanto uno dei due partner, il più forte, tiene sotto controllo l’altro, il più debole.
Questa dinamica, che possiamo definire come amore dittatoriale o gerarchica, può essere raffigurata come un cerchio piccolo racchiuso all’interno di un cerchio più grande.
L’amore dittatoriale è anche l’amore patriarcale il cui unico presupposto è la totale sottomissione della donna.
La persona che controlla è chi, attraverso una manifestazione di forza, abusa verbalmente o fisicamente o emotivamente la propria compagna (o il proprio compagno).
Mentre lo scopo (inconscio) di chi controlla è spesso placare il proprio senso di impotenza, lo scopo di chi subisce il controllo è confermare il proprio senso di inferiorità.
Le persone che prediligono la tipologia di relazione distaccata hanno paura dell’intimità o non vogliono essere derubate della loro energia.
Evitano un eccessivo coinvolgimento nella relazione per paura di impegnarsi e dedicano solo minime attenzioni al proprio partner.
Le motivazioni per un atteggiamento del genere possono essere molteplici.
La causa può essere, come dicevamo prima, la paura di perdere altre opportunità amorose o il tentativo di “testare” l’attaccamento dell’altra persona.
C’è poi chi è distante perché anaffettivo, cioè incapace di dare e ricevere affetto.
Qualsiasi sia la motivazione per cui si rimane distanti, tale dinamica relazionale è poco sana in quanto non consente di condividere e amarsi pienamente a vicenda, ed è per questo raffigurata da due cerchi che non si toccano.
La relazione funzionale è simboleggiata da due cerchi che si toccano senza intersecarsi, a significare che i due partner sono legati ma non si controllano, non si invadono.
All’interno di questa dinamica si può coltivare e capire cos’è l’amore vero, alla cui base c’è il rispetto per l’individualità del partner e un sincero interessamento al suo benessere personale.
In una relazione funzionale entrambi i partner sono liberi ma uniti. Liberi di vivere i loro interessi ma uniti dalla scelta di affrontare insieme la vita e rendersi felici a vicenda.
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Alla base di ogni relazione sana non c’è solo l’amore.
Anche con le persone che amiamo maggiormente c’è il rischio di non capirsi e soprattutto di ferirsi a vicenda.
Se vuoi avere una relazione funzionale crea un ambiente che sia il più sicuro possibile all’interno del quale sia tu che il tuo partner possiate manifestare apertamente i vostri sentimenti senza paura di ritorsioni o arrabbiamenti.
Nella dinamica dei due cerchi che si toccano ognuno di voi deve essere libero di dire la sua e non deve esserci nessuna gerarchia o controllo come nella relazione dittatoriale. Ricorda: il tuo partner non è il nemico ma tuo alleato.
Durante momenti di agitazione si può facilmente lasciarsi trasportare dalle emozioni e dire cose che non si pensano realmente.
Quando senti montare la gelosia o la frustrazione chiediti se stiano nascendo da una situazione reale o dalla tua percezione della situazione.
Chiediti dove sta la verità?
A volte immaginiamo scenari negativi perché sono già nella nostra mente, e li temiamo talmente tanto da essere prevenuti nei confronti di tutto ciò che vi assomigli.
Ci sono casi, per esempio, in cui la gelosia non è giustificata da fatti concreti ma nasce dalla paura di essere abbandonati.
Tieni sempre a mente questa distinzione dunque, una cosa sono i fatti, un’altra le percezioni.
Ognuno di noi ha diverse voci in testa.
No, non sto parlando delle voci che sentono i pazzi, ma della normale presenza di più punti di vista all’interno della stessa persona.
In fatto di relazioni, si può facilmente passare dall’entusiasmo alla delusione, dal pensiero di voler passare la vita insieme al dubbio se la relazione arriverà a domani.
Se hai pensieri diametralmente opposti prova a mediare, non crederti sul serio quando dici “non lo sopporto più voglio lasciarlo” e aspetta sempre di avere la mente serena prima di prendere decisioni importanti.
Presta attenzione alla tua tendenza a giudicare.
Quando giudichi chiudi una porta a chiave, etichetti una persona e non le dai la possibilità di dimostrare il contrario.
La compassione è l’opposto del giudizio.
Una volta sviluppata ti porta a connettere con l’altro, a provare ciò che prova e disinnescare il potere delle reazioni negative.
Il giudizio ci separa, la compassione ci unisce.
Il fondamento di una relazione sana è soddisfacente è la capacità di rimanere connessi pur restando separati.
Nella relazione co-dipendente ci si sacrifica entrambi.
In quella dittatoriale si sacrifica principalmente una persona.
In quella distaccata non c’è sacrificio ma nemmeno punto di incontro.
E in quella funzionale esiste un punto in cui due Io diventano un Noi.
Qui non devi farti piacere tutto ciò che piace al tuo partner, potete tranquillamente mantenere le vostre differenze ma creare un spazio all’interno del quale queste non contano.
Uno spazio dove si riesce a dare e a ricevere e dove non importa chi vince ma che si vada avanti insieme.
Se ti aspetti che devi avere tutto ciò che desideri da una relazione stai creando i presupposti giusti per la delusione.
Riconosci cosa è importante per il tuo partner e rispettalo, non compiere gesti per avere qualcosa in cambio, dai per il piacere di dare...
… dai con la convinzione che dare a chi ami equivale a dare per due volte a te stesso.
Una vecchia massima dice che non si può salvare chi non vuole essere salvato.
Ciò vale per chi si è preso “l’impegno” di cambiare il proprio partner e anche per chi si aspetta che sia il proprio partner a cambiare lui stesso o lei stessa.
Solo noi possiamo cambiare noi.
Ed è prerogativa dell’altra persona cambiare la propria vita, ma solo se vorrà farlo.
Se nell’atteggiamento del tuo partner vedi qualcosa che non ti piace o non ti convince, dillo apertamente, chiedi chiarimenti, fa domande.
Non fare supposizioni e non arrivare a conclusioni senza aver prima cercato un confronto.
Se sei rimasto deluso perché la tua lei o il tuo lui non ha fatto qualcosa che ti aspettavi, prova a capire la sua motivazione e soprattutto non essere passivo-aggressivo.
Le persone non sanno leggere la tua mente e non possono giustificare ciò che non comprendono.
Quindi, per evitare di aggiungere incomprensione su incomprensione, comunica i dissapori al momento in cui sorgono e crea una canale aperto di comunicazione.
Non importa che tu sia super impegnato col lavoro.
Non esiste relazione che possa durare senza essere coltivata, ovvero senza una minima dose di attenzione e cura.
Fa in modo di trovare sempre del tempo per il tuo partner, che sia per una chiacchierata, un appuntamento galante o una piccola vacanza romantica.
Anche se gli impegni ti portano lontano dimostra la tua presenza in qualche modo, con un messaggio, una foto, una chiamata, un gesto di interessamento.
Per mantenere l’integrità del tuo cerchio ed essere il miglior partner possibile devi prenderti cura di te.
Non è facile costruire l’amore quando non ci si ama o non si sta bene. Per amarsi bisogna anche saper capire e soddisfare i propri bisogni, per poi essere in grado di capire e soddisfare i bisogni dell’altro.
Come accennavamo prima l’amore moderno può essere complicato, a tratti brutale, e sicuramente pieno di alti e bassi.
I bassi possono anche essere indesiderati ma è grazie a loro che si costruiscono i momenti migliori.
Se state passando un periodo difficile non forzare troppo la mano provando a risolvere tutto subito e non farti prendere dall’ansia.
La chiave di tutto è la comprensione reciproca. Più sarai coinvolto in te stesso e guidato dalle tue emozioni e più sarai lontano dal punto di vista del partner.
Più proverai a vedere con i suoi occhi, invece, e più probabilità avrai di mantenere in vita l’amore, e la relazione.
Impara a gestire al meglio le liti di coppia e a prestare attenzione a quello che dice il partner non solo con le parole ma anche con i gesti e le espressioni.
Tutto ritorna alla normalità quando si è in grado di capire e comunicare in modo chiaro cosa si prova, tipo ciò che infastidisce o ferisce, e di effettuare i dovuti cambiamenti.
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Secondo questo famoso psicologo statunitense, uno dei più citati del XX secolo, le nostre azioni hanno lo scopo ultimo di soddisfare determinati bisogni che differiscono tra loro per importanza e priorità.
Il concetto “gerarchia dei bisogni” venne così inizialmente presentato da Maslow in un articolo del 1943 intitolato “A Theory of Human Motivation” e successivamente nel suo libro Motivation and Personality (Motivazione e personalità, ultima edizione disponibile qui).
La gerarchia dei bisogni suggerisce che le persone sono motivate a soddisfare prima i bisogni basilari e poi quelli più avanzati.
Seppur la teoria nel tempo sia stata sottoposta a revisione, è ancora oggi presa in buona considerazione anche rispetto ad alcuni concetti della psicoterapia breve.
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Maslow era molto più interessato a conoscere ciò che rende le persone felici e le cose che fanno per raggiungere tale obiettivo.
Come umanista, egli credeva che le persone avessero il desiderio innato di auto-realizzarsi, cioè di essere tutto ciò che potevano essere.
Per raggiungere questi obiettivi finali, tuttavia, è necessario che prima venga soddisfatta una serie di esigenze di base che comprendono ad esempio il cibo o la sicurezza personale.
Se si è sperduti in una foresta senza niente da mangiare o da bere, il primo pensiero non sarà di certo quello esistenziale di scoprire chi si è veramente. Piuttosto, sarà quello pratico di trovare riparo e ristoro. Quando, al contrario, si ha abbondanza di cibo e ci si sente al sicuro, ci si può concentrare su pensieri più astratti come la ricerca di un senso alla propria vita.
Anche grazie a considerazioni del genere, la gerarchia dei bisogni di Maslow viene spesso rappresentata come una piramide a 5 piani.
I livelli più bassi della piramide sono costituiti dai bisogni più elementari, mentre i bisogni più complessi si trovano nella parte superiore della piramide.
I bisogni nella parte inferiore della piramide sono requisiti fisici di base tra cui la necessità di cibo, acqua, sonno, ecc.
Una volta soddisfatte queste esigenze di livello inferiore, le persone possono concentrarsi sul soddisfare i bisogni superiori che hanno una natura più psicologica e sociale.
Qui diventa importante il bisogno di amore, amicizia e connessione col prossimo.
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Guardiamo adesso nel dettaglio i bisogni della scala di Maslow.
Parliamo di bisogni fisici di base come bere quando si ha sete o mangiare quando si ha fame.
Maslow considerava quelli fisiologici quelli più essenziali.
Per fare qualsiasi cosa nella vita serve avere il giusto apporto di calorie, vitamine e proteine, dormire il giusto numero di ore e mantenere il corpo e la mente sani.
Per questo motivo quando c’è un problema di salute o, come nel caso della pandemia del Covid-19, un rischio grave alla salute pubblica, tutto si ferma.
Non conta più il lavoro o il divertimento quando non si sta bene nel corpo e nella mente, così il soddisfacimento dei bisogni fisiologici è la base sulla quale si può costruire tutto il resto.
Una volta soddisfatte le esigenze fisiologiche delle persone, la prossima necessità che si presenta è vivere in un ambiente sicuro.
Le nostre esigenze di sicurezza sono evidenti anche nella prima infanzia, poiché i bambini hanno bisogno di ambienti sicuri e prevedibili e in genere reagiscono con paura o ansia quando questi non sono soddisfatti.
Maslow ha notato che negli adulti che vivono in nazioni sviluppate, le esigenze di sicurezza sono più evidenti in situazioni di emergenza (ad esempio durante guerre e catastrofi).
Questa necessità può anche spiegare perché tendiamo a preferire ciò che è familiare a ciò che è sconosciuto e perché acquistiamo polizze assicurative.
Secondo Maslow, il prossimo bisogno nella gerarchia implica sentirsi amati e accettati.
Questa esigenza include sia relazioni romantiche che legami con amici e familiari e ha a che fare sia con il bisogno di ricevere che di dare amore agli altri.
Strettamente correlato al bisogno di connessione è anche il nostro bisogno di appartenenza a un gruppo sociale.
La sua origine va sicuramente cercata ed è correlata alla maggiore sicurezza che una tribù o gruppo sociale garantisce al singolo individuo.
Ma può anche essere spiegata con la natura sociale dell’animale uomo, che riesce a imparare a parlare e a vivere in società solo grazie ad altri esseri umani.
La stima è il quarto livello nella gerarchia dei bisogni.
Maslow la suddivide in due categorie:
Maslow sottolinea che il bisogno di rispetto e reputazione è particolarmente importante nei bambini e negli adolescenti e precede il concetto di auto-stima e dignità negli adulti.
L’auto-realizzazione si riferisce al sentirsi realizzati e all’altezza del proprio potenziale, all’essere appagati della propria vita.
Mentre i bisogni primari e secondari possono essere molto simili in quanto attinenti alla psicologia e fisiologia umana, una caratteristica unica dell’auto-realizzazione è che sembra diversa per tutti.
Per una persona l’auto-realizzazione potrebbe comportare l’aiutare gli altri, per un’altra la maestria in campo artistico o l’avere una famiglia propria.
In sostanza, l’auto-realizzazione significa sentire che stiamo facendo ciò che crediamo di dover fare.
Al giorno d’oggi accade troppo spesso che ci si concentri sui bisogni inferiori e che, per esempio, si sacrifichi l’amor proprio per la sicurezza finanziaria.
La paura irrazionale di perdere rispetto o status spinge molte persone a trascurare la loro realizzazione personale e gli impedisce di trovare la versione “più alta” di sé stesse.
In aggiunta, la continua alienazione dell’uomo moderno causata da tecnologia e globalizzazione porta molti di noi a essere più egoisti e a cercare la connessione con la visibilità piuttosto che il contatto umano.
In un contesto come quello in cui viviamo diventa dunque imperativo acquisire consapevolezza dei propri reali bisogni per cambiare in meglio la propria vita ed evitare di sprecare energie rincorrendo falsi sogni e ideali.
La differenza fondamentale tra i bisogni primari e secondari definisce anche la differenza tra vivere e sopravvivere.
Se le tue uniche preoccupazioni sono relative a quello che mangerai domani, quella è sopravvivenza.
Se invece hai trovato il mondo di mantenerti mentre pensi a come puoi dare un significato e un valore alla tua esistenza, quella è vita.
La mente umana è in grado di fare molte più cose rispetto al trovare soluzioni per soddisfare i bisogni più semplici.
Ogni essere umano ha a disposizione un infinito potenziale creativo che può essere utilizzato per inventare mestieri, risolvere problemi, creare bellezza, arte, musica.
Dirigere la nostra mente sulle preoccupazioni più ordinarie della vita equivale a usare soltanto una piccola percentuale di questo infinito potenziale.
In modo volontario o involontario, tutti ci muoviamo sempre verso un piano più alto dell’esistenza.
Quando non cerchiamo noi di farlo provando a rincorrere esperienze positive, arrivano le esperienze negative a farci crescere.
Come quando un periodo di disoccupazione aiuta a capire quale mestiere fare o quando un divorzio doloroso aiuta a trovare il vero amore.
O quando la perdita di una persona cara ci fa riacquistare una fede perduta e apprezzare di più quello che si abbiamo.
A prescindere da quale sia il motore che ci fa andare avanti, l’importante è non credere mai che sia finita, che non ci sia più nulla da imparare.
Fa parte della nostra stessa natura crescere.
Ed è forse il nostro bisogno più fondamentale quello di trovare uno scopo di vita e sentirci non solo al sicuro e sfamati, ma pienamente vivi.
Mi è capitato più volte nella vita di perdere completamente traccia di quello che ero e di interrogarmi sul come ritrovare se stessi.
Se hai letto la mia storia avrai notato che ho vissuto una moltitudine di esperienze in una moltitudine di luoghi nella vita, e che molte di queste non hanno nulla a che fare con quelle che ho poi scoperto essere le mie inclinazioni.
Allora perché farle? Mi potresti chiedere.
Beh, in questo articolo voglio provare a dare una risposta che possa aiutare chiunque abbia bisogno di trovare un senso nell’apparente incoerenza e confusione della propria vita.
E per farlo ho deciso di utilizzare l’approccio degli scrittori quando devono definire i tratti dei personaggi dei loro racconti: il metodo della scheda del personaggio.
Prima di scrivere una storia è infatti essenziale conoscere la personalità del protagonista, altrimenti diventa quasi impossibile scrivere una trama convincente.
In ogni storia che si rispetti si comincia sempre con un contesto e un azione: qualcuno vive da qualche parte, poi qualcosa accade e quel qualcuno reagisce.
Se non si conosce la sua personalità come si fa a scegliere l’azione che compierà?
Allo stesso modo, se non sai chi sei, come farai a decidere quello che farai della tua vita?
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Ognuno di noi è diverso e ci sono una miriade di tipologie di persone al mondo.
Quando però si tratta di avere le idee più o meno chiare su chi si è veramente credo che di tipologie ce ne siano solo 4:
Nella tipologia numero uno troviamo quelli che già da bambini sapevano cosa volevano diventare da grandi e che poi lo sono diventati.
Nella due ci sono quelli che, all’università o nei loro vent’anni, hanno trovato un settore lavorativo e vi hanno dedicato la loro inamovibile attenzione.
Nella tre c’è chi fa quello che capita senza chiedersi se ci siano o meno altre alternative.
E infine nella quattro c’è la fetta di popolazione degli indecisi, chi non è mai soddisfatto di quello che fa, chi intuisce di avere un potenziale inespresso e non sa come accedervi.
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A quale tipologia di persone appartiene il tuo personaggio?
È la tua la classica storia del “sin da piccolo ho sempre voluto fare…” o forse quella che parla di una persona meno sicura di sé ma con una grande sensibilità artistica?
Come tutti, anche il nostro personaggio ha una storia e un passato: avrà probabilmente vissuto certe esperienze e subito la sua buone dose di delusioni.
Se fa parte della tipologia 4, poi, avrà forse cambiato diverse città e provato diversi lavori.
Cosa accomuna tutte le sue esperienze di vita? Qual’è il filo rosso che le unisce?
Riesci a trovare la coerenza nell’incoerenza e nella disparità di eventi?
Che tipologia di errori tende a compiere?
Una volta individuata la fonte delle scelte sbagliate si può finalmente provare a fare scelte diverse per riscoprire un altro pezzetto di personalità.
Quando, per esempio, ho capito che il mio sogno di fare il musicista era legato a un mio inconscio bisogno di connessione è stato come aprire gli occhi per la prima volta. In quel momento ho scoperto cosa vuol dire la libertà di decidere.
Ho capito che c’erano altri modi di ottenere connessione e affetto e che non avevo bisogno di diventare una rockstar per avere valore. Scoprendo il filo rosso che univa le mie scelte di vita ho potuto finalmente agire sulla base di presupposti diversi, non più “come ottenere rispetto e stima dagli altri” ma “come rendere me stesso più felice e appagato“.
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Dove abita il nostro personaggio? O meglio, dove si sente a casa?
Casa è il posto in cui ti senti tranquillo, il posto dove tutto ha senso.
Senza una casa, intesa sia come luogo geografico che fisico e sociale, il nostro personaggio non ha motivo di esistere.
Per lui la casa è sì una città o un paese, ma è anche fatta di persone.
C’è un vecchio detto tibetano che dice:
Laddove tu abbia amici, là c’è la tua nazione, laddove tu sia amato, là c’è la tua casa.
Ecco che, per trovare casa, possiamo orientarci grazie all’amore delle persone.
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Perché il nostro personaggio è amato?
Le persone che ci amano sono uno specchio fondamentale in quanto ci mostrano quale parte di noi stessi, della nostra natura, entra in risonanza con l’esterno.
Considera che non può esserci amore vero laddove una persona mente a se stessa o agli altri.
L’amore più puro nasce sempre dal contatto tra le parti più vere di due persone.
Comprendi allora il motivo principale per cui le persone ti amano e usalo per capire come ritrovare te stesso/a e delineare la personalità del tuo personaggio.
Affidati alla saggezza di chi ti vede dall’esterno e di chi non è annebbiato dalle tue stesse incertezze.
Si potrebbe trattare di un genitore (anche se è difficile per alcuni fidarsi dell loro obiettività) oppure di un partner o di un amico.
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Un altra fondamentale fonte di informazione per ritrovare se stessi è il passato.
Cosa pensa oggi il tuo personaggio quando guarda un vecchio album di foto o rilegge il suo diario personale?
A distanza di mesi o anni il valore che diamo a certe cose diminuisce così come l’appiglio di certe emozioni.
Così quest’atto di osservare il sé di altri tempi ci fa capire se è cambiato o meno qualcosa.
Immagina di vedere una foto che risale al tuo primo giorno di lavoro, in cui eri entusiasta e pieno di speranza.
Quanto di ciò che provavi ieri è uguale a quello che provi oggi? Quanto è diverso?
E se è diverso è diverso in meglio o in peggio?
Se oggi sei completamente insoddisfatto di quello stesso lavoro può voler dire solo due cose: che sono cambiate le circostanze o che se cambiato tu.
Se sei cambiato tu cosa ti ha fatto cambiare? Pensi di avere acquisito più saggezza/maturità o sei diventato più cinico?
Attento non soffermarti troppo sui ricordi: non si tratta qui di rivivere i bei tempi andati e di lasciarsi prendere dalla nostalgia.
Il nostro personaggio segue un percorso evolutivo e gli eventi dovrebbero avere lo scopo di renderlo una persona migliore.
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Abbiamo già detto che se si vuole capire come ritrovare se stessi bisogna partire da ciò che è vero.
Alcune verità le possiamo scoprire dagli altri, da chi ci ama e da chi ci conosce.
Il resto lo dobbiamo capire da soli.
Ci sono dei pezzi di puzzle di identità che nessun altro può svelare, dei pezzi di storia che possono solo essere scritti dal protagonista della nostra storia.
E così come ogni storia deve pur cominciare da qualcosa, anche la nostra storia deve poter essere raccontata “su grandi linee”.
Queste non sono altro che tutte quelle verità che sono inconfutabili tipo: “è un padre” o “è una madre” o “ama la lettura” o “è un liberale“.
Se ti sei perso e non sai definire bene chi sei in questo momento della tua vita potresti sentirti come se nulla abbia un senso.
Credimi, so esattamente cosa vuol dire.
Ma ti renderai conto che se parti dalle verità più semplici e basilari la natura del tuo personaggio inizierà a venir fuori.
Ok, abbiamo definito le cose più ovvie, passiamo adesso al succo della questione, alle domande importanti.
Questo è il momento in cui puoi dare forma al tuo personaggio compilando una scheda, ovvero una sorta di curriculum vitae fatto non delle tue esperienze lavorative ma da tutto ciò che definisce la tua personalità.
Questa tecnica è molto utilizzata nella scrittura per aiutare lo scrittore di un romanzo a delineare i tratti principali dei protagonisti della storia.
Ma è anche molto utile se viene utilizzata nel processo di capire come ritrovare se stessi.
NOTA: per dare maggior efficacia all’esercizio, è importante che tu compili la scheda rispondendo in terza persona alle domande, così da limitare al massimo l’identificazione con i tuoi pensieri e aumentare l’obiettività.
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In sostanza nella scheda ci sono 4 sezioni.
Ognuna di queste sezioni contiene preziose informazioni su chi siamo oggi e su chi potremmo diventare.
È ovvio che, essendo un processo di auto-scoperta, la risposta non sarà facile e immediata.
Come accennato più volte in altri articoli, per aumentare la nostra consapevolezza a volte serve soltanto immettere una domanda nella nostra mente e poi aspettare che sia l‘Universo a mostrarci la risposta.
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Tranquilli, non sto parlando di metafisica.
Semplicemente, in questo preciso istante potrei anche non saper dire se quello che faccio sia o meno influenzato dal bisogno di compiacere gli altri.
Però domani potrebbe capitarmi che un amico mi chieda di aiutarlo a traslocare e mi venga difficile dire di no.
Allora mi ricorderò di aver letto la domanda e inizierò a fare dei collegamenti mentali.
Mi ricorderò di tutte le altre volte in cui non ho saputo dire di no e in cui non ho fatto quello che avrei voluto per evitare di deludere qualcuno, e inizierò a intuire la mia risposta.
È così che funziona il nostro cervello, ragione per deduzione, fa continuamente connessioni tra episodi diversi e trae significati dai più disparati input.
E lo fa in modo del tutto autonomo dal nostro controllo razionale.
Ti è mai capitato di dimenticare un’informazione o una parola basilare proprio nel momento in cui ti serviva?
O di avere un nome sulla punta della lingua e non poterlo tirar fuori?
Poi, quando sei tornato a casa e hai smesso di pensarci, ti è bastato avere un piccolo promemoria dall’esterno che, boom, ti è rivenuto in mente.
Questo è esattamente il meccanismo che ti permetterà di definire nel dettaglio la scheda del tuo personaggio.
Ecco dunque come sfruttare al meglio la tecnica della scheda personaggio per ritrovare se stessi:
Come si può vedere, la scheda del personaggio è solo l’inizio, serve a dare consapevolezza e la spinta ad agire in modo diverso.
L’ultimo consiglio che ti dò quindi è, non credere troppo ai tuoi pensieri attuali, a volte quello che pensiamo è il frutto di un condizionamento esterno o di una abitudine.
Affidati alla tua naturale capacità di osservare e cambiare opinione, perché cambiando opinione potrai cambiare il modo in cui reagisci alla vita, e cambiando il modo di reagire potrai scoprire chi sei veramente.
L’insicurezza viene di solito vista come qualcosa da evitare a tutti i costi. Se parliamo di insicurezza in amore poi, ancora peggio.
Non c’è niente di più stressante che essere in una relazione instabile, che potrebbe crollare da un momento all’altro.
Le ore interminabili ad attendere un messaggio o una chiamata, le continue ansie, la paura che si prova quando dice che deve lavorare fino a tardi o che ha passato il pomeriggio con un amico (o un’amica).
In queste condizioni è difficile essere sereni e ancora di più essere pienamente spontanei e naturali.
Quando si ha il presentimento che l’altro non ci ami per quello che siamo veramente o quando si teme che un minimo errore potrebbe mandare tutto in fumo, ci sono due possibili motivazioni:
Per capire se si tratti dell’una o dell’altra ipotesi, dobbiamo necessariamente comprendere la natura dell’insicurezza.
L’insicurezza in amore nasce dallo stesso identico luogo da cui nascono tutti gli altri tipi di insicurezza: l’infanzia.
Il modo in cui ci comportiamo nelle relazioni, infatti, riflette spesso la dinamica affettiva che abbiamo vissuto in famiglia.
Diverse ricerche confermano che il modo in cui veniamo trattati dai genitori nella prima parte della nostra vita finisce per definire il copione del nostro comportamento da adulti in diversi tipi di rapporti sociali (Fonte).
Ciò vuol dire che se per ipotesi abbiamo avuto una madre che da bambini ci criticava molto o un padre emotivamente assente, potremmo scegliere un partner che, pur essendo in apparenza diverso/a da loro, avrà nei nostri confronti degli atteggiamenti molto simili – e dunque ci criticherà e sarà emotivamente distante.
Purtroppo, un genitore che non riesce a far sentire il proprio figlio speciale/amato lascerà in lui il dubbio di essere o meno meritevole di amore.
Quella stessa persona, crescendo, si troverà facilmente in rapporti dove l’amore non viene mai realmente percepito, magari non perché non ci sia, ma piuttosto perché non è abituato a vederlo.
In casi del genere siamo noi a “scegliere” (inconsciamente) di essere insicuri e non credere nell’amore altrui.
In casi peggiori, si rimane volontariamente in relazioni altamente insoddisfacenti e nocive perché non si crede di meritare di meglio.
Qui l’insicurezza diventa quasi un habitat naturale, un luogo confortevole e familiare dove si è fatto pace con l’idea di non poter mai essere pianamente amati.
In questo luogo si rivive l’illusione di poter ottenere amore dalla persona sbagliata, di poterla cambiare, aggiustare… salvare.
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Ti è mai capitato di vedere un amico (o un’amica) scegliere un partner completamente sbagliato e di chiederti, “ma come fa a stare con quella (o quello)”?
Allo stesso modo, ti capita mai ripensare alle tue cotte di una volta e non ricordarti il motivo per cui ti piaceva quella determinata persona?
Ci invaghiamo delle persone sbagliate quando operiamo sulla base di un istinto automatico risalente alla nostra infanzia, una sorta di incantesimo che ci impedisce di vederle per quello che sono realmente.
Praticamente viviamo nel presente ma operiamo come se fossimo ancora nel passato.
Proviamo sentimenti non per chi ci può amare senza condizioni ma per chi ci fa rivivere le emozioni associate all’amore dei genitori.
Se mamma e papà ci hanno dato le giuste attenzioni ci accontenteremo solo di chi sarà presente con la stessa intensità.
Chi invece si è sentito ignorato e abbandonato da piccolo avrà più possibilità di legarsi a persone assenti o non completamente presenti, che dimostrano una cosa oggi e spariscono domani, che sembrano coinvolti prima di scoprire che hanno altre storie.
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L’unico modo di capire se si è vittima di tale meccanismo infantile è la ripetitività delle dinamiche relazionali.
In poche parole, si ha la sensazione di stare rivivendo la stessa identica storia, anche se sono cambiate le circostanze, anche se la nuova fidanzata viene da un’altra nazione o un altra cultura.
Vivere la stessa dinamica con persone diverse vuol dire avere simili litigi di coppia, riscontrare in persone diverse, e in se stessi, i medesimi atteggiamenti e comportamenti.
Se noti di stare avendo la stessa esperienza con diverse persone è il primo segnale che sei vittima di un processo inconscio e il primo passo verso il cambiamento.
Fermati un attimo, presta attenzione e chiediti se il problema sia tu piuttosto che loro.
Non lo dico per farti sentire in colpa.
Capire di essere l’origine dei problemi ti dà l’opportunità di affrontare meglio la vita, di prendere la situazione sotto controllo e cambiarla.
Al contrario, se continui a pensare che la colpa è sempre degli altri non crescerai mai, ma continuerai a sentirti una vittima, a provare le stesse emozioni, la stessa gelosia, frustrazione, invidia o ansia.
Tutte componenti queste di un’insicurezza malsana, eccessiva, che deriva dall’inconscia paura di non essere amati da mamma e papà.
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L’insicurezza malsana fa fare cose che distruggono la relazione perché intaccano la fiducia reciproca o soffocano la libertà.
Un sano livello di insicurezza invece nasce nient’altro che dalla consapevolezza che ogni persona è libera di vivere la vita come vuole e con chi vuole.
Questa incertezza ti consente di apprezzare di più la persona che hai accanto e ti fa provare gratitudine, che è una componente fondamentale del vero amore.
La sana insicurezza ci fa dire “questa persona ha scelto liberamente di stare con me e devo onorarla e alimentarla ogni giorno altrimenti potrebbe scegliere diversamente”.
L’insicurezza malsana ci fa dire “devo trovare un modo di tenerla sotto controllo e manipolare la realtà per evitare che mi lasci, perché senza di lei non mi rimarrebbe nulla”.
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Seppur le insicurezze vanno superate, nelle relazioni come anche nel lavoro e nella vita, se mantenute entro un certo limite esse hanno dei benefici.
L’insicurezza ti spinge migliorarti, a studiare di più, a lavorare meglio, a voler dimostrare agli altri quanto vali.
Quando non è completamente invalidante, l’essere insicuri fa da contraltare all’autostima, evitandoci di diventare troppo arroganti o egoisti.
Ricordiamo inoltre che è proprio nei momenti di vulnerabilità che le persone riescono a legare maggiormente, o quando sveliamo le nostre più intime insicurezze a qualcuno.
Pensa a come ti sentiresti se il tuo compagno o compagna fosse costantemente sicuro/a di tutto. Mai un dubbio, mai un tentennamento, mai un momento di debolezza.
Quanto sarebbe “reale” una persona del genere? Quanto sarebbe credibile?
Fa parte dell’essere umano sentirsi incerti e insicuri ed è spesso vero che coloro che si mostrano imperturbabili alle difficoltà sono quelli più insicuri di tutti.
Talmente insicuri da aver sentito la necessità di nascondere completamente la loro fragilità e costruirci sopra un enorme castello fatto di finta autostima e rispetto personale.
In conclusione, per costruire una relazione sana e felice serve un mix di diversi ingredienti:
Ormai è comprovato scientificamente che gli animali domestici rendono più felici le persone.
Sia che tu abbia già un piccolo amico che scorrazza per casa, sia che stai pensando di adottarne uno, in questo articolo vedremo:
Sei pronto?
Oggi vivere con un animale da compagnia è normalissimo. Ai tempi dei nostri nonni erano visti come forza lavoro (pensa al cane da guardia o al gatto che cacciava i topi).
Oggi entrano invece a far parte delle nostre famiglie e hanno un ruolo differente, quello di compagnia.
Anche se è dimostrato che avere animali in casa riduce la solitudine, non sempre è bene adottarne uno.
Ecco dunque quando è meglio evitare:
Gli animali ci regalano felicità, quando anche noi sappiamo donargliela a nostra volta.
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Un altro buon motivo per evitare di adottare un animale domestico è quando sappiamo che dovremo tenerli chiusi da qualche parte.
Mi riferisco specialmente a tutti quei piccoli animali come conigli, pesci o canarini. Se non abbiamo altro modo per vivere con loro se non tenendoli in gabbia, non bisogna prenderli.
Tempo fa volevo comprare un pappagallo, di quelli grandi, tutti colorati. Avevo letto che per essere felici questi animali hanno bisogno di un compagno e che, quando creano una famiglia, rimangono insieme per sempre.
Mi sono immaginato il giorno in cui l’avrei comprato. Io che tornavo a casa tutto contento con il mio pappagallo e lui triste per essere rimasto solo.
Ovviamente questo pensiero mi ha fatto cambiare idea e oggi sembra che l’universo mi abbia ricompensato.
Da qualche mese mi sono trasferito in una casa fuori città. Intorno ha un grande giardino con molti alberi. E su uno di questi alberi hanno fatto i nidi dei pappagalli tropicali. È una colonia di almeno 50 esemplari, della specie del “Parrocchetto dal collare”.
Si adattano anche ai nostri climi e rimangono stanziali quando trovano la situazione adatta.
Oggi, ogni mattina, faccio colazione e guardo i pappagalli, svolazzare liberi nel mio giardino.
Questo è il senso di felicità.
Se pensi di trovare la tua felicità, adottando un animale in gabbia, non la troverai mai.
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Proprio perché gli animali domestici non vanno rinchiusi, parlerò più nello specifico delle due specie più diffuse nelle nostre case.
Ho avuto entrambi: l’ultimo è stato un gattino che è arrivato da solo. Un giorno lo vedo in giardino che passeggia e si avvicina. Ovviamente gli do qualcosa da mangiare e adesso vive con noi da quasi un anno.
Spesso si sente dire “è meglio il cane perché è più affettuoso. Il gatto ti cerca solo quando ha fame” oppure “meglio il gatto che è indipendente. Il cane non lo puoi lasciare solo”.
Questo articolo non vuole servire a farti preferire uno o l’altro, ma solo a fare chiarezza.
Non metterò le due specie a confronto, ma ne descriverò le caratteristiche che li accomuna. Solamente con la consapevolezza si può raggiungere la felicità.
Cane e gatto sono:
“A tutti” sembra una risposta troppo semplice. Vediamo come possono renderci più felici:
Ci sono poi tutte quelle situazioni specifiche, in cui un animale può davvero essere indispensabile. Penso alla pet therapy, per superare traumi o malattie, ai cani guida, indispensabili per chi non vede, e a quegli animali addestrati ad avvisare il padrone prima di un attacco cardiaco o epilettico.
Le ragioni per adottare un animale sono tantissime e ognuno di noi troverà sicuramente le proprie. Se ancora non hai trovato il tuo buon motivo per adottarne uno, continua a leggere.
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Tutti vogliamo essere felici. Ognuno ha la propria idea di felicità e avrà le proprie strategie per raggiungerla.
Vivere con un animale domestico è uno dei tanti modi per sentirsi più sicuri di sé, per stringere amicizie, combattere la depressione o essere compresi.
L’adozione di un cane o un gatto è un momento molto speciale, che può cambiare il tuo modo di pensare e vivere la quotidianità. È giusto che sia una scelta pensata che diventerà un impegno per molti anni.
Se pensi che la tua felicità possa raggiungerti scodinzolando, ti garantisco che sarà un bellissimo modo di viverla.
Verissimo, gli animali domestici ci possono rendere felici e noi se rispettiamo i tuoi consigli su quando è il caso di prenderli, possiamo salvarli da una vita di stenti per strada o da una vita triste in un canile/gattile. Ci possono anche aiutare a raggiungere un maggior grado di consapevolezza e coerenza con i nostri valori, nel momento in cui osservandoli, rispettandoli, amandoli, ci rendiamo conto che quella categoria ‘animali domestici’ è una pura ed arbitraria convenzione talmente radicata nella nostra cultura da farci pensare irrazionalmente che siano diversi dagli altri. Mi riferisco in particolare a quelli animali relegati ad una ‘categoria B’ che vengono sfruttati, rinchiusi, abusati, torturati anche legalmente per cibo, vestiario, alimentazione, divertimento, sperimentazione e così via. Illuminante, se oltre al senso di giustizia, lasciamo le porte aperte all’empatia, è la lettura di ‘Perchè Amiamo i Cani, Mangiamo i Maiali e Indossiamo le Mucche’ (Melanie Joy: https://www.youtube.com/watch?v=).
Quando sono a casa, ovunque io guardi, vedo libri. Ne ho molti da sempre e ormai fanno parte di me. Quando mi chiedevano “cosa porteresti su un’isola deserta”, i libri erano sempre la mia prima scelta. Quest’anno sono 30 anni che ho imparato a leggere e volevo condividere con voi come crescere con i libri mi abbia cambiato la vita.
Molte persone non leggono. C’è chi dice di non avere tempo e chi dice che leggere sia noioso.
In realtà leggere è un’abitudine molto potente. Ci apre la mente al nuovo e ci permette di evolverci. Non è solo un passatempo o uno strumento per immagazzinare informazioni.
La lettura è un vero e proprio stile di vita, che può aiutarti a creare il giusto stato mentale per raggiungere la serenità.
Ricordo che, come molti bambini, mi sono approcciato alla lettura con i fumetti di Topolino. Forse fin troppo presto, sono passato a quelli horror con Dylan Dog. Ho cominciato ad avere gli incubi e smisi per un po’ di leggerli. Avevo circa sette anni, ma il genere horror mi aveva rapito.
Negli anni a seguire, cercavo sempre titoli a tema. Così, mostri e vampiri sono diventati i miei compagni di viaggio, la biblioteca la mia “seconda casa” da dove uscivo ogni volta con almeno due o tre titoli sotto braccio.
Nel tempo ho ampliato i tipi di letture. Oggi sono la classica persona che legge un po’ di tutto. Ma prima di arrivare a testi più complessi come i libri di crescita personale, i saggi e le biografie, il mio percorso è iniziato con le storie.
Una bella storia vale sempre la pena leggerla. Di qualsiasi tipo e a qualsiasi età. I giovani lettori sono più attratti da avventure e storie fantasy. Spesso noi adulti sottovalutiamo l’importanza di questi generi rispetto ad altri.
In realtà, ci sono certe caratteristiche che accomunano tutte le storie e ci aiutano a crescere e diventare grandi.
Vediamone insieme qualcuna:
Ecco allora che anche quello che può sembrare un banale romanzo può diventare un ottimo spunto per imparare qualcosa da spendere nella nostra vita.
A scuola ci hanno sempre fatto leggere dei libri per le vacanze estive. Per me non è mai stato un compito difficile ma a volte lo trovavo riduttivo.
I testi proposti erano sempre i classici. Libri come “Le avventure di Tom Sawyer”, “L’isola del tesoro”, “Il ritratto di Dorian Gray” o “Il giornalino di Gian Burrasca”.
Non sto criticando queste letture, anzi. Molte di loro mi sono piaciute e le ho rilette anche da adulto. Credo però che gli stessi insegnamenti si possano ritrovare anche in testi che non sono considerati propriamente “scolastici”.
Come dicevo in un altro articolo, ho avuto la fortuna di incontrare un insegnante al liceo che mi ha aperto gli occhi.
Tutti i libri sono fonte di insegnamenti, sta a noi allenare gli occhi per vederli
Questa è solo una brave lista di insegnamenti, presenti nei libri di autori che non ti fanno leggere a scuola: