Crescita Personale

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Cos’è la moralità? Come si fa a svilupparla e a distinguerla negli altri?

Scegliere il percorso morale è a volte la strada più difficile, e questo perché la moralità prescinde dalla convenienza e dall’interesse personale.

Come nel caso dell’integrità, che è un concetto molto simile, la moralità si basa su valori sani, come il rispetto per gli altri, e incarna alla perfezione l’idea di forza interiore.

Senza moralità la vita può facilmente scadere in una continua lotta con il mondo, senza fiducia e rapporti sani, dove domina la mentalità del “fregare l’altro per non essere fregato”.

Cos’è la moralità e lo sviluppo morale

È stato lo psicologo Jean Piaget a spiegare, nell’ambito della sua teoria sullo sviluppo cognitivo, cos’è la moralità e come essa si sviluppi in vari stadi, ognuno dei quali è caratterizzato da diverse consapevolezze ed esperienze di vita.

In sostanza, secondo lui lo sviluppo morale cambia il modo in cui cresciamo, ci guida nel comprendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Inoltre, quando si ha un forte senso di moralità si riesce a indirizzare meglio le proprie scelte e le proprie azioni, perché si ha una sorta di mappa mentale che permette di orientarsi quando affiorano le sfide e i problemi della vita.

Dopo Piaget, Lawerence Kohlberg ha ampliato le teorie sullo sviluppo morale e ha individuato 3 livelli di ragionamento morale.

Esempio di dilemma morale

Nelle sue ricerche, Kohlberg chiese a partecipanti di tutte le età di ragionare su un dilemma morale come questo:

Un uomo che si chiama Heinz, che viveva in Europa, aveva una moglie che lui amava molto. Sua moglie è stata diagnosticata con un raro tipo di cancro e non le rimaneva molto da vivere. Fortunatamente, c’era un farmacista che aveva inventato una cura chiamata radium che poteva salvarla. Il farmacista era l’unico proprietario dei diritti per questa medicina e decise di venderla a un prezzo elevato per aumentare i suoi profitti. Nonostante ci volessero soltanto 200 dollari per produrla, lui la vendeva a dieci volte il prezzo: 2000 dollari. Heinz non aveva abbastanza soldi per pagare quel prezzo esorbitante, così provò a fare una raccolta fondi per coprire il costo. Con il tempo che andava finendo, era solamente riuscito a raccogliere 1000 dollari, che non erano abbastanza per comprare la medicina. Heinz pregò il farmacista di vendergliela a un prezzo ridotto ma l’uomo si rifiutò. Disperato e senza più tempo a disposizione, Heinz irruppe nella farmacia dopo la chiusura e rubò la medicina. Fu la cosa giusta da fare? Perché?

3 livelli dello sviluppo morale

Nella teoria dello sviluppo morale esistono 3 livelli che comprendono due stadi ciascuno, per un totale di 6 stadi. Ogni essere umano passa da uno stadio all’altro man mano che cresce e acquista una diversa prospettiva sulle cose.

I tre livelli sono Pre-convenzionale, Convenzionale e Post-convenzionale, e si susseguono in modo graduale nel tempo a partire dalla prima infanzia.

  1. Primo livello (Pre-convenzionale)
    • Mentalità dell’obbedienza e della punizione (come posso evitare di essere punito?)
    • Mentalità dell’interesse personale (cosa ci guadagno io?)
  2. Secondo livello (Convenzionale)
    • Accordo e conformità interpersonale (Norme sociali, attitudine del bravo ragazzo o della brava ragazza)
    • Mentalità di mantenimento dell’ordine sociale (Moralità della legge e dell’ordine)
  3. Terzo livello (Post-convenzionale)
    • Mentalità del contratto sociale (Giustizia e spirito della legge)
    • Principi di etica universale (Coscienza fondata su principi autonomi)

Leggi anche: Qual è il senso della vita? L’illuminante risposta di Alfred Adler

Primo stadio: Obbedienza e punizione

Il primo stadio sottolinea l’interesse personale dei bambini nei loro processi decisionali mentre cercano di evitare la punizione a tutti i costi. In relazione all’esempio di dilemma morale summenzionato, l’uomo non dovrebbe rubare la medicazione dalla farmacia perché potrebbe finire in galera se viene preso.

Kholberg riflette qui sul pensiero morale dei bambini. A una tenera età loro credono che le regole siano fatte per essere seguite e che coloro che hanno il potere manterranno sicuramente la promessa di punizione.

Il ragionamento di un bambino al caso di Heinz potrebbe includere pensieri come “rubare è cattivo” o “è contro la legge”, senza valutare la prospettiva dell’uomo e della moglie malata.

Il livello si chiama pre-convenzionale perché i bambini non associano le regole a dei principi che hanno uno scopo e una utilità, ma le seguono ciecamente senza interrogarsi sulla loro validità.

Secondo stadio: Interesse personale

Questo stadio dello sviluppo morale comporta un’attenzione maggiore al proprio interesse personale e produce diversi punti di vista su una determinata situazione.

Nel dilemma summenzionato, ogni persona coinvolta giudicherebbe il furto della medicina sulla base delle conseguenze che il gesto avrebbe per sé stessi, anche qui senza mettersi nei panni dell’altro.

I bambini esprimono questo tipo di moralità specialmente quando vengono motivati a fare qualcosa da piccoli “ricatti” e incentivi da parte dei genitori.

Stadio 3: Buoni rapporti sociali

Questo stadio riconosce il desiderio di essere accettati in gruppi sociali e di compiacere le persone che ci stanno attorno.

Nel dilemma della medicina rubata, l’uomo irrompe nella farmacia per essere un buon partner per sua moglie.

Nella vita reale, gli adolescenti e pre-adolescenti si trovano spesso nella posizione di voler far parte di un gruppo e iniziano a far proprie le norme sociali dei contesti in cui vivono.

Ciò può anche portare a compiere azioni discutibili dal punto di vista morale, come cedere alla tentazione di provare droghe o fare atti pericolosi, ma che dal punto di vista del compiacimento del prossimo sono del tutto efficaci.

Stadio 4: Mantenere l’ordine sociale

Il quarto stadio è dominato dall’obbedienza alle norme e alle regole.

Giudicare l’atto del dilemma di prima sarebbe semplice per chi è a questo livello dello sviluppo morale: rubare è contro la legge, dunque è sbagliato a prescindere dalle motivazioni e dalle circostanze.

Qui l’individuo arriva a essere parte della società e ne accetta i suoi precetti. Ogni persona diventa consapevole dell’impatto che le sue azioni hanno sugli altri e impara a obbedire all’autorità.

Mentre il terzo stadio enfatizza la relazione con famiglia e amici, il quarto stadio è caratterizzato dal desiderio di mantenere e rispettare l’ordine sociale della comunità di appartenenza.

Seppur si potrebbe comprendere l’atto dell’uomo che ruba un medicinale per la moglie malata, in tale fase di sviluppo morale l’obbedienza alle regole prende la precedenza, e impone che non si possano fare eccezioni.

Leggi anche: Che lavoro fare: ascoltare il cuore è giusto o sbagliato?

Stadio 5: Contratto sociale e diritti individuali

Questo stadio riconosce l’introduzione del ragionamento astratto mentre si tenta di dare una spiegazione a specifici comportamenti umani.

Nell’esempio di sopra, l’uomo dovrebbe rubare la medicina per sua moglie perché lei sta per morire e le leggi non tengono conto delle circostanze.

Il quinto livello di sviluppo morale considera dunque la domanda “Cosa rende una società buona?”.

L’individuo è qui in grado di staccarsi dalla situazione e riflettere su cosa è equo e giusto. Riflettendo su cos’è la moralità e osservando l’etica della propria comunità si possono notare le inconsistenze nei valori e si possono sistemare quelli che non vanno bene.

Stadio 6: Principi universali

Lo step finale della teoria di Kohlberg afferma che il ragionamento morale deve essere basato su valori personali.

Richiamando il dilemma di sopra, va bene rubare una medicina che può salvare la vita di una persona cara perché la vita stessa vale di più della proprietà.

In questa fase si accetta il fatto che le norme condivise non sempre producono risultati giusti.

La base su cui poggia la giustizia non può dunque essere interamente coperta dalla legge, e laddove la legge non riesce a garantirla si deve usare il ragionamento morale composto da valori e principi etici e universalmente buoni e giusti.

Questi sono spesso astratti e non possono essere definiti in modo specifico, così come non si può spiegare esattamente come si raggiunga l’eguaglianza, la dignità o il rispetto.

Le leggi possono provare a proteggere tali principi e dovrebbero sempre avere lo scopo di preservarli, ma in ultima analisi è sempre l’uomo che ha raggiunto il pieno sviluppo morale a dover fare da loro garante.

Coloro che sono arrivati a questo livello di sviluppo agiscono come agiscono perché per loro è la cosa più giusta da fare e non sono motivati dalle aspettative della società né dalle regole.

Lettura consigliata: A tua insaputa – la mente inconscia che guida le nostre azioni, di John Bargh

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Cos’è la moralità: sommario

In definitiva, la moralità è un’abilità di ragionamento su cosa è giusto e cosa è sbagliato, un’abilità che va maturando grazie al tempo, alle esperienze e al percorso di crescita individuale.

Nella sua fase iniziale, la persona che non è ancora in grado di scegliere autonomamente una condotta morale si affida alle autorità ed è motivato esclusivamente dalla paura della punizione o dal proprio tornaconto personale.

Successivamente entrano in gioco considerazioni di tipo sociale e la persona identifica ciò che è giusto con quello che viene considerato tale dalle persone che fanno parte del suo cerchio di conoscenze prima e della sua comunità poi.

Negli ultimi due step dello sviluppo morale ogni individuo inizia a interrogarsi sulla presenza di principi che siano indipendenti dalle leggi e dalle aspettative altrui.

Così facendo riconosce dei principi morali universali che lo portano a fare la cosa giusta anche quando le altre persone, la legge o le autorità la considerano sbagliata.

Cos’è la moralità: conclusioni

La conclusione di tutto è una sola e molto semplice: la moralità serve. Ci serve a creare un mondo dove le persone possano contare le une sulle altre e dove solidarietà ed empatia sostituiscano avidità e indifferenza.

La lezione che si può trarre dalla teoria dello sviluppo morale è che non basta diventare grandi anagraficamente per imparare a essere giusti.

Ci basta guardare il telegiornale per renderci conto che molte persone adulte sono ancora dominate da istinti infantili e considerazioni di convenienza e interesse personale.

Molte delle norme che regolano la nostra vita sono proprio state create per proteggerci da loro e da chi non ha rispetto per gli altri.

Ne consegue che una civiltà fatta di persone pienamente sviluppate dal punto di vista morale non avrebbe bisogno di tutte queste regole, perché i cittadini saprebbero auto-regolarsi da soli, scegliendo autonomamente di fare la cosa giusta quando le circostanze della vita lo richiedono.

E tu, cosa ne pensi? Ti sei mai trovato/a di fronte a dilemmi morali come quello di Heinz?

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Sbagliare nella scelta di che lavoro fare non è cosa da poco. Come capire se quella grande decisione di carriera che stai per prendere è quella giusta per te e per la tua vita?

Magari dopo una chiacchierata casuale e inaspettata ti viene offerto un lavoro ma non sai capire se è il lavoro giusto per te.

O magari il tuo migliore amico ti ha appena proposto di mollare tutto, cambiare lavoro e aprire insieme a lui un nuovo franchising super promettente e dentro di te tutto grida sì facciamolo! A dispetto di ogni apparente buon senso.

Che si tratti di decidere se accettare un nuovo lavoro, cambiare lavoro, tornare a studiare per iniziare una nuova carriera, con ogni probabilità hai già chiesto ad amici e parenti il loro consiglio.

E con ogni probabilità alcuni di loro ti avranno consigliato di seguire il tuo cuore. Un modo di dire piuttosto comune, ma cosa significa esattamente? E soprattutto è giusto o sbagliato scegliere con il cuore, piuttosto che con la testa?

Quando si parla di che lavoro fare, cosa significa esattamente seguire il cuore

La maggior parte delle persone pensa che seguire il proprio cuore significhi avere atteggiamenti istintivi, emozionali. In effetti si è sempre associato il fare ciò che dice il cuore come opposto alla razionalità di ciò che dice il cervello.

Finchè però la scienza non ha fatto una sconcertante scoperta: il cuore È a tutti gli effetti un cervello. Il nostro terzo cervello.

Si era già molto parlato del secondo Cervello, considerando l’intestino con tutte le sue circonvoluzioni ed elucubrazioni, come un cervello a sé stante: il secondo cervello.

Recentemente, però, si è scoperto che c’é ancora un’altro cervello, da considerarsi tale a tutti gli effetti, cioè con circa 50mila neuroni: quello del Cuore.

Di fatto, possiamo considerare il cuore come un cervello completo. Con un Sistema Nervoso intrinseco Cardiaco di circa 50mila neuroni ed interneuroni, che creano circuiti neurologici complessi, sufficientemente sofisticati per qualificarli come un “Cervello”.

L’insieme dei circuiti costituiti da questi neuroni consente al Cuore di apprendere e comprendere, ricordare e prendere decisioni funzionali indipendentemente dal Cervello della testa, a cui invia informazioni e comunicazioni.

Queste ultime procedono dal Cuore al Cervello e non solo dal Cervello al Cuore, come un tempo si credeva. Esattamente come accade per il cervello dell’intestino.

Il processo decisionale del cuore

Il cuore invia di gran lunga più informazioni al cervello di quante il cervello ne invii al cuore: il 90/95% dei nervi che connettono cuore e cervello, infatti, sono fibre neurali afferenti, cioè ascendenti, che portano l’informazione da cuore a cervello. 

Il campo elettromagnetico del cuore ha una potente influenza sui processi comunicativi in tutto il corpo. Questa potenza elettrica del cuore è in ampiezza 60 volte più grande di quella del cervello e permea tutte le cellule del corpo.

Stupefacente vero?

Insomma, seguire il tuo cuore quando stai scegliendo che lavoro fare o che scelta di lavoro prendere, non significa per niente, come molti credono, che devi ignorare i fatti e seguire solo impulsi e sesto senso.

Né significa buttare tutto al vento e procedere senza un piano, come ripeto da sempre.

Per poter fare una buona scelta riguardo al che lavoro fare è importante sia conoscere quello che il tuo cuore (in questa nuova accezione ben più ampia e scientifica) vuole e allo stesso tempo quello che il mercato vuole.

Il che significa fare un sacco di ricerca dentro e fuori di te, prima di prendere qualunque decisione.

Leggi anche: Odio il mio lavoro: perché la tua vita non rispecchia

Come capire ciò che ci dice il cuore senza prendere fischi per fiaschi

I ricercatori hanno cercato di decodificare per decenni il cosiddetto sesto senso o intuizione. E sono in effetti riusciti a provare che l’essere umano ha realmente una forma di sesto senso.

Gli esperimenti hanno dimostrato, per esempio, che quando alle persone viene dato un set fortunato di carte, con molte carte vincenti per un certo gioco, il giocatore può sentirlo davvero, ancora prima di guardare le carte.

E questa valutazione non viene misurata a sensazione personale, ma dal grado di sudorazione dei palmi delle mani, ancora prima che la persona capisca cosa sta succedendo.

Perciò, una certa forma di intuizione e di sesto senso l’abbiamo. E molto probabilmente è proprio quella vocina che ti sta sussurrando per il sì o per il no sulla tua scelta del che lavoro fare.

Ma allo stesso tempo, altri scienziati come Daniel Kahneman della Princeton University, hanno passato la vita a dimostrare che le decisioni veloci che etichettiamo come “intuitive”, sono in realtà poco affidabili e sono giuste solo la metà delle volte.

Gli studi di Kahneman hanno dimostrato, con casi studio che andavano da scelte di salute a scelte di investimento finanziario, che quando si tratta di prendere decisioni intuitive, le persone tendono ad essere esageratamente ottimistiche e fiduciose.

L’importanza dell’attenzione nelle scelte di lavoro

La soluzione per fortuna è molto chiara, almeno agli scienziati: si tratta di maturare l’abilità di fermare la mente ed entrare in quello spazio silenzioso che gli occidentali indicano come “momento presente”.

Insomma, detta in altre parole, non c’è nessun bisogno di continuare a discutere se sia meglio essere analitici e razionali o piuttosto impulsivi e intuitivi quando è il momento di scegliere qualcosa, si tratti del decidere di che lavoro fare, del cambiare o no lavoro, o di altre decisioni per la propria vita.

La via maestra per fare scelte non avventate per il nostro futuro passa per il fermarsi e analizzare con attenzione gli elementi di valutazione che abbiamo davanti.

Come al solito, non sento di aver maturato abbastanza esperienza per poter dire con assoluta certezza che questo modo di procedere vale in qualunque ambito della vita.

Ma so con certezza che vale per ogni scelta di lavoro.

Vediamo quindi alcuni punti che possono esserti di grande aiuto per centrarti e valutare a partire dal momento presente, senza dimenticare che c’è un mercato del lavoro con sue regole ed esigenze, di cui devi tenere realisticamente conto.

Come seguire il tuo cuore e capire qual è la scelta giusta per te sul che lavoro fare

1. Senti tutti, non ascoltare nessuno

È normale cercare suggerimenti e consigli quando stai facendo una scelta a riguardo del tuo lavoro, della tua carriera e in generale di qualunque scelta con un impatto sulla tua vita professionale.

Tanto più è delicata la scelta e tanto più è opportuno che tu cerchi di confrontanti con un professionista, non solo con amici e parenti.

Che sia un mentore o un career coach, l’importante è che sia qualcuno che ha ottenuto risultati per te di valore: a parlare sono bravi in tanti, ma sono i fatti che fanno la differenza.

Quanto è felice del e con il proprio lavoro la persona a cui stai chiedendo? Se non è una persona pienamente soddisfatta e realizzata nel proprio lavoro, a livello personale ed economico, allora non è probabilmente la persona giusta a cui chiedere consiglio o con cui confrontarti.

Attenzione però a non cadere nell’estremo opposto: anche se trovi qualcuno degno della tua fiducia, alla fine ricorda che l’unico padrone al comando della tua vita puoi e devi essere tu.

Altrimenti, prima o poi, finirai comunque per pentirti: qualunque scelta che non prenderai essendone pienamente convinto, prima o poi ti presenterà un conto salato che non sarai disposto a pagare.

2. Non ignorare le sensazioni negative

Le nostre emozioni sono il sistema di navigazione migliore che esista: se provi una sensazione negativa, non ignorarla. Non necessariamente significa che stai facendo una scelta sbagliata, ma sicuramente significa che c’è qualcosa che ancora non ti è chiaro. Quindi torna alla fase di ricerca e valutazione.

Assicurati però di non essere in una condizione di troppa stanchezza e mancanza di lucidità perché in quel caso le cattive sensazioni vogliono solo dire che ti devi riposare per poter prendere decisioni serenamente.

3. Sii prudente ma non codardo

Eh lo so, questa è facile a dirsi ma non a farsi. In questo qualunque fidato amico d’infanzia o persona di famiglia può esserti d’aiuto, DOPO che hai fatto le valutazioni a mente lucida.

Non si tratta quindi di prendere il coraggio e buttarti su scelte avventate.

Ma se hai fatto una valutazione attenta della tua situazione, magari con un coach del lavoro professionista, e ancora ti tremano le gambe… beh, niente di più normale.

Fai però in modo che questa normale reazione non ti impedisca di fare la scelta giusta per il tuo lavoro e la tua vita.

4. Fai chiarezza

Ascoltare il proprio cuore e la propria saggezza interiore è più facile quando ti conosci bene. Perciò fai in modo di fare attenzione a quello che ti rende felice, nel lavoro e nella vita, per esempio. Con quali attività ti capita di perdere la cognizione del tempo?

Quelle sono sicuramente attività in cui stai dando il tuo meglio, perché ti permettono di entrare nella condizione di “flusso”, quella in cui i tuoi talenti e competenze migliori sono in pista e allineate con la realtà esterna.

Quali attività poi sono quelle in cui dai il meglio di te in termini di competenza ed efficacia? Quando sei alla ricerca di che lavoro fare, è importante portare con te il massimo di consapevolezza su quelle che sono le tue capacità migliori e fare leva su queste.

Sii realistico su quello che sei capace di fare e anche su ciò che sai di dover migliorare.

E se ancora vuoi approfondire questo delicato e fondamentale tema di invito a leggere l’articolo Che lavoro fare: il mito dell’unica vera vocazione

2 commenti su “Che lavoro fare: ascoltare il cuore è giusto o sbagliato?”

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L’Enneagramma della personalità è forse il miglior strumento che abbia mai utilizzato per il supporto alla crescita interiore e consapevolezza di sé.

Non penso che sarei quello che sono oggi, che avrei la stessa visione del mondo, di me stesso e degli altri, se non avessi letto, studiato e assorbito i principi di questo meraviglioso sistema.

Cos’è l’Enneagramma della personalità

Ho già parlato estensivamente di cos’è l’Enneagramma della personalità in questo articolo.

Per rinfrescare la memoria, si tratta di un sistema psicologico che serve a descrivere i punti di forza e di debolezza di 9 tipologie di personalità che vengono nominate in base alla loro caratteristica principale:

  1. L’Enneatipo 1, detto il Perfezionista, è convinto di dover essere perfetto prima di ottenere ciò che vuole (vai al profilo completo)
  2. L’Enneatipo 2, detto il Donatore, si concentra sull’ottenere l’approvazione e la gratitudine degli altri per sentirsi una brava persona (vai al profilo completo). 
  3. L’Enneatipo 3, detto l’Esecutore, pensa che per essere valido deve avere successo (vai al profilo completo)
  4. L’Enneatipo 4, detto il Romantico, è segretamente convinto di avere qualcosa che lo renda non-amabile, (vai al profilo completo)
  5. L’Enneatipo 5, detto l’Osservatore, si rifugia nella mente e nella conoscenza per evitare l’intimità (vai al profilo completo).
  6. L’Enneatipo 6, detto lo Scettico Leale, tende ad aver paura e cercare la sicurezza (vai al profilo completo)
  7. L’Enneatipo 7, detto l’Ottimista, cerca di compensare il suo vuoto interiore con le distrazioni, il divertimento, le passioni e gli eccessi (vai al profilo completo). 
  8. L’Enneatipo 8, detto il Capo, tende a dominare per evitare di essere dominato (vai al profilo completo).
  9. L’Enneatipo 9, detto il Mediatore, fa di tutto per evitare il conflitto e mantenere una parvenza di armonia (vai al profilo completo).

In che modo esattamente l’enneagramma della personalità ci aiuta a crescere

Per dirla semplicemente, l’Enneagramma della personalità rafforza la nostra capacità di auto-osservazione.

È una scorciatoia per individuare le dinamiche interne ed esterne che hanno il maggior impatto sulla nostra vita.

La mappa e le spiegazioni dettagliate dei vari enneatipi ci permettono di comprendere noi stessi come se stessimo osservando qualcun altro, e ci forniscono preziose informazioni sulle varie tappe del percorso di crescita del nostro enneatipo.

Tutto questo è un’utilissima risorsa per capire se siamo più o meno vicini al raggiungimento di un sano livello di maturazione della nostra personalità.

Per fare un esempio, ecco tre fasi dello sviluppo di un enneatipo 7 (riprodotto dal sito dell’Enneagram Institute).

Esempio pratico: livelli di sviluppo dell’Enneatipo 7

Quando raggiunge il picco del suo sviluppo interiore l’enneatipo 7 apprezza le esperienze in profondità provando parecchia gratitudine e riconoscimento per quello che ha. Si lascia stupire dalle semplici meraviglie della vita: è gioioso ed estatico, connesso con la sua realtà spirituale e bontà interiore.

Nella fase intermedia del suo sviluppo, e con l’aumentare dell’irrequietezza, l’enneatipo 7 desidera avere a disposizione più opzioni. Diventa avventuroso e intraprendente, ma meno concentrato, alla continua ricerca di cose ed esperienze nuove. Molto attaccato al consumo e al divertimento, rincorre soldi, varietà e tendenze.

Nella fase primordiale del suo sviluppo questo enneatipo può diventare disperato nel tentativo di sedare le proprie ansie, ed è anche impulsivo e infantile. Non sa quando fermarsi. Le dipendenze e gli eccessi prendono il sopravvento rendendolo dissoluto, offensivo e persino abusivo.

Leggi anche: Test della personalità online: scopri il tuo livello di estroversione e stabilità

3 aspetti dell’Enneagramma della personalità che supportano il lavoro interiore

1. Comprendere le Passioni e le Virtù dell’Enneagramma

Ogni enneatipo ha una sua emozione negativa preponderante, ciò che nel linguaggio dell’Enneagramma della personalità viene definito “Passione Dominante”.

Attenzione, non si sta parlando di passione nel senso di amore per qualcosa, cosa che sarebbe costruttiva, ma di uno stato emotivo che ci domina nei momenti di debolezza e che prende piede quando perdiamo il controllo di noi stessi.

La Passione del tuo tipo potrebbe essere la rabbia, la nostalgia, l’avidità, la paura o il senso di colpa, e più ne sei controllato più sarai lontano dall’essere chi sei veramente.

L’Enneagramma della personalità ti permette di individuare qual’è la tua passione in modo tale che tu possa iniziare a liberartene.

Distaccarsi dalla passione per trovare la propria virtù

A ogni passione di ogni enneatipo corrisponde una Virtù, cioè l’emozione che caratterizza il lato più evoluto della personalità.

Col tempo la maggior parte noi impara a gestire la propria Passione e diventa più buono, maturo, sereno o ragionevole.

Per facilitare questo processo di crescita, l’enneagramma della personalità ci dice quali sono le Virtù che fanno da contraltare a ogni Passione.

Una volta individuato il nostro enneatipo attraverso l’apposito TEST, conoscere la nostra Virtù è già un enorme passo avanti per la nostra crescita perché ci dà una direzione da seguire.

Passioni e Virtù dei 9 enneatipi

  • Uno: Rabbia / Risentimento – Serenità
  • Due: Orgoglio – Umiltà
  • Tre: Vanità / Inganno – Integrità
  • Quattro: Invidia – Accettazione
  • Cinque: Avarizia – Generosità
  • Sei: Paura / Ansia – Coraggio
  • Sette: Gola – Sobrietà
  • Otto: Lussuria – Innocenza
  • Nove: Pigrizia / Indifferenza – Impegno / Azione

Provando a leggere questo schema in modo pratico:

  • Se sei una persona irosa maturando troverai la serenità.
  • Se sei sempre orgoglioso puoi diventare umile.
  • Se sei un narcisista ed egoista puoi imparare ad avere più integrità…

… e così via.

2. Utilizzare i centri di intelligenza

L’Enneagramma della personalità afferma che ognuno di noi ha tre forme di intelligenza a propria disposizione.

Oltre alla mente, c’è l’intelligenza delle emozioni e l’intelligenza delle sensazioni/movimenti.

In breve, le tre forme sono indicate come centri della testa, del cuore e del corpo.

Ogni enneatipo è associato a uno dei centri – si dice che è “fissato” in un centro – e per questo tende ad agire, reagire o vivere sulla base di quel centro.

Ciò si può facilmente osservare in quelle persone che sono più razionali, sensibili o istintive, perché magari tendono a usare rispettivamente la loro intelligenza mentale, emotiva o corporea.

I centri di intelligenza negli enneatipi

  • Centro del corpo: 1 – 8 – 9
  • Centro del cuore: 2 – 3 – 4
  • Centro della testa: 5 – 6 – 7

Identificazione del centro represso

Il centro represso è quella parte di noi che abbiamo rimosso in tenera età a causa di una ferita infantile. Viene anche definito sé nascosto o ombra.

Si può trattare del lato emotivo della persona abituata a vedere tutto in modo logico/razionale, o del lato razionale per chi è abituato a essere impulsivo.

Essendo parte del tuo lato inconscio o represso, la tua intelligenza repressa sabota la tua vita senza che te ne accorgi.

  • Esternamente, un centro della testa represso si potrebbe manifestare in una persona che ha difficoltà a pensare in modo efficace.
  • Un centro emotivo represso può significare che sei dominato da emozioni tossiche che distorcono il tuo modo di vedere le circostanze e le persone
  • Infine, un centro del corpo represso potrebbe apparire come azioni mal indirizzate che conducono a continui errori.

Trovare l’equilibrio reintegrando il centro rimosso

Una volta che conosciamo il nostro centro rimosso, si apre la possibilità di provare in modo attivo a reinserirlo nella nostra consapevolezza.

Una persona che ha perso il centro del sentimento e che ha difficoltà a mostrarsi vulnerabile può riavvicinarsi alla sua emotività se si rende conto di avere questo freno.

Così facendo inizierebbe a trovare l’equilibrio e imparerebbe a sfruttare il potenziale di tutti i centri di intelligenza invece che essere limitato a uno solo.

È fondamentale ricordare qui una esperienza di vita piena può accedere solo se sappiamo pensare e sentire con la testa, il cuore e il corpo.

Senza uno di questi sentiremmo necessariamente che ci manca qualcosa.

3. I sottotipi

I sottotipi descrivono delle sfumature dei 9 enneatipi e nascono quando la Passione di uno di loro incontra il suo l’Istinto.

Gli Istinti nell’Enneagramma della personalità sono:

  1. Auto Conservazione (self-preservation o SP): preservare il corpo, la sua vita e il suo funzionamento.
  2. Istinto Sessuale (Sexual Instinct o SX): estendere la propria vita attraverso le generazioni.
  3. Istinto Sociale (Social Instinct o SO): andare d’accordo con gli altri e formare legami sociali sicuri.

Così come siamo fissati a un centro di Intelligenza, ognuno di noi è fissato a uno degli Istinti.

È possibile dunque che ci siano diverse forze a guidare il nostro modo di vivere: un Istinto dominante e uno secondario potrebbero “unirsi” nel reprimere un terzo Istinto.

Descrizioni generiche dei tre istinti

Auto Conservazione: se sei un SP dominante, tieni maggiormente alla sicurezza fisica e al benessere. Il tuo obiettivo principale è lo stare al sicuro e il comfort nell’ambiente in cui vivi. Per te, gli stress maggiori nella vita sono i soldi e il sostentamento. Le tue strategie di sopravvivenza (quando malsane) possono includere eccesso di scorte, acquisti eccessivi ed eccessi di cibo.

Istinto Sessuale: se sei dominante SX, hai un grande bisogno di cose intense. Il tuo obiettivo principale sono le persone ed esperienze che promettono forti emozioni. Il tuo stress potrebbe includere una mancanza di stimoli mentali o emotivi, o una mancanza di senso di connessione. I tuoi metodi di sopravvivenza malsani potrebbero includere l’incapacità a concentrarsi, la promiscuità sessuale, e forse un atteggiamento pauroso e disfunzionale nei confronti del sesso e dell’intimità.

Istinto Sociale: se sei un SO dominante, ti interessa di più costruire un senso di valore, realizzazione e sicurezza del tuo posto in mezzo agli altri. Il tuo obiettivo principale è lo status sociale, l’approvazione e l’essere ammirato dagli altri. I tuoi metodi di sopravvivenza malsani includono comportamenti antisociali, risentimento e disprezzo sociale o persino isolamento.

L’Istinto in ogni enneatipo

Per capire al meglio il funzionamento degli Istinti bisogna osservarli in relazione all’enneatipo di appartenenza.

enneagramma della personalità

E qui entrano in gioco i profili specifici dei 27 sottotipi, perché ogni enneatipo esprimerà ognuno dei 3 Istinti in maniera diversa.

Per approfondire su questo aspetto consiglio la lettura del libro L’Enneagramma di Helen Palmer.

Per il momento sappi solo che esiste un percorso di crescita unico associato a ogni sottotipo e che ogni Istinto si manifesta attraverso i seguenti stati emotivi in ogni Enneatipo (l’ordine è Auto Conservazione, Sociale e Sessuale):

  1. Enneatipo 1: preoccupazione – non adattabilità – zelo
  2. Enneatipo 2: privilegio – seduzione – ambizione
  3. Enneatipo 3: sicurezza – prestigio – carisma
  4. Enneatipo 4: tenacia – vergogna – competizione
  5. Enneatipo 5: isolamento – saggio – confidente
  6. Enneatipo 6: calore – senso del dovere – intimidazione
  7. Enneatipo 7: socievolezza – sacrificio – fascino
  8. Enneatipo 8: soddisfazione – solidarietà – possesso
  9. Enneatipo 9: appetito – partecipazione – fusione

Leggi anche: Come avere successo nella vita personale e lavorativa

Come riconoscere l’Istinto represso

I sottotipi dovrebbero aiutarti a capire quali sono le tue spinte istintive dominanti.

Per quanto riguarda l’Istinto represso, è relativamente facile identificarlo perché è spesso associato a un senso di vergogna o deficienza.

Inconsciamente, infatti, pensiamo di poter fare a meno del nostro Istinto represso, così come alcune persone si convincono di non aver bisogno del sesso o di legami veri.

Poiché però sentiamo segretamente un senso di deficienza al riguardo, tendiamo a infastidirci quando notiamo che gli altri riescono a soddisfare quella stessa spinta istintiva.

Nell’esempio di prima, chi reprime l’Istinto sessuale può essere infastidito da chi una vita sessuale affermata. Mentre chi ha un senso sociale represso potrebbe sentirsi frustrata dal bisogno di affermarsi socialmente.

Sfruttare l’Enneagramma della personalità per stare meglio

Gli esperti di enneagramma raccomandano che quando ci sentiamo ansiosi, depressi o frustrati a causa dell’incapacità di soddisfare i nostri bisogni, dovremmo provare a dedicare attenzione al nostro Istinto represso.

Ciò potrebbe alleviare l’ansia e i comportamenti compulsivi stimolati dal nostro Istinto dominante, e dimostrerebbe come ognuno di noi abbia bisogno di una sana ed equilibrata armonia tra le sue parti interne.

Per intenderci, un Enneatipo 1 con istinto dominante all’Auto Conservazione tenderà a preoccuparsi spesso per il suo futuro.I

Se il suo Istinto represso è quello Sessuale, che in questo caso si traduce in laboriosità, potrebbe allontanare le sue preoccupazioni dedicandosi anima e corpo ad una attività lavorativa significativa.

D’altro canto, un enneatipo 8 con tendenza al possesso verso gli altri (anche questa una variante dell’Istinto Sessuale) troverebbe sollievo nella solidarietà qualora il suo Istinto represso è quello Sociale.

Conclusioni

Come si può vedere l’Enneagramma della personalità dà delle risposte concrete a dei problemi concreti.

A differenza di altri sistemi psicologici non identifica semplicemente dei personaggi ma fornisce indicazioni precise su come influenzare il loro comportamento e il loro sviluppo.

Non potrò mai sottolineare abbastanza quanto sia importante sapere il nostro Istinto dominante e quello represso.

Ci darebbe letteralmente la possibilità di rinascere, di diventare la persona che scegliamo di essere invece di quella che abbiamo imparato a essere da piccoli.

E la ragione principale è che da piccoli non potevamo comprendere quello che ci accadeva, adesso sì.

Adesso puoi capire se le tue continue liti di coppia siano causate dalla tua incapacità a legarti o da una incompatibilità di fondo col tuo partner.

Da grande ti puoi fermare prima che la rabbia ti porti a dire o fare cose di cui ti potresti pentire.

Puoi tenere sotto controllo la gelosia, l’insicurezza o qualsiasi altra emozione che continui a limitare la qualità della tua vita e il tuo processo di sviluppo personale.

Di sicuro potresti riuscire anche da solo in questo obiettivo.

Ma l’Enneagramma della personalità ti rende tutto più semplice, fornendo una mappa dettagliata delle emozioni coinvolte e una serie di strategie utili ad “aggiornare” il tuo modo di essere.

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Hai mai avuto la sensazione che mangiare cibo da strada sia più appagante?

Magari in spiaggia, o la sera mentre cammini nelle vie della tua città. Sei all’aria aperta e scegli di mangiare fuori piuttosto che chiuderti in un ristorante.

Soprattutto per chi viaggia lo street-food è la giusta soluzione.

Vediamo spesso persone che mangiano fuori casa. Il più delle volte sono sorridenti, ma sono più immagini di copertina o davvero il cibo da strada rende più felici?

5 paesi dove il cibo da strada si mangia tutti i giorni

Il cibo da strada esiste da sempre.

Dai romani fino ai giorni nostri è un modo di mangiare adottato in tutto il mondo.

Ci sono però alcuni Paesi dove è normale mangiare fuori casa.

Vuoi per la frenesia di una giornata lavorativa, o perché la maggior parte delle case non ha la cucina, non si rinuncia a consumare un pasto seduti sotto il cielo.

Per la maggior parte, il mangiare in strada è sinonimo di libertà.

Ecco una breve lista di paesi dove lo si fa più spesso:

  • Singapore: metropoli come questa, dove milioni di persone si spostano di giorno e di notte, è perfetta per il cibo da strada. Qui potrai trovare granchio al chili e riso al pollo hainanese, senza contare ostriche e anatra.
  •  Thailandia: questo popolo vive fuori di casa. Nelle città milioni di persone invadono con i motorini le strade della capitale e nei villaggi sorgono tantissimi street-food. Qui chiunque può cucinare e mangiare per strada dell’ottimo pad thai e pesce fresco.
  • India: è un paese pieno di profumi e colori. Immancabili anche quelli del cibo come la samosa o il kebab
  • Messico: tra deserti e città di cemento c’è sempre un banchetto che vende tacos e tortillas. Il tutto innaffiato da una buona Corona.
  • Costa Rica: nei villaggi tra la giungla o nei paesi sulla costa avrai sempre l’occasione di gustare le empanada, fagottini ripieni di carne verdure o pesce.

Ovviamente in quasi tutto il mondo è possibile gustare cibo da strada.

Un consiglio per chi viaggia è proprio questo: per quanto siano inusuali per noi certi cibi, mangiare le pietanze del posto è un’occasione per scoprire nuovi sapori e nuove culture.

Potremo abbattere quelle barriere che troppo spesso alziamo verso ciò che non conosciamo. Sarà un buon modo per aumentare la nostra apertura verso l’”altro”.

Leggi anche: Convinzioni limitanti: quali sono e come riconoscerle.

Il cibo da strada fa male?

Questa potrebbe essere una domanda legittima.

Se immaginiamo un hamburger pieno di salse o un hot dog prima di una partita, probabilmente risponderei di sì. Spesso per mantenere i prezzi bassi, chi cucina street food lo fa con ingredienti di scarsa qualità.

C’è differenza tra street food e “cibo spazzatura” ed è bene non confondere le due cose. Lo street- food è quel cibo facile da preparare e veloce da mangiare. Non per questo deve essere malsano.

Rischiamo di perderci un buon kebab a Istanbul, solamente perché siamo abituati ai nostri panini a 3 euro. O rifiuteremo dell’ottimo Jerk Chicken giamaicano perché vediamo che assomiglia molto al pollo dei fast-food.

Una cosa a cui mi sono abituato quando viaggio è mangiare i piatti locali. Spesso il cibo da strada è cucinato all’aperto e quindi avrai sempre modo di vedere ingredienti e preparazione e scegliere quello che più ti dà sicurezza.

In molti paesi vicino a spiagge o foreste sono spesso proposti piatti a base di frutta fresca e di pesce appena pescato che potrai scegliere personalmente.

Se userai la stessa cura con cui scegli ciò che mangi a casa, non avrai nessun problema a scegliere il giusto posto dove mangiare il cibo da strada.

5 motivi per cui il cibo da strada è un’ottima soluzione

  1.  È economico: se lo consideriamo di qualità lo street food è più economico. Chi lo cucina non ha tutte le spese di un ristorante “normale”. Soprattutto in viaggio potrai gustare ottimi cibi spendendo poco.
  2. Comodo da mangiare: se ti devi spostare per lavoro o continuare un tour nella natura potrai mangiare senza “perdere tempo”.
  3. Variegato: potrai gustare diversi prodotti. Spesso lo street-food sono un insieme di cibi in piccole quantità che ti sazieranno senza appesantirti.
  4. Puoi mangiare all’aria aperta: ogni paesaggio naturale riduce lo stress e rende più felici. Consumando il cibo da strada potrai condividere momenti rilassati in compagnia.
  5. Ti mette a tuo agio: quando viaggi, mangiare liberamente ti farà sentire parte del luogo. Sarai più presente nel tuo qui e ora e vivrai le tue giornate più serenamente.

Questi sono solo alcuni dei motivi per cui mangiare in strada è l’ideale.

Lo streef-food però ha un altro potere al quale forse non avevi mai pensato.

Il cibo da strada avvicina le persone

Hai mai osservato chi mangia a una sagra o una pizza attorno a un falò?

Sembrano tutti felici di stare lì in quel momento. E secondo me, lo sono davvero.

Nel mio viaggio in Madagascar mi è capitato di mangiare sia al ristorante che cibo da strada. Indovina cosa ricordo di più? I sorrisi delle donne che ti offrivano il loro cibo. Avevano occhi curiosi di scoprire se il loro cibo piaceva anche a noi.

Generalmente ti aspettavano sedute ai loro banchetti. Avevano dipinti sui volti dei fiori bianchi, simbolo di benvenuto. Ed era proprio cosi che mi sentivo. E con il loro cibo te lo dimostravano ogni giorno.

Percepivi l’impegno e la curiosità nei loro occhi. Ti guardavano entusiaste fino a che facevi un segno. Poteva essere un sorriso o un “ok” con il pollice. Solo allora ti lasciavano mangiare per servire qualcun altro.

Questo nei ristoranti accadeva di meno. A prescindere dalla gentilezza personale, un locale ha dinamiche diverse:

  • Ci sono tempi più stretti da rispettare.
  • Molte persone da servire.
  • Più piatti da preparare.
  • Svariati imprevisti che possono fare arrabbiare i clienti.

Quando mangiavo nelle bancarelle o nelle griglie a bordo strada tutta questa “ansia da prestazione” spariva per lasciare posto a chiacchere e risate.

Sembrava di mangiare tra amici alla grigliata di Pasquetta.

Per molte persone questo modo di mangiare è la normalità. Non posso dire se erano felici o meno, di certo quello che vedevo erano sorrisi e convivialità.

Mangiare per strada ti apre la mente

Conoscere persone nuove è un grande vantaggio. Se sei triste o sei appena arrivato in un nuovo paese, incontrare qualcuno che non conosci può permetterti di:

  1. Apprendere una nuova cultura e nuove idee.
  2. Imparare ad accettare una diversa opinione o punto di vista.
  3. Stimolare la tua curiosità e creatività.
  4. Conoscerti di più e trovare nuove soluzioni se dovrai affrontare delle novità.
  5. Fare nuove amicizie che riempiranno la tua vita.

Siamo sempre soggetti a cambiamenti

Mai come in quest’epoca dove tutto è frenetico, siamo travolti da repentine innovazioni.

Il rischio è che cominciamo a pensare che vivere così sia normale. Che non ci sia niente di male a correre per le scale della metro o affannarsi su internet per accaparrarsi l’ultima offerta.

Siamo così abituati a correre che abbiamo perso il piacere della lentezza.

Chi ancora riesce a vivere con ritmi meno affannati, è spesso dipinto come pigro e scansafatiche.

Ma è così sbagliato fermarci da tutta questa frenesia?

Ritornare a vivere piccoli momenti di felicità, dove anche tu poi rilassarti e staccarti dall’impazienza di una società che pretende sempre di più?

Se la vedi così il cibo da strada può essere un ottimo rimedio per tornare ad essere più presenti nelle nostre vite.

A volte ci bastano quei pochi minuti di spensieratezza da condividere con chi abbiamo vicino. Senza pensare ai rimpianti del passato o farci prendere dalla paura di non poter controllare il futuro.

Potrai diventare una persona migliore e tutto questo partendo dal cibo.

Non ti sto proponendo ravioli miracolosi. Ma solamente un pretesto per metterti in un flusso di energia positiva che potrà rigenerarti.

Leggi anche: 5 libri per capire se stessi e aumentare l’assertività

Lo street-food rende davvero più felici?

Ognuno di noi darà la propria risposta.

Se lo riduciamo al nutrimento puro e semplice, non credo che mangiare cibo da strada ti renderà più o meno contento rispetto ad una cena casalinga.

Il cibo rende sempre felici

Se però coglierai le opportunità che si nascondono dietro ad un burrito messicano o a un cous cous marocchino, ti si apriranno infinite possibilità di espandere la tua cultura personale.

Sarai più felice perché riuscirai a superare i tuoi pre-concetti. Sarai capace di condividere momenti di convivialità con persone diverse da te.

Non importa in quale contesto ti trovi, l’importante è usare il cibo come pretesto per dare colore e gioia alla tua vita e, soprattutto quando sei in viaggio, come un portale di scoperta di nuovi modi stare al mondo.

“Uno non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene”

Virginia Woolf

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Il senso di autoefficacia sta al centro della teoria sociale cognitiva dello Psicologo Albert Bandura e secondo le sue stesse parole è “la fiducia nella propria capacità di organizzare ed eseguire il corso d’azione richiesto per gestire situazioni future”.

Detto in parole comuni, il senso di autoefficacia è nient’altro che la convinzione di poter portare a termine i progetti che ci capitano davanti o che scegliamo di intraprendere.

Perché è importante sviluppare un senso di autoefficacia

Possiamo dire che quasi tutte le persone al mondo hanno degli obiettivi che vorrebbero raggiungere, magari una situazione che vorrebbero cambiare o un sogno che vorrebbero realizzare.

Allo stesso tempo, è facile rendersi conto che passare dal piano all’azione, o dalle idee alla realtà, non è cosa automatica.

È qui che entra in gioco il senso di autoefficacia, in quanto è quella qualità interiore che permette di accorciare il divario tra quello che vorremmo accadesse e quello che accade.

Quando ti viene un’idea o persegui dei buoni propositi, puoi solo concretizzare se hai pazienza, motivazione e autostima.

Tantissime persone vorrebbero aprire aziende, lanciare siti e-commerce o semplicemente perdere peso.

La difficoltà in progetti del genere è che suscitano entusiasmo all’inizio e poi ti scoraggiano quando ti rendi conto del reale sforzo necessario a mantenerli in vita.

Allora molti di noi lasciano perdere, perché non hanno le forze, la determinazione o, per l’appunto, il senso di autoefficacia che serve a superare gli ostacoli di percorso.

Differenza tra chi possiede senso di autoefficacia e chi no

Bandura e altri psicologi hanno scoperto che l’autoefficacia individuale gioca un ruolo determinante nel modo in cui vengono approcciati i compiti e le sfide della vita.

In particolare, le persone che hanno un forte senso di autoefficacia:

  1. Vedono i problemi come opportunità da cui imparare.
  2. Sviluppano un profondo interesse per le attività in cui partecipano.
  3. Hanno un maggior livello di impegno e dedizione in quello che fanno.
  4. Si riprendono più velocemente quando si imbattono in situazioni negative.

Di contro, le persone con un senso debole di autoefficacia:

  1. Evitano le mansioni più difficili.
  2. Credono che le situazioni più sfidanti siano al di fuori delle loro capacità.
  3. Si concentrano sui fallimenti e sui risultati negativi.
  4. Perdono facilmente la fiducia nelle loro abilità personali.

Leggi anche: Intelligenza emotiva: una guida per capire cos’è e come allenarla

Chi può trarre beneficio dal senso di autoefficacia

Avere un maggior senso di autoefficacia potrebbe letteralmente cambiare la vita delle persone.

  • Immagina un genitore che riesce a trovare la fiducia di affrontare i problemi adolescenziali del figlio senza ricorrere a metodi punitivi facili da adottare ma profondamente lesivi.
  • Oppure uno studente fuori corso, che finalmente smette di rimandare e approccia quell’ultimo esame con maggior grinta e coraggio.
  • Un single che smette di rimpiangere la sua solitudine e inizia a cercare l’amore vero.
  • L’aspirante impiegato che affronta il prossimo colloquio di lavoro con l’attitudine di chi è realmente consapevole del proprio valore.
  • L’adolescente bullizzato che impara a credere in sé stesso e riesce a uscire da una situazione potenzialmente drammatica.
  • Un uomo affetto da malattia cronica che si convince di poter migliorare la sua salute grazie ai suoi sforzi e alle raccomandazioni dei medici.

Gli svantaggi di non credere in se stessi

In degli scenari del genere non avere senso di autoefficacia potrebbe avere dei brutti risvolti.

Le persone che non credono di poter ottenere quello che vogliono finiscono facilmente per provare rancore o senso di colpa, sono più vulnerabili alle dipendenze e alla rabbia.

Quest’ultima, in particolare, è una naturale conseguenza del senso di impotenza che è l’esatto contrario di autoefficacia.

Ci arrabbiamo, ricorriamo alla violenza, ci ritiriamo in noi stessi o diventiamo tristi tutte le volte in cui siamo certi di non poter fare nient’altro per modificare le circostanze, specialmente se indesiderate.

Come si sviluppa il senso di autoefficacia

Il senso di autoefficacia inizia a svilupparsi nell’infanzia, ovviamente, e continua a evolvere per tutta la vita.

Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, o riusciamo a compiere un’azione che prima sembrava impossibile, cresce la nostra fiducia in noi stessi e iniziamo ad abituarci alla mentalità del “ce la posso fare”.

Per fare degli esempi concreti, ciò può accadere dopo aver raggiunto la laurea, finito un importante progetto lavorativo, imparato una seconda lingua, smesso di fumare.

Tutte le volte in cui il nostro impegno e le nostre azioni conducono a risultati che in qualche modo arricchiscono la nostra vita sentiremo una crescita del senso di autoefficacia.

Queste azioni possono essere le più semplici, come lo può essere alzarsi in piedi per un bambino, fino alle più complicate, come scoprire il vaccino di una malattia infettiva.

Più impegnativo è il limite che sceglieremo di superare più facile sarà per noi credere di poterne superare altri quando si presenteranno.

Lettura consigliata: Il segreto è credere in sé stessi di Brian Tracy

Un libro che spiega come sviluppare l’autostima e scoprire le proprie risorse e potenzialità.

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4 strategie per aumentare il senso di autoefficacia

1. Fare esperienze di padronanza

Lo stesso Bandura afferma che riuscire a compiere bene determinate attività è il primo modo di sviluppare la fede nelle proprie capacità.

Quelle che lui chiama “mastery experiences” sono delle esperienze che avvengono quando riusciamo a ottenere la padronanza in qualcosa, che sia un sport, un lavoro, una materia.

Diventare bravi e preparati in un determinato settore, oltre a far stare bene con se stessi, pone le fondamenta per sviluppare sicurezza e consapevolezza di sé.

2. Imitazione Sociale

Osservare persone che compiono con successo determinate attività è un’altra importante fonte di autoefficacia.

Ciò significa che nel momento in cui guardiamo qualcuno di simile a noi riuscire a raggiungere un determinato obiettivo possiamo arrivare a credere di poter fare lo stesso.

Questo avverrebbe in tutti quei casi in cui pensiamo “se c’è riuscito lui posso farlo anch’io”, cioè quando qualcuno ci dimostra che qualcosa che ritenevamo impossibile è in realtà possibile.

Il caso del limite che sembrava impossibile fino a Roger Bannister

Un esempio perfetto di questo meccanismo è l’impresa di Roger Bannister che nel 1954 riuscì a correre un miglio in meno di 4 minuti.

Prima di lui la barriera dei 4 minuti era considerata impossibile da abbattere e ci vollero decenni prima che qualcuno ci riuscisse.

Dopo che Bannister dimostrò che era possibile, però, ci vollero solamente 46 giorni prima che John Landy, un atleta australiano, lo seguisse.

Appena un anno dopo tre corridori ruppero quella barriera in una singola gara. Nella seconda metà del secolo scorso sono stati più di mille a farlo.

La lezione di questa storia è che l’impossibile esiste solo nella nostra mente fino a quando noi stessi, o qualcun altro, non dimostriamo il contrario.

3. Persuasione

Un altro modo per aumentare il senso di autoefficacia è ricever dei feedback positivi e incoraggianti dagli altri.

Qualcuno che non crede di poter compiere un impresa può infatti essere convinto di avere le qualità necessarie da una persona di fiducia.

Ottenere supporto morale e verbale può aiutarci a superare i dubbi esistenziali e le insicurezze, per questo dico spesso che è importante circondarsi di persone che ci aiutano ad accrescere il nostro senso di valore interiore.

L’opposto può accadere quando chi abbiamo accanto ci demotiva, sia volontariamente che involontariamente, perché non comprende quello che vogliamo fare o, peggio ancora, avrebbe invidia o paura del nostro successo.

4. Reazioni psicologiche

Le nostre stesse reazioni emotive alle situazioni giocano un ruolo fondamentale per il senso di autoefficacia.

Gli umori, i livelli di stress e gli stati mentali e fisici possono avere un impatto determinante nel modo in cui percepiamo le nostre abilità.

Una persona che diventa nervosa quando deve parlare in pubblico può sviluppare un debole senso di autoefficacia in situazioni del genere.

Similmente si potrebbe “imparare” ad aver paura dei colloqui, del sesso, delle presentazioni o della tecnologia.

Per Bandura non è tanto l’intensità di quello che proviamo ma come interpretiamo le nostre reazioni.

Il segreto sta nel minimizzare l’importanza dei fattori di stress e nel riuscire a sostenere gli stati di soddisfazione e positività.

Un esempio perfetto sarebbe lasciarsi alle spalle i fallimenti e concentrarsi di più sui successi, evitando di pensare che siamo definiti dai nostri errori e fare l’opposto, cioè imparare da essi.

Leggi anche: Enneagramma test della personalità online: scopri il tuo enneatipo

Strategie per l’autoefficacia in pillole

Per riassumere quanto detto sulle strategie per aumentare il senso di autoefficacia ecco 4 consigli che ti aiuteranno a metterle in pratica:

  1. Celebra i tuoi successi, anche se sembra che non ne hai avuti, valuta i progressi che hai fatto in qualsiasi ambito senza paragonarti agli altri, ma guardando solamente al tuo progresso rispetto a dove sei partito.
  2. Osserva gli altri, soprattutto quelli che stanno facendo qualcosa che vorresti fare tu, senza invidia, senza risentimento, ma con l’atteggiamento umile e positivo di chi sa di non avere niente da invidiare e molto da imparare.
  3. Cerca rinforzi positivi da persone che hanno a cuore la tua crescita personale. Ciò non vuol dire credi solo a chi ti dice che sei bravo, piuttosto prova a essere incoraggiato anche dalle critiche costruttive.
  4. Presta attenzione ai tuoi pensieri ed emozioni. Come dicevo nell’articolo sulla forza delle parole, quello che pensiamo e diciamo più spesso può diventare una profezia autoavverante. Chiediti dunque se le tue reazioni a situazioni sfidanti siano giustificate, e osserva la tua spinta a mollare tutto provando a capire come bypassarla.

Valutare l’autoefficacia: test online

Valutare il proprio senso di autoefficacia è una questione intima e personale.

Solo tu comprendere il tuo livello di fiducia nelle tue abilità e lo puoi fare ripensando a come ti sei comportato tutte le volte in cui hai affrontato un problema o una sfida nella tua vita.

In generale credi di essere resiliente in momenti difficili? Ti viene l’ansia al pensiero di dover assumere determinate responsabilità?

Spero che nessuno, te incluso, si aspetti che tu sia sempre sicuro e calmo nel gestire i tuoi affari.

Per questo la valutazione dell’autoefficacia serve solo a stimolare una riflessione, a capire se e dove si può fare meglio.

Nel test proposto qui troverai 10 affermazioni a cui dovrai rispondere cliccando su una scala di veridicità, da completamente non-vero a completamente vero.

Dopo averlo fatto valuta se è il caso di impegnarsi per migliorare il tuo senso di autoefficacia o meno.

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Mi capita spesso di leggere sul web di genitori disperati che non sanno gestire la rabbia dei figli. Famiglie intere “intrappolate” tra amore e odio.

Nel mio lavoro sono a stretto contatto con adolescenti. Vivo con loro vittorie e successi, ansie e frustrazione.

Questo dualismo è molto forte in loro.

Spesso confondono l’amore con l’odio. Interiorizzano nel modo sbagliato i due sentimenti e fanno pasticci anche con le persone a cui tengono.

Questo però non comincia con l’adolescenza.

Sarà un articolo dove proverò a mettere in ordine idee ed esperienze.

Non vuole essere giudicante nei confronti di nessuno.

Credo fortemente però che il nostro atteggiamento di genitori è fondamentale, anche nei primi anni di vita dei nostri figli.

Siamo pronti?

Sarà un’occasione per tutti (anche per me) di conoscere nuove prospettive per affrontare al meglio certi problemi adolescenziali.

Amore e odio in un bambino che cresce

Anche nei più piccoli, cominciamo a vedere questo dualismo.

Un bambino esplora il mondo e le persone che ne fanno parte, primi fra tutti i genitori.

Ci sfidano con i capricci e ci “manipolano” con le bugie.

Finchè sono piccoli può essere che diamo poco peso alla cosa.

Ho una figlia di 5 anni che a volte prova a raccontare la sua versione delle cose.

Probabilmente le viene anche più naturale essendo figlia di genitori separati.

Prova a vedere se riesce a ottenere qualcosa da uno dei due “tanto l’altro non lo sa”.

Come tutti i bambini però, la sua capacità di immaginare non è completa e quindi si contraddice.

Già quando sono piccoli manifestano “amore e odio” per i genitori:

  • Quando hanno un bisogno piangono e fanno i capricci se non vengono subito accontentati, fanno la faccia arrabbiata o stringono con le mani.
  • Fanno smorfie e linguacce quando chiedi loro qualcosa che non vogliono fare.
  • Si risentono se li riprendi su un comportamento sbagliato e passano qualche minuto a ignorarti.
  • Sorridono quando stemperi la tensione.
  • Ti abbracciano o cambiano discorso dicendo di voler giocare quando sentono che la sgridata è finita.

Capita a volte che, per non vederli piangere o per non affrontare i loro capricci (soprattutto in luoghi pubblici dove le loro urla possono essere imbarazzanti) li accontentiamo.

Accettiamo per loro qualcosa che pensiamo essere sbagliato, tipo:

  • Non mettiamo loro una regola precisa per guardare i cartoni.
  • Se il giorno dopo non c’è scuola tendiamo a non discutere più di tanto sull’orario di andare a letto.
  • Chiudiamo un occhio se lo vediamo di sfuggita mangiare il quarto cioccolatino anche quando gli avevamo detto che il terzo sarebbe stato l’ultimo.

I nostri bambini ci provano sempre a ottenere qualcosa da noi.

E noi spesso cadiamo nella loro trappola.

“Dai, cosa sarà mai una puntata in più di Masha e Orso”

“Passo poco tempo con lui. Se poi devo anche rovinarci la serata per mezz’ora in più alzato…ne vale la pena?”

“Sì, l’ho visto il furbetto che “rubava” un cioccolatino. Dai però che tenero è?”

Torno a ripetere che non voglio giudicare nessuno.

Anche io spesso non sapevo cosa fare e ho accettato questi comportamenti.

Credo però che l’importante sia essere consapevoli delle conseguenze a breve e soprattutto a lungo termine.

Stiamo sempre parlando di relazione genitori e figli ed è bene che i ruoli non vengano mai scambiati.

A volte una piccola cosa sembra essere ininfluente.

Ma vediamo un ipotetico scenario futuro.

Il pericolo di un’eccessiva accondiscendenza

Un bambino accontentato troppo spesso rischia di crescere con l’idea che “tutto gli sia dovuto”.

Se fin dai primi anni non dovrà mai fare niente per conquistarsi qualcosa può essere che quando diventi adolescente vedrà solo sè stesso.

La priorità sarà (come sempre fino a quel momento) soddisfare i propri bisogni e vedrà il genitore come strumento per soddisfarli.

Dall’altra parte il papà o la mamma si ritroveranno davanti una persona quasi adulta che li manipola con richieste che adesso cominciano a diventare pesanti da sostenere.

Si può capire un genitore che accontenta un figlio per non vederlo soffrire, perché i “no” sono dolorosi e perché vorremmo che i nostri figli abbiano sempre il meglio.

“Voglio dargli tutto quello che non ho mai avuto”

Quante volte abbiamo sentito questa frase?

Come una sorta di riscatto alla vita, adesso che siamo noi genitori non vogliamo negare a nostro figlio qualcosa che oggi abbiamo l’occasione di dargli.

Così facendo però si ribaltano i ruoli.

In questo articolo abbiamo parlato di quanto sia importante dare delle regole ai figli e di quanto facciano loro bene.

Un figlio che “comanda” i genitori proverà:

 È normale che un figlio ci sfidi, è la sua strada per crescere e passare a un “livello” successivo.

Siamo noi, che non dobbiamo retrocedere.

Un genitore che si vede imporre le cose dal figlio, non riuscirà ad avere un rapporto sano, né con lui, nè con gli altri componenti della famiglia.

Questo porterà tensioni che probabilmente sfoceranno in litigi.

Odio e amore si uniranno in una soluzione esplosiva.

Ci ritroveremo in un ambiente che non riconosciamo più come la nostra bella casa. Saremo frustrati e tristi. Spesso arrabbiati, rischiando di prendercela con la persona sbagliata, alimentando ancora di più l’”odio” che prenderà piano piano il sopravvento sull’amore.

Saremo spaesati e non sapremo cosa fare, magari penseremo che sia una fase che passerà.

“Succede anche nelle migliori famiglie”. Vero, la conflittualità è una fase normale.

Vivere irrequieti a casa propria è tutta un’altra storia.

In un clima così si rischia di perdere la lucidità e che i discorsi tra le parti siano sporcati da improperi ed insulti.

Perché mio figlio mi insulta

A tutti noi genitori sarà capitato di litigare con i figli.

Spesso si urla o e si ha rancore. A volte però capita che si vada oltre.

L’insulto di un figlio fa sempre male a un genitore. Capita di prendere la cosa sul personale e la reazione di un papà o di una mamma può essere di rabbia, frustrazione o tristezza.

Perché il figlio arriva ad insultarci?

Vero è che spesso le parole ci scappano dalla bocca e ci pentiamo subito dopo. Personalmente però credo che se si analizza più a fondo la questione, si possa trovare una spiegazione meno superficiale.

Le parolacce ormai sono considerate linguaggio comune. Le diciamo noi adulti anche per raccontare episodi divertenti, si sentono in tv e a volte anche in certi cartoni animati.

Capita anche che quando un bambino ripete la sua prima parolaccia, gli adulti “ridano”.

Ho assistito a scene in cui il bambino diceva delle parolacce e i genitori gli dicevano ridendo: “Non si dicono le parolacce”.

Il punto è che se si cresce con l’idea che le parolacce siano “divertenti” e che vengano usate come linguaggio comune dai propri genitori, si crescerà con l’idea che sia normale dirle.

Leggi anche: Creatività bambini: come proteggerla e svilupparla

Cosa c’è dietro il loro amore e odio

Ogni fase della crescita ha delle difficoltà, dalla prima infanzia fino all’adolescenza.

Le difficoltà creano disagio personale che possono portare a:

Sono tutti sentimenti che durante la crescita destabilizzano. Un ragazzo dovrà ancora imparare a gestire le proprie emozioni e spesso se la prende con le persone con cui ha più confidenza. I genitori.

 Tra amore e odio in noi genitori vincerà sempre il primo nei loro riguardi e questo lo sanno benissimo.

Così sembra che a volte si approfittino della situazione e si sentano giustificati a trattarci male. Se scaviamo più a fondo dietro le loro parole o comportamenti probabilmente scopriremo che:

  • Si sentono persi perché hanno paura del loro futuro.
  • Se sono innamorati di un amore non corrisposto sono silenziosi e intrattabili.
  • Magari hanno problemi a scuola con quelli più prepotenti.

Dietro la vita e dentro la mente dei nostri figli spesso si nascondono sentimenti di cui non abbiamo idea.

Forse perché ci siamo dimenticati come essere adolescenti.

Loro in noi vedono una sicurezza, quindi si sentono liberi di esprimere i loro sentimenti in bene o in male.

L’insulto di un figlio verso un genitore non è fine a se stesso.

C’è altro dietro.

4 comportamenti di un genitore che possono destabilizzare un figlio

  1. Poca coerenza: il classico “predicare bene e razzolare male”. Se diamo delle regole dobbiamo rispettarle per primi. Può capitare di essere noi in errore. Siamo umani. In questo caso una bella spiegazione (con delle scuse se servono) può riequilibrare una situazione.
  1. Poca attenzione: siamo sempre presi dai nostri impegni. Il lavoro, la casa, appuntamenti di ogni tipo, che spesso tralasciamo le cose importanti. Li vediamo lì, impegnati a guardare un cartone, a disegnare o giocare ai videogames. “Bene, allora ne approfitto per pulire casa”. “Ottimo, allora vado a lavare la macchina”. Per esperienza un figlio che “sembra farsi i fatti suoi” se avesse la nostra attenzione sarebbe più felice. So che è difficile entrare nel mondo di un figlio, soprattutto se adolescente: tra chat e social sembrano su un altro pianeta. Se troviamo il modo di interagire con loro anche quando sembrano voler stare da soli a loro farà piacere.
  1. Paragonarli agli altri: quanto spesso sentiamo dire “guarda quel bambino come sta fermo” oppure “guarda che brava, ascolta sempre la mamma”. Paragonare i nostri figli ai loro coetanei non farà nient’altro che farli sentire inadeguati e frustrati.
  1. Aggressività: sembra scontato, ma purtroppo non lo è. Non voglio nemmeno parlare dell’aggressività fisica, quella destabilizza tutti, ma di quella verbale. Può essere un’offesa: “Ancora hai preso 4? Non capisci niente allora”. Può essere una presa in giro: “Ahaha dai, ma come ti sei truccata! Sembri una strega”. Anche uno sguardo tagliente può essere letto come aggressivo, come anche due genitori che litigano “incolpandosi” a vicenda dei comportamenti del figlio. Per non parlare di porte sbattute o di pugni sul tavolo. I nostri figli (anche se a volte lo nascondono) sono molto sensibili. Più c’è tensione in casa e più la assorbono.

Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama

 4 motivi per cui tra amore e odio vince il bacio

Lo stesso figlio che si è arrabbiato con noi arrivando all’insulto, come per magia ci bacia e ci abbraccia.

Perché?

  1. Riconosce la nostra bontà: se sapremo essere empatici e sereni nel gestire le discussioni non ne usciremo sconfitti anzi. Con il tempo nostro figlio vedrà che noi per lui ci saremo sempre: per un consiglio, per una parola di incoraggiamento, anche solo per una battuta. Se sapremo rispondere con amore alle sue manifestazioni di collera, non avremo di cui preoccuparci.
  1. Per metterci alla prova: poniamo il caso che ci siamo arrabbiati con nostro figlio perché ha rotto una finestra. Era da giorni che gli dicevamo di non giocare a palla in casa e alla fine è riuscito a fare un grosso danno. Lo sgridiamo e lui risponde arrabbiato di “andare a quel paese”. Noi ci offendiamo lui si chiude in camera e la cosa finisce lì. Dopo cena (lui non ha cenato è rimasto in camera sua) si siede vicino a noi sul divano e cerca un contatto fisico. Che sia appoggiarsi alla spalla o un sorriso. Vuole vedere se ce l’abbiamo con lui. Se l’arrabbiatura si può recuperare o se il rapporto è perso. Con quel gesto ci sta chiedendo: “Mi ami ancora?”.
  1. Senso di colpa: anche i nostri figli ce l’hanno. Si rendono conto di dover chiedere scusa, ma non sanno da dove partire. Vuoi per orgoglio, o per mancanza di strumenti, non riescono. Cosa c’è di più efficace di un bacio per chiedere perdono?
  1. Per conoscersi emotivamente: quando un bambino o un ragazzo cresce ha bisogno di imparare a gestire i propri sentimenti. In lui, amore e odio spesso si confondono. Il suo avvicinarsi e voler fare la pace con noi, può essere un modo per sperimentarsi. Cosa si prova a fare pace con la mamma? Cosa sento quando papà è arrabbiato e gli faccio un disegno per chiedergli scusa? La sensazione di fare pace con gli altri ti rende leggero e soddisfatto. È anche un modo per rinforzare le relazioni e crescere insieme.

Ricordo che da bambino essere perdonato dai miei genitori mi liberava da un grosso peso sullo stomaco

Cosa devo fare quando mio figlio mi insulta

La prima cosa che mi viene da dire è: non rispondere, non cadiamo nel gioco del “botta e risposta”.

Non intendo solamente di non rispondere con un insulto (questo mi sembra abbastanza scontato), ma di metterci su un altro livello di comunicazione.

Dietro l’insulto c’è rabbia e frustrazione da parte di chi lo dice. Non mettiamo benzina sul fuoco arrabbiandoci.

Accogliamo il malessere altrui e sgomberiamo il campo da sentimenti negativi. Sarà anche opportuno stoppare la discussione e calmarsi prima di proseguirla.

Non lasciamo però il “cerchio aperto”.

Evitare che la discussione vada avanti, non vuol dire che sia finita lì.

Un insulto deve essere riparato.

Mi spiego meglio

Nostra figlia ci prende a male parole. Abbiamo scoperto che non ha dormito dalla sua migliore amica come ci aveva detto. La prendiamo con le buone, ma appena si sente scoperta comincia a innervosirsi. Noi le gridiamo che non uscirà per una settimana e lei si chiude in camera sua.

La discussione è finita? Non ancora.

Sicuramente non è il momento buono per cercare di risolvere. Qualche ora di tempo servirà a entrambe le parti per calmarsi e pensare a quanto è successo. Ci sta anche che vengano fatte le scuse. Ma credo che un buon modo per chiudere questo spiacevole episodio sia che la figlia si impegni a riparare con noi.

Ci può aiutare nelle faccende domestiche o a preparare la cena. Può passare del tempo con noi a sistemare il giardino o a curare il fratello più piccolo quando non ci siamo. Fare qualcosa per la parte offesa è anche far sperimentare una riparazione concreta e non solo a parole. Questo risalderà il rapporto molto di più che lasciare andare la cosa con un semplice “Scusa pa’”.

Ogni relazione è a sé. Ognuno troverà le giuste soluzioni alle proprie questioni familiari. Questi volevano essere solo degli spunti da considerare, qualora ce ne fosse bisogno.

In linea generale credo che crescere in un ambiente senza offese e parolacce sia utile a evitare problemi come questi in futuro.

Un ambiente sereno e calmo è l’ideale per crescere in armonia con chi ci sta attorno.

Tutti hanno problemi e motivi per arrabbiarsi o essere tristi, ma è opportuno che nelle nostre vite tra amore e odio vinca sempre il primo.

1 commento su “Amore e odio nei figli: cosa fare quando ci insultano”

  1. Carmelo Mangialavori

    Grazie mille per gli utili consigli. Ma se gli insulti e le aggressioni verbali arrivano senza un nostro errore percepito come tale da lui, continuando a provocare e persino rifiutando di accettare regole minime e riparazioni? Lui e i suoi amici comunicano con parolacce e scherzi di cattivo gusto, anche se non sfociano in violenza fisica. Non riesce a smettere di insultare e dire brutte parole, lo fa anche fuori contesto. Ci sentiamo provati e messi in croce!

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Se sei come me ti sarai trovato spesso a pensare “non so cosa fare”.

È questo uno di quei pensieri che ti viene nei giorni liberi quando vorresti sfruttare il tempo per fare qualcosa di produttivo ma non sai cosa.

Oppure quando pensi alla tua vita e a tutte le cose che ti piacerebbe diventare, senza essere in grado di sceglierne una.

Beh, benvenuto nel club.

Ci convivo da una vita con questo sentimento di invalidante indecisione, ed è forse per questo che mi sento così a mio agio nel parlarne.

Il club di quelli che non sanno cosa fare

Quelli che non sanno cosa fare della loro vita sono una buona parte della popolazione.

Sono coloro che tentennano quando gli viene chiesto “cosa volevi fare da bambino”, che non hanno mai sentito di avere una passione in particolare.

È il gruppo dei curiosi, di chi si interessa di un po’ di tutto senza andare molto a fondo in niente.

Tra di noi qualcuno pensa “non so cosa fare” perché si sente poco stimolato dall’ambiente in cui vive, mentre qualcun altro ha troppe idee in testa e non sa metterle in ordine.

Perché è difficile sapere cosa fare

Capire cosa fare nella vita è difficile per diversi motivi.

Tra questi c’è il fatto che passiamo decenni in un sistema scolastico che non ci dà l’opportunità di allenare la nostra creatività e il pensiero divergente.

Ci sono poi le diverse condizioni psicologiche in cui si trova l’indeciso, perché:

  1. Pone l’attenzione su quello che potrebbero pensare gli altri e si dimentica di guardarsi dentro per scoprire cos’è che lo renderebbe felice.
  1. Si sente bloccato dalla cosiddetta “avversione alla perdita” cioè si concentra su quello che perderebbe o a cui dovrebbe rinunciare se scegliesse una strada al posto delle altre.
  1. Ha paura di fare una scelta perché nel momento in cui concretizza qualcosa potrebbe rivelarsi peggio di come la immagina. Così preferisce vivere in una realtà potenziale dove tutto può accadere ma nulla mai accade.

In sostanza, non sapere cosa fare è normale tutte le volte in cui si viene a creare un distacco, una perdita di contatto con la parte più reale di noi stessi, quella che contiene la chiave per sbloccare il senso della nostra vita.

Leggi anche: Creatività e pensiero divergente, il futuro del lavoro

Non so cosa fare della mia vita

Per passare da uno stato di indecisione a uno di chiarezza il nostro vero Io deve trovare un modo di esprimersi e di respirare.

Il fatto che possa essere rimasto in sordina è il motivo principale per cui la vita manca di direzione e coerenza.

Senza una solida connessione con la nostra “chiamata” o “dono” (comunque lo si voglia chiamare) siamo in balia delle onde dell’invidia e dell’auto-recriminazione.

Visto che non abbiamo un sentiero unico da seguire tutti gli altri sentirei diventano percorribili.

E visto che non abbiamo dei sogni precisi tutti i sogni diventano desiderabili.

Se non sai cosa fare della tua vita tenderai facilmente a paragonarti a chi ha un percorso più lineare, perché magari ha fatto strada o non ha mai avuto dubbi (almeno in apparenza).

Potrai arrivare a sentirti inferiore agli altri, confuso e disorientato, come se fossi in un tunnel buio senza via d’uscita.

La luce alla fine del tunnel

Come dicevamo prima, il tunnel dell’indecisione è creato dalla disconnessione con la nostra bussola interiore, la consapevolezza della nostra identità.

Ad aggravare la confusione c’è poi il fatto che spesso viviamo delle giornate piene di cose, di impegni, preoccupazioni, problemi.

La nostra attenzione è monopolizzata da distrazioni continue, dalla TV al cellulare, dai cartelloni nel traffico alle scadenze lavorative.

In tutto questo rumore mentale continuo è difficile trovare l’elemento principale per iniziare a vedere la luce alla fine del tunnel: il silenzio.

Il silenzio è lo spazio mentale che serve a riconnettersi con il proprio scopo, la linea di comunicazione tra l’Io e il Vero Io, tra chi sei in apparenza e chi sei realmente.

Puoi aspettare anni nella speranza che un giorno capirai improvvisamente cosa fare. Ma la verità è che farai molto prima a prenderti cura della tua serenità mentale e ad accettare che le risposte arriveranno solo se smetti di cercarle con insistenza.

La consapevolezza della tua vocazione germoglierà a poco a poco nel terreno della tua mente, crescendo man mano che ti dai la possibilità di scoprire i tuoi reali interessi e le tue reali inclinazioni.

Lettura consigliata: Diventa chi sei di Emilie Wapnick

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Quando si riesce a smettere di pensare “non so cosa fare”

Nella mia esperienza, il “non so cosa fare” si trasforma in azione quando smetto di preoccuparmi di quello che dovrò essere in futuro e faccio quello che ha più senso per me in questo preciso momento.

Può darsi che si tratti di 20 minuti di meditazione per rasserenare la mente, di qualche ora di blogging o di una lettura che ispira: qualsiasi cosa riesca a distrarmi dalla preoccupazione di non stare lavorando verso un obiettivo di vita che non ho ancora ben chiaro.

E paradossalmente, noto che riesco a trovare più risposte in questi momenti che quando mi ostino a ragionare su cosa dovrei fare.

Nessuno di noi può prevedere adesso cosa saremo tra un anno o dieci.

Non possiamo pretendere di anticipare quello che accadrà domani per poter agire di conseguenza oggi.

Quello possiamo fare è adottare delle strategie efficaci che tengano in considerazione la difficoltà di capire cosa fare nella vita quando si hanno mille altre cose da fare e a cui pensare.

Per me la strategia più utile è quella di riservare dei momenti della giornata ad attività che aumentino la mia consapevolezza o che mi espongano a nuovi stimoli.

Per te potrebbe essere qualcos’altro come la scrittura di un diario o il giardinaggio.

Qualsiasi cosa tu possa fare, posso assicurarti che la lampadina mentale non si accenderà mentre ti preoccupi per le bollette o ti rammarichi per quello che non hai fatto in passato.

La lampadina si accende sempre quando riusciamo a guardare noi stessi con maggiore obiettività, cioè in due tipi di occasioni:

  1. Nei momenti in cui siamo calmi e in pace con noi stessi (obiettività interna).
  1. Quando osserviamo le reazioni altrui durante un’attività che ci coinvolge (obiettività esterna).

Un metodo per capire cosa fare nella vita

Il metodo che ti propongo per smettere di pensare “non so cosa fare” ha lo scopo di favorire la tua obiettività interna e di ricercare l’obiettività esterna. Ci sono dunque due fasi:

Fase uno: creare spazio mentale

In questa prima fase l’obiettivo è di liberarsi, anche se per qualche minuto al giorno, di tutte le distrazioni, preoccupazioni e pensieri tossici che ci impediscono di vedere le cose con chiarezza.

Per farlo rifletti bene su come passi le tue giornate, su come impieghi, o riempi, il tuo tempo, soprattutto i momenti morti.

Cosa fai, per esempio, mentre sei sul treno per andare a lavoro? Ascolti musica? Guardi il cellulare?

Come impieghi le tue pause?

Se ci pensi bene, o se guardi i dati di utilizzo dello schermo del tuo smartphone, capirai che ore e ore delle tue giornate vengono passate e fare cose inutili come guardare Facebook.

Distrazioni del genere inquinano i nostri processi mentali e distorcono la nostra percezione della realtà.

Non sto dicendo che nel momento in cui spegni il cellulare tutto diventerà chiaro, ma che avrai più possibilità di capire cosa fare nella vita se riesci a stare più spesso da solo e in pace con i tuoi pensieri.

Trova dunque dei momenti di “stacco” in cui poter rilassare la mente e creare spazio mentale. Vedrai che a poco a poco inizierai a vedere la tua situazione attuale con maggiore obiettività.

Fase due: trovare pareri di valore

Laddove finisce la consapevolezza individuale comincia quella sociale.

Senza gli altri non saremmo nulla, non saremmo in grado di fare nulla. Se non fossimo cresciuti tra altri esseri umani non avremmo imparato a parlare o a comportarci.

E l’aiuto di chi ci vuole bene non finisce nell’infanzia.

La reazione degli altri a quello che facciamo è una fonte preziosa di informazioni per capire quali potrebbero essere le nostre reali inclinazioni.

Ovviamente non bisogna prendere tutto per vero perché molti criticano e denigrano perché è l’unico modo che conoscono per nutrire il loro senso di importanza personale.

Dobbiamo essere dunque scaltri nel filtrare i pareri e capire quali ci possono aiutare a crescere e quali no.

C’è da valutare l’origine del parere e le possibili motivazioni a essere poco sinceri.

Un genitore potrebbe dirti che sei bravo a scrivere perché non ha il coraggio o la capacità di vederti come poco capace.

Un capo potrebbe evitare di dirti che hai fatto un’ottima presentazione perché ha paura che gli rubi il posto.

Cerca di trovare l’obiettività in persone che non hanno nulla da perdere o da guadagnare e sfrutta il loro punto di vista per scoprire cosa c’è al di là di quello che non riesci a vedere da solo.

È ok non sapere cosa fare

Non ti prometterò che troverai le risposte dopo aver seguito i miei consigli, anche perché io stesso, a volte, non riesco a seguire i miei consigli.

Sono però sicuro di una cosa, che più combattiamo una situazione attuale e più faremo in modo che questa situazione persista.

Questo per dire che quando ti senti in colpa perché non sai cosa fare della tua vita non farai altro che alimentare la tua indecisione.

In ultima analisi, anche se non dovessi prendere per vero nulla di quello che ti ho detto finora, credimi quando ti dico che non c’è nulla di male nel non avere idea di chi vogliamo diventare in futuro.

Un anno fa nessuno avrebbe anticipato che ci sarebbe stata una pandemia mondiale che avrebbe cambiato il modo di lavorare e di relazionarsi.

Eppure oggi è normale parlare di smart-working, di didattica a distanza e video conferenze.

Questi nuovi aspetti della nostra vita sociale hanno aperto nuove possibilità lavorative prima sconosciute, e per quanto ci siano stati alcuni che hanno perso il lavoro a causa del Covid altri lo hanno trovato grazie ad esso.

Tutto questo per dirti che anche se adesso non sai cosa fare, domani potresti scoprirlo grazie a un cambiamento delle tue circostanze.

Quindi non preoccuparti di quello che non sai, concentrati sempre sul passo più ovvio davanti a te e lascia che gli eventi facciano il loro corso. Il tuo intuito e la tua naturale capacità di adattamento faranno il resto.

Lettura consigliata: Diventa chi sei di Emilie Wapnick

Un libro adatto a chi ha molti interessi, che vi aiuterà a capire come sfruttare molteplici potenzialità. Ho apprezzato parecchio la lettura perché vi ho trovato una prospettiva alternativa a quella comune, che vede l’uomo come un essere mono-dimensionale con un’unica vocazione.

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Moltissimi genitori, si troveranno a vivere problemi adolescenziali con i propri figli.

Indicativamente dopo i 15 anni (alcuni prima e alcuni dopo) i ragazzi affrontano cambiamenti fondamentali per la loro crescita e formazione futura.

Non è sicuramente un argomento facile da affrontare.

Ci sono troppe variabili e situazioni personali. In un blog si rischia di generalizzare e minimizzare, cosa di cui non ho assolutamente intenzione.

Volevo piuttosto concentrarmi più su come le difficoltà possono diventare delle opportunità.

Uno sguardo alla famiglia

La famiglia è un sistema di relazioni interpersonali.

Ognuno condivide la propria vita e costruisce la propria individualità grazie all’interazione con l’altro.

I componenti sono legati da:

Un’ottima vita famigliare, non ci “salva” dai problemi adolescenziali, ma ci mette in una posizione di vantaggio quando arriverà il momento di viverli.

Mc Goldrick e Carter in uno studio delle “fasi del ciclo vitale” di una famiglia parlano di “periodi critici” che la famiglia si troverà a vivere.

Uno di questi è “la famiglia con figli adolescenti”.

Essa dovrà affrontare un cambiamento, che porterà ad un naturale squilibrio, che potrà essere superato solo grazie all’interazione tra le parti.

Questo porterà ad una crescita (sia del singolo che dell’intero gruppo), che permetterà ai componenti di affrontare il cambiamento successivo.

Sembra tutto facile, ma molti di noi vivono i problemi adolescenziali ogni giorno e sanno benissimo che non è così.

Da dove partiamo quindi?

Come facciamo a sapere se ci comportiamo nel modo migliore per i nostri ragazzi?


Lettura consigliata: La mente adolescenziale di Daniel J. Siegel

Fra i dodici e i ventiquattro anni si verificano nel nostro cervello cambiamenti decisivi, non sempre facili da affrontare. Daniel J. Siegel, psichiatra di fama internazionale, sfata qui una serie di luoghi comuni sull’adolescenza.

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Regole: perché aiutano a gestire i problemi adolescenziali

Sul tema regole ognuno ha un’opinione.

Non mi soffermo sul fatto che esista una regola giusta o una sbagliata.

Credo però che siano molto utili se usate come guida.

Nella mia esperienza di educatore di adolescenti, ho notato che le regole in qualche modo rassicurano.

Inizialmente sono rifiutate dai ragazzi che le vivono come una costrizione senza senso.

Con il tempo però loro stessi ammettono (non sempre a parole, ma con il loro comportamento) di stare bene dentro le regole e, anzi, le ricercano.

Non devono però essere fini a se stesse o usate per paura di non sapere come gestire una situazione.

3 caratteristiche di una regola

Per affrontare in serenità i problemi adolescenziali, una regola deve essere:

  1. Coerente: dobbiamo essere convinti e dare il buon esempio.

Esempio: mio figlia riceve la mancia settimanale per imparare a gestire i soldi. Li usa però per una cosa che mi spaventa e di cui non sono d’accordo: le sigarette. Ne parliamo insieme, ma mentre lo faccio tengo tra le dita una Camel. Lei me lo fa notare, allora io, preso in fallo, mi arrabbio e minaccio di non darle più un euro. La discussione finisce con una litigata senza risolvere il problema.

  1. Decisa: Non dobbiamo rivedere una regola solo perché nostro figlio diventa aggressivo o ci ignora. Usiamo il dialogo per spiegare la nostra decisione e coinvolgerlo nel costruire una regola insieme.

Esempio: credo che durante le ore notturne mio figlio non debba usare il cellulare. Spesso sta sveglio fino a tardi. La mattina è troppo stanco per svegliarsi in tempo per la scuola. Così ogni sera glielo ritiro. All’ inizio non l’ha presa bene: si è arrabbiato e non mi ha parlato per un bel po’. A volte se l’è tenuto con la forza o nascosto, portandomi allo sfinimento. Sono rimasto fermo sulla decisione presa e dopo avergli spiegato il motivo abbiamo raggiunto l’accordo che potesse tenerlo la notte in cui il giorno dopo non andava a scuola. Gli ho spiegato serenamente che non avrei ceduto sulle altre notti finchè non avesse dimostrato si saperlo gestire.

  1. Sostenibile: una regola per essere efficace con i problemi adolescenziali, deve essere gestibile da entrambe le parti. Non dimentichiamoci che in una famiglia si cresce insieme.

Esempio : credo che in ogni famiglia ciascuno debba contribuire come può. Anche nelle faccende domestiche. Come prima cosa però ci tengo che mio figlio faccia il letto tutte le mattine. È una regola che per me ha senso. Mettere in ordine il proprio spazio ci aiuta a mettere ordine nella testa. Con una testa ordinata riusciremo ad essere più organizzati ed efficienti. Vedere uno spazio pulito e ordinato, ci da’ benessere e crea un ambiente accogliente per ciò che dobbiamo fare (studiare per esempio). Non pretendo che pulisca tutta la casa quello non sarebbe sostenibile, ma i suoi spazi sì. Questo è un esempio di regola sostenibile per entrambi

Infrangere le regole

“Le regole esistono per essere infrante”

Quante volte abbiamo sentito questa frase?

Può avere senso se vogliamo risolvere i problemi adolescenziali dei nostri figli? Secondo me.

Ogni adolescente ha bisogno di regole per essere guidato, ma ha bisogno di uno spazio grigio in cui infrangerle.

Sì, hai capito bene.

Deve avere la possibilità di infrangerle e tu devi dargli quello spazio, consapevole di questo.

Allora tutto quello detto fin ora non vale niente?

Certo che vale, ma spesso ci fermiamo a dare le regole e arrabbiarci quando non vengono rispettate, ma ci dimentichiamo dell’importanza di poterle disattendere.

Perché serve avere la libertà di infrangere le regole?

  1. Sfida: Non prenderla sul personale. Si sta solo mettendo al tuo livello di adulto. È un ragazzo che desidera crescere. La sfida è fondamentale perché ciò avvenga
  1. Fiducia: a volte i ragazzi infrangono le regole per vedere come reagiamo nei loro confronti. Questo spesso lo traducono in:
  • “se mi sgrida vuol dire che ci tiene”
  • “se mi lascia fare vuol dire che non ci tiene”

Una volta mi è capitato di parlare con un ragazzo. Era difficile avere una relazione di fiducia con lui. Gli ho chiesto perchè trattasse così male noi educatori.

“Non l’hai ancora capito?

Per vedere quanto ci tenete davvero a me”

Da allora la mia visione è completamente cambiata.

Leggi anche: La dipendenza affettiva: come riconoscerla per ritrovare sè stessi.

2 differenti modalità di ripresa di una regola trasgredita: provvedimento o dialogo

Arriva spesso però il momento di decidere qualcosa quando la regola viene trasgredita.

Molti genitori a volte si dividono tra dialogo o provvedimento.

La verità è che non c’è una soluzione standard per affrontare i problemi adolescenziali.

Tutto va bene se ha un senso di fondo.

Dialogo

Il dialogo deve essere usato come strumento di confronto.

Ci serve per capire le intenzioni del ragazzo e avere un’idea dei pensieri che ci sono dietro ad un gesto che abbiamo ritenuto inopportuno.

Importante parlare dei sentimenti.

  • “Come ti sei sentito mentre lo facevi?”
  • “Secondo te cosa ti ha spinto a farlo?”
  • “Adesso come possiamo fare per risolvere?”

Puntare sull’emotività può essere la chiave utile per capire i motivi di una trasgressione.

Il dialogo però, non deve diventare uno strumento usato per “scappare” dalle proprie responsabilità.

Spesso mi è capitato che un ragazzo sostenesse un buon momento di dialogo e che pensasse fosse sufficiente a risolvere un problema.

L’equilibrio è delicato: il messaggio che deve passare è:

  • Noi ci siamo
  • Non vogliamo accusarlo, ma capire
  • Accompagnarlo nelle difficoltà, non retrocedere o ritrattare
  • Per quanto a parole possa aver capito, è giusto che provi l’esperienza del riparare. Tutto ha delle conseguenze.

Sostenere un buon dialogo di confronto non esula dal provvedimento anzi, se ben spiegato in precedenza può avere un’efficacia maggiore.

Leggi anche: Cosa fare dopo il liceo, 5 consigli

Provvedimento

Il provvedimento deve essere:

  • Motivato (meglio se con un buon dialogo).
  • Sostenibile (per il ragazzo e per il genitore. Frasi come: “Non esci per 2 mesi” non hanno senso e rischiano di farci perdere credibilità).
  • Inerente alla trasgressione commessa (se durante una discussione un ragazzo mi insulta, ha poco senso togliergli il telefono o le uscite con gli amici. Ha più senso che faccia qualcosa di utile per la parte offesa).

I problemi adolescenziali hanno una soluzione?

Mi rendo conto che ci possono essere svariate situazioni che sono difficilissime da riassumere con qualche esempio.

Ogni rapporto è unico ed irripetibile.

Spesso chiediamo consigli di una situazione sperando che con qualche azione il problema si possa risolvere.

Ma i problemi adolescenziali sono affascinanti proprio per questo.

La soluzione non è facile, ma il percorso che siamo chiamati a percorrere è uno di quelli che ci fa crescere sul serio.

Spesso per gli adulti gli adolescenti sono un mondo lontano.

Ci spaventano perché non sappiamo come prenderli.

Anche noi siamo stati adolescenti e ci “nascondiamo” dietro la frase:

“Ai nostri tempi non eravamo così”

In realtà “così” lo siamo stati anche noi:

  • Ribelli
  • Maleducati
  • Irrispettosi (delle regole e a volte anche delle persone)
  • Incoscienti
  • Solitari

Affrontare i problemi adolescenziali non sarà semplice.

L’importante è essere consapevoli che la giusta via è l’equilibrio.

Spesso vuol dire anche “fare un passo indietro”

Accettare che un figlio cresca e abbia idee e pensieri lontani dai nostri.

Che faccia degli errori per imparare da solo.

La cosa importante è che lui abbia bene in mente che noi ci saremo sempre. Sia coi “no” che con le punizioni. Anche quello è un modo per dire “ti voglio bene”

Non dobbiamo avere paura di questo.

Se noi siamo sinceramente convinti il messaggio passerà.

Lettura consigliata per affrontare meglio i problemi adolescenziali

Perché abbiamo con i nostri figli gli stessi comportamenti che da bambini ci hanno fatto soffrire? Come liberarci dai vincoli del passato che continuano a condizionarci nel presente? In questa edizione aggiornata del classico “Errori da non ripetere“, Daniel Siegel, psichiatra infantile di fama internazionale, e Mary Hartzell, educatrice e psicologa, evidenziano quanto le esperienze infantili influenzino il modo di essere genitori. 

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Sei davanti a una persona affetta da narcisismo covert se con lei ti senti a disagio senza capirne il motivo.

Magari c’è qualcosa che non va ma non riesci a dare un nome a quel presentimento che ti dice “a pelle non mi piace!”.

Come spesso accade in natura, l’istinto è incontrollabile, ma serve a segnalare qualcosa che è bene sapere nell’immediato.

Essendo questo tipo di narcisismo covert, ovvero velato, avverrà tutto in sordina ed è quindi essenziale che tu ti fidi delle tue sensazioni e metti sin da subito le mani avanti.

Narcisismo covert vs overt

“Il delitto di Narciso è di preferire, alla fine, la sua immagine a sé stesso”

Louis Lavalle

Narciso si innamora di sé e muore specchiandosi nell’acqua. Amore e morte in un solo nome. Il bene e il male in una sola espressione.

Spesso “i narcisi” si riconoscono a miglia di distanza, ma alcuni si nascondono dietro l’immagine di brave persone ed è più difficile stanarli.

Vediamo l’identikit di entrambe le tipologie.

Narcisismo Overt

Il narcisista overt ama molto sé stesso e ha pochissima empatia verso gli altri.

Il suo egoismo e la sua vanità sono evidenti. Ha manie di superiorità e non accetta le critiche anche se costruttive.

Si mostra molto sicuro nelle relazioni con gli altri, ma rifiuta legami affettivi limitandosi ad attaccamenti superficiali.

Ha difficoltà a instaurare un rapporto sano, fatto di fiducia e intimità reciproca, e raramente si interroga sul perché.

A lui interessa poco comprendere i bisogni dell’altro, il suo vero scopo è prendere il più possibile da lui o lei perché, in sostanza, le persone sono delle cose, cose che devono farlo sentire bene, gratificato, amato.

Nel momento in cui qualcuno non riesce più a dargli nulla perde di importanza e viene scaricato, poco importa cosa prova, poco importa se soffre.

La sua ossessione con sé stesso è così ingombrante da impedirgli di vedere o intuire l’umanità altrui.

Narcisismo Covert

Il narcisista covert è molto simile e potenzialmente più pericoloso. Si tratta di una persona che presenta una forma più discreta di narcisismo, cioè, ama pur sempre sé stesso ma lo dà meno a vedere.

Mostra poca autostima e si nasconde dietro comportamenti ansiosi e auto-svalutanti.

All’apparenza è una persona introversa, disponibile e quasi timida verso gli altri.

In realtà però ha un senso grandioso di sé, cova invidia e manipola gli altri a suo vantaggio.

Tende a gravitare intorno alle persone più premurose e gentili, creando in loro dipendenza affettiva e portandole a prendersi cura di lui.

Con chi ha appena incontrato è molto piacevole ed è anche capace di fare un’ottima impressione.

È però quando si va a fondo che la sua vera natura viene a galla.

Nella privacy delle mura di casa il narcisista covert è in grado di frantumare il cuore di chi gli sta accanto.

Leggi anche: 5 modi per iniziare a credere in se stessi

Conseguenze per chi sta vicino a un narcisista covert

Il narcisismo covert viene espresso con attitudini condiscendenti, atteggiamenti passivo-aggressivi o difensivi, ostilità e bugie.

Chi gli sta vicino ha l’impressione che ci sia una dimensione che non viene mostrata, come se ci fossero degli scheletri dentro l’armadio.

I suoi occhi mancano di sincerità e rivelano assenza di coinvolgimento e comprensione.

La conseguenza per chi frequenta il narcisista covert può essere dunque un senso di inadeguatezza e spossatezza emotiva, come se si dovesse remare controcorrente per salvarsi da una cascata.

Se non si sta attenti c’è il rischio di schiantarsi, di farsi inglobare in un mondo di pretese impossibili da soddisfare, legami impossibili da costruire.

Come ci si sente quando si ha a che fare col narcisista covert

Per fare ulteriore chiarezza, vediamo come ti puoi sentire quando frequenti un narcisista covert:

  • Premurosa: spesso ti senti lusingata per le sue attenzioni così ti dedichi anima e corpo a lui diventando la classica “crocerossina”.
  • Afflitta dal senso di colpa: provi mortificazione verso di lui. Credi di essere tu il problema, lo giustifichi e ti prendi la responsabilità del suo malessere.
  • Trascurata: ti accorgi che nella relazione di te non si parla mai, perché il centro è sempre e solo lui.
  • Insicura: non sai più cosa è bene e cosa è male, non sai come comportarti e ti sembra che qualsiasi cosa tu possa fare non andrà bene. Sei alla ricerca delle sue approvazioni e fai quello che pensi possa farlo felice.
  • Annullata: hai forse sprecato molte energie e ti sei messa da parte, completamente. Hai perso di vista chi sei veramente e i tuoi sforzi vengono persino azzerati quando ti seti dire frasi come:

“L’hai voluto tu”
“Si ma, che colpa ne ho io?”
“Hai capito male”
“Non ho voglia di parlarne, fai come vuoi”
“È un problema tuo”

Narcisismo covert: 16 tratti per riconoscerlo

Sei in presenza di un narcisista covert se:

  1. ti fa sentire confusa e presa in giro (i narcisisti provano quasi un subdolo piacere nel confondere gli altri);
  2. c’è uno squilibrio nel rapporto in termini di chi dà e chi riceve (tu dai molto di più);
  3. sei davanti a una persona che racconta mezze verità o persino bugie;
  4. ti vengono fatte promesse mai mantenute;
  5. ti ritrovi intrappolata in una dinamica di aspettative costantemente disattese (senti dentro di te che questa persona non potrà mai darti quello che desideri);
  6. sei tu la persona che fa maggiori sforzi per tenere in piedi la relazione;
  7. senti una sorta di disagio, come un’inspiegabile tensione;
  8. ti vengono dette frasi cattive che mostrano poca considerazione per i tuoi sentimenti;
  9. hai l’impressione che sia diverso con gli altri rispetto a come è con te;
  10. ci sono delle incognite su quello che fa quando non ci sei;
  11. ti manca spesso di rispetto e ti fa sentire poco valorizzata;
  12. ti dà la colpa delle sue emozioni e dei suoi comportamenti;
  13. non gli hai mai sentito chiedere scusa o ho sbagliato (e non si è mai messo nei tuoi panni);
  14. non si mostra capace di provare sincera gratitudine;
  15. è gentile e premuroso con te solo quando ha bisogno di qualcosa;
  16. non riesci ad avere un confronto maturo e sincero con lui.

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

La mia esperienza con il narcisismo covert

A posteriori anche io posso dire di aver avuto a che far con un narcisista covert: era sempre molto teatrale nel raccontare, capace di incantare i più ingenui e poi fregarli.

Presenza davvero tossica, che mi faceva venire ansie che fino a quel momento mai mi avevano sfiorato.

La colpa non era mai sua, ma scaricava la responsabilità sugli altri, arrivando ad accusarli di averlo condotto verso comportamenti sbagliati.

È il classico personaggio che “tira in mezzo” chiunque pur di scagionarsi e per farlo usa frasi come:

“Non è colpa mia. Avrò un problema”
“Mi ci hai costretto tu”
“Sei tu che non mi capisci”

Mi sono finalmente reso conto del suo incantesimo dopo essermene allontanato, quando con più chiarezza mentale sono stato in grado di vedere l’inquinamento emotivo che aveva portato.

Narcisismo e normalità

Le emozioni per il narcisista covert sono come una droga che lo coinvolge.

Vive tutto come un affamato che ingurgita cibo e una volta sazio si stanca.

Rabbia, gioia, entusiasmo, tristezza lo travolgono per poi lasciarlo improvvisamente. Ma a lui nulla lo turba a lungo andare. Non si crea il problema del male che può fare nei momenti di maggiore agitazione.

E quello è un altro segnale che dovrebbe farti capire che c’è qualcosa di anormale.

In uno stato di normalità mentale le persone si sanno auto-esaminare, hanno una coscienza che li tiene in riga, che gli fa prendere in considerazione il bene altrui prima di fare o dire qualcosa.

Una persona serena è in pace con sé stessa e con gli altri, è genuina nell’aiutare e farsi aiutare e soprattutto valorizza gli altri prendendoli come esempio per migliorarsi. 

Il narcisista, invece, è più incline a fregarsene, è troppo spesso indifferente e non sa rispettare.

Dice frasi come “È un problema tuo” o “Veditela tu” con nonchalance.

È disinteressato a ciò che accade al di fuori di lui, prosegue per la sua strada come se niente potesse toccarlo.

E per quanto tu possa esserci non ti dirà mai grazie, perché a lui tutto è dovuto.

Leggi anche: Se pensi sempre “sono infelice” starai facendo uno di questi errori

4 strategie per difendersi dal narcisismo covert

In definitiva, riconoscere i tratti di un narcisista covert non basta a difendersi dalla sua influenza distruttiva.

Un articolo di Very well mind propone 4 strategie da mettere in atto per gestire meglio la relazione.

In primis, e soprattutto…

1. Non prendere nulla sul personale

Quello che lui fa o dice non ha nulla a che fare con te. Il suo comportamento egoista nasce da un percorso di crescita tribolato, in cui lui stesso avrà forse sofferto l’indifferenza ai suoi bisogni.

Tieni in mente questo quando sarai tu a soffrire, e considera sempre questa grande verità:

Quello che gli altri ti dicono non ha mai nulla a che fare con te e sempre tutto a che fare con loro stessi.

2. Definisci limiti chiari

C’è un limite a quello che una persona può fare, o calpestare.

Se non ti va che ti chiami solo nel momento del bisogno o che ti tratti con cattiveria dillo chiaramente, fa capire che la tua presenza va rispettata e guadagnata.

Stabilisci tu quando potete vedervi o quando hai bisogno di stare da sola, dimostragli che hai il controllo.

3. Fa valere le tue ragioni

I tuoi bisogni valgono, i tuoi sentimenti valgono, le tue ragioni valgono.

Non puoi essere l’unica a sbagliare, è realisticamente e statisticamente impossibile che in un rapporto ci sia un unico colpevole.

La responsabilità va sempre condivisa in ogni rapporto che si rispetti. Quindi non permettergli ti farti sentire in colpa e afferma chiaramente quello che pensi.

4. Mantieni la giusta distanza

Infine c’è un ‘altra arma utilissima contro il narcisismo covert: l’indifferenza.

Mantenersi a distanza, o persino ignorare, è la strategia migliore per uscire dal vortice auto-distruttivo in cui spinge il narcisista.

Quindi se qualcuno gioca con te smettila di giocare e costruisci un muro che ti protegga dalla sua carica negativa.

Più sei impermeabile ai suoi attacchi e prima il narcisista covert si stancherà di giocare con i tuoi sentimenti, liberandoti dalla sua pesantezza.

Riscopri il tuo coraggio

È arrivato il momento di focalizzarti su di te e su ciò che ti fa sentire bene.

Costruisci una relazione sana con qualcuno che non mette sempre sé stesso davanti a tutto e ricordati che anche tu come chiunque altro ti meriti di essere felice, è un tuo diritto di nascita.

Devi trovare il coraggio di lasciare andare ciò che non ti rende libero.

Solo così potrai amarti davvero.

“Il segreto della felicità è la libertà, il segreto della libertà è il coraggio”

Carrie Jones

Lettura consigliata: Nella testa del narcisista

Scopri come fare a liberarti dagli artigli di un uomo tossico e ricominciare da capo.

Anche se al momento può sembrare impossibile, puoi riuscirci, se impari le regole fondamentali del comportamento narcisista.

Impara a trattare con il narcisista e a batterlo al suo stesso gioco.

In questo libro ho aperto il mio cuore più di quello che avrei mai pensato possibile… ma l’ho fatto perché volevo dare a più donne possibili l’opportunità di imparare dai miei errori ed evitarli, o di guarire come sono guarita io.

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Sono infelice è una frase che capita a tutti di pensare, o di dire.

Il problema, però, non è tanto dirlo o pensarlo, ma crederci.

Perché più si crede nell’infelicità più la si rende padrona della nostra vita.

È così nei casi estremi il sono infelice più che un incidente di percorso diventa la strada principale da percorrere.

Il mantra del sono infelice può essere una scelta

Partiamo da un concetto chiave più volte ripetuto in questo blog: essere tristi o frustrati per un particolare evento è umano, ma diventare infelici e vivere tutti i giorni con questo sentimento sulle spalle è tutta un’altra storia.

In altre parole, sono infelice può facilmente, e involontariamente, trasformarsi in una scelta.

Sì, hai capito bene, perché c’è differenza tra il sentirsi abbattuti per un accadimento e vivere di infelicità.

Possiamo rispondere con ottimismo o essere pessimisti cronici. Tutto sta negli occhi con cui decidiamo di osservare il mondo.

Leggi anche: Cosa distingue le persone felici dalle altre

Errori comuni di chi pensa spesso di essere infelice

Prima di parlare di rimedi, vediamo quali sono gli errori più comuni che fanno coloro che si sentono infelici:

1. Avere troppe aspettative

Io sono infelice quando una cosa che speravo succedesse non si avvera.

La frustrazione che ne deriva mi farà sentire inappropriato e piccolo piccolo.

Ne deriva che più alte sono le mie speranze più probabilità ci sono che non si avvereranno.

Come avevamo già detto in un altro articolo, le aspettative sono il nemico principale della felicità, perché impongono sulla realtà una visione che può essere miope o persino distorta.

2. Lamentarsi sempre

Se tendi a lamentarti in ogni occasione, ovviamente, vedrai tutto nero.

Avrai forse una rabbia latente che ti accompagna, facendoti risultare una persona burbera, poco affabile o persino ostile.

Ai tuoi occhi la tua negatività sarà anche giustificata, ma la gente non ha sempre la pazienza o capacità di essere comprensiva.

Potrà dunque capitare che più ti lamenti e più le persone si allontaneranno da te, dandoti ulteriori motivi per alimentare la tua infelicità.

3. Ho poca autostima

Non si può essere felici se non abbiamo stima di noi stessi.

La domanda che devi farti è “sarei felice di vivere con una persona che non mi stima?”

La risposta deve essere sempre no, sia nel caso in cui la persona che non ti stima è un partner in un rapporto poco equilibrato, sia che si tratti di te stesso.

4. Rimando sempre le cose

Lo stile di vita di un procrastinatore incallito è avvilente e demotivante.

Io sono spesso infelice se non ho obiettivi a cui ambire, che siano piccoli o grandi, o se non sono capace di programmare i miei progetti e lavorare oggi per migliorare la mia situazione.

La procrastinazione dunque, se diventa un modo di vivere, può farci arrivare sul baratro della depressione.

Cominci a capire cosa intendevo che essere infelici è una scelta?

5. Mi rifiuto di accettare ciò che mi accade

È vero… più volte ci siamo detti che siamo noi a scegliere la vita che vogliamo vivere, ma non fraintendere, gli imprevisti accadono a tutti.

Ci sono cose che non possiamo evitare.

Se la persona che amiamo perdutamente ci lascia dobbiamo avere la forza di andare avanti.

Possiamo piangerci addosso sentendoci vuoti e soli, o possiamo essere felici di aver vissuto un pezzo della nostra vita con una persona straordinaria.

È solo questione di scelta.

6. Faccio il meno possibile

Qui ci cadiamo in molti, anche io ovviamente. Quando sono infelice tutto mi sembra più complicato e macchinoso. Anche il più piccolo degli sforzi è un ostacolo insormontabile.

E qual è la reazione più naturale che purtroppo abbiamo? Fare ancora meno.

Non vediamo una soluzione, siamo troppo impegnati a piangerci addosso piuttosto che muoverci per essere felici.

7. Sono felice solo quando va tutto bene

Rimani spesso in attesa del momento buono per essere felice? Se pensi spesso al proverbio giapponese “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico” occhio! Perché in questo caso il nemico sei tu.

La felicità non è una mosca da acchiappare, e di certo non è una cosa, ma un modo di essere che prescinde il cattivo tempo.

Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella vita ed essere più appagati

Ecco, sono infelice. E adesso?

Adesso passiamo ai rimedi.

Non dico che saranno strategie magiche, ma ti posso promettere che se provi un attimo a metterle in pratica avrai molte più probabilità di costruire la tua felicità rispetto a chi le ignora.

1. Rivedi le tue aspettative

Il problema delle aspettative è che spesso non sono in linea con la realtà.

Quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti il disegno è stato per molto tempo fonte di piacere. 

Mi sono spesso trovato però ad essere deluso dal risultato finale. Perché?

Semplice: perché nella mia mente vedevo già un’opera “alla Michelangelo”, quando poi la realizzazione non era per niente paragonabile.

Questo senso di frustrazione mi ha abbandonato quando ho scelto di abbassare le mie aspettative e ho cominciato a lavorare sul migliorare il mio stile. Da allora disegnare è solo un piacere.

2. Smetti di lamentarti

Quando ragiono sulla mia vita mi trovo spesso a evocare frasi o immagini che mi aiutano a focalizzare un concetto lungo in poche parole. Per smetterla di lamentarmi quando sono infelice ho trovato una frase che spero aiuti anche te:

“Se hai tempo di lamentarti, hai tempo di cambiare ciò di cui ti lamenti”

A.J.D’Angelo

Comincia a ringraziare per ciò che hai. Spesso hai molto di più di ciò che altri possano mai sognare di avere: una casa che ti accoglie, un lavoro che ti piace (e di questi tempi anche che non ti piace), una donna da amare o anche un cane che scodinzola quando torni a casa.

Avrai sempre un motivo per lamentarti, come avrai sempre motivi per essere soddisfatto.

 “Quello che guarderai è ciò che vedrai”

3. Nutri la tua autostima

Credere in sé stessi è fondamentale per essere felici. Il pensare bene di sé ci fa sentire appagati di trascorrere il nostro tempo con una persona che ci arricchisce ogni giorno.

Prima del mio primo esame all’università ero molto agitato. Ero in macchina e alla prima rotonda sono letteralmente tornato indietro. Ero già padre di famiglia quando ho deciso di ricominciare gli studi ma la paura dell’esame mi ha fatto tornare indietro di 10 anni.

Ho riparcheggiato la macchina sotto casa e la prima cosa che ho sentito è stata la tristezza di aver fallito senza nemmeno provarci.

Non poteva andare così. Ho riacceso la macchina, ho discusso e superato il primo esame e via via gli altri, fino a completare gli studi mentre lavoravo.

Questo è stato uno di quei traguardi che ha rafforzato tantissimo il mio senso di auto-efficacia, ed è stata una grossa spinta verso la mia felicità.

4. Agisci

Un giorno accendo la luce in bagno e su tre lampadine ne vanno solo due.

Beh, che male c’è ci vedo lo stesso.

Ogni volta che accendevo quella luce però c’era qualcosa che mi diceva che sarebbe stato il caso di cambiare quella fulminata. “Oggi non ho avuto tempo, magari domani”. Un giorno anche un’altra si fulmina e sono costretto a cambiarle.

Salgo sulla scala e già che ci sono non vuoi spolverare tutto il lampadario?

Cambio le lampadine e mi accorgo che c’era un po’ di polvere anche sui mobili.

Perché non fare un bel lavoro a questo punto?

Non sto qui a dilungarmi troppo sulle mie doti da casalinga, sta di fatto che a fine pomeriggio avevo cambiato le lampadine e pulito tutto il bagno.

A risultato finito come pensi mi sia sentito? Alla grande!

E sta qui una verità da considerare…

Non far nulla ti rilassa solo nel momento ma ti crea problemi a lungo andare.

Agire è più difficile nel momento ma ti regala tante soddisfazioni nel tempo.

5. Accetta

Accettare ciò che ci succede non vuol dire arrendersi, ma essere consapevoli che non possiamo avere il controllo su tutto.

Ci hai mai fatto caso che i media ci bombardano di notizie sulle quali non abbiamo nessun potere? Politica, cronaca, sport, il meteo.

Sono tutti argomenti di cui parliamo e su cui spesso litighiamo, ma per cosa? Niente. Comincia ad accettare le cose che non puoi cambiare senza farti turbare. Impara a lasciare andare. 

6. Supera i tuoi limiti

Immagina una piccola piantina che nasce in un bosco. Lo stelo si fa strada nella terra tra le radici delle grandi querce.

Che possibilità ha la nostra piantina di sopravvivere all’ombra del bosco? Poche giusto? Sbagliato.

In natura anche il più piccolo organismo fa sempre del suo meglio per prosperare. Non gioca al risparmio, ma farà di tutto per ottenere il massimo dalla situazione sfavorevole in cui si trova.

Noi spesso ci raccontiamo che “va bene così” e molliamo quando ancora abbiamo possibilità di crescita, nascondendoci dietro la bugia del “chi si accontenta gode”.

Vuoi sapere chi gode veramente? Solamente chi ha il coraggio di superare se stesso. E per superare intendo anche una piccola paura come quella di imparare a nuotare o andare in moto.

Ci sono persone che hanno tutto e non sono felici perché danno tutto per scontato.

Invece apprezzerai di più le cose che sarai in grado di conquistare malgrado le tue difficoltà interiori.

Fai sempre più di quello che pensi sia il tuo limite, perché se oggi ti dici “sono infelice” è forse perché ti sei accontentato di rimanere nella tua confort zone.

7. Comprendi il vero significato della felicità

La felicità non è un punto di arrivo, ma è il come mi sento mentre cerco di arrivarci. Non esiste una “bella vita”, devi lavorare per essere una bella persona e godere di tutto ciò che ti capita.

Non ci sarà mai un momento in cui tutto va come vuoi, quindi stai sereno. La felicità è un’attitudine alla vita, impara a viverla con grazia e tutto sarà più leggero.

Leggi anche: Come leggere libri di crescita personale mi ha cambiato la vita

Sono felice

Abbiamo visto insieme gli errori che forse stai facendo se pensi sempre di essere infelice.

Subito a “specchio” le possibili soluzioni per cambiare le nostre emozioni.

L’infelicità è uno stato mentale molto pericoloso che ci può portare alla depressione e alla solitudine.

Non aspettiamo che qualcuno o qualcosa ci risolva il problema. 

Se sono infelice è mia responsabilità scegliere la felicità.

“Goditi la vita. Questa non è una prova generale”

Frederich Nietzsche

Lettura consigliata: La trappola della felicità

Perché nella società occidentale del benessere sembriamo tutti stressati, depressi e insoddisfatti?

Perché siamo prigionieri della “trappola della felicità”, un circolo vizioso che ci spinge a dedicare il nostro tempo, la nostra energia, la nostra vita, a una battaglia persa in partenza: quella contro i pensieri e le emozioni negative.

Che è poi una battaglia contro la realtà e contro la stessa natura dell’essere umano.

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La dipendenza affettiva è la condizione di chi si sente così attratto da un’altra persona da pensare, “è tutta la mia vita”.

Ne è vittima chi costruisce una storia amorosa nella propria testa senza appigli concreti nella realtà.

O chi si trova in una relazione in cui il pensiero e le azioni sono rivolte esclusivamente al partner.

Come nasce la dipendenza affettiva

Immagina di incontrare una persona per la quale sviluppi un interesse.

Provi piacere a stare con lei perché il tempo trascorso insieme ti fa sentire bene, ti fa provare quel brivido che tanto ti mancava e riaccende la speranza di aver incontrato l’anima gemella. 

Con il tempo scopri di avere interessi comuni e ricerchi sempre di più la sua presenza, cercando di farla diventare parte integrante della tua quotidianità.

Sei sempre più ammaliato dalla sua bellezza, incantato dai suoi pregi, e non ti accorgi (o scegli di ignorare) i suoi difetti.

Quando sei solo non fai altro che pensare a lei, immaginando il prossimo incontro, un weekend romantico o, perché no, persino una vita insieme!

Pian piano questa persona prende sempre più spazio nella tua mente e ogni pensiero è dedicato a lei, al nuovo amore che sta nascendo.

Dopo un po’ non c’è più spazio per i tuoi interessi, le tue abitudini e le tue attività. In ogni cosa che pensi e fai c’è sempre lei.

Nel momento ti senti bene, finalmente hai uno scopo, una persona con cui condividere la tua esistenza, un progetto di vita da immaginare e disegnare.

Quello che però non sai è che stai cominciando a seguire una strada che, probabilmente, ti porterà verso l’annullamento di te stesso a favore di qualcun altro.

Leggi anche: L’amore vero esiste: i 10 pilastri di una relazione duratura

6 caratteristiche della dipendenza affettiva

Che tu ti riveda o meno nella situazione appena descritta, è utile essere consapevoli di quali siano i segnali premonitori di una dipendenza affettiva in modo tale da poterla riconoscere prima che sia troppo tardi.

1. Ebbrezza

Quando credi che solo lei ti possa rendere veramente felice, quando la vedi come il miraggio nel deserto più caldo della tua vita e continui a cercare la sua presenza perché solo lei ha il potere di farti sentire sereno.

2. Senso di vuoto

È un sintomo come l’astinenza, senti un vuoto nella tua vita che pensi possa essere colmato solamente dall’altra persona. Non esiste più niente se non è legato a lei.

3. Impermeabilità

Isolamento da ogni relazione che non comprenda anche lei. Non hai più i tuoi amici, ma i vostri amici, se non addirittura i suoi. Il rischio è di isolarsi dagli affetti di una vita, non importa se familiari o amici.

4. Paura eccessiva

La paura di perdere il partner credo che sia uno di quei pensieri che abbiamo un po’ tutti, soprattutto all’inizio di una relazione o in momenti di crisi e incomprensioni. Il problema è che se questa paura si trasforma in terrore senza nessun motivo apparente, forse stai già camminando sul sentiero della dipendenza affettiva.

5. Difficoltà a riconoscere i propri bisogni

Ognuno di noi ha diverse esigenze come lo stare da soli o frequentare persone in modo indipendente. Se soffriamo di dipendenza affettiva ci troveremo a non comprendere più i nostri bisogni, andando a spendere energie fisiche e mentali per soddisfare unicamente quelli del nostro partner.

6. Sessualità strumentale

Anche la sfera fisica in una relazione è fondamentale per una lunga e sana vita di coppia. È quell’aspetto più materiale capace di stimolare i sensi e avvicinare due anime. Se però cerchiamo il nostro partner solo per timore di perderlo, attaccandoci all’aspetto sessuale come unico modo per rimanere uniti, allora siamo di fronte a un’altra caratteristica che ci dovrebbe far pensare a una dipendenza.

Queste sono alcune condizioni che potrebbero farci cadere nella trappola della dipendenza affettiva e allontanandoci da una relazione sana e serena.

Leggi anche: 50 domande esistenziali per arricchire una conversazione

3 relazioni disfunzionali tipiche della dipendenza affettiva

E qui arriviamo al punto più “tragico” dove la dipendenza affettiva si concretizza in una relazione vera e propria formando ruoli disfunzionali.

1. Co-dipendente 

Entrambi i protagonisti della storia d’amore soffrono dello stesso disturbo, contribuendo a creare un clima di paura e frustrazione all’interno della coppia: vivere insieme diventa una tortura comune.

Ogni giorno è buono per perdersi, ritrovarsi, litigare, amarsi e sfogare sull’altro la paura di un futuro incerto.

Solo lo stare insieme può placare la propria ansia, quello stesso stare insieme esclusivo e ossessivo che porterà all’inevitabile distruzione della coppia.

Come nelle cosiddette profezie auto-avveranti, in cui una paura trova spazio nell’inconscio, per poi realizzarsi nella realtà.

2. Narcisista

Questa è una dinamica molto comune, soprattutto quando la relazione sfocia in sopraffazione fisica o psicologica: il partner del dipendente si fa desiderare in tutti modi, è sfuggente e trova piacere nel condurre i giochi.

Ci troviamo in una situazione dove il dipendente rincorre l’altro, nella speranza di farsi amare solo grazie alla sua presenza e attenzione, accettando qualsiasi condizione anche quelle più dure, pur di non vedere la relazione finire.

3. Relazione impossibile

Di questa mi sento di dire di averne “sofferto” anche io in età adolescenziale (chissà quanti come me!).

Per anni sono stato innamorato di una ragazza che aveva già un compagno e nessuna intenzione di lasciarlo per me.

Ricordo ancora l’estate in cui siamo andati in vacanza insieme, come al mio sogno d’amore che si realizzava: io e lei in spiaggia, io e lei a cena, io e lei a bere caipiroska alla fragola per tutta la notte.

È stata una bella fantasia che si è infranta quando le due settimane insieme sono finite e ognuno è tornato a casa sua.

Avevo 16 anni, ma qualcuno questi amori impossibili li vive quotidianamente, accontentandosi di immaginarli piuttosto che correre il rischio di realizzarli.

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle e memorabili di sempre

Come faccio a capire se sono un dipendente affettivo?

Se sei un dipendente affettivo avrai pensieri ed emozioni che, pur facendoti male andrai sempre a ricercare.

Tenderai a paragonarti agli altri, valorizzando l’altro piuttosto che te stesso o confondendo un tuo bisogno di essere amato per amore vero.

Potrai sentirti geloso senza un perché o avere paura di perdere la persona che ami, arrivando a non accettare un’eventuale separazione o persino alla depressione.

La dipendenza emotiva può essere una nebbia, che silenziosa scivola nel tuo cuore e ad un tratto offusca tutto facendoti perdere l’orizzonte.

“O mamma! Credo di essere un dipendente emotivo! Cosa posso fare?”

La dipendenza emotiva può essere davvero una tortura, in parte l’ho provata anche io in adolescenza, ma se ci penso oggi vedo tutto con più lucidità.

Per fortuna una soluzione c’è!

Il primo passo per uscire dalla dipendenza affettiva

Chi soffre di dipendenza affettiva tende a ignorare i sintomi e a giustificare ogni suo pensiero e comportamento considerandolo normale: fermarsi e porsi delle domande è dunque il primo passo.

Ma non basta.

Dobbiamo porci le giuste domande per arrivare alle risposte che ci serviranno a stare bene con noi stessi. 

Siamo noi la persona con cui dovremo trascorrere tutta la vita e per (con)vivere felici è fondamentale trovare un giusto equilibrio tra i nostri desideri, i nostri istinti e le nostre paure. 

Consigli per ritrovare se stessi

Ecco alcuni punti da cui partire per ritrovare sé stessi e sganciarsi dalla dipendenza affettiva:

  • Riporta il focus su te stesso! Priorità a desideri e bisogni. Non è egoismo, ma amor proprio. Una volta che starai bene potrai donare amore agli altri in modo sano ed efficace.
  • Prenditi cura delle emozioni: dai valore a quello che provi, è ciò che di più utile hai per capire chi sei veramente.
  • Alimenta la tua fiducia in te stesso. Perché più ne hai e meno sarai vulnerabile alla dipendenza affettiva.
  • Riguarda il passato: cerca di analizzare la tua infanzia e adolescenza. Dentro quei ricordi ci sarà sicuramente una mancanza, un bisogno non colmato che ha dato il via alla tendenza di attaccarsi agli altri.
  • Impara a stare da solo: non c’è regalo più bello che puoi fare a te stesso (e al tuo futuro partner), credimi. Prova a prenderti del tempo per te stesso, svolgi qualche attività che ti crea piacere. Questo non solo ti aiuterà a ritrovare il tuo equilibrio ma ti renderà anche più attraente agli occhi degli altri.
  • Evita di idealizzare gli altri e pensarli sempre meglio di te. Tutti sono insicuri e tutti hanno difetti che gli altri non vedono. Concentrati su di te, immagina quello che vuoi/puoi essere e poi lavora per farlo accadere.

Leggi anche: L’amore incondizionato: un amore che fa crescere e dà significato alla vita

Dipendenza affettiva: conclusioni

Guarire dalla dipendenza affettiva è un processo lungo e difficile, bisogna imparare a guardarsi dentro, analizzarsi e cambiare ciò che ci ha portato a questo punto.

Spesso è indispensabile l’aiuto di un professionista che ci indichi il cammino da seguire; altre volte basta leggere un libro di crescita personale a parlare con un amico.

In ogni caso, seppur accettare le cose che non vanno di noi non è mai facile, è l’unica strada per ritrovare la serenità.

Ho fatto miei due concetti molto cinici, ma che penso spesso quando tutto mi sembra difficile.

  1. Dal momento che nasciamo abbiamo già perso la cosa più preziosa che abbiamo, non sappiamo né dove né quando ma sappiamo che moriremo. Cosa ci può essere di più spaventoso? Cosa ho da perdere ad affrontare un cambiamento che mi fa paura? NIENTE!
  2. “È tutto qui quello che sei?”  Questa è una frase che mi ripeto quando arrivo a dover affrontare scelte che possono davvero dare una svolta alla mia vita, ma che mi fanno tremare le gambe. Quando penso di non farcela mi faccio questa domanda e la risposta che mi sono sempre dato è: “NO, io sono molto di più”

È sta qui il punto…

…Tu sei molto di più di quello che pensi.

Abbi fiducia in te e nella tua capacità di amare.

Tutto parte da lì.

“Chi ama riesce a vincere il mondo, non ha paura di perdere nulla. Il vero amore è un atto di totale abbandono”

 Paulo Coelho
cosa ci rende felici

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Quante volte al giorno esprimi gratitudine dicendo, o pensando, grazie?

Non intendo quando il cameriere ti porta la pizza o quando qualcuno del palazzo ti tiene aperto il portone.

Intendo grazie per quello che hai, per la persona che sei, per l’amore che ricevi (e quello che non ricevi), per le opportunità, la salute, la famiglia, gli amici.

Gratitudine e felicità

Grazie è una parola meravigliosa, perché dentro di sé contiene un messaggio.

Il messaggio parte dalla vibrazione della gratitudine e si propaga nell’Universo comunicandoGli che siamo aperti a ricevere, che siamo capaci di apprezzare.

Per Universo non intendo qui solo un piano di realtà astratto o superiore ma, più concretamente, la rete di esseri umani attorno a noi.

La positività della gratitudine è un vero e proprio magnete sociale, attira e ispira fiducia.

Chi è grato è felice, e le persone felici sono quasi sempre quelle che fanno la miglior impressione, che guadagnano di più o che hanno migliori relazioni interpersonali.

Di contro, le persone infelici, essendo spesso concentrate su quello che non hanno, raramente provano gratitudine e raramente rendono le persone ben disposte nei loro confronti.

È ovvio se ci riflettiamo un po’ su.

Se tu fossi il manager di un’azienda e ti trovassi a scegliere tra due candidati con le stesse qualifiche ed esperienze quale sceglieresti?

Quello che si presenta al colloquio col sorriso o quello col broncio?

E quando sei fuori con amici con quali persone tendi a parlare di più, con quelle allegre o seriose?

Leggi anche: Come leggere libri di crescita personale mi ha cambiato la vita

La mia esperienza di ingratitudine

Sarò sincero sono stato più volte la persona imbronciata alla festa.

Se parlo e scrivo così spesso di felicità è, dopotutto, perché non sono stato molto felice nei primi anni della mia vita e adesso sento di dovermi rifare.

Ho vissuto entrambi i lati della medaglia, fatto esperienza di entrambi gli stati d’animo, è ho visto l’effetto che hanno su me stesso e sulle altre persone la gratitudine e l’ingratitudine.

Quando non trovo motivi per essere grato mi concentro solo su quello che non ho e che non sono.

Mi paragono agli altri, provo invidia o rabbia nei confronti di chi riesce ad avere una vita migliore con un minor sforzo.

Arrivo persino a sentirmi inferiore.

Di contro, ci sono momenti in cui mi sento pieno di gratitudine per la vita che sono riuscito a costruire, giornate leggere in cui sembra che il mondo intero mi voglia bene.

Sono questi i giorni in cui mi sento fortunato, in cui arrivano le buone notizie, i complimenti e persino denaro inaspettato.

E non è un caso.

Gli effetti evidenti che la gratitudine ha sugli altri mostrano come esista una vera e propria legge dell’attrazione, una sorta di corrispondenza tra ciò che siamo dentro e ciò che è fuori.

Dipendenza da vittimismo e lamentele

Sento spesso dire ad amici e parenti che le emozioni negative vanno espresse liberamente, che se c’è una qualche frustrazione bisogna “sfogarsi” per far passare tutto.

L’idea è, in sostanza, che basta lamentarsi per tornare a sentirsi leggeri.

In passato credevo molto a questa idiozia così mi lamentavo tutte le volte che ne avevo la possibilità, la maggior parte delle volte per amori non corrisposti.

Martoriavo i miei amici con sermoni infiniti sull’ingiustizia della vita e dell’amore.

Li tenevo in ostaggio e li costringevo ad ascoltarmi mentre provavo a convincerli del fatto che l’universo avesse scelto me personalmente come zerbino.

Nonostante creasse sofferenza era un pensiero che mi faceva sentire importante questo: io, l’unico al mondo a non aver nessun motivo per essere felice.

Se qualcuno provava a farmi notare che non era tutto così male mi incazzavo quasi, come osate provare a tirarmi su il morale?

Sentirmi triste era una mia prerogativa, la mia strategia per avere attenzione, ricevere compassione ed empatia dagli altri.

Ogni volta che l’Universo metteva sul mio cammino persone che mi avrebbero lasciato, ignorato o rigettato, pensavo tra me e me, “Visto? Sono proprio uno sfigato non c’è nulla da fare!“.

Non mi chiedevo mai quale fossero le mie responsabilità, se per caso fossi stato io a fare scelte sbagliate, a dare attenzione alle persone sbagliate e ignorare quelle giuste.

Leggi anche: Intelligenza emotiva, una guida per capire cos’è e come allenarla

Come la gratitudine mi ha cambiato la vita

La soluzione al mio approccio malsano alla vita arrivò dopo un po’ di anni, e iniziò proprio da questa parola: Gratitudine.

Inizialmente provai molta resistenza visto che ero troppo abituato a vivere nella tristezza per pensare di poter convivere con la gioia.

Quando pensavo alla gratitudine mi veniva quasi da urlare, “Grato!? Per cosa dovrei essere grato se vivo in un tugurio, sono povero e sempre solo?!“.

Si venne a creare una sorta di contrapposizione tra due menti, una che voleva continuare a fare lo zerbino e l’altra che voleva addestrare la prima ad apprezzare invece che biasimare.

Per farlo decisi di iniziare con qualcosa di molto semplice e mai provata prima.

Per diversi giorni, prima di andare a letto, scrivevo su un diario personale almeno dieci motivi per cui dire Grazie.

Dicevo grazie per le cose basilari, come un tetto sopra la testa, una mente sana, un corpo sano, la possibilità di comprare libri, imparare cose nuove, mangiare bene.

A poco a poco vidi che riuscivo a trovare nuovi motivi per provare gratitudine e imparai a sentirmi fortunato di avere cose che fino al giorno prima davo per scontate.

Fu allora che notai i primi cambiamenti nel modo di pensare, di relazionarmi agli altri con maggiore coraggio e positività.

Per esempio, ricordo che una sera andai da solo in un bar (esperienza che prima di allora era sempre stata un dramma) e senza sforzarmi feci amicizia con un gruppo di ragazzi e ragazze che “dal nulla” mi invitarono a unirmi a loro.

Sentii come se la gratitudine mi avesse reso più sfacciato e meno intimorito dalle persone.

Avevo l’attitudine di chi non ha nulla da perdere e nessun bisogno di proteggersi, cosa che mi fece sentire in perfetta sintonia col mondo.

gratitudine
una pagina del mio diario della gratitudine

Leggi anche: Test della personalità online: scopri il tuo livello di estroversione e stabilità

Le conseguenze dell’ingratitudine

Ci sono sempre buone ragioni per essere ingrati, sentirsi vittime o lasciarsi andare all’apatia.

Ci sono sempre soldi che mancano, coincidenze sfortunate, speranze infrante, esami andati male, colloqui andati peggio, giornate troppo corte e pandemie impreviste.

Possiamo lamentarci perché viviamo in città invece che in campagna o in campagna invece che in città.

Perché non abbiamo una moglie abbastanza bella o comprensiva, o perché i nostri figli non ascoltano come dovrebbero.

Che succede però quando le lamentele diventano la normalità, quando ci svegliamo con loro e andiamo a letto con loro?

Per esperienza ti dico che la gente si allontana da te quando sai solo pensare o parlare di cose negative.

Inizi a cercare conforto nelle attività più distruttive, a essere più vulnerabile alle dipendenze, a stare più incollato al cellulare, a mangiare più schifezze o guardare più TV spazzatura.

L’ingratitudine è come un pozzo nero che continua a sprofondare fino a quando non vedi più la luce dell’imboccatura.

Credimi l’ho provato.

E alla fine di quel pozzo ho solamente trovato altri pensieri marci, disistima, odio, ansia e, in ultima analisi, voglia di spegnermi e smettere di provare.

(forse persino smettere di vivere)

Intraprendere la strada della gratitudine

Adesso arriva il momento in cui dirò cose che alcuni non vorranno sentire.

Lo so perché anch’io non volevo sentirle.

Sbuffavo sempre quando da piccolo mi dicevano che mentre noi avevamo cibo in tavola in Africa morivano di fame.

E forse sbufferei ancora adesso se fossi povero e mi dicessero che non posso lamentarmi perché c’è chi vive sotto un ponte.

A volte si confonde l’apprezzare quello che si ha con il compromesso, l’accontentarsi, la rinuncia a una vita migliore.

Eppure per cambiare la propria vita si inizia proprio e per forza da lì, dalla parola grazie.

Motivi per essere grati

Può essere un grazie per i genitori, perché anche se ti deludono finiscono sempre per forgiare il tuo carattere e darti dei valori da seguire.

Si può essere grati per il tempo, perché anche se ti senti vecchio non sarai mai più giovane di oggi.

Personalmente adoro dire grazie per le persone che mi amano, perché non è per nulla scontato che ci debba essere qualcuno che ti vuole bene a questo mondo e se c’è vuol dire che avrai fatto qualcosa di buono.

C’è poi il grazie per le possibilità economiche, soprattutto quando ti permettono di fare esperienze che arricchiscono.

Ti consiglio di dire grazie per la tua intelligenza, perché credo sia lo strumento più potente che hai a disposizione.

Se vuoi essere più pratico apprezza anche il cibo che hai nel frigo, la macchina parcheggiata sotto casa, i calzini nella cassettiera della stanza da letto.

Dì grazie per Google che ti permette di trovare articoli come questo e un’infinità di risorse per formarti.

Grazie per chi sceglie quotidianamente di condividere il proprio sapere con gli altri. Grazie per chi è disposto a darti una mano se ne dovessi avere bisogno.

Ma soprattutto grazie per la possibilità di cambiare, per la libertà di muoversi, di sbagliare, di crescere e imparare dagli errori.

Ti lascio dunque con questo augurio, che tu possa trovare la capacità di provare gratitudine per le strade sbagliate che prenderai, perché vorrà dire che avrai capito, grazie a loro, come imboccare quelle giuste.

Libri consigliati

1.Dentro la tana del coniglio – cosa ci rende felici

cosa ci rende felici

“Dentro la Tana del Coniglio” parla di felicità, di cosa la favorisce e di cosa la limita.

È uno spazio di condivisione dove si parla del percorso di crescita, di cosa vuoi dire diventare grandi, creare la vita che si desidera.

In queste pagine si raccontano esperienze di cambiamento, si sfida il concetto di “normale”, si mettono in discussione tutte quelle convinzioni che impediscono di scoprire il proprio talento, quello che si è veramente.

Così come il bianconiglio portò Alice nella sua tana per farle scoprire un mondo diverso, questo libro ti porterà in una dimensione dove la realtà è più fluida e reattiva, dove si capisce il perché delle cose, dove si acquista il potere di cambiarle.

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2. Diario della gratitudine

Un diario perfetto per l’auto-pratica della gratitudine interiore con citazioni, suggerimenti e pagine da riempire con i propri motivi per essere grati.

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È facile pensare alla felicità come a un risultato, un posto da raggiungere, ma la verità è che le persone felici lo sono perché si impegnano per rimanerci.

L’impegno sta nel prendersi cura di sé e nell’evitare quelle abitudini che abbassano il morale e tolgono energia come guardare Netflix per 6 ore o mangiare cibo spazzatura.

Quanto tempo e salute sprechiamo in (non)attività del genere?

E soprattutto come possono ore e ore di schermi e cibi malsani aiutarci ad avere una vita appagante, un fisico sano e una mente sana?

Semplicemente, non possono.

L’approccio alla felicità delle persone felici

Hai mai visto il film 50 volte il primo bacio?

È una commedia romantica in cui Henry (Adam Sandler) si innamora di Lucy (Drew Barrymore), la quale a causa di un incidente ha una perdita di memoria a breve termine.

In sostanza, Lucy non ricorda nulla del giorno prima.

Così ogni mattina Henry deve trovare nuovi modi di corteggiarla e farla innamorare.

All’inizio commette errori madornali e fallisce miseramente nell’intento però, a poco a poco, impara a conoscere meglio Lucy e quello che deve fare per conquistarla.

Bene, la felicità è raggiunta più o meno allo stesso modo.

Anche noi soffriamo di perdite di memoria, ci dimentichiamo delle cattive scelte fatte in passato e le rifacciamo pensando che “questa volta andrà meglio“.

Poi se le cose non vanno meglio incolpiamo la sfiga o il destino quando, in realtà, dipende tutto da noi.

Per interrompere il ciclo vizioso dobbiamo imparare a conoscere noi stessi così come Henry ha imparato a conoscere Lucy.

Leggi anche: Come cambiare vita (senza soldi) a qualsiasi età

L’importanza di ricordare

C’è un altro aspetto del film che va menzionato.

Visto che Lucy dimentica tutto quello che le è successo il giorno prima, Henry deve fare in modo che lei ricordi la loro storia d’amore man mano che progredisce.

Per farlo utilizza video e foto in cui mostra alla ragazza quello che c’è stato tra loro negli anni precedenti, in modo tale che lei non si confonda quando si trova davanti un fidanzato che non ricorda di aver incontrato.

In modo simile, aiuta moltissimo avere delle prove tangibili di quello che facciamo nei mesi e negli anni, come la scrittura di un diario personale che documenti i nostri processi decisionali.

Così quando rileggiamo le vicende di ieri saremo meglio equipaggiati ad affrontare le nuove circostanze di oggi e, soprattutto, potremo evitare di fare le stesse scelte di sempre.

Leggi anche: Come leggere libri di crescita personale mi ha cambiato la vita

Le persone felici trattano la felicità come una batteria ricaricabile

La felicità non è una scelta definitiva, o un luogo in cui arrivi e ti fermi, ma è come una batteria, va cioè ricaricata giorno dopo giorno con piccole azioni quotidiane.

Si inizia dal momento in cui ti alzi la mattina, con il modo in cui ti senti quando apri gli occhi e con quello che scegli di fare.

Per esempio, tempo fa ho capito che alzarmi dopo le 11 creava un pesante senso di colpa e mi impediva di lavorare ai miei progetti in modo produttivo.

Così mi è bastato prendere un cane per creare la motivazione di alzarmi ogni giorno alle 7:30 (non è stato l’unico motivo ovviamente ma ha aiutato molto).

Ciò non vuol dire che quando mi sveglio sento gli uccellini cantare. Sono ancora di cattivo umore per i primi 30 minuti della mia giornata.

Eppure, alzandomi presto ho il tempo di ricaricare la mia batteria mentale con una buona colazione, un po’ di meditazione e una bella passeggiata.

E la giornata prende un’altra piega.

Il livello “genetico” di felicità

Prima di passare a vedere quali sono le abitudini che distinguono le persone felici dalle altre, dobbiamo prima ricordare che la felicità ha anche una componente genetica.

Questo vuol dire che alcuni di noi hanno la predisposizione all’ottimismo, mentre altri sono più tendenti alla negatività.

Rimandando ad altri articoli per approfondire la valutazione della personalità, ci basta qui notare che, a prescindere dal proprio livello innato, una buona percentuale della nostra felicità è influenzabile dalle nostre azioni.

Quindi anche se siamo crediamo di essere infelici di natura, possiamo esserlo meno se ci impegniamo a costruire la felicità come ha fatto Henry con l’amore di Lucy: giorno dopo giorno.

Leggi anche: Come essere felici cambiando modo di pensare: un sistema realistico in 2 fasi

10 abitudini delle persone felici che le altre non hanno

Adesso parliamo di cosa fanno le persone felici che le altre non fanno.

Possono essere abitudini che portano a stare meglio chi tende a essere cupo, oppure predisposizioni caratteriali di chi già sta bene di suo.

Che siano la causa o la conseguenza, sono comunque abitudini estremamente connesse a una più stabile felicità.

In particolare, le persone felici…

1. Mantengono una prospettiva ottimistica

Spesso l’infelicità è causata dal vedere tutto nero e dal pensare che non ci siano, né ci saranno mai, opportunità e bellezza intorno a noi.

Le persone felici sono in grado di mantenere la felicità perché vedono le situazioni in modo più positivo, mantengono una visione generale più ottimistica.

Hanno speranze nel futuro e sono consapevoli del fatto che anche quando le cose vanno male non vuol dire che debbano rimanere così per sempre.

Gli errori e gli imprevisti non sono per loro una scusa per piangersi addosso ma possono costituire motivo di crescita e una sfida personale nel trovare soluzioni creative.

2. Non si paragonano agli altri

Come dicevo già in questo articolo paragonarsi agli altri fa male al cervello e alla salute.

Ognuno di noi segue dei percorsi di vita che sono unici e non esiste uno standard generale con il quale poter valutare il valore di un essere umano.

(Il denaro che guadagniamo, per esempio, non è un buon metro perché ci sono persone che guadagnano tanto e sono completamente infelici, e viceversa).

L’unica persona a cui ti puoi paragonare sei tu. Valuta dunque i tuoi progressi pensando a come eri ieri, non a come sono gli altri oggi.

3. Esercitano gratitudine

Quando sei grato per quello che hai quello che hai diventa abbastanza.

Va benissimo essere ambiziosi e stabilire obiettivi, purché l’idea di quello che ti manca non diventi un’ossessione che ti fa vivere nel reame del potenziale e non dell’attuale.

Parti dalle basi e sii grato per la tua salute, per le persone che fanno parte della tua vita, per il computer o il telefono che ti sta permettendo di leggere questo articolo.

Per arrivare a diventare chi vuoi diventare devi pur sempre partire da qualcosa, e molto probabilmente quel qualcosa ce l’hai già.

Parlando di gratitudine, poi, consiglio sempre il libro di Ivan Nossa, Il potere e la magia della gratitudine.

Qui l’autore spiega perché la gratitudine alza le tue vibrazioni e ti porta a vedere il mondo sotto una luce diversa.

4. Coinvolgono il mondo con gentilezza

Detta in modo semplice, le persone felici non si sentono minacciate dalle persone.

Le trattano con gentilezza e viene loro spontaneo aprire porte, sorridere e dire buongiorno e buonasera agli sconosciuti.

A sua volta questo crea un effetto “a cascata” e aiuta loro a donare piccole gocce di felicità agli altri.

5. Mantengono amicizie attive

Essendo molto concentrate su se stesse e quello che gli manca, le persone infelici possono arrivare a trascurare certe amicizie.

Le persone felici sanno invece mantenersi in contatto con gli amici veri, anche quelli che vivono lontano o hanno più successo di loro.

Essendo più immuni all’invidia degli altri, si concentrano su quello che di positivo e sano un vero rapporto di amicizia può dare.

Sanno essere presenti per gli amici e sanno anche chiedere loro aiuto quando c’è bisogno.

6. Imparano a far fronte alle avversità

Quando si imbattono in ostacoli le persone infelici tendono a fare le vittime e a perdere facilmente la motivazione e la fede.

Le persone felici fanno l’opposto, trovano le opportunità nelle difficoltà, o quantomeno traggono lezioni di vita preziose da esse.

7. Perseguono attivamente gli obiettivi

Alcune persone sono infelici perché non hanno nessun progetto di vita su cui lavorare, nessuna passione o sogno da perseguire.

Una persona felice si distingue da loro nella misura in cui costruisce la sua vita su obiettivi consapevolmente scelti.

Non si può infatti sperare di mantenere alta la soddisfazione quando si va dove porta il vento o si fanno scelte sulla base di quello che sembra più conveniente in un determinato momento.

L’economia cambia, così come le circostanze, per questo l’arma migliore a disposizione di chi vuole costruire un po’ di equilibrio è l’avere chiaro degli obiettivi personali da raggiungere.

Se non si riesce a stabilirli, è fondamentale avere almeno un’idea di quali sono i propri valori, così da avere dei punti fermi che aiutino a fare scelte coerenti.

8. Hanno uno stile di vita attivo

Il vecchio proverbio del Mens sana in corpore sano è ancora attualissimo oggi.

E come potrebbe essere altrimenti.

Hai mai provato a essere felice quando hai la febbre a 40 o quando hai il mal di stomaco a causa delle schifezze che hai mangiato?

Non sto dicendo che puoi essere felice solo se vai in palestra ogni giorno e mangi zucchine a pranzo e cena.

Ci vuole però un minimo di manutenzione, di ovvio buon senso che può essere dormire il giusto numero di ore, fare un minimo di attività fisica e assicurarsi di non essere sovraccaricati di impegni stressanti.

9. Viaggiano, imparano e sperimentano

Leggere libri di crescita personale o di mindfulness, viaggiare o sperimentare sono sinonimi di scoperta e contatto con il nuovo.

Il nuovo, a sua volta, aiuta le persone a essere felici perché le fa crescere, porta nella loro vita il senso di sorpresa e anticipazione.

D’altro canto, l’infelicità è sinonimo di ripetitività delle giornate, monotonia, prevedibilità.

La nostra memoria è organizzata in modo tale da rendere indistinguibili i ricordi simili tra loro e trattenere le esperienze più particolari ed emozionanti.

Una vita passata a fare le stesse cose negli stessi posti potrebbe compromettere la felicità perché diventerebbe difficile mantenere l’idea di aver vissuto realmente.

Cimentarsi in cose nuove e vedere posti nuovi aiuta a essere felici ci dà nuove energie nonché ricordi preziosi da raccontare.

10. Sanno tarare le loro aspettative

Immagina di sognare un’auto nuova, di volerla talmente tanto da essere completamente sicuro che, una volta seduto al volante, sarai al settimo cielo.

Adesso pensa a come ti sentiresti il giorno in cui la compri, poi un settimana dopo e poi un mese dopo.

Credi che la tua felicità rimarrà invariata nel tempo?

Sinceramente non credo. Come con tutte le cose che compriamo, ci fanno stare bene all’inizio e poi ci dimentichiamo di averle.

La comunità scientifica ha osservato questa dinamica, dimostrando che gli eventi positivi hanno un’impatto limitato sulla nostra felicità, così come quelli negativi sulla nostra infelicità.

In altre parole, le aspettative di ciò che pensiamo ci renderà felici o infelici hanno entrambe vita corta.

Una ricetta per l’infelicità sarebbe avere desideri irrealizzabili e sperare che accadano da soli, aspettarsi troppo dalle persone o avere pretese di perfezione.

Si farebbe molto meglio ad acquisire un po’ di sano scetticismo ed evitare di rendere troppo irrealistici i nostri pronostici.

Le persone felici sono molto equilibrate in questo senso in quanto, come già detto, non fanno dipendere la loro felicità da condizioni o avvenimenti esterni, diminuendo così il rischio di rimanere deluse.

Costruire un solido percorso di felicità

In ultima analisi, le persone felici non sono necessariamente quelle super attive o estroverse, ma piuttosto coloro che hanno imparato a rimanere in equilibrio su un filo.

Questo filo rappresenta la linea di demarcazione tra l’eccessiva tendenza allo scoraggiamento e l’eccessiva tendenza all’eccitazione.

Diffidano dal buono e dal cattivo tempo rimanendo ancorati al punto fermo della consapevolezza delle loro capacità e dei loro obiettivi.

Più che pretendere di avere tutto e subito, creano abitudini utili a elevare la salute della mente e del corpo, puntano a una pace interiore raggiungibile più che a uno stato di improbabile beatitudine perenne.

Persone felici: letture consigliate

1. Dentro la tana del coniglio: cosa ci rende felici

“Dentro la Tana del Coniglio” parla di felicità, di cosa la favorisce e di cosa la limita.

È uno spazio di condivisione dove si parla del percorso di crescita, di cosa vuoi dire diventare grandi, creare la vita che si desidera.

In queste pagine si raccontano esperienze di cambiamento, si sfida il concetto di “normale”, si mettono in discussione tutte quelle convinzioni che impediscono di scoprire il proprio talento, quello che si è veramente.

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2. 25 grammi di felicità

In questo libro Massimo Vacchetta racconta lo straordinario incontro che lo ha aiutato a uscire da un periodo buio e gli ha dato un nuovo scopo: creare un centro di recupero per i ricci, una specie minacciata dalla nostra disattenzione, e aiutare gli esemplari in difficoltà.

Come Trilly l’impenitente dongiovanni, o la fragile Lisa che ha conquistato tutti con il suo sguardo, o Zoe che ha saputo resistere a ogni colpo. Animaletti feriti, maltrattati, indifesi, ma in grado di trasmettere una grande voglia di vivere.

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In tema di amore vero ci sono molte domande a cui non è semplice dare una risposta.

  • Nasce a prima vista o conoscendosi?
  • Può durare anche a distanza o necessita la vicinanza?
  • C’è bisogno che si abbiano gli stessi interessi o può essere amore anche se si è diversi?

Tutti questi dubbi rendono la vita sentimentale, già afflitta dai fraintendimenti e dalle inesauribili distrazioni dei social, ancora più complicata.

Per questo può aiutare fare un po’ di chiarezza su cosa sia l’amore vero e cosa lo differenzi da altri tipi di sentimenti.

Differenza tra amore vero, infatuazione e innamoramento

Per capire esattamente cosa sia l’amore vero, dobbiamo prima distinguerlo dalle sue versioni meno “mature”: l’infatuazione e l’innamoramento.

L’infatuazione è quello che ti capita a 15 anni, cioè la cotta di cui scrivi nel diario personale quando pensi che sarà per sempre e dici a te stessa che non potrai mai vivere senza di lui.

Non importa se tu conosca o meno la persona (o se lei conosca te) e non importa neanche se il tuo sia un sentimento corrisposto.

L’infatuazione è un amore idealizzato che accade principalmente sul piano dell’immaginazione senza bisogno che ci sia un legame reale tra i due.

Di contro, per definirsi innamoramento si devono conoscere più a fondo le qualità del nostro lui o della nostra lei.

In questo caso il rapporto è necessario, deve cioè esserci un minimo di conoscenza tra i due, che sia questa nell’ambito di un vero rapporto di coppia o di amicizia.

Leggi anche: Cos’è l’amore e quando si ama veramente

Cosa succede quando ci si innamora

Le persone si innamorano per diversi motivi.

A volte è il sesso o l’attrazione sessuale che ti fa perdere la testa.

Altre volte è la voglia di avere qualcuno accanto per non sentirsi soli.

In certi momenti accade invece che si crei una complicità perfetta dove lui ti fa ridere, parla di cose in cui ti rivedi e ti fa venire le farfalle allo stomaco.

Allora pensi per un attimo che si tratti di vero amore, magari arrivi anche a sposarti, a volergli molto bene.

Ma poi l’incantesimo si rompe e, dopo mesi o anni, ti rendi conto che non eravate ancora pronti per una relazione vera, che semplicemente non eravate fatti per durare, così vi lasciate.

L’innamoramento è necessario all’amore vero

L’innamoramento non è ancora amore vero, ma può precederlo.

Può essere folle, intenso e passionale, ma in quanto volubile può arrivare a spezzarti il cuore, a lasciare cicatrici che rimangono una vita sulla pelle.

Quando si è innamorati si prova gelosia, senso di possesso, paura dell’abbandono.

Si arriva a litigare, a maledire il giorno che ci si è incontrati.

A differenza dell’amore vero l’innamoramento non ha equilibrio né saggezza.

È come se fosse un sentimento un po’ acerbo ma che serve a preparare il campo all’arrivo di un amore più stabile e maturo.

Lettura consigliata: Il vecchio che leggeva romanzi d’amore di Luis Sepulveda

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Leggi anche: Mentalità aperta: quali sono i vantaggi e come svilupparla

Cosa succede quando accade l’amore vero

Quando accade l’amore vero è un po’ come se ci si stancasse di giocare.

Basta con le montagne russe, con gli alti e i bassi, con il perdere tempo in litigi inutili e ripetitivi, con le frustrazioni non espresse, con le aspettative irrealistiche.

L’amore vero condivide ugualmente gioie e dolori, rimane inalterato (se non rafforzato) dalle difficoltà e non ha paura dei silenzi.

Esso alimenta una relazione sana, dove si parla, si progetta, si vive la quotidianità e ci si ama per quello che si è veramente.

Per fare un paragone, se l’innamoramento è come una pianta che può crescere fino a un certo punto e poi si ferma perché non sono presenti le condizioni giuste, la pianta dell’amore vero nasce da una terra ricca di nutrienti e può continuare a evolversi all’infinito.

Leggi anche: 75 domande da fare a una ragazza (o ragazzo) che hai appena incontrato

10 segnali per riconoscere l’amore vero

Quando si ama veramente si desidera la crescita e il benessere della persona amata anche se questa crescita e questo benessere la possono portare lontano da noi.

La qualità che, più di tutte, contraddistingue l’amore vero è dunque la mancanza del senso di possesso.

Da questa base si sviluppano i 10 pilastri portanti di una relazione destinata a durare.

1. Rispetto reciproco

Si prova rispetto quando si onorano le scelte del partner e si evita di giudicarlo; quando si supportano le sue passioni e i progetti e si evita di proiettare le proprie ansie e insicurezze su di essi.

Il rispetto reciproco ha a che fare con il riconoscimento dell’individualità che esiste al di là della coppia, con quelle libertà che non possono e non devono essere compromesse solo perché si sta insieme.

2. Fiducia

Per fiducia non si intende soltanto la fiducia nel partner, ma anche la fiducia in se stessi.

Senza questa fiducia si è destinati a vivere nella paura di essere abbandonati, finendo inevitabilmente per tentare di tenere tutto sotto controllo e per sabotare le chance di vivere felici.

3. Onestà

L’onestà è una qualità che include il coraggio di dire la verità nei momenti in cui è importante dirla, anche se nel farlo si ammette una colpa o si fa soffrire l’altro.

Attenzione però, ciò non significa dire tutto quello che passa per la testa, in quanto a volte è meglio una bugia bianca a una verità gratuita che crea sofferenze evitabili.

In una coppia si deve essere onesti, prima di tutto con sé stessi, facendo chiarezza interna sulle proprie intenzioni e rendendole esplicite all’altro.

Solo così si può evitare di dover nascondere e mentire.

4. Supporto

Supportare l’altro non vuol dire affatto dirgli cosa fare o provare a risolvere i suoi problemi.

Il vero supporto accade soprattutto quando vedi delle scelte che non condividi e non tenti di bloccarle a tutti i costi, quando gli consenti di sbagliare e imparare dai propri errori, quando metti i suoi desideri davanti ai tuoi.

5. Equità/uguaglianza

C’è differenza tra equità e uguaglianza.

L’uguaglianza è dare a due persone le stesse cose, a prescindere dalla loro situazione di partenza.

L’equità è considerare le differenze e appianarle.

In una relazione ciò si traduce nel tenere in considerazione i diversi bisogni di ognuno prima di pretendere reciprocità.

Per esempio, uguaglianza sarebbe pretendere di parlare dei propri problemi per lo stesso ammontare di tempo in cui si è parlato dei problemi dell’altro.

L’equità è invece una componente dell’amore vero perché include la capacità di comprendere quando l’altro ha più bisogno di attenzioni.

In un rapporto equo capita dunque che per mantenere l’equilibrio si debba dare di più e ricevere di meno, e viceversa.

6. Identità separate

Secondo la visione di Erich Fromm in L’arte di amare, non si può definire amore vero quando le identità di due persone si estinguono in una coppia.

In questo libro meraviglioso si afferma che la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare.

Se non si è capaci di stare soli la coppia sarà soltanto un mezzo egoistico per placare la propria ansia da solitudine o per evitare di sentirsi inferiori agli altri.

7. Sintonia sessuale

Il sesso non è una causa dell’amore vero ma una conseguenza naturale.

Esso si evolve con la relazione e riesce a essere variegato, sia tenero che passionale, sia frettoloso che lento.

Fare l’amore con chi ami veramente è una gioia che si rinnova nel tempo, come se fosse sempre la prima volta.

Come dice Eric Berne nel suo libro Fare l’amore, il sesso dovrebbe essere una festa per tutti i sensi: vista, udito, odorato, gusto, temperatura e tatto.

Il senso di appagamento che ne deriva va molto al di là del semplice orgasmo.

È il raggiungimento di un desiderio di unione sia carnale che spirituale, una forma di comunicazione non verbale che utilizza tutto il corpo.

8. Buona comunicazione

Ci vuole tempo per imparare a comunicare veramente.

Non solo perché bisogna arrivare a comprendere lo stile comunicativo del partner e a intuire il suo linguaggio verbale e non verbale.

Ma anche perché ci vuole tempo per acquisire l’abilità di esprimere chiaramente le proprie emozioni, per maturare l’intelligenza emotiva e la consapevolezza di sé.

Nell’amore vero i due partner hanno la pazienza di superare le difficoltà che nascono dai fraintendimenti e di imparare a poco a poco a usare le parole giuste nei momenti giusti.

9. Senso di giocosità

La serietà nelle relazioni che durano appartiene solo alle intenzioni e all’impegno reciproco.

Per tutto il resto a mantenere viva la relazione c’è il sento di giocosità e di affetto.

Ridere e scherzare insieme aiuta a costruire il legame e prepara per i periodi di avversità; alimenta un senso di spontaneità e rende più predisposti a lasciarsi andare, incrementando così il benessere mentale individuale e della coppia.

10. Empatia

L’empatia è forse l’emozione più sana e costruttiva in assoluto.

È la quintessenza della bontà umana, l’abilità di mettersi nei panni dell’altro per comprendere il suo punto di vista.

Se provi empatia, proteggi il tuo amore dall’influenza di sentimenti distruttivi come il rancore e il risentimento, e proteggi l’altro dai danni che potrebbero causare le tue parole e le tue azioni nei momenti di rabbia.

Moltissimi psicologi esperti di terapia di coppia affermano che l’empatia è il collante che mantiene vivo un rapporto e che senza di esso la relazione ha pochissime possibilità di sopravvivere.

Nel libro Perfect Love, Imperfect Relationships, John Welwood pone l’empatia alla base dell’amore vero in quanto elemento che consente di creare un reale contatto, diventare un tutt’uno con se stessi, con gli altri e con la vita stessa.

4 commenti su “L’amore vero esiste: i 10 pilastri di una relazione destinata a durare”

  1. accorgersi che lei si è sentita attratta dalla notorietà del corteggiatore, indipendentemente se hanno o no avuto rapporti sessuali, avvelena l’anima. Si continua ad amare , ma diventa un amore triste, che porta sofferenza. E’ come per certi insetti che vengono catturati per fornire carne fresca ai discendenti. Si vive esternamente, dentro si muore.

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Ai tempi di mio nonno per trovare l’amore bastava uno sguardo.

Non esistevano strategie, non c”erano messaggi whatsapp, like su Facebook e storie su Instagram.

Mio nonno, è questa è una storia vera, ha conquistato mia nonna semplicemente guardandola, lui per strada, lei alla finestra.

Se poi quello che è successo dopo, i 4 figli, gli 8 nipoti e i 72 anni insieme, sia o meno definibile come amore vero, questo non posso dirlo.

Ma di certo si potrebbe pensare che sia meglio di quello che accade a molti al giorno d’oggi, quando l’unica cosa che si guarda con attenzione non sono gli occhi di chi amiamo ma lo schermo del cellulare.

Gli ostacoli che impediscono di trovare l’amore

Secondo dati Istat il 33% della popolazione italiana è single, un dato che è in costante aumento nel corso degli anni.

Le motivazioni per cui così tante persone hanno difficoltà a trovare l’amore, o a mantenere una relazione sana, possono essere molteplici.

  • Per alcuni il trascorso familiare e i traumi emotivi possono rendere difficile la ricerca della persona giusta.
  • Altri non avranno mai avuto un modello di rapporto solido di coppia.
  • C’è chi ha paura di essere ferito e preferisce passare da un appuntamento all’altro.
  • Chi è semplicemente nel posto sbagliato o è sempre attratto dalle persone sbagliate.
  • Poi ci sono gli insicuri, i timidi, coloro che non si ritengono abbastanza attraenti o che non hanno fiducia nelle proprie capacità di relazionarsi.
  • Dall’altro lato ci sono i narcisisti, gli egoisti e quelli che sono troppo coinvolti in sé stessi per potersi dedicare alla ricerca dell’amore.
  • Infine, per chi è già in una relazione, c’è il problema super comune di dover superare le liti di coppia e i problemi che sorgono strada facendo.

Come trovare l’amore: una dura verità da considerare

Per tutti coloro che sono alla ricerca dell’anima gemella c’è una dura verità da considerare: trovare l’amore diventa molto più difficile quando si è disperati.

In altre parole, se tutto quello che vuoi è avere qualcuno accanto perché odi la solitudine, perché ti annoi o hai bisogno di costruire autostima, non farai altro che diminuire le tue chance di trovarla.

Il motivo è che le persone non si mettono insieme ad altre persone per farle stare meglio, ma lo fanno per stare meglio loro stesse, per essere viste e amate per chi sono veramente.

Se dunque dimostri di non avere un sincero interesse rischi di dare l’idea di avere un secondo fine, cosa che di solito aliena e allontana gli altri.

Primo step per trovare l’amore: trovare la propria felicità interiore

Così come le persone subdole, egoiste, appiccicose o troppo bisognose allontanano, quelle che sono a proprio agio nei propri panni attirano.

Il primo step per trovare l’amore è allora costruire la propria serenità accettando pienamente la vita da single, i cui vantaggi includono:

  • la libertà di perseguire i propri hobby e interessi,
  • la possibilità di apprezzare tranquilli momenti di solitudine,
  • la possibilità di esplorare nuove amicizie,
  • la libertà di poter cambiare vita, città o lavoro, senza dover pensare alle conseguenze per gli altri.

Quando stai bene con te stesso e ti godi la tua vita emani una energia diversa rispetto a quando sei triste perché ti senti solo.

Trovare la tua felicità interiore, autonoma da circostanze o persone, è il primo step per iniziare ad attirare nuove opportunità amorose.

Secondo step: distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è

È praticamente impossibile essere attratti da chiunque o poter avere un rapporto di coppia con chiunque.

Per questo per trovare l’amore è essenziale saper individuare ciò di cui abbiamo veramente bisogno e distinguerlo da desideri passeggeri.

Sarà anche facile dire di desiderare una persona intelligente, bella, attraente, con la giusta occupazione e i giusti tratti caratteriali.

Ma nel lungo termine non saranno questi gli aspetti che terranno in vita la tua relazione amorosa.

A volte si trova l’amore in posti inaspettati e le qualità che sembrano necessarie in apparenza diventano futili nella vita reale.

Per fare degli esempi concreti, nella vita reale:

  • la curiosità è meglio dell’intelligenza;
  • una persona sensuale mantiene viva la passione più di una sexy;
  • un po’ di mistero serve più di vestiti alla moda,
  • l’essere divertente serve più dell’essere ricco e noioso;
  • una persona premurosa e attenta vale più di una bella e superficiale;
  • l’avere valori simili aiuta di più di avere valori completamente diversi.

Bisogni vs Desideri

I bisogni sono diversi dai desideri in quanto questi ultimi possono essere stimolati dall’esterno, come quando qualcuno o qualcosa attira la nostra attenzione, mentre i primi nascono da dentro.

Per intenderci, tra i normali bisogni umani c’è il bisogno di essere ascoltati, compresi o abbracciati, di condividere le proprie esperienze e le proprie emozioni, di costruire un intimità fisica e mentale.

Alcune delle persone che incontreremo strada facendo sapranno accontentare desideri temporanei e superficiali, ma alla lunga solo una di loro riuscirà a soddisfare i nostri veri bisogni.

Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona

6 strategie comprovate per aumentare le chance di trovare l’amore

Le persone felici, consapevoli di se stesse e dei propri bisogni/valori, sono avvantaggiate nella ricerca del partner ideale, ma non per questo il risultato per loro sarà garantito.

La brutta notizia è infatti che uno studio dell’Università di Bath, nel Regno Unito, ha calcolato che le chance di trovare l’amore al giorno d’oggi sono 1 su 562.

Quella buona è che queste probabilità si possono aumentare attraverso 8 semplici strategie:

1. Incontrare persone sui siti di incontri online (il cosiddetto online dating – aumenta le chance del 17%);

2. Uscire con colleghi e amici di colleghi (aumenta le chance del 16%);

3. Parlare con persone in palestra (aumenta le chance del 15%);

4. Incontrare persone attraverso hobby in comune o gruppi/associazioni di appartenenza (aumenta le chance dell’11%);

5. Parlare con persone nei bar o in discoteche (aumenta le chance del 9%);

6. Incontrare amici di amici (aumenta le chance del 4%);

I fattori che influenzano la ricerca dell’amore

Come si intuisce dalla lista, trovare l’amore è per lo più una questione di incontrare più persone possibile, che siano queste online o offline, ma c’è dell’altro.

A influenzare la ricerca di un partner sono anche le circostanze in cui ci troviamo, l’età, l’aspetto fisico, le aspettative, gli interessi, la personalità.

È per questo motivo che prima ancora di parlare delle strategie abbiamo parlato dell’attitudine e della consapevolezza dei bisogni personali.

Alcuni dei fattori menzionati sono completamente o parzialmente fuori dal nostro controllo, come l’età o l’aspetto fisico, ma altri invece possono cambiare.

Tra questi ultimi c’è per l’appunto il nostro livello di benessere personale, quello che ci aspettiamo da un partner, il luogo in cui viviamo o il nostro modo di pensare.

Come ho trovato l’amore

Per trovare l’amore serve mettersi in gioco.

Per esperienza personale posso affermare che a volte è molto più facile scegliere di rimanere a casa al posto di uscire, guardare un film ed evitare ogni tipo di rischio o tensione sociale.

Ma molto spesso le cose belle nella vita non ci cadono dal cielo mentre oziamo nella nostra zona di confort, ma accadono quando facciamo ciò che ci fa paura o che non ci sentiamo di fare.

Il 17 aprile del 2017, per esempio, dovetti fare una scelta: o la comodità del mio divano (zona di confort) o una gita fuori porta con dei nuovi amici con cui avevo legato da poco (tensione sociale).

Ricordo che avevo già scritto il messaggio in cui dicevo che stavo poco bene, ma una vocina dentro la mia testa mi impedì di premere “invio” perché pensai che nulla di buono sarebbe mai nato dallo stare a casa.

Così decisi di andare, e a causa di una fortunata coincidenza mi ritrovai a condividere il viaggio in macchina con Giuliana, la ragazza che, come divenne chiaro a fine giornata, avrebbe cambiato la mia vita per sempre.

trovare l'amore

Altre attività che aiutano a trovare l’amore

Se la mia storia ti ha ispirato a uscire di più mi fa piacere e mi preme anche ricordarti che hai a disposizione una miriade di opportunità per incontrare gente.

Per esempio potresti:

  • fare volontariato per un’associazione non profit;
  • seguire un corso di formazione;
  • iscriverti a lezioni di danza, cucina, teatro o fotografia;
  • unirti a un gruppo/associazione che fa attività all’aperto come escursioni, yoga, meditazione, ciclismo, ecc.;
  • unirti a un club di lettura;
  • partecipare a eventi di beneficienza, gallerie d’arte, seminari;
  • partecipare a eventi di speed dating.

Tutte queste attività, e molte altre ancora, ti forzano a stare in mezzo alle persone, a superare la timidezza e interagire, facendo domande e raccontando di te.

Inoltre saranno tanto più proficue quanto affini ai tuoi interessi e passioni.

6 consigli per gestire le difficoltà nella ricerca della persona giusta

Voglio concludere con dei consigli utili per affrontare meglio i vari incidenti di percorso tanto comuni al “gioco” degli appuntamenti.

1. Gestisci il rifiuto con grazia

Prima o poi capita a tutti di affrontare un rifiuto o di dover rifiutare qualcuno.

Rimanendo positivi e onesti con se stessi e gli altri, il rifiuto può essere molto meno distruttivo.

La chiave è non prenderla sul personale quando ci capita di essere rifiutati e di essere rispettosi dell’altro quando ci capita di rifiutare.

Visto che non possiamo essere compatibili con tutti, il rifiuto va accettato come una parte inevitabile delle relazioni di coppia.

2. Presta attenzione ai campanelli d’allarme

Anche se nell’incontrare una persona nuova tendiamo a idealizzare e a vedere solo i tratti positivi, è possibile notare sin da subito dei campanelli d’allarme, ovvero quei comportamenti che segnalano una potenziale fine prematura della relazione.

Alcuni di questi possono essere:

  • mancanza di interessi in comune;
  • difficoltà a impostare un dialogo;
  • dipendenze varie, come da alcol o droghe;
  • difficoltà a trovare momenti per vedersi;
  • mancanza di sintonia a letto;
  • assenza di complicità;
  • tendenza a mentire;
  • gelosia eccessiva;
  • eccessivo attaccamento;
  • reazioni emotive sproporzionate o violente;
  • tendenza a sovraccaricare o controllare;
  • mancanza di empatia o ascolto.

3. Costruisci sin da subito fiducia reciproca

La fiducia reciproca è la colonna portante di ogni solido rapporto di coppia.

Ma essa non accade dall’oggi al domani; si sviluppa nel tempo man mano che aumenta la connessione con l’altra persona.

Quando non c’è fiducia la relazione sarà dominata dalla paura di essere traditi, delusi o lasciati, e questo porterà a sua volta ad altri problemi come l’incapacità di lasciarsi andare o di condividere le proprie vulnerabilità. .

4. Impara a gestire le tue emozioni

Come già detto parlando di intelligenza emotiva, le emozioni possono rendere un momento memorabile o rovinarlo completamente.

Bisogna dunque distinguere tra emozioni costruttive e distruttive, positive e negative.

Le ultime sono come la rabbia, il rancore o l’invidia, emozioni che ti fanno dire cose non pensi veramente possibilmente portandoti a ferire una persona a cui vuoi bene.

Nei casi in cui sei agitato dunque prova a controllarti, valuta bene da dove vengano le tue emozioni e se valga la pena dare loro libero sfogo.

5. Comunica in modo chiaro

Soprattutto nella prima fase di un rapporto non è facile capire cosa si vuole l’uno dall’altro.

Sii sincero e onesto nel comunicare i tuoi bisogni e nel dire esattamente cosa ti aspetti dalla relazione.

Se vuoi una relazione seria e hai bisogno di avere un contatto giornaliero dillo chiaramente.

Se sei in una fase della vita in cui vuoi prendere le cose con calma comunicalo, senza mezzi termini.

Non aver paura di litigare.

Non ti vergognare di quello che sei e di quello che vuoi, e considera sempre che è molto meglio far male a qualcuno dicendo la verità che farlo sentire meglio mentendo.

6. Sii aperto al cambiamento

Tutte le relazioni cambiano nel tempo, alcune in meglio altre in peggio.

Quello che vuoi da un partner all’inizio potrebbe essere molto diverso da quello che vuoi dopo qualche mese o anno.

E questo non deve per forza spaventarti, il contrario.

Perché trovare l’amore non è solo innamorarsi a prima vista di chi non conosciamo, ma anche innamorarsi di nuovo di chi è già al nostro fianco.

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Amare non significa possedere in maniera esclusiva, limitare la libertà del partner o escludersi dalla vita del mondo; al contrario l’amore può aprirsi all’intero universo, spalancando inattese prospettive.

Un trattato sull’amore che insegna a sviluppare la propria personalità e raggiungere la pienezza affettiva.

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I test della personalità sono un ottimo modo per interrogarsi sui propri comportamenti e le proprie tendenze, soprattutto quando si risponde in modo sincero.

Spesso quello che facciamo è automatico e non ci rendiamo conto di avere un determinato carattere perché, semplicemente, siamo abituati a essere chi siamo e non conosciamo nessun altro modo di essere.

Quando però scopriamo, grazie a un test della personalità o altri mezzi, di non essere la persona perfetta che credevamo, abbiamo la possibilità di cambiare noi stessi e il nostro modo di pensare.

Test della personalità di Eysenck

Il test della personalità che state per fare (link a fine articolo) si basa sulla teoria della personalità dello psicologo tedesco Hans Eysenck.

La sua idea è che la personalità umana dipende in buona parte da fattori biologici, e che gli individui ereditano un tipo di sistema nervoso che influenza la loro capacità di apprendere e adattarsi all’ambiente.

Grazie alla sua esperienza lavorativa in un ospedale psichiatrico di Londra, Eysenck fu in grado di compilare una serie di domande sul comportamento che in seguito vennero somministrate a 700 soldati con disturbi nevrotici.

La scoperta dello psicologo fu che le risposte dei soldati sembravano collegarsi naturalmente tra loro, suggerendo che c’erano caratteristiche della personalità riscontrabili in individui diversi.

Leggi anche: Enneagramma test della personalità online: scopri il tuo enneatipo

Gli aspetti caratteriali valutati dal test della personalità

In particolare, il comportamento dei soggetti in quesitone poteva essere rappresentato da due dimensioni:

  • Introversione / Estroversione (E);
  • Neuroticismo / Stabilità (N).

In base alla teoria di riferimento, ognuno di questi aspetti della personalità può essere ricondotto a una diversa causa biologica.

Estroversione

Gli estroversi sono di norma persone socievoli che bramano l’eccitazione e il cambiamento, e che quindi possono annoiarsi facilmente.

Tendono a essere spensierati, positivi e impulsivi, come nel caso dell’enneatipo 7, e hanno maggiori probabilità di correre rischi.

Secondo Eysenck ciò è dovuto al fatto che ereditano un sistema nervoso sotto-stimolato e quindi cercano stimoli esterni per ripristinare un livello ottimale.

Introversione

Le persone introverse invece si trovano all’altra estremità di questa scala, essendo principalmente riservate e silenziose.

Il loro sistema nervoso è già abbastanza stimolato dai loro pensieri e per questo evitano eccessivi input e sensazioni esterne.

Gli introversi vivono principalmente nella loro mente, come nel caso dell’enneatipo 5, pianificano le loro azioni e tengono sotto controllo le loro emozioni.

Sono di norma seri, affidabili e pessimisti, maggiormente tendenti ai momenti di tristezza.

Neuroticismo

Il livello di neuroticismo di una persona è determinato dalla reattività del suo sistema nervoso simpatico, ovvero la parte del nostro cervello adibita alle reazioni di attacco o fuga dinnanzi un pericolo.

Nelle persone stabili il sistema nervoso è meno reattivo, permettendo loro di mantenere la calma e l’uso della ragione in situazioni di agitazione.

Chi ha un alto livello di neuroticismo, invece, sarà molto più instabile e incline a reagire in modo eccessivo agli stimoli, per esempio preoccupandosi facilmente o manifestando una sproporzionata rabbia/paura.

Psicoticismo

Eysenck in seguito aggiunse una terza caratteristica / dimensione – lo psicotismo.

Coloro che presentano questo tratto sono in genere privi di empatia, tendenzialmente crudeli, solitari, aggressivi e problematici.

Il fattore biologico alla base di tali comportamenti potrebbe essere correlato ad alti livelli di testosterone: più alto è il testosterone, maggiore è il livello di psicotismo, con minori possibilità di riscontrare un comportamento equilibrato e normale.

Leggi anche: Intelligenza emotiva, una guida per capire cos’è e come allenarla

Come viene misurato il test della personalità di Eysenck

Secondo Eysenck, le due dimensioni del neuroticismo (stabile vs. instabile) e la scala dell’introversione-estroversione si combinano per formare una varietà di caratteristiche della personalità.

Il suo Eysenck Personality Inventory (EPI) ha proprio lo scopo di misurare dove va a cadere la personalità del soggetto all’interno delle due scale.

test della personalità

Il test contiene 57 articoli con risposta secca “Sì-No” senza ripetizione degli articoli.

L’inclusione di una scala di falsificazione prevede il rilevamento della distorsione della risposta.

I punteggi del test della personalità

Quando rispondi alle domande del test di Eysenck ottieni tre tipologie punteggi.

Il “punteggio della veridicità” misura quanto socialmente desiderabile stai cercando di essere nelle tue risposte.

In altre parole, il test della personalità è tarato per riconoscere quando un individuo prova a dare la risposta giusta piuttosto che quella onesta.

Il “punteggio E” misura quanto sei estroverso.

Il “punteggio N” misura quanto sei nevrotico.

I punteggi E ed N saranno tracciati su un grafico dal quale potrai leggere le caratteristiche della tua personalità.

Più vicino sarai all’esterno del cerchio, più marcati sono i tratti della tua personalità.

Istruzioni per affrontare al meglio il test della personalità di Eysenck

Tieni presente che l’EPI è un tipo molto basilare di misurazione della personalità, quindi per aumentarne la veridicità è necessario rispondere alle domande nel modo più diretto e onesto possibile.

  • Le domande si riferiscono al modo in cui ti comporti, senti e agisci, quindi rispondi a ogni domanda con un semplice Sì o No.
  • Anche se la tua prima reazione non permetterebbe una risposta netta prova a decidere se il tuo modo abituale di essere rispecchi maggiormente una delle due opzioni.
  • Lavora rapidamente e non dedicare troppo tempo a ragionare sulle risposte, è la prima reazione che conta.
  • Assicurati di non omettere alcuna domanda e ricorda, non ci sono risposte giuste o sbagliate e questo non è un test di intelligenza o abilità, ma semplicemente una valutazione autonoma del modo in cui ti comporti.

L’intero questionario non dovrebbe richiedere più di qualche minuto.

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Per comprendere meglio il mondo della mente il dottor Ambridge ha scritto un libro scientifico, ma pieno di humour, in cui descrive gli 80 test psicologici più importanti e famosi, mostrandone i punti di forza e debolezza e le applicazioni concrete.

In questo viaggio impareremo a misurare il nostro quoziente di intelligenza psicologica e resteremo sorpresi, compiaciuti, frustrati, sconcertati e… molto divertiti!

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Che cosa è esattamente e come si forma l’intelligenza?

Fino a che punto la si eredita, e quanto invece dipende dall’ambiente?

È possibile elaborare un metodo scientifico per misurarla?

I due opposti punti di vista sull’intelligenza vengono sostenuti in un confronto affascinante da due massimi paladini dell’uno e dell’altro campo.

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In mezzo alle miriadi di cose da chiedere per dare un taglio interessante alla conversazione le domande esistenziali sono quelle che spiccano maggiormente.

Sono queste domande che fanno riflettere, che non hanno tanto a che fare con aspetti pratici della vita quotidiana ma con una prospettiva più ampia sulla vita e l’esistenza in generale.

Rispondere a una domanda esistenziale richiede allora la capacità di formulare un pensiero astratto, di ragionare su grandi idee e valori.

In quali circostanze si possono fare le domande esistenziali

In alcune occasioni le domande filosofiche possono essere un vero e proprio “mood killer”, cioè rovinare il morale, mentre in altre sono il pretesto perfetto per avviare un dibattito avvincente.

Tali occasioni dipendono, ovviamente, dalle persone con cui ti trovi.

Alcuni di noi sono tendenti al cinico e preferiscono parlare di fatti concreti, altri amano fare gossip e incentrare le conversazioni sui trend del momento.

Le domande esistenziali sfondano una porta aperta con i tipi riflessivi, intellettuali, forse un po’ sensibili, ma di sicuro curiosi.

Rassicurati che ci sia il tempo di approfondire il discorso di prima di fare una delle domande che stai per leggere dunque, e che la persona che hai di fronte sia aperta mentalmente.

Leggi anche: Intelligenza emotiva, una guida per capire cos’è e come allenarla

Argomenti comuni alle domande esistenziali

La parola “esistenziale” ha a che fare con tutto ciò che ruota attorno all’esistenza, quindi di argomenti che possono essere ritenuti tali ce ne sono tanti.

Domande esistenziali per eccellenza sono quelle sulla vita e la morte ma non dobbiamo essere per forza così deprimenti.

Personalmente, mia piace fare domande sul senso della vita di ognuno e sulle motivazioni che spingono le persone a fare quello che fanno.

Altre domande potrebbero essere incentrate sulla natura di un determinato aspetto della vita come le relazioni interpersonali, l’amore, il senso di colpa o la sofferenza.

Argomenti del genere sono semplicemente meravigliosi perché ci permettono di capire come gli altri elaborano la realtà, aiutandoci ad arricchire la nostra prospettiva.

50 domande esistenziali

Ecco dunque la nostra lista di domande esistenziali divise per categoria.

Ci sono quelle incentrate sulle relazioni e più filosofiche. Le domande sulla vita e la morte per rendere seria la discussione e alcune un po’ divertenti per alleggerirla.

Domande per iniziare una conversazione

1. Quali grandi cambiamenti potranno sconvolgere il futuro dell’uomo sulla terra?

Dopo la pandemia del Covid è divenuto chiaro che la vita su questo pianeta è molto più incerta di quanto pensassimo.

C’è il rischio ambientale, quello delle guerre e delle continue crisi economiche, ognuno dei quali ha la possibilità di stravolgere il modo in cui viviamo.

2. Le persone hanno il diritto di essere felici o dovrebbero guadagnarselo?

In altre parole, dobbiamo necessariamente fare sacrifici per costruire la vita che vogliamo, o è possibile che la nostra felicità venga maggiormente garantita e protetta dallo stato come diritto costituzionale?

3. Se potessi modificare geneticamente gli esseri umani per renderli persone migliori cosa cambieresti?

Una domanda su cui si sono interrogati diversi filosofi, e che rimanda all’antico dibattito sulla natura umana, sulla bontà e la cattiveria dell’uomo.

4. Il fine giustifica davvero i mezzi o ci sono delle eccezioni?

Importa come arrivi da qualche parte purché ci arrivi? O il viaggio è più importante della destinazione? Cosa sacrifichi lungo la strada?

5. Credi nel destino o nel libero arbitrio?

Cioè, c’è una sorta di piano divino dietro le nostre vite o tutto dipende dalle nostre e scelte strada facendo?

6. Siamo soli nell’universo?

Credi negli alieni o nella presenza di altre forme di vita in altri pianeti?

domande esistenziali

Domande esistenziali sulle relazioni

6. Quali sono gli elementi fondanti di una relazione sana e duratura tra due persone?

7. Esiste il vero amore? Come si potrebbe definire?

8. Nei rapporti con il prossimo è meglio essere egoisti o altruisti?

Ci sono persone che pensano esclusivamente a sé stesse mentre altre sono proiettate verso gli altri. È possibile un equilibrio tra i due estremi?

domande esistenziali

9. Esiste una definizione di tradimento che va oltre quello sessuale?

10. Quali azioni per te significherebbero la fine definitiva di una relazione?

11. Esiste l’anima gemella?

12. È vero che l’amore supera ogni distanza?

13. Ci sono dei casi in cui le bugie sono ammesse o bisogna dire sempre la verità?

14. Cos’è la fiducia reciproca?

Domande filosofiche

15. Credi in un potere superiore all’umanità come l’Universo o la legge dell’attrazione?

16. Pensi che l’etica umana sia appresa o naturale?

Abbiamo un innato senso di giusto e sbagliato o impariamo tutto da genitori, colleghi e società?

17. Come si misura il valore di una vita?

Quando una vita si può ritenere degna di essere vissuta? Alcune creature hanno più diritto alla vita di altre?

18. Come facciamo a sapere se stiamo facendo la cosa giusta?

domande esistenziali

19. Esiste un Dio e, in tal caso, qual è la sua natura?

Se qualcuno ci ha creati, perché? Dio vuole che siamo felici? Si preoccupa anche di noi?

20. Perché pensi che siamo qui?

Qual’è il ruolo degli esseri umani sulla terra?

21. È ciò che percepiamo la realtà o solo un costrutto delle nostre menti?

22. Che cos’è una persona, la mente o il corpo?

I nostri corpi pullulano di molecole e sostanze chimiche che ci influenzano in vari modi, ma si può dire che dettano loro i nostri pensieri e le nostre azioni? O abbiamo noi il controllo totale?

23. Se un albero cade nel mezzo della foresta e nessuno è in giro per ascoltarlo, emette un suono?

24. Qual è la differenza tra vivere ed esistere?

25. Perché le persone si feriscono a vicenda?

Domande esistenziali sulla vita e la morte

27. Qual è il primo consiglio che daresti a un figlio sulla vita?

domande esistenziali

28. Dove pensi che andremo quando moriremo?

Paradiso o inferno? Smettiamo semplicemente di esistere? Siamo sfere di energia che hanno una capacità illimitata di muoversi nel tempo e nello spazio?

29. Da dove pensi che veniamo?

La razza umana si è evoluta? Dio ci ha creati a sua immagine? È successo qualcos’altro?

30. Esiste un modo giusto di affrontare la morte dei nostri cari?

31. Il suicidio è giustificabile? 

32. Cos’è che dà significato e senso alla vita?

Troviamo tutti un significato in luoghi diversi. La risposta a questa domanda esistenziale può darti una buona idea di come gli altri vivono la loro vita.

33. L’umanità è diretta nella direzione giusta o sbagliata?

34. Il significato della vita è lo stesso per gli animali e gli esseri umani?

35. ​​Quand’è che si cresce e si diventa pienamente adulti?

La legge dice che si diventa maggiorenni a 18 anni, ma l’esperienza dice che a quell’età alcuni di noi sono ancora molto immaturi. Quali sono le esperienze e attitudini che ci rendono grandi?

36. Cosa significa vivere una buona vita?

Felicità personale? Relazioni significative? Lasciare il mondo in un aspetto migliore rispetto a quando sei arrivato?

37. Si può vivere con poco ed essere felici?

Domande esistenziali stupide

38. Chi chiude la porta dell’autobus dopo che l’autista è sceso?

39. Di che colore sono gli specchi?

40. Esiste un sinonimo della parola “sinonimo”?

41. Qual era il nome di Capitan Uncino prima che avesse l’uncino?

42. Se un vampiro mordesse uno zombie sarebbe lo zombie a trasformarsi in vampiro o il vampiro a trasformarsi in zombie?

43. Se dovessero colpirti con un dizionario verrebbe considerata violenza fisica o verbale?

44. Se la vendetta è un piatto che va servito freddo ed è dolce, vuol dire che è un gelato?

45. Se il genio della lampada dice che puoi solo esprimere tre desideri e non più, puoi usare uno di questi per desiderare un altro genio?

46. Se noi diciamo “o mio Dio”, allora Dio dice “o Me Stesso?

47. E se fosse l’ossigeno che rende la nostra voce più profonda mentre l’elio la riporta alla normalità?

48. Perché è impossibile starnutire con gli occhi aperti?

49. Perché sogniamo?

50. Se gli uomini discendono dalle scimmie, perché ci sono ancora le scimmie?

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L’intelligenza emotiva è ormai un’abilità internazionalmente riconosciuta nel mondo della psicologia e dell’organizzazione aziendale.

Il termine è stato utilizzato per la prima volta negli anni 80, quando lo psicologo Howard Gardner introdusse i concetti di:

  • intelligenza inter-personale (la capacità di comprendere le intenzioni ed emozioni altrui);
  • e intelligenza intra-personale (la capacità di comprendere le proprie emozioni e motivazioni).

È stato però il giornalista scientifico Daniel Goleman a rendere l’intelligenza emotiva famosa a seguito della pubblicazione del suo libro “Intelligenza Emotiva: che cos’è e perché può renderci felici”.

Nel testo Goleman spiega perché il quoziente intellettivo non basta a garantire la performance nel lavoro e il benessere nella vita, in quanto a governare le nostre scelte è spesso una miscela di autocontrollo, perseveranza, empatia e attenzione agli altri.

Intelligenza emotiva: che cos’è e perché può renderci felici

Ci sono diverse teorie di riferimento che spiegano cos’è l’intelligenza emotiva e in misure diverse tutte la descrivono come una serie di competenze che gli individui usano per gestire le loro emozioni e le loro relazioni interpersonali.

In parole semplici, l’intelligenza emotiva è ​​l’abilità di riconoscere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri, nonché l’abilità di usare questa consapevolezza per meglio gestire il proprio comportamento.

Il motivo per cui ciò ci può rendere felici è semplice.

Le emozioni spesso prendono il meglio di noi, ci portano a sabotare le chance di riuscita e a dire o fare cose di cui spesso ci pentiamo.

Grazie all’intelligenza emotiva possiamo evitare che ciò accada e fare scelte che siano guidate dal buon senso e dalla consapevolezza di chi siamo veramente più che dall’impulsività o dalla paura.

Quando facciamo cose che amiamo e che ci rispecchiano la prima conseguenza è il benessere e la serenità mentale.

Leggi anche: Enneagramma test della personalità online: scopri il tuo enneatipo

L’intelligenza emotiva e il rapporto tra emotività e ragione

Tutto quello che vediamo, odoriamo, sentiamo, tocchiamo o assaggiamo viaggia attraverso il nostro corpo attraverso una serie di segnali elettrici. 

Questi segnali passano da cellula a cellula fino a quando non raggiungono il nostro cervello, dove entrano alla base, nel midollo spinale, passano per il sistema limbico, dove vengono prodotte le emozioni, e arrivano finalmente al lobo frontale, la sede del pensiero logico e razionale. 

Ne consegue che…

…prima ancora di poter valutare la realtà razionalmente la “sentiamo” emotivamente, reagendo agli stimoli esterni con il centro emotivo e poi con quello logico.

Questo è il motivo per cui a volte è difficile controllarsi e nei momenti di rabbia si tendono a dire cose che non si pensano sul serio.

La ragione viene “bloccata” dalle emozioni e non ha la possibilità di valutare le informazioni per scegliere la reazione appropriata.

L’intelligenza emotiva non fa altro che accorciare questo divario e favorire la comunicazione tra il centro emotivo e il centro razionale del cervello.

intelligenza emotiva

Leggi anche: 6 caratteristiche delle persone che hanno resilienza psicologica

Intelligenza emotiva e le 5 emozioni principali 

Come abbiamo già detto, l’intelligenza emotiva parte dalla capacità di riconoscere le emozioni, che vuol dire anche saper dare un nome a quello che proviamo.

Seppur ci sia una moltitudine di parole con cui esprimerle, tutte le emozioni derivano da 5 stati emotivi fondamentali:

  1. Felicità
  2. Tristezza
  3. Rabbia
  4. Paura
  5. Vergogna 

Tutto ciò che viviamo nella nostra vita quotidiana, che sia nel lavoro, con gli amici, in famiglia o in amore, ci induce a provare un diverso livello di intensità di una di queste emozioni.

Intelligenza emotiva e assertività

La capacità di comunicare chiaramente le proprie emozioni senza offendere viene chiamata assertività ed è una componente fondamentale dell’intelligenza emotiva.

Senza assertività si rischia di proiettare le proprie emozioni sugli altri e persino di arrivare a perdere il controllo delle proprie parole e azioni.

Per fare un esempio, una persona insicura in amore ha paura di essere abbandonata, ma scambia l’ansia per insoddisfazione e se la prende con il partner senza apparente motivo (diventando geloso e facilmente infastidito).

Da qui nasce una serie di liti che inquinano la serenità della coppia e inaspriscono il rapporto.

Basta davvero poco a farsi dirottare dalle emozioni, per questo bisogna chiamarle per nome, avere il coraggio di scoprire e dire apertamente ciò che si prova.

Ammettere a sé stessi di essere spaventati, infelici o mortificati ci consente di provare a capire come usare questa emozione per cambiare le circostanze interne ed esterne.

Rispetto al rapporto con gli altri, invece, la verità su quello che proviamo avrà un effetto liberatorio e ci aiuterà ad avvicinarci di più a chi amiamo.

Leggi anche: Infelicità e desideri: la trappola del modello “se-allora”

Intelligenza emotiva e gli eventi “grilletto” 

Alcune esperienze producono emozioni che riusciamo a riconoscere immediatamente, mentre altre sembrano non avere nessun impatto.

L’evento che scatena una reazione emotiva viene chiamato “trigger” che letteralmente vuol dire “grilletto” (la causa dell’esplosione dell’emozione).

La reazione a determinati trigger dipende in gran parte dalla nostra storia personale e dalla nostra infanzia.

Come nel caso di prima, alcune persone hanno un inconscio terrore di essere abbandonate, così reagiscono irrazionalmente ogni volta che un qualsiasi evento (come la non-risposta a un messaggio) gli ricorda di questa eventualità.

Altre sono eccessivamente sensibili alle ingiustizie e si indignano senza dare il beneficio del dubbio o provare a valutare meglio una situazione.

Quando si lavora sull’intelligenza emotiva si acquista la capacità di riconoscere gli eventi grilletto così da poter controllare le emozioni sul nascere.

Con questo non si sta dicendo che si diventa completamente razionali e privi di emotività.

Semplicemente, la persone emotivamente intelligenti hanno la libertà di scegliere come reagire a un determinato trigger.

Possono decidere di seguire il corso d’azione dettato dal centro emotivo o andare per la via più razionale.

La cosa essenziale è che grazie all’intelligenza emotiva smetteranno di essere schiave dell’impulsività.

L’impatto dell’intelligenza emotiva nel lavoro

Lavorare sulla propria intelligenza emotiva conviene non solo in termini di miglior benessere mentale e qualità della vita, ma anche in termini di performance nel lavoro.

Si stima infatti che l’intelligenza emotiva sia responsabile per il 58% della prestazione lavorativa in tutti i tipi di lavoro e che sia il più grande fattore di supporto alla leadership ed eccellenza personale. 

Le persone con alti punteggi di intelligenza emotiva guadagnano di più, con una media di 29,000 dollari in più all’anno.

 Fonte

Inoltre, secondo gli esperti, si tratta di una qualità indispensabile per la carriera, ancora più importante di un alto quoziente intellettivo.

Aiuta a gestire meglio lo stress e le relazioni nell’ambiente lavorativo, e favorisce l’acquisizione delle soft skills tanto necessarie a svolgere meglio le proprie mansioni.

Le 4 abilità dell’intelligenza emotiva

Ma andiamo più a fondo.

In cosa consiste esattamente l’intelligenza emotiva?

Per cominciare, essa è composta da due competenze principali: 

  • COMPETENZE PERSONALI
  • COMPETENZE SOCIALI

Le competenze personali sono la consapevolezza di sé e l’autocontrollo, che includono l’abilità di riconoscere le proprie emozioni e controllare il proprio comportamento. 

Le competenze sociali sono la consapevolezza sociale e la gestione delle relazioni interpersonali, in cui c’è anche la capacità di comprendere gli umori, le motivazioni e i comportamenti degli altri. 

1. Consapevolezza di sé

La consapevolezza è un’abilità fondamentale per l’intelligenza emotiva in quanto da essa dipendono anche le altre competenze. 

In sostanza, essere consapevoli significa conoscere la propria natura, le motivazioni e tendenze, nonché gli eventi che scatenano le nostre reazioni emotive.

Non si tratta dunque di scoprire degli oscuri segreti o traumi inconsci, ma piuttosto di sviluppare una chiara visione delle nostre potenzialità e dei nostri punti deboli. 

Quando siamo consapevoli abbiamo più possibilità di rincorrere le giuste opportunità, sfruttare al meglio i nostri talenti ed evitare che emozioni come la paura ci impediscano di trovare il senso della nostra vita.

2. Autocontrollo

Se la consapevolezza ha a che fare con quello che sappiamo di noi stessi, l’autocontrollo è direttamente correlato al modo in cui utilizziamo questo sapere per dirigere il nostro comportamento. 

Come dice il vecchio detto, sapere e non agire equivale a non sapere.

Se dunque conosciamo la nostra tendenza verso l’invidia o il rancore e non facciamo nulla per contrastarli quando sorgono è come se non ne fossimo consapevoli affatto.

Chi è in grado di controllarsi riconosce l’emergere di un’emozione negativa e riesce a usare il pensiero razionale per convincere sé stesso a non dire o fare ciò che l’emozione stessa spingerebbe a dire o fare. 

3. Consapevolezza sociale

La consapevolezza sociale è l’abilità di percepire accuratamente gli stati emotivi di altre persone e capire con esattezza cosa gli sta accadendo. 

Ciò implica anche la capacità di comprendere cosa sentono e pensano anche quando non lo condividiamo o la pensiamo allo stesso modo. 

Gli elementi principali della consapevolezza sociale sono l’ascolto e l’osservazione

Chi sa ascoltare e osservare sa spostare la sua attenzione dai propri pensieri a quelli degli altri. 

In altre parole, sa cambiare prospettiva e mettersi nei loro panni così da poter essere più comprensivo e calmo.

4. Gestione delle relazioni interpersonali

Milioni di persone al giorno d’oggi ignorano l’impatto che il loro comportamento ha sugli altri.

Capita spessissimo di interagire nella vita e sui social con chi ha poca empatia, con chi mette i propri bisogni davanti al resto o con chi denigra e manca di rispetto.

La capacità di gestire le relazioni interpersonali serve proprio a costruire un mondo più pacifico e delle relazioni più sane.

Chi ha poca intelligenza emotiva tende a fare due scelte nei momenti di scontro: evitare il confronto diretto o rispondere alle provocazioni in maniera passivo-aggressiva. 

A casa o in ufficio entra in disaccordo con gli altri e quando non sa gestire la propria rabbia sceglie di sfogarla su di loro.

Chi è dotato di intelligenza emotiva, invece, sa evitare di cedere alla tentazione di attaccare ed è guidato dalla motivazione di comprendere l’altro piuttosto che sconfiggerlo o umiliarlo.

5 cose che le persone con intelligenza emotiva non fanno

Le persone che hanno intelligenza emotiva sono particolarmente sensibili, coscienti e attente.

Fanno parte di quel tipo di persone con cui è facile avere a che fare e chi ti ispirano fiducia.

A differenza di coloro che hanno un basso QE ci sono alcune cose che non fanno, per esempio:

1. Non criticano o giudicano gli altri

Il criticismo fine a se stesso è una forma di auto-condanna perché, come diceva l’arcivescovo Fulton Sheen, proviamo a raddrizzare le foto dei nostri muri dicendo ai nostri vicini che le loro sono storte.

2. Non si preoccupano per il futuro

Pre-occuparsi vuol dire letteralmente occuparsi prima del tempo, ed è un’attività nociva in quanto non risolve i problemi di domani ma depriva oggi della sua gioia.

3. Non rimuginano sul passato

Come dice Dostoyevsky pensare troppo è una malattia, che ci inquina la mente e ci impedisce di voltare lo sguardo alla realtà che abbiamo davanti gli occhi.

4. Non mantengono aspettative irrealistiche

Le aspettative irrealistiche sono una delle motivazioni principali per cui la gente non riesce a essere felice. Che siano di nostra creazione o imposte dagli altri, aspettative del genere semplicemente ci rendono cechi a nostri stessi reali bisogni.

5. Non danno la responsabilità delle loro azioni alle emozioni

Infine, coloro che hanno intelligenza emotiva si assumono la responsabilità delle proprie azioni e dei loro sbagli.

Non si nascondono dietro a un dito dicendo frasi del tipo “non posso farci nulla se sono fatto così” o “non ci ho visto più dalla rabbia”.

In altre parole, non incolpano le emozioni per quello che gli accade, perché sanno che non sono queste a controllare noi, ma viceversa.

L’intelligenza emotiva si può allenare

Abbiamo detto all’inizio che l’intelligenza emotiva riguarda la comunicazione tra il centro emotivo del nostro cervello e il centro razionale. 

Quello che non abbiamo accennato è che più questa comunicazione viene allenata e più si potrà sviluppare il “muscolo” dell’intelligenza emotiva. 

Il nostro cervello infatti è flessibile e altamente malleabile, e può per questo diventare più forte, cioè imparare a modificare le proprie reazioni automatiche a determinati stimoli. 

Ciò equivale letteralmente a costruire massa muscolare attraverso il sollevamento pesi.

Ma mentre l’allenamento fisico equivale all’aumento di muscoli, l’allenamento mentale dell’intelligenza emotiva equivale all’aumento di consapevolezza, autocontrollo e capacità di gestione delle relazioni.

I benefici di sviluppare l’intelligenza emotiva

I benefici di questo allenamento sono indiscutibili e comprovati.

Oltre all’impatto sulla performance nel lavoro chi è in grado di sviluppare la propria intelligenza emotiva può:

  • essere un miglior leader;
  • avere relazioni familiari e sentimentali più complete e soddisfacenti;
  • prendere decisioni più sensate;
  • riconoscere meglio le persone con cui collaborare o di cui fidarsi;
  • scegliere con più accuratezza le giuste opportunità da seguire;
  • godere di un maggior benessere e di una maggior positività;
  • avere un livello più elevato di autostima e fiducia in se stessi;
  • trovare la forza di sconfiggere dipendenze come quella dalle sigarette, dalle droghe o dal cellulare.

Come sviluppare l’intelligenza emotiva

Ci sono diversi modi di migliorare la propria intelligenza emotiva, dal life coaching ai viaggi, dalla terapia cognitivo-comportamentale alla lettura di romanzi o libri di psicologia positiva.

In sostanza, tutto ciò che può ampliare i nostri orizzonti e la nostra apertura mentale ci può aiutare a migliorare le competenze personali e interpersonali.

Se però si vuole provare un metodo più strutturato, uno molto valido è quello proposto dal libro Intelligenza emotiva 2.0, di Travis Bradberry e Jean Greaves.

Intelligenza emotiva 2.0 rivela il rivoluzionario programma della TalentSmart, studiato per aiutare le persone a identificare le loro capacità personali e interpersonali, e a trasformarle in punti di forza nel perseguimento dei loro obiettivi.

Si tratta di collaudate strategie pratiche, considerate estremamente efficaci dai massimi dirigenti di aziende di tutto il mondo, e frutto di oltre un decennio di ricerca.

Il test dell’intelligenza emotiva

Il primo step dell’allenamento è capire come funziona il test dell’intelligenza emotiva e trovare quello più adatto a noi per individuare accuratamente le competenze su cui lavorare.

Si può scegliere di fare un test autonomo (auto-valutazione) o contattare professionisti del settore (come Six Seconds) per una valutazione più accurata.

Su questo blog è disponibile un test che è stato creato prendendo spunto da quattro diversi questionari di intelligenza emotiva, contiene 40 domande e ci vogliono meno di 10 minuti per completarlo.

VAI AL TEST

L’allenamento delle 4 competenze

Quando si finisce il test appariranno dei risultati relativi al livello di competenza nelle quattro aree di intelligenza emotiva.

Per iniziare l’allenamento si parte dalle abilità in cui si è ottenuto il risultato peggiore, e lo si può fare leggendo le strategie previste dal programma di TalentSmart:

  1. 15 Strategie per migliorare la consapevolezza di sé
  2. 15 Strategie per migliorare l’autocontrollo
  3. 15 Strategie per migliorare la consapevolezza sociale
  4. 15 Strategie per migliorare le relazioni interpersonali

Il programma prevede la scelta di 3 strategie per ogni area. Dopodiché ci si dovrebbe dedicare all’utilizzo di queste strategie nella nostra vita quotidiana e al monitoraggio di come il nostro comportamento cambia grazie ad esse.

3 libri sull’intelligenza emotiva

1.Intelligenza emotiva di Daniel Goleman

Con il suo lavoro, Goleman ha messo a fuoco per la prima volta l’importanza delle componenti emotive anche nelle funzioni più razionali del pensiero.

Per lui l’intelligenza emotiva è una capacità insita in ognuno di noi, che può essere sviluppata, perfezionata e trasmessa per migliorare il proprio rapporto con sé, con gli altri e con le realtà che viviamo ogni giorno.

Con una scrittura accattivante e scorrevole, Goleman ci mostra la via per ottenere sempre il massimo da noi stessi.

Formato Kindle 7,99€

2. Intelligenza emotiva di Giulia Nobili

Per la maggior parte delle persone le emozioni restano ancora un mistero.

Come se le emozioni fossero forze oscure che hanno il potere di impossessarsi di noi e guidare il nostro comportamento indipendentemente dal nostro volere.

Per fortuna, però, non è così.

In questo libro Giulia Nobili spiega come governare i meccanismi che regolano le emozioni per esprimere al meglio il proprio potenziale.

Formato Kindle 3,99€

3. Intelligenza emotiva per un figlio

Psicologo noto in tutto il mondo per i suoi studi sul ruolo delle emozioni nella crescita e nel rapporto tra genitori e figli, John Gottman mostra in questo libro come i genitori possono diventare dei bravi “allenatori emotivi”.

Servendosi di test, esercizi ed esempi tratti dalla vita quotidiana, l’autore ci insegna a riconoscere le emozioni dei figli, a comprendere le ragioni alla base dei loro comportamenti e a guidarli verso uno sviluppo autonomo delle proprie idee e dei propri talenti.

Formato Kindle 6,99€

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Con la gestione delle relazioni interpersonali si conclude l’allenamento delle 4 competenze di intelligenza emotiva.

Le relazioni con i colleghi di lavoro, i familiari e gli amici si fondano sulla consapevolezza sociale e il rispetto dei bisogni altrui, senza i quali affioreranno facilmente dissidi e fraintendimenti.

Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali inter-personali.

Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva in questa guida.

15 strategie per migliorare le relazioni interpersonali

1. Sii aperto e curioso 

Essere aperti vuol dire condividere sé stessi con gli altri, non aver paura di svelare insicurezze e di mostrarsi vulnerabili. 

Essere curiosi invece vuol dire dare il beneficio del dubbio ed evitare di etichettare, di ridurre le persone che incontriamo a delle categorie sulla base di quello in cui credono o che fanno.

Ogni individuo è molto di più della sua appartenenza politica o religiosa. 

Siamo esseri complessi e pieni di contraddizioni, dopo tutto, e dietro ognuno di noi c’è una storia da raccontare.

Tratta ogni relazione interpersonale con l’animo di chi è disposto a scoprire questa storia e non con l’animo di chi pensa di averla già letta.

2. Migliora il tuo stile comunicativo 

Come comunichi con le persone? Preferisci scrivere, chiamare, parlare di presenza? 

Ti piacciono le conversazioni brevi o ti piace passare ore a discutere di un argomento? 

Considera il modo specifico in cui comunichi, che può essere aggressivo, timido, contorto, semplice, diretto.

Quando parli con qualcuno dici chiaramente cosa provi o ci giri intorno? Come vieni recepito di solito dagli altri? 

Queste sono domande essenziali a cui rispondere per poter poi migliorare il proprio stile comunicativo. 

Interrogati sugli aspetti della tua comunicazione che non vengono recepiti favorevolmente dagli altri e poi prova a pensare a cosa potresti fare di diverso. 

Leggi anche: Identikit di un amore non corrisposto

3. Non dare segnali contrastanti 

Essere chiari con la propria parola è un prerequisito fondamentale per ottenere la fiducia altrui. 

Dì chiaramente cosa pensi e cosa vuoi, per evitare di sembrare insicuro ma anche per evitare di restare deluso quando la tua volontà viene fraintesa. 

4. Ricordati delle piccole cose che fanno la differenza

Non ci facciamo nemmeno caso a volte, eppure basta un “grazie” o “buona sera” o “mi dispiace” per avere un impatto positivo sulle persone. 

In quei preziosissimi frangenti in cui si formula un’impressione di chi abbiamo davanti, un sorriso o un po’ di sincera cordialità può fare la differenza. 

E poi ricorda, non sai mai chi ti potrà capitare davanti un giorno, quindi è sempre meglio sviluppare l’abitudine di essere gentili con tutti. 

5. Accetta bene il criticismo costruttivo

Ci sono due tipi di criticismo, quello distruttivo, fatto da chi non ha a cuore la tua crescita e parla solo per mostrare la sua superiorità, e quello costruttivo che viene invece fatto da chi ti vuole del bene.

Il primo tipo di criticismo va ignorato per quanto possibile, evitando di darci troppa importanza o attaccare il mittente. 

Il secondo tipo di criticismo invece va riconosciuto e accettato.

Le critiche sono di solito uno spunto perfetto per litigare e adottare atteggiamenti altamente lesivi come quelli passivo-aggressivi. 

Se invece si mette l’orgoglio da parte e si ascolta ciò che l’altro ha da dire possono avere l’effetto opposto, di solidificare il livello di fiducia nelle relazioni interpersonali.  

Leggi anche: La solitudine oggi, da dove nasce, cosa comporta e come si può combattere

6. Costruisci la fiducia 

Altri modi di costruire la fiducia sono il mantenere la parola data e l’essere disponibili a condividere le verità più intime.

Con un po’ di pazienza questa fiducia si trasformerà nel tempo in affidabilità e connessione. 

E sono le persone di cui ci possiamo fidare che rappresentano la vera ricchezza della vita. 

7. Riconosci le emozioni altrui 

Riconoscere le emozioni degli altri è una qualità che fa capo all’empatia e all’ascolto attivo. 

Per farlo non c’è bisogno di fare da specchio agli altri e mostrare loro di stare provando le stesse emozioni.

Pensa a come sarebbe l’assistenza clienti se gli operatori telefonici si arrabbiassero insieme ai chi li chiama o se gli psicoterapeuti si angosciassero per i problemi dei pazienti. 

Le emozioni di uno farebbero da cassa di risonanza per le emozioni dell’altro e il mondo diventerebbe un posto estremamente volubile. 

Per questo serve che qualcuno si elevi dalle emozioni e che le guardi con curiosità e accettazione, che riconosca da dove vengono e che mostri alla persona tutta la sua comprensione. 

Solo così si disinnescano le emozioni, soprattutto quelle negative. 

8. Mostra il tuo interesse 

Così come basta un po’ di cordialità per fare una buona impressione, basta mostrare un po’ di interesse per guadagnare punti di simpatia nelle relazioni interpersonali.

Per rafforzare una relazione importante servono sia le parole che le azioni, come un lungo messaggio sentito, un regalo inaspettato o dei fiori.

Quando sono fatte con tatto le azioni che mostrano interesse vengono ben ricevute e apprezzate. 

9. Spiega le tue decisioni 

Quando prendiamo delle decisioni che hanno un impatto sugli altri e non le spieghiamo alle stesse persone coinvolte rischiamo di farli sentire poco importanti. 

E quando una persona si sente poco importante di solito tende a ritirarsi, difendersi o ad attaccare. 

Per evitare che ciò accada coinvolgi gli altri nei tuoi processi decisionali facendo loro capire che ci tieni al loro punto di vista. 

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle e memorabili di sempre

10. Cerca sempre soluzioni reciproche (win-win solutions) 

Se ti trovi ad avere una discussione con un partner o collega non provare a vincere a tutti i costi. 

Di solito quando la gente percepisce che il tuo intento è avere ragione faranno di tutto per difendersi e non ne uscirete vivi. 

Se invece mostri di avere la sincera intenzione di trovare un accordo e che tieni di più ad avere un buon rapporto che a vincere, saranno più disponibili e aperti nei tuoi confronti. 

Proponi soluzioni che possono migliorare la situazione e che abbiano dei benefici per entrambi, vedrai l’altro non avrà altra scelta che abbassare l’ascia di guerra. 

11. Non arretrare davanti ai confronti 

Non serve a nulla evitare un confronto, specialmente quando riguarda una situazione delicata o ne dipende il destino stesso della relazione.

Non avere paura di avere conversazioni difficili e quando ti capitano affrontale sempre con l’attitudine di chi vuole aiutare a risolverla. 

Evita a tutti i costi i commenti spigolosi e le uscite di scena furiose. 

Seppur ti diano l’illusione di aver avuto l’ultima parola ti assicuro che non durerà molto e, quel che è peggio, se continui per quella strada non farai altro che pregiudicare ulteriormente la relazione. 

12. Allinea i tuoi intenti con le tue azioni 

Se dici a qualcuno di voler fare una cosa, falla. Se prometti che farai una cosa, falla. 

In alternativa, non promettere e non dire.

O al massimo, utilizza il fatto di aver condiviso un intenzione con qualcuno come un fattore di motivazione per portare a termine ciò che ha detto di voler fare.

Così facendo prenderai due piccioni con una fava: avrai mantenuto la parola data e mostrato a te stesso un modo di raggiungere un obiettivo. 

13. Lascia che le persone si sfoghino liberamente

Tutti hanno il diritto di provare emozioni, quindi se ti capita di trovarti nel mezzo di uno sfogo non provare a contrastarlo, negarlo o risolverlo. 

Limitati a essere presente e disponibile.

Ricorda di guardare le emozioni dall’alto e di essere curioso nei loro confronti. 

Vedrai che aumenterai la tua consapevolezza e abilità sociale. 

14. Sii accessibile 

Rendersi accessibili agli altri, nel senso di rispondere alle chiamate o ai messaggi e di dire di sì, è un tratto comune alle persone più socievoli e amate. 

Una persona inaccessibile, che ignora le richieste di attenzione o non fa favori a nessuno, alla lunga finirà per avere meno amici o per non averne affatto.

Chi invece è aperto e disponibile agli altri potrà godere dello stesso trattamento quando sarà lui ad aver bisogno di una porta aperta. 

15. Mettiti al servizio di qualcosa di più grande di te

Per concludere, non potremo mai allenare le nostre abilità sociali se non facciamo parte di una “comunità”, ovvero di un gruppo di persone a cui siamo legati da qualcosa di più che la semplice cittadinanza o cultura.

Che sia il gruppo di persone con cui lavori o l’associazione di cui fai parte, impara a riconoscere le situazioni in cui devi lasciare che siano gli altri a guidare e quando invece è il tuo turno di impegnarti. 

Il mondo non è fatto di satelliti solitari, non potremo mai essere felici e abili socialmente se pensiamo solamente a noi stessi. 

Per questo per crescere come esseri umani bisogna anche provare cosa vuol dire essere uno fra tanti, un pezzo di un insieme con caratteristiche uniche, ma pur sempre eguale agli altri.

Approfondimenti per migliorare le relazioni interpersonali e l’intelligenza emotiva

Ecco dei link utili per continuare la lettura sulle relazioni e l’intelligenza emotiva:

Per misurare il tuo livello di abilità sociale vai al Test online d’intelligenza emotiva.

2 libri per migliorare le relazioni interpersonali

1. Intelligenza emotiva 2.0

intelligenza emotiva

Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo).

Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).

I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni interpersonali.

Formato Kindle

2. Come trattare gli altri e farseli amici

relazioni interpersonali

Le parole che Carnegie suggerisce non sono divagazioni teoriche di un esperto in relazioni interpersonali, né capitoli di un altisonante trattato di psicologia: semplicemente sono consigli che hanno un immediato utilizzo pratico sul lavoro, in casa, negli affari e nei rapporti sociali in genere.

In uno stile colloquiale e piacevole Carnegie dà una soluzione ai problemi di tutti i giorni che nessuna scuola prepara ad affrontare.

Formato Kindle 6,99€

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Ci sono numerosi test di intelligenza emotiva a disposizione online e offline, ognuno con un diverso approccio e modello teorico.

Un comune denominatore tra loro è il fatto di essere basati sulla valutazione di competenze che non rientrano negli scopi dei test di intelligenza tradizionali, ovvero quelli mirati a valutare il quoziente intellettivo (QI).

Negli ultimi decenni del secolo scorso, infatti, scienziati e ricercatori hanno capito che il QI non basta a fare un quadro completo delle competenze di una persona e, cosa più importante, che non basta a evitare i fallimenti nella vita.

Così già partire dagli anni 80 si è iniziato a parlare di altre forme di intelligenza, tra le quali una particolare attenzione fu posta sull’intelligenza emotiva e il rispettivo quoziente emotivo (QE).

Intelligenza emotiva test: 2 modelli

Seppur l’intelligenza emotiva venga generalmente vista come la capacità di gestire e comprendere le emozioni, gli aspetti specifici e dunque i loro criteri di misurazione cambiano da modello a modello.

I due modelli principali che vengono utilizzati da molti test di intelligenza emotiva sono quello di Mayer-Salovey e quello di Goleman.

1. Modello Mayer-Salovey

Gli psicologi statunitensi Peter Salovey e John D. Mayer sono stati tra i primi a offrire, negli anni 90, una definizione precisa di intelligenza emotiva, intesa come “la capacità di ragionare sulle emozioni e delle emozioni, e di facilitare il pensiero”. 

Il loro test d’intelligenza emotiva, l’Emotional Intelligence Test (2.0) è composto da 141 domande mirate a testare 4 tipologie principali di abilità personali:

  1. la percezione delle emozioni, cioè la capacità di decifrare le emozioni proprie e altrui;
  2. l’uso delle emozioni per facilitare il pensiero e affrontare diverse situazioni;
  3. la comprensione delle emozioni, cioè capire da dove vengono e come/quando si manifestano;
  4. la gestione delle emozioni, che vuol dire sapersi controllare quando sorgono le emozioni.

2. Modello Goleman

Come già accennato nella guida completa per comprendere l’intelligenza emotiva, Daniel Goleman è stato lo scrittore che più di tutti ha popolarizzato il QE in occidente, tanto che adesso viene persino considerato un requisito fondamentale per raggiungere l’eccellenza personale e lavorativa.

L’intelligenza emotiva per Goleman comprende 5 aspetti fondamentali: 

  1. Consapevolezza di sé, intesa come la conoscenza delle proprie debolezze e punti di forza nonché delle proprie emozioni e reazioni;
  2. Autoregolazione, ovvero una forma di autocontrollo che ha a che fare con la gestione degli stati emotivi;
  3. Abilità sociale, cioè la capacità di gestire al meglio le relazioni interpersonali;
  4. Motivazione, che consiste nella capacità di trovare in sé stessi la spinta a raggiungere obiettivi auto-determinati;
  5. Empatia, che è semplicemente l’abilità di percepire e comprendere gli stati d’animo degli altrui, inclusa la sofferenza.

Leggi anche: Enneagramma test della personalità online: scopri il tuo enneatipo

Come si misura l’intelligenza emotiva

Per testare l’intelligenza emotiva sulla base del modello Mayer-Salovey si utilizza il Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test (MSCEIT) che è basato su una serie di problemi emotivi e situazioni che mettono alla prova le 4 tipologie di abilità previste dal modello stesso.

Gli strumenti principali per misurare l’intelligenza emotiva sulla base del modello Goleman sono invece l’Emotional Competency Inventory (ECI) o l’Emotional and Social Competency Inventory (ESCI) e l’Emotional Intelligence Appraisal

Perché e come fare il test dell’intelligenza emotiva

Come già le altre forme di intelligenza quella emotiva non è una caratteristica innata ma qualcosa che si può allenare. 

Visto che i test di solito danno dei risultati specifici per le varie competenze (oltre che un risultato generale), facendo il test di intelligenza si può acquistare consapevolezza delle aree che necessitano attenzione per poi lavorarci sopra.

I test offrono l’opportunità di conoscere i propri punti deboli ma anche i propri punti di forza.

Per questo è essenziale rispondere alle domande nel modo più onesto possibile, per far sì che si possa ottenere un quadro accurato delle nostre abilità di comprensione e gestione delle emozioni.

Nota: nelle premesse dei test viene spesso raccomandato di riflettere su esperienze passate o chiedere aiuto a qualcuno nei casi in cui non si riesce a trovare la risposta più onesta a determinate domande.

Chiedere aiuto a chi ci conosce bene è particolarmente utile quando la persona non condivide i nostri pregiudizi e le nostre emozioni, e può essere anche un modo di scoprire utili verità su noi stessi.

Le domande del test di intelligenza emotiva

Le affermazioni presentate nei test di intelligenza emotiva hanno lo scopo di metterci davanti a scenari di vita comune in cui è necessario conoscersi o controllarsi.

Tali situazioni possono mostrarci come affrontiamo:

Seppur ci siano dubbi sull’accuratezza di un test fondato sull’auto-valutazione, è stata riscontrata un’associazione rilevante tra le risposte date dai partecipanti e le effettive abilità emotive degli stessi (fonte).

Note su questo particolare test di intelligenza emotiva

Una valutazione obiettiva e completa dell’intelligenza emotiva richiede l’intervento di professionisti del settore (come Six-Seconds).

È possibile anche trovare diversi test online ma il problema con questi è che o sono gratuiti e troppo corti (tipo una decina di domande); o sono molto lunghi e complessi (o solo in inglese) e prevedono una forma di pagamento per avere il report finale completo.

Il test che state per fare è una mediazione tra i due estremi in quanto comprende domande prese da 4 diversi test e questionari di intelligenza emotiva (per arrivare a un totale di 60):

  1. Emotional Intelligenze Quiz ideato dall’Istituto per la Salute e il Potenziale Umano (Institute for Health and Human Potential)
  2. Emotional Intelligence Questionnaire ideato da Mindtools;
  3. Schutte Self-Report Emotional Intelligence Test (SSEIT) ideato da Schutte e colleghi nel 1998 e basato sul modello Mayer-Salovey.
  4. Emotional Intelligence Test (2019) da Psychology Today.
VAI AL TEST

2 libri sull’intelligenza emotiva

1. Intelligenza emotiva 2.0

intelligenza emotiva

Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo).

Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).

I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni interpersonali.

Formato Kindle

2. Il giro della mente in 80 test

intelligenza emotiva test

L’intelligenza emotiva ha insegnato a milioni di persone a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni; l’intelligenza psicologica le aiuta a comprendere le basi della personalità e del comportamento e a promuovere la crescita personale.

Perché facciamo determinate cose? La psicologia ci guida a conoscere meglio noi stessi (e gli altri) studiando e spiegando non solo i comportamenti, ma anche i valori, l’intelligenza, i gusti, la logica.

Per comprendere meglio il mondo della mente il dottor Ambridge ha scritto un libro scientifico, ma pieno di humour, in cui descrive gli 80 test psicologici più importanti e famosi, mostrandone i punti di forza e debolezza e le applicazioni concrete.

Formato Kindle 9,99€

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La consapevolezza sociale rappresenta la capacità di capire gli altri, nel senso che grazie a essa si sapranno individuare i loro stati d’animo e i motivi dei loro comportamenti.

Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali inter-personali.

Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva, e il link per il test gratuito, in questa guida.

15 strategie per capire gli altri e migliorare la consapevolezza sociale

1. Rivolgiti alle persone con il loro nome

Uno studio del 2006 ha dimostrato che quando una persona sente il proprio nome si attivano delle parti del cervello che sono associate al riconoscimento della propria identità (come quando ci guardiamo allo specchio).

In parole semplici ciò vuol dire che chiamando le persone per nome le aiutiamo a rafforzare il loro rapporto con sé stessi dandogli così una forma di piacere.

Inoltre, quando mostriamo di ricordare il nome di chi incontriamo o di coloro con cui lavoriamo mostriamo di valorizzarli e li rendiamo più aperti nei nostri confronti. 

2. Guarda il linguaggio del corpo 

Gli occhi, il viso e il corpo in generale comunicano molto di più di quanto dicano le parole. 

Spalle alte o gambe incrociate comunicano tensione, mentre quando la persona con cui parliamo non mantiene lo sguardo fisso su di noi può voler dire che è distratta e ha altro per la mente. 

Osservare questi piccoli gesti può aiutarci a scegliere il comportamento più appropriato. 

3. Trova il tempismo più adatto 

Non chiedere un aumento quando sai che l’azienda non va bene e non provare a chiedere un favore a chi è arrabbiato. 

Trova il momento giusto per fare domande e tieni sempre a mente la situazione in cui si trovano gli altri nel relazionarti a loro.

Leggi anche: Come migliorare la propria vita: 4 scelte fondamentali da fare

4. Tieni delle domande di riserva 

A volte le conversazioni non vanno come vogliamo, perché l’altra persona non sembra interessata o perché è timida e ci dà solo risposte monosillabiche. 

Pensa in anticipo a quali domande possono essere ricevute bene da chi vuoi conoscere e usale quando ti serve un pretesto per alimentare la conversazione. 

5. Limita l’utilizzo della parola “io”

Prova a farci caso, quante volte durante una conversazione tra amici o colleghi rispondi a quello che dicono per parlare di te e non di loro?

Visto che molti di noi sono tendenzialmente incentrati su sé stessi è molto più facile che la prima parola che esca dalla bocca sia “io” e non “tu”.

E non c’è nulla di sbagliato in questo, solo che nei casi più estremi si potrebbe trattare di una forma di ego-ismo che implica l’incapacità di prestare sincera attenzione nonché di capire gli altri.

6. Pianifica 

Se ti capita di organizzare un evento o di invitare degli ospiti a casa pianifica il più possibile così che poi tu possa goderti la serata senza stress. 

Assicurati che non ci siano inimicizie tra gli invitati e, se devi offrire del cibo, che non ci siano intolleranze. 

Nel creare l’ambiente adatto poni sempre l’attenzione sugli altri provando a pensare a cosa li farebbe sentire a loro agio. 

7. Non interrompere 

Anche se hai l’istinto di buttarti nella conversazione per condividere la tua opinione fermati un attimo. 

Lascia che l’altro finisca di parlare o, meglio ancora, aspetta che ti venga chiesto come la pensi.

C’è più piacere a dire la tua quando nel farlo soddisfi anche la curiosità altrui.

8. Vivi nel momento

Vivere nel momento significa essere consapevoli dell’ambiente che ci circonda, delle persone e delle loro emozioni. 

Ogni interazione sociale ti dà l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo sull’animo umano e sul modo in cui le persone vedono il mondo.

Evita le distrazioni il più possibile e quando sei in un meeting o scambi due battute amichevoli con un vicino di casa allenati a essere presente resistendo alla tentazione di pensare a quello che devi fare dopo.

9. Tieni a bada il giudizio

Quando un collega o amico si comporta in modo indisponente sospendi l’istinto di giudicare e di pensare che si tratti soltanto del solito seminatore di zizzania. 

Nessuno “fa i capricci” per niente.

Anche dietro i comportamenti più antisociali c’è sempre una velata richiesta di attenzione e se scopri da dove viene ti verrà più facile entrare in relazione con la persona piuttosto che renderla ancora più ostile. 

10. Osserva l’intelligenza emotiva dei personaggi dei film 

Anche se il tempo passato a guardare film è per lo più passivo, c’è molto da imparare sull’evoluzione dei personaggi di una storia. 

Quando osserviamo le interazioni nello schermo, infatti, ci esercitiamo involontariamente a leggere segnali sociali verbali e non verbali, a comprendere le intenzioni di una persona e a capire di chi fidarsi e non fidarsi. 

A differenza della vita reale è molto più semplice farlo dal divano di casa perché non siamo direttamente coinvolti nella storia.

Leggi anche: 3 motivi per smettere di guardare il telegiornale

11. Fermati a guardare gli sconosciuti (people watching) 

Quando sei al parco o in metropolitana fermati due minuti a osservare la gente (senza fissare ovviamente). 

Vedrai che è possibile capire molte cose dal modo in cui gli altri si comportano in pubblico.

12. Mettiti nei panni degli altri 

Ci sono situazioni, come quella del traffico, in cui diventiamo altamente agitati e passiamo dalla calma al piede di guerra nel giro di pochi istanti. 

Queste sono le situazioni più adatte a imparare l’arte di mettersi nei panni degli altri e provare a immaginarsi il motivo per cui hanno fatto quello che hanno fatto. 

Per esempio, se qualcuno ti ha tagliato la strada in circonvallazione pensa che forse stava andando in ospedale o che era in ritardo per prendere il figlio a scuola.

Le nostre emozioni a volte ci regalano momenti da ricordare ma altre volte ci fanno diventare la peggior versione di noi stessi. 

Prova dunque a mitigare la loro spinta bellicosa con la comprensione e l’empatia. 

13. Chiedi chiarimenti 

Non c’è nulla di male a chiedere. 

Se l’atteggiamento di qualcuno ti confonde e non vuoi fare supposizioni chiedi chiarimenti. 

Vedrai che capire gli altri diventa più semplice quando sono loro stessi a spiegare i loro comportamenti. 

14. Comprendi le regole del “gioco sociale” 

Le relazioni in società sono fatte di moltissime regole non scritte ma che vanno comunque seguite. 

Alcuni esempi sono:

  • evitare di parlare di sesso o religione con persone che non conosci o chiedere a una persona quanto guadagna;
  • iniziare un meeting informale parlando del più e del meno e solamente dopo passare al motivo reale dell’incontro. 

Non si tratta di regole fisse e universali ovviamente, sono regole che si rifanno al buon senso e alla considerazione per gli altri. 

Una regola d’oro da seguire sempre è di non trattare gli altri come non si vorrebbe essere trattati:

  • Se dunque non ti fa piacere essere usato, non usare gli altri. 
  • Se non ti piace quando la gente non si ricorda il tuo nome, ricorda il nome della gente. 
  • Se ti ferisce quando gli altri non prestano attenzione, presta attenzione

Fa questo anche se non ricevi lo stesso trattamento in cambio, e vedrai che col tempo le tue relazioni miglioreranno notevolmente. 

15. Ascolta, ascolta, ascolta 

Non ci sono scorciatoie.

Il miglior modo di capire gli altri e aumentare la propria consapevolezza sociale è ascoltare, veramente, le persone. 

L’ascolto non è soltanto l’attività passiva di recepire il generale significato di quello che ti dicono, ma è una vera e propria attività che richiede l’utilizzo di tutte le tue facoltà mentali. 

Per questo si parla di ascolto attivo come del segreto di tutte le relazioni sane. 

Ascoltare attivamente vuol dire partecipare a quello che ci viene detto, mostrare di comprenderlo non solo con le parole ma anche con le emozioni.

Se è il caso, l’ascolto attivo può comportare l’assoluto silenzio, ma il nostro interlocutore capirà se si tratta di un silenzio di imbarazzo o di riflessione.

Quindi fai questo grande sforzo e se puoi prova a farla diventare un’abitudine. Ascolta gli altri.

3 libri per capire gli altri

1. Intelligenza emotiva 2.0

intelligenza emotiva

Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo). Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).

I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione dei rapporti.

Formato Kindle

2. Linguaggio del corpo: come capire le persone e i loro comportamenti attraverso la comunicazione non verbale

capire gli altri

L’obiettivo di questo libro è di dare consigli PRATICI ed APPLICABILI sulla comunicazione non verbale, attraverso le migliori strategie tutt’ora in uso dagli psicologi più famosi al mondo.

Immagina quanto sarebbe diversa la tua vita se avessi la capacità di riconoscere con certezza se qualcuno sta mentendo o dicendo la verità. 

Grazie a questo libro, scoprirai come analizzare da testa a piedi chi hai di fronte e interpretare correttamente i segnali involontari provenienti dal suo corpo.

Imparerai come decifrare il nostro linguaggio segreto, quello che non mente mai.

Formato Kindle 3,99€

3. Come analizzare le persone

capire gli altri

Grazie a questo libro, scoprirai esattamente le stesse tecniche usate dall’FBI durante gli interrogatori per analizzare qualunque persona, leggere la loro mente e capire se stiano mentendo o meno.

Conoscere queste tecniche ti darà un potere sconosciuto alla gente comune e potrai imparare informazioni che ti saranno utili per il resto della tua vita

Formato Kindle 3,99€

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La consapevolezza di sé è la competenza portante dell’intelligenza emotiva in quanto se non conosciamo noi stessi difficilmente potremo capire cosa ci rende felici.

Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali e inter-personali.

Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva in questa guida.

15 strategie per migliorare la consapevolezza di sé

1. Smetti di trattare te stesso come buono o cattivo

Spesso abbiamo la tendenza a giudicare noi stessi in termini molto estremi.

Il fatto è però che non c’è solo il bianco e il nero e le persone, noi stessi inclusi, non sono mai completamente cattive o completamente buone.

Evita di pensare che un errore ti renda incapace o che un fallimento definisca il tuo valore.

È normale sbagliare, provare rancore o senso di colpa così come è normale avere momenti in cui si vede tutto nero.

Sii equo con te stesso, così come lo saresti con un figlio o una persona a cui vuoi molto bene.

2. Osserva le conseguenze delle tue emozioni 

La chiave per comprendere meglio le emozioni è osservare il loro impatto sugli altri.

Nella solitudine infatti è difficile vedersi dall’esterno e rendersi conto delle azioni tossiche o idiote che ci fanno fare le nostre emozioni.

Ogni tanto bisogna avere il coraggio di vedere gli strascichi delle nostre abitudini disfunzionali sugli altri per poter acquisire la giusta consapevolezza di sé.

3. Avvicinati alle emozioni scomode 

Al posto di evitare un’emozione scomoda (che ti mette a disagio) faresti meglio a guardarla da vicino con curiosità.

Quando scegli di ignorare un’emozione, come quando ti arrabbi per cose minuscole e non ti chiedi se c’è qualcosa che non va, ne diventi schiavo e l’amplifichi.

Al contrario, quando fai la cosa più difficile, cioè riconoscere che stai provando un’emozione negativa, puoi sfruttare l’opportunità per capire da dove viene e imparare a gestirla.

4. Senti le tue emozioni… fisicamente

Visto che la mente e il corpo sono strettamente correlati, un ottimo modo di individuare le emozioni è notare i cambiamenti che esse provocano nel nostro fisico, magari in termini di postura o respiro. 

Per esempio, un respiro corto è provocato da uno stato di tensione sottostante o ansia, mentre le braccia incrociate potrebbero comunicare un desiderio inconscio di proteggersi.

Presta attenzione a questi piccoli segnali e chiediti quale emozione rappresentano.

Leggi anche: 10 modi per affrontare il senso di colpa

5. Conosci chi e cosa tocca i tuoi nervi 

È fondamentale sapere chi e cosa ti fa scattare, innervosire o arrabbiare, così da poter sviluppare l’abilità di mantenere la calma quando necessario.

Per farlo non puoi ragionare in termini generici. 

Bisogna individuare nello specifico chi e cosa suscita in te emozioni negative. 

Per esempio potrebbe essere un genitore o un parente che ti fa innervosire quando ti chiede perché non hai una relazione.

O il telegiornale che ti ricorda che c’è la crisi e ti fa temere di non poter trovare un lavoro stabile.

6. Distaccati dai pensieri e dalle emozioni

So che è difficile cambiare un’attitudine che possibilmente abbiamo impiegato anni a sviluppare.

Le nostre reazioni automatiche sono ormai parte integrante dei nostri ingranaggi mentali e non c’è nulla che io o nessun altro ti possa dire per farti smettere di provare certe emozioni o avere certi pensieri.

Sei tu l’unica persona a poter prendere l’impegno di smussare gli angoli e lo puoi fare solo se inizi a osservarti, cioè a smettere di identificarti completamente con quello che pensi e che provi.

La tecnica più consigliata per farlo è la meditazione, il cui scopo principale è farti capire che non sei l’emozione o il pensiero, ma colui, o colei, che li osserva.

7. Tieni un diario 

È molto difficile sviluppare una prospettiva obiettiva delle nostre emozioni soprattutto quando ci troviamo nel loro mare mosso.

Grazie a un diario personale puoi facilmente notare quello che ti è successo e il modo in cui hai reagito senza essere offuscato dalla foga del momento. 

In tal modo sarai libero di fare qualcosa di diverso la prossima volta che ti ritrovi nella stessa situazione.

8. Non farti ingannare dal cattivo umore

Le emozioni cambiano tutto il tempo e il cattivo umore passerà se lo lasci fare. 

Evita di prendere decisioni importanti quando sei nervoso, triste o arrabbiato.

Prova a ricordarti che, per quanto la realtà possa sembrare obiettivamente deprimente a volte, c’è la possibilità che siano soltanto le nostre emozioni a farcela vedere così.

9. Non farti ingannare dal buon umore 

Anche il buon umore può ingannare tanto quanto il cattivo. 

L’eccitazione che si prova in alcune situazioni ci può portare a prendere decisioni impulsive, di cui poi ci potremmo pentire. 

Per esempio, quando ci convincono che sia un affare sottoscrivere un abbonamento o fare un prestito. 

I venditori più abili sanno come stimolare l’esagitazione e convincerci a fare scelte di fretta, con le cui conseguenze dovremo convivere anche dopo che l’entusiasmo sarà passato.

Dunque goditi le giornate di buon umore più che puoi, ma non fare promesse o prendere impegni che non vorrai mantenere in futuro.

10. Fermati un attimo a pensare perché fai quello che fai

La tua consapevolezza personale migliorerà di molto quando diventerà chiaro il motivo per cui fai quello che fai. 

Prendi l’abitudine di fermarti e chiederti quale emozione sia alla base delle tue scelte, se il tuo lavoro e le attività che svolgi rispecchiano le tue priorità e i tuoi valori.

11. Rivedi i tuoi valori 

Se dalle tue riflessioni emerge un’incongruenza tra quello che fai e quello in cui credi hai due alternative: o cambi quello che fai o cambi quello in cui credi.

In altre parole, quando non puoi cambiare drasticamente la tua vita rivedi i tuoi valori e le tue priorità per adattarli alla vita che hai adesso.

Può darsi che avevi scelto quei valori per i motivi sbagliati o che sei cresciuto abbastanza da rimpiazzarli con dei nuovi.

Può darsi che non ha più senso preoccuparsi solo dei soldi e che è arrivato il tempo di pensare alla famiglia per esempio, o che bisogna allentare un po’ con i viaggi e pensare a mettere qualcosa da parte per comprare casa.

I valori non sono fissi, ma cambiano con noi e crescono man mano che cresce la consapevolezza di sé.

12. Controllati 

Ogni tanto guardati allo specchio, controlla il tuo corpo, la tua espressione facciale, i tuoi vestiti o anche i tuoi capelli. 

Qual’è il tuo umore? Come ti senti

Sei in forma ed energico o ti senti trasandato e giù di morale?

Controllati come controlleresti un figlio o una persona a cui tieni.

13. Trova le tue emozioni nei film, nei libri e nella musica

Quando le parole di una canzone risuonano dentro di te non dicono soltanto quello che dicono ma ti comunicano anche qualcosa che hai già dentro. 

Lo stesso vale quando ti colpisce il protagonista di un libro o di un film: magari ha degli aspetti che vorresti avere o ti assomiglia in qualche modo. 

A volte non riusciamo a dar voce a un pensiero o a una emozione fino a quando non ce la ritroviamo davanti. 

14. Cerca punti di vista alternativi

Non sempre il modo in cui vediamo noi stessi coincide con il modo in cui ci vedono gli altri. 

Cercare un consiglio o chiedere a qualcuno una prospettiva alternativa su noi stessi può mostrarci dei lati di noi che prima erano inaccessibili. 

15. Rispolvera un vecchio album di foto  

Seppur rimuginare con malinconia sul passato sia un’attività in sé dannosa, se viene fatto con l’intenzione di riconnettersi con sé stessi può invece essere utile.

I cimeli dell’infanzia e dell’adolescenza, come vecchie foto o lettere, ti fanno vedere com’eri e, di conseguenza, cosa è cambiato rispetto a prima.

Ti potrebbero ricordare che hai sempre avuto una particolare passione o che c’è stato un tempo in cui ti bastava una giornata di sole per essere felice.

Cosa più importante, potresti trovare la motivazione che ti mancava a perseguire un obiettivo ambizioso quando riscopri che nel periodo più puro e spontaneo della tua vita eri ancora capace di sognare.

Approfondimenti sulla consapevolezza di sé

Ecco dei link utili per continuare il percorso di auto scoperta:

Se non l’hai già fatto vai al test dell’intelligenza emotiva per misurare il tuo livello di consapevolezza di sé.

Letture consigliate per migliorare la consapevolezza di sé

1. Intelligenza emotiva 2.0

intelligenza emotiva

Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo). Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).

I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni interpersonali.

Formato Kindle

2. Il bambino che sei stato. Un metodo per la conoscenza di sé

consapevolezza di sé

Riconoscere in noi stessi gli stili e gli atteggiamenti del bambino che siamo stati è importante perché essi continuano ad agire nella nostra vita adulta causandoci spesso sofferenza e difficoltà.

Gli schemi psicologici introiettati dai nostri genitori con l’educazione sono i più diversi: il perfezionismo (e tu allora devi lottare per “fare ancora meglio”), la coercizione (e tu allora tendi a rimandare), la remissività (e tu allora sei impulsivo), l’eccessiva indulgenza (e tu allora sei sempre insoddisfatto), l’abbandono (e tu allora non riesci a provare un senso di “appartenenza”), il rifiuto (e tu allora cerchi di isolarti e ne soffri) ecc.

Affrontando questi schemi, è possibile imparare a gestire le relazioni interpersonali e il rapporto con se stessi.

Copertina flessibile

1 commento su “Come migliorare la consapevolezza di sé e aumentare la propria intelligenza emotiva”

  1. Ciao grazie per questo articolo, soffro di dispnea dà ansia/stress e cerco dei metodi di uscirne. Volevo dire che manca il punto nr 5

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L’autocontrollo è la parte “pratica” della consapevolezza di sé. Ha a che fare con l’autoregolazione delle proprie emozioni e la capacità di resistere alla tentazione di fare/dire stupidaggini quando agitati.

L’autocontrollo è talmente importante nella vita di ciascuno di noi che un famoso esperimento degli anni 70 ha dimostrato che chi non ce l’aveva da piccolo ha avuto meno successo da adulto rispetto a chi ce lo aveva.

Misurare l’autocontrollo: l’esperimento dei marshmallow

L’esperimento di cui stiamo parlando fu condotto dallo psicologo Walter Mischel all’università di Stanford.

In breve, dei bambini di scuola materna furono portati in una stanza dei giochi insieme a un esaminatore.

A un certo punto l’esaminatore lascia la stanza, ma prima di andarsene chiede a ogni bambino se vuole avere un marshmallow subito o due quando ritorna.

Dai questionari che furono somministrati 15 anni dopo ai genitori dei bambini, emerse che quelli che erano stati capaci di aspettare per avere il secondo marshmallow erano maggiormente in grado di:

  • resistere alle tentazioni adolescenziali,
  • concentrarsi sui loro studi,
  • mantenere il controllo quando le cose non andavano come volevano,
  • essere ammessi a università prestigiose.

A prescindere da quale sia stata la loro strategia per evitare il richiamo della gratificazione istantanea, quei bambini hanno dimostrato al mondo che l’autocontrollo è una competenza essenziale dell’intelligenza emotiva.

In aggiunta, l’esperimento ha svelato ancora una volta il meccanismo controproducente delle emozioni, che sono come un cavallo selvaggio che si può domare e addomesticare soltanto con le redini della ragione.

15 strategie per migliorare l’autocontrollo

Le seguenti strategie fanno parte del percorso di allenamento previsto dal libro Intelligenza Emotiva 2.0 inteso a sviluppare appieno il potenziale tramite il miglioramento delle capacità intra-personali inter-personali.

Troverai la spiegazione approfondita delle componenti principali dell’intelligenza emotiva in questa guida.

1. Respira bene

Il tuo cervello utilizza il 20% dell’ossigeno del nostro corpo. 

I respiri corti fanno sì che arrivi meno ossigeno al cervello e ci portano a essere meno attenti, a dimenticare più facilmente e a essere più tesi.

Senza il giusto apporto di ossigeno è più facile che si abbiano pensieri negativi e che ci si senta meno energici. 

Per questo ricordarsi di respirare bene è il primo fattore di supporto all’autocontrollo.

2. Compara le emozioni con la ragione 

Per capire esattamente cosa comporta affidarsi totalmente alle emozioni nel prendere decisioni fa una lista di situazioni che richiedono il tuo intervento e poi scrivi cosa faresti se seguissi le tue emozioni e se invece seguissi la ragione. 

Vedrai che spesso le il risvolto pratico di una scelta può cambiare drasticamente se consenti al buon senso di dire la sua. 

3. Scegli degli obiettivi e rendili pubblici

Una grandissima parte dell’autocontrollo è la motivazione. 

Capita non di rado che un giorno abbiamo la motivazione a fare qualcosa, come andare a correre tutte le mattine, e il giorno dopo l’abbiamo persa.

Per evitare questa eventualità può essere d’aiuto coinvolgere altre persone nei nostri piani. 

In questo modo anche se non ce la sentiamo di proseguire nell’intento di raggiungere l’obiettivo saremo motivati dalla voglia di non deludere le aspettative dell’altro. 

4. Conta fino a dieci 

Quando noti la frustrazione o la rabbia che montano fermati e prendi un bel respiro provando a contare fino a dieci. 

Vedrai che già dalle prime inspirazioni l’afflusso di ossigeno al cervello permetterà al centro razionale di recuperare a scapito del centro emotivo.

Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella ita ed essere più appagati

 5. Dormici sù 

Qualunque sia la decisione che ti crea stress puoi sempre regalarti quell’ora, giorno o settimana in più per pensarci sopra. 

Magari in quell’intervallo di tempo verrai a conoscenza di informazioni che ti aiuteranno a gestire meglio il caso e a prendere una decisione più sicura. 

O, semplicemente, distaccandoti un attimo dalle tribolazioni emotive del momento riuscirai a guadagnare una prospettiva più obiettiva e rilassata.

6. Rivolgiti a chi ha più autocontrollo di te 

Uno dei migliori modi di migliorare il proprio autocontrollo è parlare con chi già lo sa fare meglio di noi. 

Prendi spunto da chi sa gestire il proprio tempo e riesce a mantenere la calma in circostanze complicate. 

7. Dedica una parte della tua giornata alla riflessione 

Quando puoi concediti 15 minuti per rilassarti e riflettere su quello che sta accadendo nella tua vita, senza telefono, senza computer, senza musica o distrazioni varie. 

È un ottimo modo per evitare che le emozioni offuschino il tuo giudizio e le tue decisioni. 

8. Sorridi di più 

Sapevi che quando sorridi i muscoli del viso comunicano al cervello che sei felice? 

Dunque non sorridiamo solo quando siamo felici, ma possiamo anche diventare più felici quando sorridiamo. 

9. Non pensare troppo

Diverse ricerche suggeriscono che ognuno di noi ha in media 50,000 pensieri al giorno. 

Ogni volta che uno di questi pensieri viene prodotto rilascerà delle sostanze chimiche che si espanderanno dal cervello al resto del corpo. 

Ciò implica che c’è una relazione molto stretta tra quello che pensiamo e il modo in cui ci sentiamo, sia fisicamente che emotivamente. 

Molti di noi non sono minimamente consapevoli di quanto i propri pensieri guidino le emozioni giornalmente perché, nella maggior parte dei casi, crediamo che sia il nostro stato d’animo a dettare quello che pensiamo, quando in realtà è il contrario. 

Soprattutto quando parliamo a noi stessi con termini negativi, come quando ci sentiamo perseguitati dalla sfortuna, ci mettiamo i bastoni tra le ruote da soli, impedendo alla nostra creatività di trovare le giuste soluzioni ai nostri problemi. 

In definitiva, l’abitudine di essere pessimisti è la causa per cui molte persone non riescono a ottenere ciò che vogliono dalla vita.

Leggi anche: L’invidia e le sue insidie, 4 consigli per smettere di paragonarsi agli altri

10. Visualizza il tuo successo 

Come avevamo già detto parlando della legge dell’attrazione, il nostro cervello fatica a distinguere la realtà dall’immaginazione, cioè quello che vediamo con i nostri occhi da quello che vediamo con la mente. 

Al posto di sfruttare questa capacità immaginando scenari negativi è molto più producente fare l’opposto, immaginare uno scenario in cui siamo riusciti a realizzare qualcosa di significativo.

Così facendo le reazioni chimiche che si scateneranno nel cervello ci metteranno nello stato emotivo e psico-fisico adatto a far accadere sul serio ciò che volgiamo. 

11. Migliora la qualità del sonno 

Non è tanto un fattore di quante ore a notte dormi, ma di come dormi.

Dormire bene è fondamentale per avere una mente riposata e attenta, nonché per avere le giuste energie necessarie ad alimentare l’autocontrollo.

12. Dirigi la tua attenzione verso le potenzialità invece che verso le limitazioni

Ci sono molte cose su cui non abbiamo controllo e molte cose che siamo impossibilitati a fare per mancanza di risorse o capacità. 

Al posto di concentrarti su di queste pensa a quello che puoi fare, alle libertà che hai e che magari altri non hanno. 

Non crescerai mai rivolgendo lo sguardo a quello che ti manca, perché non farai altro che creare uno stato d’animo chiuso e depresso. 

Se vuoi andare avanti nella vita, se vuoi andare ovunque, dovrai per forza di cose partire dalla consapevolezza di avere le capacità adatte a costruire il tuo successo personale.

13. Sincronizzati 

Le emozioni creano spesso un filtro che limita il nostro coinvolgimento nella realtà che stiamo vivendo.

Quando stai facendo un lavoro sintonizzati con esso e non pensare a nient’altro, non lasciare che le emozioni ti distraggano e impediscano di portare a termine quello che devi fare. 

14. Parla con qualcuno che non è coinvolto nel tuo problema 

Se ti trovi in una situazione che provoca emozioni negative evita di parlarne con chi è direttamente coinvolto. 

Molto meglio avere un parere esterno e obiettivo, perché più la persona sarà lontana dal problema più potrà dare dei consigli che partono dal centro razionale e non da quello emotivo. 

15. Accetta la natura temporanea delle cose

Le persone cambiano, le circostanze cambiano e niente rimane lo stesso per sempre. 

Questo verità ti può aiutare in due modi: 

  • Ti consente di evitare lo shock o la delusione quando una situazione positiva cambia. 
  • Ti permette di sentirti meno oppresso quando ti trovi in circostanze negative perché saprai per certo che prima o poi dovranno cambiare. 

Approfondimenti su autocontrollo e test d’intelligenza emotiva

Ecco una serie di link utili per chi volesse continuare la lettura su autocontrollo e crescita personale:

Per valutare il tuo livello di autocontrollo vai al test dell’intelligenza emotiva.

3 libri per migliorare l’autocontrollo e l’intelligenza emotiva

1. Intelligenza Emotiva 2.0

intelligenza emotiva

Il 90% delle persone di maggior successo vanta un elevato QE (quoziente emotivo).

Per raggiungere i propri obiettivi nella vita, il QE è due volte più importante del quoziente intellettivo (QI).

I dottori Bradberry e Greaves offrono un programma graduale che permette di aumentare l’intelligenza emotiva e sviluppare appieno il proprio potenziale tramite quattro essenziali capacità: consapevolezza di sé, autocontrollo, coscienza sociale e gestione dei rapporti.

Formato Kindle

2. Kung-Fu e l’arte di stare calmi: I 7 principi Shaolin per l’autocontrollo

autocontrollo

Osservare e governare le emozioni proprie e degli altri: a questo vi porterà Bernhard Moestl con le strategie di pensiero che ha appreso direttamente dai monaci del monastero Shaolin, noti per la loro capacità di vincere senza combattere.

Condensandola in sette passi essenziali, Moestl mostra una via da seguire a quanti vorrebbero avere il controllo della propria vita, non essere dominati e manipolati da sentimenti come la paura, la frustrazione o la rabbia, raggiungere i propri obiettivi con equilibrio e chiarezza di pensiero.

In modo lucido, sereno e vincente, senza perdere la testa.

Formato Kindle €5,99

3. Autodisciplina quotidiana: Abitudini ed esercizi quotidiani per formare l’autodisciplina e raggiungere gli obiettivi

autocontrollo

Ovunque vi giriate, ci sono ostacoli a bloccarvi il cammino.

Avere successo non significa evitarli, significa affrontarli a testa alta e superarli.

Avete bisogno dell’autocontrollo e della forza di volontà per arrivare fino in fondo

Ogni pagina di questo libro è stata pensata per aiutarvi a costruire l’autodisciplina che porta alla resilienza e alla forza mentale di cui avete bisogno quotidianamente.

Semplici esercizi quotidiani e pratiche per creare abitudini vi insegneranno le abilità necessarie per superare gli ostacoli e avere fiducia in voi stessi e nel vostro cammino verso il successo.

Formato Kindle €4,58

1 commento su “Come migliorare l’autocontrollo e aumentare la propria intelligenza emotiva”

  1. Ciao,adoro il tuo blog,complimenti.
    Volevo solo fare un appunto su pensieri ed emozioni, anch’io la pensavo come te: le seconde subordinate ai primi, ma il mio terapeuta di cui ho grande stima dice che è il contrario.
    just to know and may be to have a gentle conversation XD Saluti!

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Trovare domande da fare a una ragazza che hai appena incontrato è tanto una questione di creatività quanto di schiettezza.

La natura e durata della conversazione dipenderà in gran parte dalla circostanza in cui vi trovate, da chi ti trovi davanti e dall’eventuale assenza di distrazioni e impegni.

Ci sono un miliardo di possibili domande da chiedere, ma ho deciso di provare a rendere tutto il più semplice possibile con una lista graduale che parte dal primo scambio di battute superficiali fino a domande più intime.

Nota: seppur vengono presentate come domande da fare a una ragazza si tratta di domande “unisex” che possono essere fatte anche a un ragazzo.

Domande da fare a una ragazza per rompere il ghiaccio 

Se ti trovi a una festa privata e vuoi iniziare una conversazione con una persona di potenziale interesse inizia con delle domande che siano attinenti alla situazione in cui vi trovate e alle persone che vi stanno intorno. 

1. Cosa ne pensi della festa?
2. Come conosci (nome di chi ha dato la festa)
3. Ti stai divertendo?
4. Serata perfetta per una festa. Non credi?

 Se si tratta di un bar vale lo stesso principio: 

5. Che ne pensi di questo posto? 
6. Venite spesso qui? 
7. Che programmi avete per la serata?

(nota: se parli al plurale e ti rivolgi al suo gruppo di amici più che a lei da sola la farai sentire meno sotto osservazione)

Un altro approccio sarebbe quello di fare un commento positivo e poi una domanda, per esempio: 

8. Mi piace molto la tua maglietta. Dove l’hai presa? 
9. Bello questo pezzo. Chi lo canta?
10. Perdona la schiettezza ma sembri davvero simpatica, come ti chiami?

Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona

Domande da fare a una ragazza per mantenere viva la conversazione

Adesso che hai rotto il ghiaccio devi fare in modo di mantenere viva la conversazione.

Ricorda di ascoltare cosa ti dice e trovare le giuste domande da fare, cioè quelle che partono da qualcosa che ti ha detto e non dalla voglia di fare colpo a tutti i costi. 

Un buon metodo è prendere spunto da una sua risposta per poi provare a dirigere la conversazione sui suoi interessi: 

11. Cosa ti piace fare nel tempo libero?
12. Cosa faresti se non fossi qui in questo momento? 
13. Ti piace la musica? Se fossi bloccata in ascensore con un solo pezzo da ascoltare quale sarebbe? 
14. Preferisci leggere o guardare film? 
15. Qual è l’ultimo film che hai letto/film che hai visto? Perché (non) ti è piaciuto?  
16. Qual’è la tua serie TV preferita? 
17. Ti piacciono i cani/gatti? Ne hai (mai avuto) uno?
18. Ti piace andare in palestra/fare sport?

Domande da fare sui viaggi 

Un ottimo argomento da prendere con persone che abbiamo appena conosciuto è quello dei viaggi

Si tratta di un argomento positivo che mette chiunque a proprio agio e ti consente di comprendere meglio la loro personalità.

19. Hai dei programmi per le vacanze quest’estate/natale? 
20. Preferisci mare o montagna?
21. Con chi ti piace andare in vacanza? 
22. Sei mai stata fuori dall’Italia? Dove di preciso? 
23. Qual è la destinazione turistica dei tuoi sogni? 
24. Qual è stata la tua vacanza preferita? 
25. Che tipo di turista sei, da visite guidate o avventure fai-da-te? 
26. Come ti piace viaggiare: treno, aereo o macchina? 
27. Se potessi vivere ovunque per un anno dove vivresti? 

Domande da fare a una ragazza sulla vita privata

Se vedi che la conversazione procede bene e ti senti più rilassato passa pure a domande sull’infanzia, la scuola, il lavoro e la vita privata in generale: 

28. Dove sei cresciuta? 
29. Hai fratelli/sorelle? 
30. Che lavoro/scuola fai? Ti piace?
31. Come sei arrivata a decidere di farlo?  
32. Cosa volevi fare quando eri piccola? 
33. Qual era il tuo cartone animato/gioco preferito?
34. Sei mattiniera o ti piace dormire?
35. Sei mai stata bocciata a un esame? Quale?
36. Ti piace fare esperienze nuove? Di che tipo?
37. Dove ti vedi tra 5 anni?
38. Qual è stato il lavoro peggiore che hai mai fatto? Perché? 
39. Qual è la cosa più bella che ti è capitata quest’anno?

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre

Domande da fare a una ragazza sulle relazioni 

Un ottimo modo per conoscere meglio una persona è fare domande sulle relazioni e storie passate. 

Presta attenzione a eventuali segnali di imbarazzo e se capisci che non vuole parlare di una storia finita male non pressare.

40. Hai mai avuto una storia importante
41. Quanto è durata? Perché è finita?
42. Cosa ne pensi delle relazioni a distanza? Sei mai stata in una? 
43. Quali sono le caratteristiche principali di un tuo potenziale partner
44. Cosa ti attira in un ragazzo? 
45. Hai mai provato un amore non corrisposto
46. Quali atteggiamenti ti fanno allontanare da una persona? 
47. Come preferisci comunicare? Messaggi o chiamate?
48. Quanto spesso ci si dovrebbe tenere in contatto in una relazione secondo te?
49. Hai mai smesso di farti sentire con qualcuno senza spiegazione? Perché? 
50. Quando è stata la tua prima storia? 
51. Cosa pensi sia peggio lasciare o essere lasciati
52. Quali sono le lezioni più importanti che hai imparato dalle tue relazioni passate? 
53. Quali sono le tre cose essenziali che un ragazzo dovrebbe sapere su di te?
54. Cos’è per te l’amore vero?
55. Qual è stata la relazione più strana che tu abbia mai avuto?
56. Come ti comporti durante una lite quando qualcuno di fa arrabbiare?
57. Cos’è meglio ascoltare la mente o il cuore?

domande da fare a una ragazza

Leggi anche: 10 modi per affrontare e superare il senso di colpa nelle relazioni

Domande strane da fare a una ragazza

58. Quale emoticon usi più spesso?
59. Se potessi cambiare il tuo nome come ti chiameresti?
60. Se dovessero fare un film su di te che tipo di personaggio saresti?
61. Se potessi comunicare con te stessa a 18 anni quale consiglio le daresti?
62. Hai mai baciato una ragazza?
63. Ti capita mai di parlare da sola?
64. Quale parolaccia dici più spesso?
65. Sai fare torte?
66. Qual è la tua verdura preferita?
67. Piangi mai durante un film?
68. Quali poster erano appesi nella tua stanza nel periodo della scuola?
69. Hai mai rubato?
70. Cosa credi sia più semplice essere un ragazzo o una ragazza?
71. Qual è la cosa più strana che hai in borsa in questo momento?
72. Riusciresti a sopravvivere nella giungla? Come?
73. Quale app usi più spesso?
74. Credi nella legge dell’attrazione?
75. Qual è la cosa più strana che hai mai comprato online?

Leggi anche: Amori romantici e cinema, quello che i film non ti dicono sull’amore

4 consigli per rendere la conversazione più gradevole 

Durante le prime conversazioni non sappiamo ancora molto su di lei e non possiamo limitarci a ripetere una lista di domande per suscitare il suo interesse.

La spontaneità è sempre la parola chiave e con essa serve anche la sensibilità di capire quando approfondire un discorso o cambiarlo.

Ecco dunque 4 consigli per rendere la conversazione più gradevole:

1. Ascolta attentamente e commenta

Quando prendete un discorso che ti appassiona o quando hai qualcosa da dire evita di interrompere e aspetta che lei finisca di parlare. 

Commenta quello che dice con frasi del tipo: 

  • Capisco perfettamente cosa intendi;
  • Anch’io ci sono passato;
  • Mi rivedo molto in quello che dici;
  • So cosa vuol dire.

In tal modo, susciterai la sua curiosità e la spingerai a chiederti di condividere la tua esperienza.

2. Evita di parlare di argomenti sensibili

In generale è meglio evitare di parlare di certi argomenti quando si incontra una persona nuova.

Non parlare di denaro, non chiederle quanto guadagna o quanto paga d’affitto. 

Soprattutto se siete di due culture diverse sta lontano da politica, sesso e religione (a meno che non sia lei a prendere il discorso e sembri aperta ad affrontarlo).

3. Presta attenzione a segni di interesse/disinteresse 

Una triste ma obiettiva verità di tutti i primi incontri è che è facilissimo scambiare la cortesia per interesse. 

Per quanto una conversazione possa essere piacevole c’è sempre la possibilità che si tratti soltanto di scambi amichevoli. 

Presta attenzione ai segnali che comunicano interesse o mancanza di interesse. 

  • Se mentre parlate si guarda intorno per cercare i suoi amici o se si allontana con la scusa andare in bagno forse vuol dire che è già in una relazione e non vuole continuare la conversazione. 
  • Di contro, se ti fa molte domande, ride alle tue battute e tiene l’attenzione fissa su di te può voler dire che è interessata. 

Osserva il suo atteggiamento prima di chiederle di uscire o darti il numero di telefono. 

4. Sorridi

Per concludere, potrai anche fare le domande più interessanti di questo mondo ma alla fine l’unica cosa che conta è che tu ti diverta.

Non soltanto le ragazze ma la gente in generale è attratta da chi si sente apposto con sé stesso ed emana energia positiva.

Quindi il mio ultimo consiglio per parlare a una ragazza che hai appena incontrato è… sorridi.

Conoscere persone nuove è una delle cose più piacevoli nella vita, non renderla una prova da superare, non metterci troppe aspettative.

Prendila così come viene e se non va come speri non prenderla sul personale: ricorda che ci sono persone là fuori che non aspettano altro che incontrare qualcuno come te e rispondere alle tue domande.

LIBRO: Creare una conversazione interessante con chiunque

Vademecum pratico per affrontare una conversazione con persone conosciute e non, risultare interessanti e brillanti col capo o fare nuove amicizie.

Saranno trattati tre macro-argomenti: 

1.Come iniziare una conversazione mancando di argomenti;
2.Come prendere parte a una conversazione;
3.Come rendere interessante una conversazione.

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Liberarsi dal senso di colpa, soprattutto se patologico, è un obiettivo che richiede un minimo di consapevolezza e lavoro su di sé.

Se la colpa che sentiamo è sganciata da sbagli obiettivi potrebbe essere il frutto di un conflitto interiore e di un rapporto di disistima nei confronti di sé stessi.

Prima di vedere cosa possiamo fare per superarlo dobbiamo allora capire l’origine del senso di colpa e imparare a distinguerlo da emozioni simili… come la vergogna.

Senso di colpa e vergogna: la differenza

Non è detto che ogni volta che commettiamo un errore dobbiamo vergognarci di noi stessi, così come non è detto che il senso di colpa ci debba portare a disfare il buono che c’è in noi.

Il sentirsi in colpa è attribuibile a singole azioni, mentre la vergogna è un sentimento che riguarda l’intera personalità.

In genere ci vergogniamo di noi stessi perché non sentiamo di avere le qualità che desidereremmo avere o non abbiamo imparato ad apprezzare quello che siamo veramente.

Il senso di colpa sarebbe qui una conseguenza del nostro conflitto interiore, ma non la causa.

In generale, dunque, si può provare senso di colpa senza vergogna ma difficilmente si prova vergogna senza senso di colpa.

Leggi anche: L’invidia e le sue insidie: 4 consigli per smettere di paragonarsi agli altri

Il senso di colpa nelle relazioni

Prima di chiederci come possiamo liberarci dal senso di colpa dobbiamo chiederci se questo sia legato al nostro comportamento in una relazione specifica oppure generato dalla vergogna nei confronti di noi stessi.

In quest’ultimo caso non basterebbe provare a rimediare un torto, ma ci sarebbe bisogno di un lavoro di scoperta personale più intenso (possibilmente fatto con l’ausilio di terapia o life coaching).

Se invece si tratta di un senso di colpa legato a una relazione specifica possiamo iniziare a superarlo comprendendo meglio la natura della relazione stessa.

Senso di colpa verso i genitori

Lo dice anche la Bibbia, i genitori vanno amati e onorati perché (nella maggior parte dei casi) ci hanno messi al mondo e dato ciò che ci serve per sopravvivere.

Il problema è però che non è sempre facile amare i propri genitori, soprattutto quando le loro azioni compromettono il nostro benessere.

Anche se da piccoli tendiamo a vederli come supereroi, la cruda verità è che i genitori sbagliano, come chiunque altro.

Sarebbe contro-produttivo pensare di poter essere in debito con loro tutta la vita o di dover sacrificare sé stessi per assecondare le loro aspettative.

Se un genitore ci fa sentire in colpa o, peggio ancora, fa dei ricatti emotivi per tenerci vicino a discapito del nostro benessere, non sta pensando a noi ma sta pensando a sé stesso.

Per liberarsi dal senso di colpa nei confronti dei genitori dobbiamo allora capire che il vero modo di onorarli è scoprire il senso della nostra vita, cioè la stessa vita che ci hanno regalato.

In altre parole, imparare ad amare e onorare noi stessi per poter meglio amare e onorare loro.

Senso di colpa verso i figli

Il naturale risvolto del senso di colpa verso i genitori è il senso di colpa verso i figli.

Come già detto ci si aspetta che un genitore sia perfetto e che sia in grado di dare a un figlio tutto ciò di cui ha bisogno.

Beh, non è sempre quello che accade.

Capita spesso di essere troppo severi o troppo indulgenti, o che un figlio si ritrovi a pagare il prezzo di approcci educativi sbagliati in età adulta.

Non serve a nulla piangerci sopra.

Affrontare il senso di colpa nei confronti dei figli inizia dalla consapevolezza anche gli errori servono a farli crescere.

Per amare veramente un figlio bisogna lasciarlo libero di capire cosa fare della sua vita e avere fiducia che sarà in grado di riconoscere, accettare e trarre una lezione dagli errori dei suoi genitori.

Senso di colpa verso il partner

A differenza dei genitori e dei figli il partner è qualcuno che scegliamo in età adulta e con cui (si spera) si dovrebbe passare il resto della vita.

Ciò vuol dire che il livello di impegno nel costruire una relazione sana è maggiore visto che una condotta sbagliata potrebbe portare alla fine del rapporto.

Il miglior modo di superare il senso di colpa nei confronti del partner è il lavoro su sé stessi mirato a incrementare il rispetto dell’altro.

Succede in ogni relazione di dire o fare cose che fanno soffrire il nostro partner e anche nei casi più estremi come il tradimento non esistono vie d’uscita facili.

Il vero problema sarebbe se non ci si sentisse affatto in colpa.

Nelle relazioni amorose il senso di colpa può aiutare a far evolvere la relazione se viene usato come pretesto per agire diversamente.

Per essere efficace va però comunicato apertamente, con le parole e con le azioni.

Se viene negato, cioè se non vuoi ammettere di avere una colpa e scarichi la responsabilità sul partner, rischierai di compromettere definitivamente la relazione.

Dare la colpa agli altri

Dare sempre la colpa agli altri è tanto lesivo quanto dare sempre la colpa a sé stessi.

Non possiamo aspettarci che gli altri si comportino in linea con quello che ci aspettiamo da loro, perché ognuno ha la sua natura, e alla lunga agiamo in base a quello che siamo non in base a quello che vogliono gli altri.

Come dimostra la storia dello scorpione e della rana, lo sbaglio non sta nelle azioni di chi ci delude, ma nel porre aspettative sbagliate sulle persone sbagliate.

La storia dello scorpione e della rana

Uno scorpione deve raggiungere l’altra sponda di uno stagno e chiede a una rana di accompagnarlo.

“Ma sei sicuro che non mi pungerai?” chiede la rana?

“Certo, hai la mia parola” risponde lo scorpione.

Quando i due sono arrivati a metà strada la rana sente un forte dolore alla schiena e mentre stanno annegando chiede allo scorpione, “avevi promesso di non farlo”.

Al che lo scorpione risponde, “non posso farci nulla, è la mia natura”.

10 consigli per liberarsi dal senso di colpa

Siamo arrivati al momento dei consigli pratici.

A prescindere dal tipo di relazione in cui si manifesti, il senso di colpa può essere superato con impegno e azioni concrete.

Eccone 10 da cui trarre spunto.

1. Sii diretto e chiedi più informazioni

Se ti senti in colpa perché non passi abbastanza tempo con i tuoi cari chiedi loro se si sentono allo stesso modo.

Può darsi che sia solo una tua impressione e che in realtà non hai nessuna colpa.

Considera se gli altri ti biasimano o meno per il tuo comportamento e se lo fanno chiediti se hanno ragione nel farlo.

Se concludi che il senso di colpa è ben fondato trova la soluzione che rispetti i bisogni di tutti.

2. Chiedi scusa… nel modo giusto

Ammettere di aver sbagliato è tutt’altro che un segno di debolezza ma il contrario: dimostra maturità, intelligenza emotiva e forza d’animo.

Prima che sia troppo tardi chiedi scusa e cambia il tuo comportamento, se possibile evitando di rimuginare troppo sul rimorso.

Ricorda inoltre che ci sono modi e modi di chiedere scusa.

Una cosa è ottenere perdono per un commento poco appropriato, un’altra il perdono per anni di assenza in famiglia. Calibra dunque il tuo impegno sulla base della gravità dell’azione per cui ti senti in colpa.

3. Accetta che hai fatto qualcosa di sbagliato e lasciatelo alle spalle

Se hai sbagliato in qualche modo non dovrai soltanto fare ammenda ma anche accettare che non puoi cambiare il passato.

Quindi una volta che hai trovato il modo giusto di chiedere scusa, assicurati di aver chiuso la questione anche con te stesso e lasciala andare.

A volte più ci si concentra sulla convinzione di essere colpevoli e più si commettono azioni che interferiscono con il benessere della relazione.

Fare troppo per superare il senso di colpa è tanto sbagliato quanto non fare nulla.

4. Impara dagli errori

Immagina questa situazione.

Ti sei reso conto che il tuo comportamento ha fatto soffrire una persona che ami, avete avuto una lite di coppia e dopo infinite discussioni hai finalmente riconosciuto le tue responsabilità.

Implori il tuo partner di perdonarti e prometti che non lo farai più.

Ma passano appena due settimane che l’abitudine ti porta a ripetere gli stessi atteggiamenti di prima.

A cosa è servita la lite? A cosa è servito chiedere scusa?

Il miglior modo di liberarsi dal senso di colpa è emanciparsi dalla parte di noi che ci conduce all’errore, migliorarsi, diventare grandi.

Ricorda che il senso di colpa nasce da una contrapposizione di valori.

Non puoi cambiare il tuo passato ma se c’è una cosa che puoi fare è cambiare le tue azioni per adattarle a valori più autentici.

5. Apprezza quello che sei e fai

Solo dopo aver fatto l’esame di coscienza e riparato eventuali torti è il caso di ricostruire la propria fiducia in sé stessi e imparare ad apprezzarsi.

Puoi scegliere di scrivere un diario personale dove scrivi quello per cui sei grato, fare meditazione o yoga, riprendere una vecchia amicizia.

Non importa cosa fai, basta che trovi il modo di ritrovarti e riconoscere il buono e il bello che hai dentro.

come liberarsi dal senso di colpa

5. Pensa a quello che faresti se fossi nei panni dell’altro

Se qualcuno si fosse comportato con te come tu ti sei comportato con loro cosa faresti?

Avresti la stessa reazione? Ti giudicheresti allo stesso modo?

Certe volte è facile essere comprensivi nei confronti degli altri ma non lo è tanto esserlo con sé stessi.

Altre volte siamo indulgenti con noi stessi ma non con gli altri.

In entrambi i casi, immaginare un’altra prospettiva ha i suoi benefici: può servire a riconoscere meglio le nostre colpe o a provare più empatia per noi stessi.

6. Tieni a bada gli estremismi

Nel sentirsi in colpa capita anche di vedere tutto in bianco e nero e ingigantire l’importanza dei propri errori.

È molto difficile però che nella realtà la responsabilità stia tutta da una parte ed è quasi impossibile che uno sbaglio con un figlio/partner ci renda pessimi genitori/compagni.

Tra il bianco e il nero esiste il grigio, tra due verità estreme esistono verità di mezzo.

Prova a giudicare il tuo comportamento nel contesto e valutare tutti i fattori che ti hanno portato a comportati in un determinato modo: probabilmente scoprirai che non è tutta colpa tua.

7. Accetta che va bene dare la priorità ai tuoi bisogni

Alcuni di noi sono dei pacificatori, forse perché abituati a soccombere davanti alle esigenze altrui o cresciuti in famiglie dove non sono mai stati veramente accuditi.

Se ti riconosci in questo scenario è probabile che il tuo senso di colpa sia il frutto della tua incapacità di dare priorità a te stesso rispetto all’altro.

Non c’è nulla di male nel farlo. Ma è un illusione pensare che dedicarsi interamente agli altri sia un cosa totalmente positiva.

Prendersi cura degli altri senza prendersi cura di sé stessi è in sé un atto egoista, che serve a colmare un vuoto interiore, e non un atto di vero altruismo.

L’altruismo vero presuppone una dose di sano egoismo, che include la capacità di capire quando il rispetto per il proprio benessere deve avere la precedenza sul benessere altrui, e viceversa.

come liberarsi dal senso di colpa

8. Tieni lontano i colpevolizzatori

Se sei in una relazione con una persona narcisista il tuo partner potrebbe convincerti che sei una persona egoista quando in realtà lo fa per scaricare su di te le sue responsabilità.

Chiediti se valga la pena sentirsi in colpa per una persona del genere, se il tuo senso di colpa non sia in realtà una forma di rancore per il fatto di essere vittima di un colpevolizzatore.

Puoi leggere questo articolo per imparare come riconoscerne uno.

9. Rinuncia alla perfezione

La perfezione non esiste, in nessuno.

Anche le persone che hanno delle vite e delle condotte apparentemente perfette sono vulnerabili ai sensi di colpa.

Puntare alla perfezione è il segreto per rimanere delusi.

Siamo degli esseri umani, dopo tutto. Prima lo riconosciamo e prima possiamo accettare l’imperfezione che fa parte della nostra natura.

Non perdere tempo a darti contro perché non hai raggiunto abbastanza o fatto abbastanza.

Quella che tu vedi come sfortuna, ingiustizia o colpa è semplicemente la “vita”, e a volte è amara e ingiusta e dolorosa, per noi come per chiunque altro.

come liberarsi dal senso di colpa

10. Rispetta la libertà delle persone

C’è un ultimo consiglio che serve a combattere il senso di colpa in ogni tipo di relazione.

Si tratta di una verità universale, una regola d’oro che si basa su un aspetto fondamentale della natura umana: la libertà di scelta.

Riconoscere la libertà altrui è fondamentale perché per quanto possiamo chiedere scusa o provare a riparare quello che abbiamo fatto, alla fine della giornata non starà a noi decidere per loro.

Ciò implica due cose:

  • non possiamo pretendere il perdono;
  • non possiamo pretendere che qualcuno si senta in colpa per qualcosa che noi riteniamo essere sbagliato.

Quindi non ti resta che questo da fare: fa del tuo meglio per comportati secondo i tuoi standard di moralità, se sbagli accetta il fatto che sei umano e assumiti le tue responsabilità.

Se dovessi perdere una persona cara a causa del tuo comportamento sarà una cosa tremenda (ci sono passato) ma non sarà la fine del mondo.

Accetta la loro decisione e ricordati quanto detto prima, quello che fanno gli altri è in primis per sé stessi, non per noi.

Prima lo capisci e prima potrai perdonarti e andare avanti.

LIBRO: Debellare il senso di colpa

senso di colpa

La paura più grande di un essere umano, insieme a quella della morte, è di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità.

Non è quasi mai vero che gli altri si occupino così tanto di noi; lo fanno solo occasionalmente e di sfuggita.

Quando si prova questa sensazione vuol dire che agiscono ricordi emotivi di ferite che la nostra autostima ha subito durante l’infanzia. 

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Il senso di colpa è quella sensazione dolorosa che ti fa sentire di aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver offeso o arrecato un danno a te stesso o agli altri.. anche quando non hai fatto nulla di male.

Parte da un eccessivo senso di responsabilità ma, allo stesso tempo, da un’eccessiva tendenza al rimuginare

Chi si sente spesso in colpa pensa troppo insomma, ripete nella mente i ricordi del passato, incluse le discussioni, le scelte e i fallimenti, e si giudica per quello che ha fatto o non fatto. 

Da dove origina il senso di colpa

Il senso di colpa non è qualcosa con cui nasciamo, è una reazione che impariamo dai nostri genitori intorno ai 4/6 anni e che serve a demarcare la linea di separazione tra giusto e sbagliato.

Quando siamo piccoli veniamo rimproverati se diciamo una parolaccia o se non andiamo bene a scuola.

Il disappunto di mamma e papà ha l’effetto di farci sentire in colpa ed evitare di comportarci in un modo che sia contrastante con i loro valori.

Man mano che andiamo crescendo iniziamo a rimpiazzare i valori impartiti dalla famiglia con i nostri, ma capita lo stesso di continuare a portare con sé il “ricordo” di ciò che non si dovrebbe fare dall’infanzia.

Quello che può capitare è allora che il senso di colpa continui ad agire anche quando non ha più un motivo di esistere, quando non serve tanto a capire cosa è giusto o sbagliato ma a renderci incapaci di vivere esperienze utili che, seppur innocue, non sono in linea con l’educazione ricevuta.

Storia di un ex-dipendente da senso di colpa

Dal liceo fino ai trent’anni avevo l’abitudine di assumermi le colpe di tutto quello che mi accadeva e delle reazioni di chi mi stava intorno.

Mi sentivo in colpa se balbettavo, se dicevo una parola sbagliata, se spendevo troppo, mangiavo troppo, se non passavo abbastanza tempo a casa, se mi concedevo una vacanza, se facevo una battuta che non faceva ridere, se non prendevo un buon voto a scuola.

Tendevo a prendere quasi tutto sul personale, e se qualcuno non rispondeva a un messaggio o a una chiamata, pensavo subito che fosse per qualcosa che avevo fatto io.

Non lo avevo capito ai tempi, ma questo era anche il mio modo di sentirmi importante, di illudermi di avere un impatto, seppur negativo, sulle persone.

Senso di colpa sintomi a livello fisico ed emotivo

A livello emotivo convivere con il senso di colpa è un po’ come avere un critico sul groppone che ti punta il dito contro tutto il tempo, uno che giudica ogni tuo singolo gesto, persino ogni tuo singolo pensiero.

Nei casi più esagerati il senso di colpa provoca così un’alterazione dello stato emotivo che si traduce in battito cardiaco aumentato, respiro corto e tensione muscolare.

È un po’ come essere dei fuggiaschi, ricercati dalla polizia: la notte si sognano inseguimenti e si sente il terrore della cattura imminente.

Poi ci si sveglia e si vive la giornata con un peso di piombo sullo stomaco, la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e l’incapacità di individuare esattamente cosa.

Leggi anche: Impara a vivere Zen con la Mindfulness

Chi sono le persone più suscettibili a sentirsi in colpa

Per moltissimi anni ho creduto che il mio senso di colpa mi rendesse speciale, che fosse una mia prerogativa l’essere responsabile per la tristezza, la felicità e persino le azioni degli altri.

Poi ho capito che non ero per niente solo e che il senso di colpa è uno stato d’animo molto comune a molte persone, sia per un fatto predisposizione caratteriale che come il risultato di traumi/eventi negativi.

In particolare, le persone più inclini a sentirsi in colpa sono:

Le donne 

Diversi studi hanno riscontrato che le donne si sentono più in colpa, sia perché tendono a rimuginare di più rispetto agli uomini sia perché, storicamente, vengono educate alla gentilezza e alla disponibilità.

In molte famiglie sono le donne ad avere più responsabilità e non riuscire a fare tutto può a volte essere un peso per loro.

Le persone molto oneste

Chi non ha un forte senso di onestà tende a non pensarci due volte prima di commettere un atto ingiusto.

Di contro, chi ha una personalità rispettosa e onesta presta più attenzione alla natura giusta o sbagliata della propria condotta di vita. 

Le persone religiose

Seppur l’appartenenza a una religione non è di per sé un fattore decisivo, il senso di religiosità interna lo è.

Per questo, coloro che si affidano a principi religiosi per dirigere il loro approccio alla vita hanno più probabilità di sentirsi in colpa quando i loro impulsi li allontanano dai precetti religiosi. 

Le persone segretamente narcisiste

Non è un collegamento ovvio, eppure il sentirsi in colpa è connesso con il narcisismo e la volontà di sentirsi al centro del mondo.

Così come ci si può vantare per quello che va bene anche quando non si ha nessun merito, si può reclamare la colpa di quello che va male anche quando non si ha nessuna responsabilità. 

Chi ha avuto genitori/partner molto severi 

Un’educazione eccessivamente rigorosa può portare i bambini a interiorizzare il disappunto della propria madre o del proprio padre, finendo per giudicare se stessi per le più piccole e normali trasgressioni. 

Similmente, una relazione tossica incentrata sulla manipolazione e il controllo attraverso il senso di colpa può avere lo stesso effetto.

Chi soffre di depressione 

Il rapporto tra senso di colpa e depressione è di causalità reciproca, nel senso che uno può originare dall’altro e viceversa.

La persona depressa di solito ha uno scarso senso del proprio valore e si sente in colpa per non essere in grado di essere migliore e di fare meglio. 

Chi ha subito traumi

Un possibile effetto collaterale del disturbo da stress post traumatico è che ci si sente in colpa per essere sopravvissuti a un evento tragico e per aver avuto una sorte migliore di altri. 

8 conseguenze pratiche del senso di colpa

Come raccontavo prima, convivere con il senso di colpa compromette la serenità quotidiana in modo non indifferente.

Ci sono però altre conseguenze pratiche per coloro che hanno il giudizio facile, alcune positive, altre negative:

  1. Il senso di colpa rende eccessivamente responsabili, forza a fare troppo per accomodare le esigenze di tutti e porta a provare a risolvere problemi che non sta a noi risolvere.
  2. Rende troppo coscienziosi. Ogni azione viene scrupolosamente valutata per far sì che non abbia conseguenze negative sugli altri. Cosa che può provocare ansia. 
  3. Fa diventare permalosi e iper-sensibili. Potrebbe capitare di fare una questione morale e personale di ogni evento, anche il più piccolo, e diventare ossessionati con il controllare le proprie azioni, parole e decisioni. 
  4. Porta a essere troppo insicuri e bisognosi della considerazione/rassicurazione altrui (dei tratti distintivi dell’enneatipo 2).  
  5. Immobilizza. Si può diventare talmente sovraccaricati dalla paura di sbagliare che all fine si getta la spugna e si sceglie l’inattività, il silenzio, lo status quo. 
  6. Interferisce con le decisioni. Chi si sente in colpa vuole avere ragione a tutti costi, per questo se teme di sentirsi in colpa potrebbe scegliere solo strade facili e poco soddisfacenti.
  7. Offusca le altre emozioni. Il senso di colpa può arrivare a monopolizzare il tuo stato mentale ed emotivo e impedirti di provare altro, di apprezzare quello che di positivo c’è intorno. 
  8. Può essere un fattore di motivazione al cambiamento. La scomodità interiore che si prova a causa del senso di colpa può infine essere utilizzato come barometro della propria soddisfazione con la propria vita e le proprie scelte.
senso di colpa

Leggi anche: L’invidia e le sue insidie: 4 consigli per smettere di paragonarsi agli altri

Aspetti positivi del senso di colpa

Il senso di colpa può essere sia una emozione sana che una emozione non-sana. 

La parte sana del senso di colpa ti motiva a vivere in accordo con valori autentici che, a loro volta, possono migliorare le relazioni con gli altri. 

Una persona che pensa alle conseguenze delle proprie azioni sarà più incline al rispetto e maggiormente in grado di fare la cosa giusta. 

Il senso di colpa diventa qui un fattore di autocontrollo e autogestione del comportamento, strettamente correlato al senso civico e al riconoscimento dei bisogni altrui.

Leggi anche: La solitudine oggi, da dove nasce, cosa comporta e come si può combattere

Il senso di colpa patologico

Il senso di colpa patologico, invece, va oltre ciò che è obiettivamente sbagliato: compromette la qualità della vita, tormenta anche quando non hai fatto nulla di male, non tollera gli errori e si aspetta troppo da te e dagli altri.

È una reazione sproporzionata e scomoda che può emergere a causa di diversi motivi

  • Una contrapposizione tra valori culturali e individuali: per esempio, chi cresce in una comunità molto conservatrice può avere dei sensi di colpa laddove si trasferisca in una cultura con un atteggiamento sociale più permissivo nei confronti di sesso e libertà individuali.
  • Aspettative irrealistiche nei confronti di se stessi: nessuno è perfetto. Se ti aspetti di non aver mai un pensiero cattivo o di non dire mai una parola sbagliata creerai i presupposti più favorevoli all’emergere del senso di colpa.
  • Tenersi dentro segreti: a volte facciamo cose di cui non andiamo molto fieri. Se poi le teniamo per noi e continuiamo a rimuginarci sopra, il senso di colpa che ne deriva potrebbe ingigantirne la portata e diventare eccessivo.

In questi casi il senso di colpa non ha più la funzione di fattore motivante al cambiamento in positivo.

Esso si sgancia dal reale peso delle azioni e finisce per diventare una bestia autonoma che tiene imprigionati senza possibilità di redenzione.

Frasi che provocano un senso di colpa patologico

Purtroppo molte relazioni affettive, sia familiari che sentimentali, si basano sul senso di colpa. 

Nella pratica ciò vuol dire che uno dei due, “il colpevolizzatore“, utilizza il senso di colpa per far pagare all’altro il prezzo di appartenenza alla relazione e, nei peggiori casi, per manipolarlo e controllarlo. 

I motivi per cui si possa voler fare una cosa del genere sono molti ma in generale diciamo solo che è più semplice spostare la colpa su qualcun altro piuttosto che guardare dentro sé stessi.  

Ecco quali sono alcune frasi comuni ai colpevolizzatori: 

  • Lo faccio per te/lavoro per te/mi sacrifico per te: frasi spesso utilizzate a fin di bene da genitori o partner, che hanno però la sfortunata conseguenza di castrare le ambizioni/esigenze personali e instillare un falso senso di devozione e gratitudine. 
  • Mi lasci da sola: come dicono alcune madri a figli che vorrebbero andar via per farsi una vita propria, mirata a imporre la propria importanza e alimentare un attaccamento malsano. 
  • Dovresti essere grato per quello che hai, c’è chi non se lo sogna nemmeno”: frase che può essere detta da un genitore come da un datore di lavoro a un impiegato che pensa di andarsene. È la classica tecnica del puntare agli sfortunati per far sentire in colpa per la propria fortuna e forzare a compromettere i propri desideri. 
  • Dio/Gesù bambino piange quando fai/dici queste cose” : avvertimento usato dai più credenti, che finisce per creare la paura del giudizio divino e impedire di scoprire come soddisfare e conoscere la propria individualità/sessualità.
  • “La vita è fatta di sacrifici”: Una frase che io stesso ho sentito spesso, ti fa credere che sbagli a desiderare di fare un lavoro che ami o di vivere in un posto che ami. Invece, ti fa sentire in colpa per non essere disposto a fare un lavoro che odi e sacrificare tutto per la devozione al posto fisso.
  • “Dovresti ringraziarmi/essere felice di avermi”: l’atteggiamento dei mendicanti di riconoscimento, di chi fa le cose non per genuino interesse nell’altro, ma per l’esigenza egoista di sentirsi apprezzati. 

Come riconoscere un colpevolizzatore

Il colpevolizzatore è una persone che dissemina colpe ovunque vada, ed è dunque particolarmente importante poterlo riconoscere sia negli altri che, soprattutto, in sé stessi.

I tratti più comuni di un colpevolizzatore sono:

  1. Si lamenta spesso;
  2. Trova sempre l’imperfezione, l’errore in ogni cosa;
  3. Usa spesso parole come “dovrebbero fare o dovresti fare”;
  4. Non si assume mai le responsabilità ma dà la colpa agli altri;
  5. Dà agli altri la responsabilità delle sue emozioni dicendo cose del tipo “mi fai sentire…”;
  6. Prova indignazione facilmente;
  7. Denigra quello che c’è in favore di quello che hanno gli altri (pensa che l’erba del vicino sia sempre più verde);
  8. Ostenta la sua (ipotetica) perfezione e integrità morale per far sentire gli altri in difetto.

Il primo step per superare il senso di colpa patologico

Il primo step per superare il senso di colpa patologico è capire una verità fondamentale e molto utile alla felicità.

Gli errori sono nostri amici e hanno una funzione educativa e di crescita personale.

Come dice il detto, sbagliare è umano. È perseverare nella convinzione di poter e dover essere perfetti che è completamente controproducente.

Accetta dunque questo fatto: sbaglierai di certo nella tua vita.

Se sarai fortunato, avrai la possibilità di imparare dallo sbaglio e fare meglio la volta dopo.

Se sarai sfortunato, potresti non avere una seconda opportunità, ma avrai comunque imparato qualcosa.

L’unica eventualità in cui sbaglieresti sul serio è se ti illudi di poter eliminare completamente gli errori e fare solo scelte giuste.

Quella sarebbe la vera colpa.

LIBRO: Debellare il senso di colpa

Una delle paure più grandi di un essere umano è di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità.

Quando si prova questa sensazione vuol dire che agiscono ricordi emotivi di ferite che la nostra autostima ha subito durante l’infanzia. 

Per la prima volta, in questo volume vengono analizzate la natura e la genesi dell’emozione denominata “senso di colpa”, e viene affrontato il tema delle vere origini dell’ansia e del panico.

Kindle €6,99

3 commenti su “Origine e natura del senso di colpa: perché si tende a puntarsi il dito contro”

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Non ci vogliono discorsi contorti per spiegare cos’è l’amore o per comunicarlo a chi amiamo, e a volte le più belle frasi sull’amore sono quelle che hanno poche parole, quelle giuste.

Non tutte risuoneranno, non tutte rispecchieranno la nostra esperienza, eppure ti assicuro che gli elementi chiave dell’amore vero sono qui, tra le più memorabili citazioni sull’amore del web.

Non c’è regalo migliore delle parole sentite, non c’è gesto più apprezzato di quello che ha l’intenzione di far sentire qualcuno speciale.

Leggi le seguenti frasi sull’amore e invia la tua preferita a chi vuoi bene.

Frasi sull’amore da inviare alla persona che ami

1. Giuro che non potrei mai amarti più di quanto ti amo adesso, eppure so che ci riuscirò domani.

Leo Christopher

2. Se avessi un fiore tutte le volte che ti penso… potrei camminare nel mio giardino per sempre.

Alfred Tennyson

3. Se riesco a comprendere cos’è l’amore, è solo grazie a te.  

Herman Hesse

4. Sei come una canzone che ho sentito quando ero piccolo ma che avevo dimenticato fino a quando non l’ho sentita di nuovo. 

Maggie Stiefvater
frasi sull'amore

5. Amore non è guardarci l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.

Antoine de Saint-Exupéry

6. Sei come un dizionario, aggiungi significato alla mia vita.

7. Ti amo anche quando sto morendo di fame.

8. Lascia stare le farfalle, io sento l’intero zoo sullo stomaco quando sto con te.

Leggi anche: Insicurezza in amore: da dove nasce e perché può far bene (fino a un certo punto)

Frasi divertenti e realistiche sull’amore

9. Ti amo con tutta la pancia. Direi con tutto il cuore, ma la pancia è più grande.

10. Un bacio senza baffo è come un uovo senza sale.

Proverbio spagnolo

11. Ti amo come un bimbo grassoccio ama le torte.

Scott Adams

12. Niente toglie il sapore al burro d’arachidi quanto un amore non corrisposto.

Charles M. Schulz

13. Non sposi qualcuno con cui riesci a convivere. Sposi qualcuno senza il quale non riesci a vivere.

Anonimo

14. L’amore è fare gli stupidi insieme.

Paul Valery

15. La storia d’amore ideale si svolge per posta.

George bernard shaw

16. Dicono che l’amore sia più importante dei soldi, ma hai mai provato a pagare le bollette con un abbraccio?

Anonimo

17. L’amore è condividere i pop corn.  

Charles Schultz

18. Se sei un uomo in una relazione hai due opzioni: puoi avere ragione o vivere felice.

Ralphie May

19. Spòsati: se trovi una buona moglie sarai felice; se ne trovi una cattiva, diventerai filosofo.

Socrate

20. Ci sono solo tre cose di cui le donne hanno bisogno: cibo, acqua e complimenti.

Chris Rock

21. Una relazione di successo richiede che ci si innamori molte volte, sempre della stessa persona.

Mignon McLaughlin

22. L’amore è non doversi più tenere dentro le scoreggie.

Leggi anche: Liti di coppia, 3 regole per affrontarle al meglio

Frasi sull’amore… per se stessi

23. Puoi cercare in tutto l’universo qualcuno che sia meritevole del tuo amore e del tuo affetto più di te stesso e non lo troverai in alcun luogo. Tu stesso, come chiunque altro nell’intero universo, meriti il tuo amore e il tuo affetto.

Buddha

24. Quando le persone ti fanno soffrire più e più volte, pensa che siano come la carta vetrata. Potranno anche graffiarti e farti un po’ male, ma alla fine tu sarai levigata, e loro inutili.

Andy Biersack

25. È meglio essere odiati per quello che si è che essere amati per quello che non si è.

Andre Gide

26. La più grande singola causa della scarsa considerazione di sé è la mancanza di amore incondizionato.

Zig Ziglar

27. Il tuo scopo non dovrebbe essere di cercare l’amore, ma semplicemente di cercare e trovare tutte le barriere che hai costruito contro di esso. 

Rumi 

28. Accettiamo solo l’amore che pensiamo di meritare.

Stephen Chbosky

29. Dobbiamo essere di noi stessi prima di poter essere di qualcun altro.

Ralph Waldo Emerson 

30. Conoscere, capire e accettare te stesso è il primo step verso tutto ciò che vuoi dalla vita.

Maxime Lagacé

Frasi sull’amore e la perfezione

31. Non ami qualcuno perché è perfetto, lo ami a dispetto del fatto che non lo è.

Jodi Picoult

32. Ho visto che eri perfetto e ti ho amato. Poi ho visto che non eri perfetto e ti ho amato ancora di più.

Angelita Lim

33. L’amore non è trovare la persona perfetta. È vedere una persona imperfetta come perfetta.

Sam Keen

34. Non importa se il ragazzo è perfetto o la ragazza è perfetta. L’importante è che siano perfetti l’uno per l’altra.

Genio Ribelle

35. La perfezione del carattere è questa: vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, senza frenesia, senza apatia, senza pretese.

Marco Aurelio

36. Amare non significa trovare la perfezione, bensì perdonare terribili difetti.

Rosamunde pilcher

Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona

Frasi sull’amore e la felicità

37. Gli affetti sono responsabili per nove decimi di ogni forma di solida e durevole felicità che c’è nelle nostre vite.

C. S. Lewis

38. Non è la mancanza di amore, ma la mancanza di amicizia che rende i matrimoni infelici.

Friedrich Nietzsche

39. L’amore è quella condizione in cui la felicità di una persona è essenziale alla tua.

Robert A. Heinlein

40. Dicono che a questo mondo una persona abbia bisogno di tre cose per essere felice: qualcuno da amare, qualcosa da fare, e qualcosa da sperare.

Tom Bodett

41. Le ragazze felici sono le più carine.

Audrey Hepburn

42. Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici. Sono i premurosi giardinieri che fanno fiorire la nostra anima.

Marcel Proust

Frasi sull’amore dai grandi della letteratura

43. Gli amori che sembrano assurdi certe volte sono i migliori.

Margaret Mazzantini

44. Credo sia questo il vero amore: avere l’impressione di stare al centro della propria vita, non ai margini. Nell’angolo giusto. Senza aver bisogno di sforzarsi per piacere all’altro, restare se stessi.

Katherine Pancol

45. Quando amiamo, lottiamo sempre per diventare persone migliori di quelle che siamo.

Paulo Coelho

46. I cuori sono fatti per essere spezzati.

Oscar Wilde

47. Se ami qualcuno, lascialo andare. Se ritorna, sarà tuo per sempre. Se non lo fa, non lo è mai stato. 

Kahlil Gibran

48. Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi alla fine, anche se non nel modo in cui ci aspettiamo.

J.K.Rowling

49. La più grande felicità della vita è la convinzione di essere amati, amati per quello che siamo, o meglio, amati nonostante quello che siamo. 

Victor Hugo

50. È meglio aver amato, e perso, che non aver mai amato.

ALFRED LORD TENNYSON

51. Con lui, la vita era una routine; senza di lui, la vita era insopportabile

Harper Lee

52. Alcune volte perdere il tuo equilibrio per amore è necessario per vivere una vita equilibrata.

Elizabeth Gilbert

53. L’amore è la sorgente dell’affinità spirituale e se tale affinità non nasce all’istante, non potrà svilupparsi nel corso degli anni e neanche delle generazioni.

Khalil Gibran

54. Quando non sarai più parte di me ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.

WILLIAM SHAKESPEARE
frasi sull'amore

Frasi sagge sull’amore

55. Essere profondamente amati da qualcuno ti dà forza, amare qualcuno profondamente ti dà coraggio.

Lao Tzu

56. Ho deciso di restare nell’amore… l’odio è un fardello troppo pesante da portare.

Martin Luther King Jr.

57. C’è sempre un poi di pazzia nell’amore. Ma c’è anche un po’ di ragione nella pazzia.

Friedrich Nietzsche

58. Dove c’è amore, c’è vita.

Mahatma Gandhi


59. L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza.

Elie Wiesel

60. Se non abbiamo pace è perché ci siamo dimenticati che apparteniamo l’uno all’altro.

Madre Teresa

61. L’arte dell’amore è in gran parte l’arte della persistenza.

Albert Ellis

62. Avere paura dell’amore è avere paura della vita, e coloro che hanno paura della vita sono già morti per tre quarti. 

Bertrand Russell 

63. C’è differenza tra amare una donna e amare l’idea di lei.

Gillian Flynn

64. L’amore è composto da una singola anima che abita due corpi.  

Aristotle

65. L’amore immaturo dice “ti amo perché ho bisogno di te”. L’amore maturo dice “ho bisogno di te perché ti amo”. 

Erich Fromm

66. L’unica cosa di cui non abbiamo mai abbastanza è l’amore, e l’unica cosa di cui non diamo mai abbastanza è l’amore. 

Henry Miller 

67. Il cuore ha le sue ragioni, delle quali la ragione non sa nulla.

Blaise Pascal

68. Ogni persona deve amare almeno un partner sbagliato nella vita così da essere veramente grati per quello giusto. 

69. Senza amore l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno.

Erich Fromm

70. Se hai amore nella tua vita puoi compensare la mancanza di molte cose. Se non ce l’hai, non importa cos’altro c’è, non sarà mai abbastanza.

Ann Landers

71. La vita è il primo dono, l’amore il secondo e la comprensione il terzo.

Marge Piercy

72. L’età non ti protegge dall’amore, ma l’amore ti protegge dall’età.

Jeanne Moreau

73. Più una persona giudica, e meno ama.

Honore de Balzac

74. Il primo dovere dell’amore è di ascoltare.

Theodore Zeldin

75. L’amore è l’espansione di due mondi in modo tale che l’uno include l’altro e l’uno è arricchito dall’altro.

Felix Adler

Leggi anche: Amori romantici e cinema: quello che i film non ti dicono sull’amore

Frasi sull’amore dal mondo del cinema

76. Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un’ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, tutta una vita per dimenticarla.

Charlie Chaplin 

77. Quando ti rendi conto che vuoi passare il resto della tua vita con qualcuno, vuoi che il resto della tua vita cominci il prima possibile.  

Harry ti presento Sally

78. L’amore non ha niente a che fare con quello che ti aspetti di ricevere ma con quello che ti aspetti di dare – che è tutto.

Katharine Hepburn

79. L’ho amata anche quando l’odiavo…

Crazy, Stupid, Love

80. Anna: Olaf, ti stai sciogliendo!

Olaf: Per alcune persone vale la pena sciogliersi…   

Frozen

81. Non dire che non siamo giusti l’uno per l’altra. Per come la vedo io. Non siamo giusti per nessun altro.

Vincere Insieme

82. L’amore vero non può essere trovato dove non esiste, né può essere nascosto dove esiste.

Amore tra le righe

83. Preferisco morire domani, che vivere cent’anni senza conoscerti.

Pocahontas

84. Io la amo, e questo è l’inizio e la fine di tutto.

Il Grande Gatsby

85. Tu sei il primo ragazzo che abbia mai baciato, Jake, e voglio che sia l’ultimo.

Tutta colpa dell’amore

86. Se riesci a far ridere una donna, puoi farle fare qualsiasi cosa.

Marilyn Monroe

87. Se l’amore non è l’impegno che ci metti allora cos’è?

L’altra metà

Frasi sull’amore a distanza

88. L’amore non conosce la sua vera profondità fino al momento della separazione.

Kahil Gibran

89. Esisto in due posti, qui e dove sei tu.

Margaret Atwood

90. L’assenza è per l’amore quello che il vento è per il fuoco; estingue quello piccolo e infiamma quello grande.

Roger de Bussy-Rabutin

91. Sentire la mancanza di qualcuno è parte integrante dell’amore per loro. Se non siete mai distanti non saprete mai quanto è forte l’amore che vi unisce.

92. Se vuoi veramente essere rispettato dalla persona che ami devi dimostrarle che sai sopravvivere senza di lei.

Michael Bassey Johnson

93. La definizione di una relazione a distanza è: “sconvenientemente il modo più efficace di scoprire se vi amate o meno”.

94. La tua assenza non mi ha insegnato a stare in solitudine, ma mi ha mostrato che insieme proiettiamo un’unica ombra sul muro.

Doug Fetherling

95. Quando manca qualcosa nella tua vita, di solito va a finire che è qualcuno.

Robert Brault

96. La semplice mancanza di lei vale più per me della presenza di chiunque altro.

Edward Thomas

97. Ho lasciato cadere una lacrima nell’oceano. Il giorno in cui la troverai sarà il giorno in cui smetterai di mancarmi.

98. Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è starci seduto vicino e sapere che non la potrai mai avere.

Gabriel García Márquez

99. Non ti sto dicendo che sarà facile; ti sto dicendo che ne varrà la pena.

Art Williams

100. L’amore è quella cosa che tu sei da una parte, lui dall’altra, e gli sconosciuti si accorgono che vi amate. Chestè.

Massimo Troisi

LIBRO: L’arte di amare

Amare non significa possedere in maniera esclusiva, limitare la libertà del partner o escludersi dalla vita del mondo; al contrario l’amore può aprirsi all’intero universo, spalancando inattese prospettive.

Un trattato sull’amore che insegna a sviluppare la propria personalità e raggiungere la pienezza affettiva

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Quando si parla di amore non corrisposto ci sono diversi scenari che vengono in mente, tra cui:

  • l’amore nascosto per una compagna di classe o collega di lavoro;
  • quello per un ex fidanzato che ci ha mollato;
  • l’amore segreto per un’amica o amico che non ha idea di quello che proviamo;
  • la cotta virtuale per qualcuno incontrato su Instagram o Tinder.

Ognuno di questi amori non corrisposti ha due lati, uno romantico/poetico e l’altro reale.

Il lato poetico dell’amore non corrisposto

Da Leopardi ad Adele, dai classici al pop moderno, amare chi non ci ama induce in uno stato di nostalgia romantica che fa soffrire e al tempo stesso sentire stranamente vivi.

Nella letteratura, nella musica e nelle commedie romantiche, l’amore non corrisposto viene così dipinto come una forza nobile ed eroica, alimentata da una quasi stoica volontà di accettare la sofferenza.

L’innamorato combatte una sfida esaltante contro le complicanze della relazione e subisce in silenzio quando vede l’altra con un altro o le cose non vanno come si aspetta.

In film come 500 Days of Summer o Forrest Gump, il protagonista viene raccontato come la persona con il miglior cuore, una povera vittima dell’insensibilità e dell’incapacità di amare della persona amata.

Il presupposto è che l’amore di chi ama è reale e puro, mentre a non essere reali sono le motivazioni che impediscono all’altro di lasciarsi andare.

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre

Il lato reale dell’amore non corrisposto

Nella vita reale le cose sono leggermente diverse.

Sarà anche vero che alcune volte l’amante caparbio alla fine riesce a convincere la persona amata e trionfa l’amore.

Ma forse più spesso accade che si fraintenda la gentilezza per interesse romantico o che ci si innamori di un’idea o, meglio ancora, di un ideale.

L’amore non corrisposto diventa allora sinonimo di infatuazione, di ossessione, di fissazione.

L’oggetto del desiderio può essere una persona amica o un conoscente che si vede spesso a lavoro, all’università o sui social.

Questo crea per l’ammiratore una situazione difficile in cui coesistono sentimenti contrastanti: c’à l’attrazione fisica e spirituale, la paura di essere rigettati e l’eventualità che una manifestazione di interesse possa addirittura sembrare fuori luogo.

In casi del genere non si tratta più, come nei film, del preambolo di una storia d’amore condivisa, ma piuttosto di un desiderio autolesionista che provoca principalmente ansia e insicurezza, e che può addirittura portare all’esaurimento fisico e alla disperazione (fonte).

Il punto di vista di chi non ricambia

Diversamente dall’immaginario popolare, ricerche dimostrano che a subire le conseguenze negative dell’amore unilaterale non è solo chi ama ma anche chi riceve attenzioni.

Sia per gli uomini che per le donne, infatti, dover respingere dei pretendenti può creare senso di colpa e frustrazione.

Non è facile dire a qualcuno “tu non mi piaci e le tue avance mi mettono a disagio”, così la tattica più comune è far finta di niente, continuare a essere gentili e aspettare che l’infatuazione svanisca.

Purtroppo però questo atteggiamento finisce per inviare segnali misti e alimentare le fantasie dell’amante indesiderato.

Si entra così in un tacito accordo dove una persona non ha il coraggio di dire la verità e l’altra non ha il coraggio di accettarla.

Cos’è l’amore non corrisposto

L’amore non corrisposto è un può come il cugino sfigato dell’amore vero tra due persone che hanno una relazione sana.

È un amore che vive e si alimenta soltanto nell‘aspettativa.

È un amore che preferisce vivere in un futuro ipotetico e potenziale piuttosto che accettare la realtà del presente.

Paradossalmente, è anche un amore che si nutre di dolore, che appartiene a coloro che “amano” farsi del male.

È anche l’amore di chi non ha conosciuto altri tipi di amore, di chi porta con sé il ricordo infantile del rifiuto e lo replica inconsciamente in età adulta.

È un sentimento che pone una conditio sine qua non alla felicità, l’amore di chi crede che può essere felice solo se viene ricambiato e di chi ha bisogno di avere accanto una persona per sentire di avere un valore.

È l’amore di chi vede la perfezione altrui ma non la propria; di chi sogna di essere salvato e legittimato dalla bellezza della persona amata.

Infine, l’amore non corrisposto può essere il frutto di una dipendenza, dell’irresistibile desiderio di amare persone impossibili da amare e immeritevoli del nostro amore.

È troppe volte un amore a senso unico, dove a prendere l’iniziativa è una sola persona, senza i cui messaggi non ci sarebbe comunicazione, senza i cui sforzi si sgonfierebbe tutto come un palloncino senz’aria.

Un test in 10 domande per capire se il tuo è un amore non corrisposto

Ci sono dei chiari sintomi di stare vivendo un amore non corrisposto e bisogna essere sinceri e onesti con se stessi se si vuole notarli.

Per esempio, quando le chiedi di fare qualcosa insieme e ti risponde con delle scuse, quando lui ti dice che si farà sentire e poi non lo fa o quando si è i soli a cercare il contatto fisico.

Sono questi dei campanelli di allarme quasi universali, che si ripetono in diversi contesti e diverse culture.

Per andare più a fondo e capire se i tuoi sentimenti non sono pienamente corrisposti, rispondi a queste 10 domande:

  1. Hai notato questa persona in un contesto non-romantico (sui social, a lavoro, ecc.) e iniziato a fantasticare prima ancora di conoscerla?
  2. Fai dei bei complimenti o dei bei gesti a cui risponde in modo poco entusiasta (tipo con un “grazie”)?
  3. Ti chiedi costantemente cosa sta facendo e con chi?
  4. Provi una sorta di invidia e gelosia nei confronti di chi ha la possibilità di passare del tempo con lei o lui?
  5. Controlli spesso i suoi profili social per vedere se ha postato qualcosa di nuovo?
  6. Senti che tutto sia più complicato di quanto dovrebbe essere? Cioè, che ci sia una scissione tra l’evolversi della relazione nella tua mente e la sua dinamica nella vita reale?
  7. Quando parlate per messaggi o di presenza ti fa domande? Noti dell’interesse nei tuoi confronti o una particolare intesa?
  8. Ti capita di provare molta ansia prima che vi parlate e di sentire che ha deluso le tue aspettative quando lo fate?
  9. Hai il presentimento o la certezza che si possa sentire o vedere con qualcun altro?
  10. Cosa accadrebbe se tu smettessi di cercarla? Ti cercherebbe? Ti chiederebbe di uscire?

Se hai rivisto la tua storia in almeno due di queste domande potrebbe essere arrivato il momento di fare alcune considerazioni.

amore non corrisposto

Superare un amore non corrisposto: 6 verità da considerare

1. Il tuo valore viene da dentro non da fuori

Se qualcuno ti ha fatto soffrire o ti ha fatto credere che tu non vali abbastanza ricorda una cosa fondamentale:

Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.

Non condizionare il tuo valore personale alla buona riuscita di una relazione, non dare questa responsabilità a nessun altro che a te stesso/a.

Il giudizio degli altri su di te non è mai obiettivo ma filtrato da esperienze, insicurezze e valori, quindi non prenderla sul personale.

Ricorda che se qualcuno non ti ama non è perché non vali, ma semplicemente fa parte di un processo di scoperta personale, in quanto hai bisogno di innamorarti delle persone sbagliate prima di poter capire chi è quella che merita il tuo amore.

2. A volte è meglio lasciar perdere

Ci sono casi in cui la caparbietà paga e i sogni si realizzano grazie alla resilienza.

Pensa però quanto sarebbe stupido applicare questa regola a tutto, continuare a sbattere la testa contro lo stesso muro fino a quando non si rompe il muro ma si rompe la testa.

A volte la cosa più intelligente da fare è alzare bandiera bianca e lasciar perdere, dedicarsi ad altro o ad altri.

Perseverare in un amore tossico, o in un sogno tossico, non solo è diabolico ma anche da stupidi.

Se dunque stai vivendo una relazione che ti provoca più dispiaceri che altro, abbi la forza di mollare la presa.

Non c’è nulla di male nel farlo, anzi, dimostra che sai imparare dai tuoi errori e che preferisci perdere oggi per guadagnare qualcosa di meglio domani.

3. I sentimenti possono ingannare

Non pensare che i sentimenti vadano seguiti ciecamente perché possono ingannare.

Spesso, infatti, ci dirigono verso persone non disponibili o distanti perché vogliamo (inconsapevolmente) sabotare le nostre chance di riuscita.

In altre parole, capita che la paura più grande non sia quella di essere rigettati ma di essere ricambiati, di trovarsi cioè nella condizione di dover vivere un rapporto vero e intimo, esponendosi alla possibilità di fallire ed essere lasciati.

L’amore non corrisposto accade anche quando si vuole amare ma non si è pronti per essere amati, così si fa in modo di vivere relazioni unilaterali dove si ama nella realtà ma si è amati solo nella fantasia.

4. L’amore non corrisposto può essere frutto della solitudine

Un’altra domanda difficile a cui devi saper rispondere è:

Amo questa persona per quello che è o perché mi fa sentire meno solo/a?

La solitudine è una condizione orrenda da sopportare, talmente tanto che ci può portare a immaginare di vivere un amore fittizio pur di avere qualcuno a cui pensare.

5. L’amore non corrisposto non è sempre sincero

Sulla base di quanto detto emerge un’altra possibilità: che l’amore non sia corrisposto perché non è reale.

In pratica, la persona amata si rende conto che l’ammiratore stia vivendo un’infatuazione priva di fondamento e decide di non dargli corda.

Il test per capire se il tuo è un amore vero consiste nel vagliare le motivazioni che ti hanno portato a scegliere quella determinata persona:

  • Cosa ti piace di più? La sua personalità? Il suo aspetto? Entrambi?
  • Conosci i suoi interessi e i suoi valori?
  • Ti rispecchi nei suoi interessi e nei suoi valori?
  • Se foste a cena voi due da soli, avreste qualcosa di cui parlare?
  • Credi che ti piace la persona per quello che è o per quello che immagini che sia?
  • Cosa vuoi esattamente, una relazione con questa persona specifica o una relazione in generale?
  • E cosa ti attira di più, l’idea di essere visti insieme o di stare da soli?

Considera la possibilità che possa essere in realtà tu a non provare nulla di serio per questa persona e che potresti averla scelta perché ti attirano gli amori impossibili o sei in cerca di qualcuno che elevi il tuo status sociale.

6. Amare sé stessi è l’unico modo di essere amati dagli altri

Concludiamo con la verità più importante di tutte.

Non puoi pretendere di essere amato da nessuno se tu non ti ami.

Quando non ti ami invii dei segnali all’esterno che fanno percepire agli altri che hai un bisogno egoistico di amore per sentirti meglio con te steso/a.

Questo atteggiamento di norma scoraggia e più che suscitare empatia fa allontanare.

Una cosa che invece attrae è il rispetto per se stessi, l’atteggiamento sicuro di chi sa mostrare interesse senza dare troppa importanza all’esito della risposta.

In definitiva, la persona dei tuoi sogni, la cui immagine hai proiettato sulle persone sbagliate, arriverà quando avrai imparato ad amare te per quello che sei.

Dal presupposto dell’amore per se stessi nasce così l’opposto dell’amore non corrisposto: l’amore a doppio senso, quello dove esiste corrispondenza di intenti e di sentimenti, dove entrambi sanno dare e ricevere, amare ed essere amati.

3 Libri sull’amore non corrisposto

Descrizioni a cura di Angelica Elisa Moranelli.

1. Il grande Gatsby

Gatsby era troppo povero per sposare l’amore della sua vita, così sparisce dalla circolazione per tornare anni dopo, bello e ricco, a reclamare la sua bella.

La donna per la quale continua a struggersi è sposata con un ubriacone, un uomo di poco valore e dai bassi istinti.

Perché mai la bella e infelice Daisy non ha scelto Gatsby?

Prezzo Kindle €3,99

2. Anna Karenina

Uno dei libri sull’amore non corrisposto per eccellenza.

Per tutta la durata del romanzo respirerete frustrazione, dolore, solitudine, abbandono (almeno per quel che riguarda la vicenda che vede protagonista Anna).

Anna Karenina è intrappolata in un matrimonio infelice, la sua fortuna/disgrazia è proprio quella d’incontrare, invece, l’uomo di cui s’innamorerà davvero, Vrònskij.

Ma può un amore nato sulla sofferenza altrui, che ha distrutto le regole della “buona società”, essere anche felice?

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3. Le notti bianche

Le notti bianche di Dostoevskij, il libro sull’Amore, che non chiede nulla in cambio, l’amore puro e profondo solo per l’altro, che non conosce egoismo o bramosia.

Il protagonista di questo breve romanzo giovanile di Dostoevskij è un sognatore che durante una passeggiata notturna incontra l’amore della sua vita, una ragazza sola e disperata, che ha appena perso il suo amore.

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1 commento su “Identikit di un amore non corrisposto: 10 domande per capire se chi ami non ti ama”

  1. Articolo che ha saputo farmi riflettere, dato che purtroppo anche io sto vivendo una situazione di questo tipo. Grazie anche dei consigli letterari.

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Detta nel modo più semplice possibile, l’amore incondizionato è quel tipo di amore che non chiede nulla in cambio, come l’amore di un genitore per un figlio.

Nel suo senso più puro amare in modo incondizionato vuol dire avere a cuore la felicità di un’altra persona senza preoccupazione alcuna per come questa felicità possa beneficiare noi stessi.

Le ricerche confermano che a livello neurologico la soddisfazione dell’amore incondizionato sta dunque nell’atto di dare e non nel ricevere.

Ciò rende questo un tipo di amore quasi indipendente, a cui basterebbe la semplice consapevolezza dell’esistenza e del benessere della persona che amiamo.

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre

L’effetto dell’amore incondizionato nei bambini

Ci sono delle differenze sostanziali negli effetti che l’amore incondizionato ha sui bambini e sugli adulti.

Da piccoli abbiamo un bisogno quasi fisiologico di essere amati incondizionatamente.

L’amore dei genitori ci aiuta a sviluppare l’idea di un attaccamento sano e sicuro a un altro essere umano, ci porta ad avere fiducia in noi stessi e a poter credere di essere meritevoli di affetto.

In teoria, il compito di ogni genitore è quello di regalare al proprio figlio l’esperienza di essere amato per quello che è, senza se e senza ma.

In pratica accade spesso che genitori ben intenzionati pongano delle aspettative sui propri figli, che lascino passare messaggi come “se fai il monello fai arrabbiare mamma/papà” o “se non hai buoni voti a scuola deludi mamma/papà”.

Ovviamente non si tratta di genitori cattivi, questo approccio è semplicemente ciò che passa per buon senso da decenni a questa parte.

Il problema è che può essere interpretato dai bambini come una forma di amore condizionato, un amore che inizia con “ti amo se…”.

Leggi anche: Cos’è l’amore e quando si ama veramente

Cosa può accadere ai bambini senza amore incondizionato

A quei bambini che sentono delle forti condizioni nell’amore dei propri genitori può accadere di crescere con delle convinzioni altamente lesive alla loro felicità futura.

  • Gli può succedere di pensare che senza andare bene a scuola o nel lavoro non avranno mai nessun valore.
  • Possono sviluppare delle forme più o meno intense di insicurezza nelle relazioni, aver paura dell’intimità o mancanza di fiducia negli altri.
  • Un bambino che non si è mai sentito accettato così com’è può arrivare ad avere una concezione distorta di sé stesso, sentire di avere delle mancanze incolmabili o finire in relazioni tossiche.
  • Con genitori iper-critici si può anche diventare ossessionati con la perfezione ed essere dominati dalla paura di fallire (Fonte).

Amare un figlio anche quando va male a scuola o quando è confuso, insicuro, arrabbiato o perso serve proprio a evitare che possa avere difficoltà ad accettarsi e, in ultima analisi, a fare in modo che in futuro possa dare a sé stesso quello stesso tipo di amore e comprensione che ha ricevuto da piccolo.

L’amore incondizionato negli adulti

Negli adulti l’amore incondizionato è diverso, seppur i suoi presupposti siano sempre gli stessi.

La sfida nelle relazioni tra adulti è trovare il giusto compromesso tra apertura all’altro e affermazione dei propri bisogni.

Ciò significa che, a differenza dell’amore nei confronti dei bambini, che non sono in grado di farlo, tra adulti bisogna saper stabilire dei confini precisi tra quello che può essere considerato accettabile e inaccettabile.

Come già detto parlando di relazioni sane e non sane, amare qualcuno non vuol dire diventare una cosa sola, fondersi e annullare le proprie identità.

Prima di amare incondizionatamente qualcuno dobbiamo imparare ad amare prima noi stessi, a onorare il nostro corpo e il nostro spirito.

Per questo l’amore incondizionato in età adulta non può mai essere equiparato con l’accettare l’altro a discapito del proprio benessere personale.

Non possiamo amare chi ci fa del male, chi ci mente, chi ci tradisce, chi ci manca di rispetto. Non si può dire, “ti amo incondizionatamente anche se mi calpesti”.

Come vedremo tra poco, seppur esista una componente di tolleranza e di convivenza con la frustrazione, ogni tipo relazione che si basi sull’amore vero deve essere anche fondata sul rispetto reciproco delle rispettive individualità e libertà.

Leggi anche: Amore a distanza: sfide, pregi e consigli su come sopravvivere alla lontananza

5 modi per imparare ad amare incondizionatamente

Ci sono diversi modi per sviluppare l’abilità di provare amore incondizionato, eccone 5:

1. Amare se stessi

Una verità che troverai spesso tra le pagine di questo blog è che non puoi mai conoscere l’amore vero (in qualsiasi forma) se prima non avrai imparato ad amare te stesso.

Chi non si ama non può credere neanche all’amore altrui, non può apprezzare la presenza di una persona o avere piena fiducia negli altri.

Di conseguenza, non potrà essere presente al 100% nella relazione e fare al meglio la propria parte nel costruire un legame intimo e inscindibile.

2. Credere nel bene

Questo presupposto aiuta non soltanto nei rapporti familiari ma nel modo generale di relazionarsi con gli altri esseri umani.

Una caratteristica dell’amore incondizionato è infatti il suo infinito raggio di azione.

Chi ha amore nel suo cuore riesce a vedere il bene nelle persone, sa dare fiducia agli sconosciuti e riesce a sentirsi parte di una comunità più grande del proprio cerchio ristretto di conoscenze.

Qui l’amore incondizionato diventa un augurio di pace e serenità, un condizione che i buddhisti chiamano Bodhcitta, cioè l’amore illuminato verso tutti gli esseri senzienti.

3. Sviluppare l’empatia

L’empatia è quel sentimento che accomuna noi umani, è la comprensione e la condivisione del dolore altrui, compreso chi non conosciamo, chi è malato o ha perso una persona cara.

È quel sentimento che ti fa dire “capisco cosa provi” o “capisco perché lo hai fatto”.

L’empatia è una qualità bellissima, che ti porta a essere più solidale e meno belligerante, più aperto e generoso e meno prevenuto.

4. Accettare le emozioni negative

Provare amore condizionato non vuol dire vivere in uno stato di perenne beatitudine e ottimismo.

Ovviamente ci saranno momenti in cui gli altri ci faranno arrabbiare, momenti di tristezza, fastidio e frustrazione, ma non saranno certo questi a cancellare l’amore che abbiamo dentro.

La persona che ama in modo incondizionato può trovarsi in qualsiasi momento a dover scegliere tra tenersi il rancore dentro o lasciarlo andare per il bene della relazione e della sua salute mentale in primis.

5. Imparare la comunicazione aperta

Visto che quello che ci tiene legati agli altri esseri umani è la comunicazione, un perno fondamentale di ogni relazione sana è la capacità di esprimersi senza arrecare danno o offesa agli altri.

La comunicazione nell’amore incondizionato è aperta e non-difensiva, usa un linguaggio privo di cariche distruttive e comporta anche la capacità di chiedere scusa.

Nel parlare agli altri bisogna tenere il più possibile a bada le reazioni eccessive e irrazionali.

Perché anche chi sa amare incondizionatamente ogni tanto litiga o perde la pazienza, ma non per questo si può giustificare l’uso della violenza verbale.

La comunicazione aperta è anche la comprensione del proprio stato emotivo, assertività, capacità di cambiare opinione, umiltà.

L’amore incondizionato dà senso alla nostra vita

Nel suo libro L’uomo in cerca di senso Viktor Frankl fa un parallelo tra la capacità umana di amare in modo incondizionato e il vivere una vita piena di significato.

Secondo lui l’amore è l’unico modo di afferrare la vera essenza di un altro essere umano e, quel che è di più, consente ad esso di attualizzare le sue vere potenzialità.

Grazie all’amore incondizionato, dunque, non solo diventiamo persone migliori ma aiutiamo anche gli altri a diventare la versione migliore di sé stessi, diamo senso e significato alla nostra vita e aiutiamo gli altri a dare senso e significato alla loro.

E questo non lo dico io. Lo dice una persona che ha subito le cattiverie più inaudite da parte del regime nazista, e che in quella sofferenza inenarrabile è riuscito a trovare nel suo cuore la capacità di amare i suoi carnefici… e una ragione per continuare a vivere.

Libro: L’arte di Amare

Uno dei libri più venduti di tutti i tempi sul vero significato dell’amore.

Erich Fromm spiega come Amare non significhi possedere in maniera esclusiva, limitare la libertà del partner o escludersi dalla vita del mondo; al contrario l’amore può aprirsi all’intero universo, spalancando inattese prospettive.

Un trattato sull’amore che insegna a sviluppare la propria personalità e raggiungere la pienezza affettiva.

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Chiunque abbia mai vissuto un amore a distanza sa benissimo che la lontananza mette alla prova ogni relazione.

Ci sono coppie che non sopravvivono senza vedersi in carne e ossa, altre invece riescono a trovarsi nella mancanza e a stringere ulteriormente il loro legame.

L’amore a distanza avrà dunque le sue difficoltà ma ci sono anche dei lati positivi, degli aspetti di una relazione sana che possono emergere solo quando si è lontani.

Le 8 sfide più comuni di ogni amore a distanza

In uno studio condotto dall’azienda KIIROO su un campione di mille americani sono state individuate le 8 sfide più comuni che le coppie a distanza si trovano a dover affrontare.

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1. Mancanza di intimità

La conseguenza più immediata dello stare lontani è l’impossibilità di potersi toccare, baciare o fare l’amore.

Il sesso, in particolare, è una componente fondamentale di ogni relazione in quanto funge spesso da barometro per misurare la salute emotiva della coppia.

Per di più, la dimensione sessuale ha una sua vita propria.

Così come si impara a conoscersi grazie alle conversazioni, alle liti di coppia e alle esperienze condivise, ci si conosce e si cresce insieme anche sessualmente.

Ne consegue che, in un amore a distanza, la crescita sessuale viene inevitabilmente rallentata, anche se non del tutto arrestata.

2. Paura di essere traditi

L’eventualità di incontrare qualcun altro non è un pensiero che si ammette sempre ma è di sicuro presente nella mente di chi vive una relazione a distanza.

Quando non sai cosa sta facendo il tuo partner o non riesci ad avere un’idea precisa del posto in cui si trova la fantasia può giocare brutti scherzi e farti immaginare il peggio.

L’amore a distanza è più vulnerabile alla paura del tradimento perché non ha molte armi a disposizioni per difendersi dalle tentazioni della vita mondana.

Non potendo impedire al partner di uscire di casa, l’unica cosa a cui ci si può affidare per contrastare la gelosia è la fiducia nella relazione, ovvero la consapevolezza di avere un rapporto unico e impossibile da replicare.

3. Senso di solitudine

La solitudine è una brutta bestia che spaventa tutti.

Può essere affievolita grazie all’utilizzo della tecnologia ma non esiste app o smartphone che possa rimpiazzare la presenza fisica di un essere umano al tuo fianco.

Quel che è peggio è che in un amore a distanza la solitudine non è soltanto mancanza di un qualsiasi contatto, cosa che potrebbe essere risolta andando a una festa per incontrare qualcuno, per esempio.

Quella di cui stiamo parlando è l’impossibilità del contatto, è la solitudine che deriva dal non avere accanto una persona specifica, cosa che solo chi ha perso una persona amata o chi vive lontano da una persona amata può provare.

4. Costo dei viaggi

Nei casi in cui la lontananza è più o meno permanente sorgono delle difficoltà logistiche.

C’è la necessità di organizzarsi per vedersi, ci sono biglietti di aerei e treni da prenotare, ferie da programmare e gli annessi costi.

Si tratta in fondo di una difficoltà molto pratica e facilmente risolvibile, che però può diventare un problema per chi non ha la possibilità finanziaria o il tempo di viaggiare ogni fine settimana.

5. Rischio di allontanarsi

Quello di allontanarsi è il rischio più insidioso di tutti.

In ogni amore a distanza esiste una lotta tra circostanze esterne e interne, tra la vita individuale e la vita di coppia.

Gli interessi e gli impegni possono anche essere diversi ma se si trova il modo di condividerli o quantomeno rispettarli non dovrebbero rappresentare una minaccia.

Il rispetto reciproco e la volontà di partecipare anche agli aspetti della vita dell’altro che non condividiamo mantengono stretto il nodo del legame.

Come ho scritto nell’articolo sull’amore vero, amare vuol dire anche mettere da parte sé stessi per il bene del partner, mostrarsi presenti e comprensivi.

Leggi anche: Amori romantici e cinema, quello che i film non ti dicono sull’amore

6. Stili di vita e orari diversi

Le difficoltà degli amori a distanza possono essere legate alle differenze negli stili di vita, perché magari uno esce molto e l’altra poco, o lei incontra molte persone per lavoro e lui è un lupo solitario.

Oppure l’ostacolo sta semplicemente nella difficoltà di trovare il tempo di sentirsi, nel dover parlare la mattina presto o la sera tardi quando si è stanchi, nel non poterci essere in un momento di bisogno a causa del fuso orario.

7. Difficoltà di comunicazione

Specialmente se la relazione è nata a distanza, tipo quando ci si conosce su internet, diventa esponenzialmente più complicato capire bene il punto di vista dell’altro.

Se capita una lite tra due persone che abitano insieme sai che, anche se lei è uscita sbattendo la porta di casa, tornerà e potrete chiarirvi.

Se c’è un fraintendimento e uno dei due stacca il telefono la lontananza potrebbe distorcere il giudizio di quello che sta accadendo e compromettere la rappacificazione.

In più, si possono creare problemi di differenza di opinioni legate al metodo di comunicazione preferito, perché magari lui preferisce chiamare e lei scrivere messaggi, o viceversa.

Leggi anche: Insicurezze in amore, perché superarle salva la relazione

8. Difficoltà di vivere la presenza quotidiana dell’altra persona

In ultima analisi, il limite più grande di un amore a distanza è che non può crescere grazie alla condivisione delle piccole abitudini quotidiane:

  • vivendo lontano da una persona non puoi sentirla russare la notte o trovare i suoi vestiti in bagno la mattina;
  • non puoi arrabbiarti perché ha lasciato il tubo del dentifricio aperto o perché ha dimenticato di spegnere la luce del ripostiglio;
  • non senti il suo odore quando rientri a casa la sera e non potete addormentarvi insieme sul divano mentre guardate un film.

L’amore mentale e spirituale tra i due potrebbe anche non essere toccato dalla distanza, ma la quotidianità della vita di coppia viene eclissata a causa della digitalizzazione della relazione.

Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona

I pregi dell’amore a distanza

L’amore a distanza non è solo problematico.

Una volta superata la fase iniziale, che secondo lo studio summenzionato si aggira intorno ai primi 4 mesi, diventa molto più gestibile e inizia anche ad avere i suoi lati positivi.

Il primo pregio dell’amore a distanza è che forza a instaurare un altro tipo di intimità.

Così come i ciechi, non potendo vedere, finiscono per sviluppare gli altri sensi, i partner lontani imparano a comunicare meglio e a rafforzare la loro connessione spirituale in mancanza di quella fisica.

Un altro studio della Cornell University ha scoperto che negli amori distanti si presta più attenzione alla relazione.

Nonostante le interazioni quotidiane siano inferiori rispetto a quelle delle coppie vicine, i partner lontani si chiamano di più, si scrivono più messaggi e si video-chiamano di più.

A causa del cosiddetto effetto “iper-personale”, l’intensificazione dell’interazione digitale forza due persone a idealizzarsi a vicenda per ovviare al senso di mancanza e a concentrarsi sulle loro parti migliori.

A sua volta, grazie a questa idealizzazione reciproca si fa uno sforzo maggiore nel comunicare il proprio affetto e nei momenti passati insieme si prova un maggior apprezzamento.

amore a distanza

Leggi anche: Insicurezza in amore, da dove nasce e perché può far bene (fino a un certo punto)

Come trarre il massimo da un amore a distanza: 7 consigli

1. Abbiate un obiettivo comune

Una cosa che può sfaldare un amore a distanza è l’incertezza sulla natura, la direzione e l’obiettivo della relazione.

Più tempo si passa lontani e più queste incertezze rischiano di trasformarsi in crisi e minacciare la stabilità del legame.

È fondamentale allora avere una data o un evento, qualcosa da attendere o su cui lavorare insieme.

Per esempio, se il piano è di passare del tempo lontani per poter poi vivere insieme in futuro la lontananza acquista una funzione e diventa più facile da sopportare.

Se, al contrario, non si capisce dove si sta andando e si hanno dubbi sulla possibilità di ricongiungersi ogni ostacolo rischia di diventare un vicolo cieco.

2. Fate attività insieme

Per contrastare il rischio di allontanamento fate in modo di condividere il più possibile.

Ciò vuol dire non solo raccontare la vostra giornata ma anche fare attività insieme come guardare lo stesso documentario, leggere lo stesso libro o fare un gioco online.

Non sentitevi solo per abitudine ma trasformate i momenti su Skype o FaceTime in esperienze.

Per esempio potreste cucinare in diretta o fare un aperitivo mentre chiacchierate sullo schermo.

3. Trovate un’intesa comunicativa

Se le coppie che vivono nello stesso luogo vivono la vita di coppia in diverse circostanze, la coppia a distanza può solo variare modo di stare insieme cambiando metodo e orario della comunicazione.

Fate dunque in modo che ci sia un’intesa sul mezzo preferito e sulla frequenza dei contatti.

Non rendete la comunicazione una forzatura e non date orari fissi.

La chiamata o il messaggio del partner devono essere, il più possibile, un evento che fa piacere e non un atto scontato.

Se l’altro preferisce scrivere e voi parlare fate in modo di venirvi incontro.

Se vuole parlare la sera e voi preferite il mattino non negategli la possibilità di sentire la vostra voce prima di andare a letto perché siete stanchi.

Le parole e le attenzioni che vi scambiate sono l’unico elemento che tiene la relazione in vita.

Se non vi parlate abbastanza, oltre a essere un sintomo di mancanza di interesse, rischiate di far morire la relazione.

Leggi anche: Terapia di coppia, come funziona e quando conviene farla

4. Mantenete viva la sorpresa

In ogni tipo di coppia è facile che nel tempo ci si abitui alla presenza dell’altro.

Creare uno stato di sorpresa ed eccitazione è l’antidoto contro l’appiattimento di ogni amore, specialmente di quello a distanza.

Per farlo manda un regalo o dei fiori a casa della tua lei o del tuo lui.

Se siete abituati a scrivervi su whatsapp manda una mail ogni tanto oppure scrivi una lettera cartacea.

Sorprendila/o con una chiamata in un momento inaspettato della giornata o, meglio ancora, fatti trovare davanti la porta di casa sua quando rientra da lavoro.

Prenota un weekend romantico senza dire nulla o dedicale una canzone nella sua stazione radio preferita.

Usa le risorse messe a disposizione da internet, come il sito di Direzione Amore per esempio, per trovare consigli su come alimentare la passione.

5. Capite quando è meglio evitare situazioni “pericolose”

Essere fidanzati/sposati non vuol dire rinunciare alla vita sociale completamente, ma se sai che il tuo partner si trova a disagio quando vai alle feste magari evita di andare ogni settimana o fai in modo di rassicurarlo/a quando vai.

C’è un punto oltre il quale la fiducia reciproca non basta a contenere la paura irrazionale dell’abbandono e anche le coppie più aperte devono trovare il giusto equilibrio tra vita individuale e di coppia.

Capisci quando è giusto rimanere e parlare o quando puoi dirle di voler passare del tempo con i tuoi amici.

Infine, anche se esci non escludere il tuo partner da quello che fai.

Se, quando sei fuori, sei irraggiungibile e non rispondi ai messaggi potresti far sorgere dei sospetti infondati.

6. Siate onesti l’uno con l’altra

Sii il più aperto e onesto possibile riguardo a quello che fai e con chi lo fai.

Ricorda che una cosa innocua che viene nascosta può diventare un pretesto per non fidarsi in altre occasioni.

Se quando ti chiama sei fuori dì chiaramente dove sei e con chi sei.

Esprimi sempre le tue frustrazioni e sii paziente con le sue.

Ascolta, affronta di petto i problemi e sforzati di mostrare la tua presenza anche quando verrebbe più comodo fare altro.

Leggi anche: Come piacere alle donne, 7 aspetti essenziali da considerare

7. Fate squadra

Infine, come dico spesso parlando di relazioni, lavorate insieme per la salute della relazione.

La cosa più importante da ricordare è che il partner non è il nemico ma un alleato.

Non trattatevi con ostilità e risentimento, non serbate rancore.

Provate a lasciar andare ciò che vi dà fastidio e tenete a mente l’obiettivo finale, quello di stare bene insieme.

Lettura consigliata – Relazioni di coppia felici: Seduzione e strategie per riconquistare l’ex partner

Francesco Cibelli, l’autore del best seller “I segreti del seduttore – Le tecniche del playboy”, il maestro più amato e recensito in Italia in materia di seduzione, dopo anni di studi di psicologia della coppia e tecniche sperimentate sul campo, ha creato questa guida utile a gestire i rapporti di coppia, sia nella fase fisiologica che patologica.

La prima parte è dedicata a fornire delle strategie orientate a far crescere l’amore in ogni fase della relazione, dall’innamoramento in poi.

Nella seconda parte l’autore insegna una strategia pressoché infallibile per riconquistare il partner dopo la rottura del rapporto attraverso tecniche elaborate dagli psicologi più famosi in materia di relazioni di coppia e testate sul campo.

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C’è un vecchio motto di Sun Tzu che dice se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Allo stesso modo, nella ricerca della felicità, è tanto importante conoscersi quanto conoscere il nostro nemico, l’infelicità.

L’infelicità non è un incidente di percorso o un sentimento che capita quando ci si imbatte in dei problemi, ma è parte integrante della cultura moderna.

Nella conferenza TED da cui è tratto questo articolo, Srikumar Rao afferma infatti che nella nostra società ci insegnano a essere infelici, in quanto il modello di vita che molti di noi scelgono finisce col produrre più stress che serenità.

Cosa serve per essere (in)felici

Puoi affermare, con certezza, di stare dedicando la tua vita all’essere felice? 

Ogni cosa che fai – che sia il lavoro, la famiglia, i bambini, l’amore – ha lo scopo, o quantomeno l’intento, di renderti felice, giusto?

Esattamente cosa credi che ti farà raggiungere questo obiettivo?

Quando chiediamo ad altri cosa gli servirebbe per essere felici molti diranno qualcosa sulla linea di:

In sostanza ognuno di noi ha un elenco di cose che deve avere per essere felice, ovvero una serie di condizioni che, fino a quando non si avverano, ci mantengono nella dimensione dell’infelicità.

L’infelicità parte da condizioni mutabili

Ma consideriamo un altro aspetto di quanto appena detto.

Così come è possibile ottenere qualcosa che ci rende felice è anche possible perderla. 

Un’immensa ricchezza può renderci felici. E può svanire l’indomani. 

Una relazione ci può rendere felici oggi e rendere completamente infelici domani.

Un nuovo lavoro può anche creare entusiasmo all’inizio ma impedirci di vivere la nostra vita nel tempo.

Uno dei primi modi per essere infelici è affidare la propria felicità a condizioni esterne che sono mutabili nel tempo.

La felicità fa parte della nostra natura

Se l’infelicità parte da fuori ne consegue che la felicità parte da dentro.

Essa fa parte della nostra natura fin da quando siamo piccoli.

Nel nostro stato di default non c’è niente che dobbiamo fare o avere per essere felici, e per capirlo basta guardare all’attitudine alla vita e alla creatività che hanno i bambini.

Ma allora perché così tante persone non riescono ad apprezzare pienamente la loro vita?

Perché da grandi si diventa così cinici, materialisti e – a volte – pessimisti?

Credo che la risposta sia in realtà molto semplice e sta nel nostro modo di pensare, ovvero in ciò che Srikumar Rao chiama il modello mentale.

Il modello mentale dell’infelicità

Un modello mentale è come un manuale di istruzioni, una serie di indicazioni su come funziona il mondo.

Tutti noi abbiamo modelli mentali, dozzine di modelli mentali. 

Abbiamo un modello mentale su come trovare lavoro, su come fare carriera, trovare un partner, scegliere un ristorante o un film su Netflix.

Il problema non è tanto il fatto di avere dei modelli mentali, ma che non sappiamo di avere dei modelli mentali. 

Scambiamo la nostra percezione del “è così che vanno le cose” per realtà e raramente ci chiediamo se le nostre convinzioni siano giuste o sbagliate.

Ci sono casi in cui è proprio quello che diamo per scontato che crea la nostra infelicità e non ce ne rendiamo conto perché, beh, lo diamo per scontato.

Ad esempio, crediamo sia scontato che per essere felici bisogna fare successo, che per fare successo bisogna fare soldi, avere un bell’appartamento e una macchina nuova, che bisogna viaggiare in posti esotici d’inverno e mostrare un fisico tonico d’estate.

Questi sono vari modelli mentali, modelli che possono permettere ad alcuni di provare momenti di felicità, ma che collettivamente non fanno altro che contribuire all’infelicità generale del pianeta.

Leggi anche: Come vivere felici, 6 consigli che funzionano sul serio

Il modello SE-ALLORA

Gli esempi appena menzionati sono delle variazioni del modello SE-ALLORA.

Il modello SE-ALLORA funziona così: se accade questo, allora sarò felice. 

Se ottenessi un lavoro migliore, se guadagnassi più denaro, se il mio capo avesse un attacco di cuore, se fossi sposato, se fossi single, se non avessi figli, se avessi figli, se avessi più fiducia in me stesso, se non avessi il mutuo, ecc.  

La cosa che adesso mi viene da chiederti è…

Su quale particolare SE ti stai concentrando adesso? E su quali SE ti sei concentrato in passato?

In altre parole, cosa ti manca per essere felice e cosa è cambiato rispetto a quello che ti serviva un anno o dieci anni fa?

La trappola dell’infelicità

Scontato dire che il modello SE-ALLORA è errato in partenza in quanto ci induce nella trappola dell’infelicità, uno stato di cose in cui si vive solo l’attesa della felicità senza mai veramente incontrarla.

Ma invece di riconoscere questa verità, e cambiare modello mentale, ciò che facciamo è passare un’enorme quantità di tempo a cambiare il “SE”. 

Io per primo lo posso testimoniare.

  • Quando studiavo legge credevo che per essere felice dovevo studiare musica;
  • così ho iniziato a studiare musica a Milano e ho iniziato a credere che per essere felice dovevo trovare una scuola di livello internazionale;
  • quando ho trovato la miglior scuola di musica in cui potessi essere ammesso credevo che per essere felice dovevo trovare una band;
  • anche dopo aver trovato una band credevo che per essere felice dovevo riuscire a guadagnare con la musica;
  • dopo che ho iniziato a guadagnare con la musica credevo che per essere felice dovevo fare concerti di più alto livello.

E così via.

Potrei continuare per ore ma credo che il messaggio sia chiaro.

Proiettare la felicità su un risultato, sul modello SE-ALLORA, è il miglior modo per entrare nel circolo vizioso dell’infelicità.

Accettare quello che è

So che alcuni di voi non vorranno sentirselo dire ma la vostra vita, così com’è, è già perfetta.

Non c’è bisogno di modificarla, non c’è bisogno di imporre su di Essa la nostra idea di come dovrebbero andare le cose.

Ogni organismo vivente del pianeta cresce ed evolve senza bisogno di controllare gli eventi, senza bisogno di aggiustare ciò che non va.

La felicità si manifesta quando si smette di ossessionarsi sui se e sui ma e ci si prende del tempo per apprezzare quello che c’è.

Passiamo anni a provare a rendere la nostra vita diversa da quello che è ma quante volte proviamo gratitudine per quello che abbiamo?

E c’è dell’altro.

Quando non accettiamo la nostra vita e iniziamo a lavorare per il raggiungimento di un risultato entriamo nel modello SE-ALLORA e rischiamo produrre il risultato opposto a quello desiderato.

Magari ci adoperiamo per far aumentare il fatturato della nostra azienda e finiamo per far aumentare le spese.

Proviamo a risolvere i nostri problemi di coppia ma finiamo per complicare ulteriormente le cose.

Praticamente rischiamo di incontrare il fallimento tutte le volte in cui poniamo le nostre aspettative di felicità su risultati che sono al di fuori del nostro controllo.

L’infelicità viene recepita

All’origine dei nostri desideri di felicità c’è spesso una tendenza all’infelicità.

Quando siamo infelici la nostra scelta di obiettivi da perseguire (i nostri SE) non parte da una profonda conoscenza di noi stessi ma dalla volontà di essere diversi da quello che siamo.

Quando dico vorrei essere felice è come se dicessi all’Universo: non sono felice.

E quando dico e credo di non essere felice l’Universo, il mondo intorno a noi, recepisce questo messaggio.

Come credi che venga vista una persona che porta dentro la frequenza energetica dell’infelicità? Cosa credi che attirerà nella sua vita?

Mi fa male ammetterlo, ma è per questo motivo che non sono riuscito a manifestare il risultato del successo musicale.

Avevo scelto quell’obiettivo da uno stato mentale di infelicità, senza aver prima chiesto a me stesso se era una cosa che desiderassi veramente, senza considerare cosa avrebbe comportato se ci fossi riuscito.

La mia infelicità influenzava il modo in cui suonavo.

Essa veniva percepita dalle persone che mi vedevano sul palco e faceva sì che ad andare avanti in quella carriera fosse sempre qualcun altro, una persona che mostrava segni di vera felicità, che mostrava di volerlo veramente.

Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama

L’alternativa al modello SE-ALLORA dell’infelicità: investire nel processo

Fortunatamente non dobbiamo rimanere bloccati nella trappola dell’infelicità.

C’è un’alternativa. 

L’alternativa è non investire nel risultato, ma nel processo. 

Investire nel processo significa trovare godimento in quello che si fa a prescindere da quello che accade.

Per gli atleti vuol dire giocare al meglio delle proprie possibilità e sentirsi soddisfatti anche quando si perde.

Per i musicisti vuol dire amare l’atto di creare o suonare musica anche se questa non viene ascoltata da milioni di persone.

Per gli imprenditori vuol dire amare il lavoro di dirigere la propria azienda anche quando gli affari vanno male.

Nel processo abbiamo il controllo delle nostre azioni, nel processo la felicità è stabile poiché parte da dentro.

Ora, concentrarsi sul risultato va bene, ci dà la direzione. 

È investire nel risultato che è sbagliato, significa far dipendere il nostro benessere dal suo raggiungimento… e questa è la ricetta infallibile per l’infelicità. 

infelicità

Leggi anche: 20 aforismi sulla felicità e sulla vita

La ricetta per l’infelicità ci viene insegnata

Come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, nella nostra società ci insegnano a essere infelici, letteralmente, in quanto il modello mentale SE-ALLORA è radicato nel metodo scolastico.

Impostando la nostra istruzione sul sistema del voto ci viene indirettamente detto che il processo, lo studio, è strumentale al risultato, il voto.

Per tale motivo diversi educatori sono convinti che la scuola uccide il pensiero creativo e ci porta, in età adulta, a porre troppe condizioni esterne alla felicità.

A scuola il modello è: se studi avrai un bel voto e sarai promosso.

Nella vita reale questo diventa: se trovi un lavoro avrai dei soldi e sarai felice.

La differenza tra i due modelli è che, mentre a scuola ci viene dato un programma di studi da seguire per arrivare al diploma o alla laurea, nella vita reale non ci viene dato un programma di step da prendere per arrivare alla felicità.

Possiamo solo sperare che il lavoro che troviamo non faccia schifo, che il nostro capo non sia uno stronzo e che ci lasci abbastanza tempo e risorse per costruire una vita decente nel tempo che non passiamo a lavorare.

Leggi anche: Si può vivere con poco ed essere felici?

Dove stai andando

Voglio concludere con un concetto che è molto più facile da comprendere in questo particolare periodo storico, in cui due terzi del pianeta sono agli arresti domiciliari per il coronavirus.

Tutto quello a cui diamo importanza e per cui lavoriamo non è essenziale.

Il tuo ufficio, in sostanza, non esiste, l’azienda per cui lavori non esiste, la tua busta paga non esiste, le tue ferie non esistono.

Quando ci si trova davanti al pericolo per la propria salute, tutto ciò che in tempi normali ci fa alzare al mattino smette di esistere.

Lo sai però cosa non può essere spazzato via da un virus o una recessione economica?

La tua passione.

Se ti appassiona qualcosa non c’è nulla che ti può portar via quella passione, che può toglierti quell’amore.

E se trovi questa passione scoprirai che il mondo esterno si riordina da solo per permetterti di viverla.

Quando la scoprirai vedrai che i miracoli avvengono regolarmente e che i risultati arrivano in modo naturale, senza molto sforzo.

Adesso che sai che ci sono queste due alternative, quella del modello SE-ALLORA e quella del modello processo/passione, chiediti su quale strada sei in questo momento.

Stai facendo le cose che fai perché stai inseguendo un risultato o perché sei innamorato del processo?

Cioè,

questo viaggio che, come tutti noi, hai intrapreso ti porterà in un luogo in cui vorrai restare o una volta lì vorrai andare da un’altra parte?

Letture consigliate

1. La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere

come essere felici

Immagina per un momento che quasi tutto ciò che credi su come raggiungere la felicità sia in realtà inesatto, fuorviante o falso.

E immagina che siano proprio queste tue convinzioni a farti sentire infelice.

E se in realtà fossero proprio i nostri sforzi per trovare la felicità a impedirci di ottenerla? 

Prezzo Kindle €9,99

2. Dentro la tana del coniglio – cosa ci rende felici

cosa ci rende felici

“Dentro la Tana del Coniglio” parla di felicità, di cosa la favorisce e di cosa la limita.

In queste pagine si raccontano esperienze di cambiamento, si sfida il concetto di “normale”, si mettono in discussione tutte quelle convinzioni che impediscono di scoprire il proprio talento, quello che si è veramente.

Così come il bianconiglio portò Alice nella sua tana per farle scoprire un mondo diverso, questo libro ti porterà in una dimensione dove la realtà è più fluida e reattiva, dove si capisce il perché delle cose, dove si acquista il potere di cambiarle.

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VIDEO: La tua innata felicità

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Viviamo in un mondo in cui non molte persone sanno come essere felici.

Una cosa che dico sempre è che a scuola ci insegnano molte cose ma la felicità non è una di queste.

Le istruzioni che ci danno insegnanti e genitori vanno bene per alcuni, ma non per tutti.

Chi, come me, non è portato per la vita da ufficio non se ne fa niente della preparazione per l’università o dei consigli su come passare un colloquio di lavoro.

E anche chi ha le qualità necessarie a fare successo nel mondo di oggi non sempre riesce a essere felice.

Allora cosa fare?

Online ci sono parecchie indicazioni sulle strade per la felicità e sia in questo blog che nell’omonimo libro ho già parlato dell’argomento.

Quello che voglio fare adesso è provare a fornire una sistema estensivo su come essere felici che non si concentri soltanto sulle strategie per la felicità ma anche su una miglior comprensione del lato più realistico della medaglia: l’infelicità.

Per questo il sistema è diviso in due fasi.

  • La FASE 1 è attinente all’identificazione dei motivi per cui non riusciamo a essere felici.
  • La FASE 2 esplora le tre dimensioni di un modo di pensare nuovo e più affine alla felicità.

Come essere felici – FASE 1:
Perché siamo infelici

Rispondi con sincerità:

  • Sei felice?
  • Ti senti entusiasta di iniziare una nuova giornata quando ti svegli?
  • Sei contento o contenta della vita che hai costruito o delle scelte che hai fatto?

Appena qualche anno fa avrei risposto di no a tutte queste domande.

Ho passato gran parte dei miei vent’anni a essere infelice della mia vita, e in quel periodo avevo l’abitudine di pensare che il motivo era la mancanza di soldi, di intelligenza o di fiducia in me stesso.

Poi un giorno sentii un discorso che, a distanza di anni, ha cambiato il mio modo di vedere le cose, un discorso in cui si diceva che la causa della nostra infelicità è strutturale e non circostanziale.

In generale, ciò vuol dire che l’infelicità origina dal modo in cui pensiamo piuttosto che dalle circostanze in cui viviamo.

Nel mio caso particolare, voleva dire che non ero infelice perché non avevo soldi o talento, ma ero infelice perché ero convinto di essere e di avere meno degli altri.

Un metodo per scoprire la causa dell’infelicità: l’esempio di Marta

So che quando si è infelici è difficile individuare la nostra responsabilità e capirne la vera causa, quindi voglio mostrarvi un metodo utile a farlo.

In poche parole, si parte dalla considerazione di un problema concreto per poi andare a ritroso e arrivare ai meccanismi di pensiero che lo hanno creato.

Per fare un esempio, facciamo finta che una ragazza di nome Marta non riesca a trovare un fidanzato.

Lei si sente sola e vorrebbe avere una relazione duratura, magari provare cosa vuol dire l’amore vero, sposarsi, fare una famiglia.

All’apparenza il suo problema è conseguenza della sfortuna, del caso o del fatto che ha semplicemente incontrato i ragazzi sbagliati.

Ma immaginiamo di poter isolare al microscopio le convinzioni dentro il cervello di Marta e di trovare quanto segue:

“non sono bella senza trucco” – “non verrò mai accettata così come sono” – “devo essere divertente altrimenti se ne vanno” – “i ragazzi vogliono solo ragazze leggere” – “il mondo è fatto di gente falsa e vuota se non mi adeguo rischio di restare da sola per sempre”.

Come pensi si comporterà una persona con questi pensieri in testa?

A causa delle sue convinzioni, Marta mostra spesso dei segni di nervosismo e tensione negli appuntamenti e nei messaggi, cosa che inconsciamente spinge i ragazzi che incontra a smettere di scriverle.

Il suo problema, dunque, non è tanto la sfortuna ma la struttura mentale, il fatto che abbia una definizione negativa di sé stessa, dei ragazzi e del mondo.

Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama

Come essere felici: la scheda di valutazione dei problemi

L’infelicità è come una casa fatiscente dove alcuni di noi vivono per molto tempo.

Se vogliamo vivere felici non possiamo semplicemente costruire una casa nuova, cioè sforzarci di essere ottimisti, ma dobbiamo prima capire cosa non va in quella vecchia e perché.

Come mostrato nel caso di Marta, il metodo per farlo è individuare le convinzioni negative che guidano le nostre azioni compilando una scheda di valutazione dei problemi.

Questa scheda è uno strumento che ci permette di svelare i meccanismi inconsci che sabotano la felicità e di individuare con maggior precisione le cause di un determinato problema.

La scheda è allora un altro step per capire come essere felici perché ci indica dov’è che sbagliamo permettendoci di scegliere un corso d’azione alternativo.

Le istruzioni per compilarla sono abbastanza semplici:

  • si parte da un problema, che sia piccolo o grande, meglio se qualcosa che persiste nel tempo;
  • dopodiché si mettono per iscritto i pensieri ricorrenti che abbiamo quando il problema si presenta;
  • poi si passa alle emozioni che il problema suscita in noi;
  • si identificano le definizioni che si hanno di sé stessi, degli altri e del mondo durante l’esperienza del problema;
  • si osserva quale delle nostre convinzioni/definizioni ha l’impatto più significativo sulle nostre azioni, cioè dove sta il potere;
  • si identificano le azioni compensative che vengono adottate per far fronte a queste convinzioni;
  • infine si descrive il risultato concreto di queste azioni.

Un altro caso di persona infelice: l’esempio di Saverio

Per mostrare come si compila la scheda di valutazione di un problema usiamo il caso di un’altra persona immaginaria, chiamiamola Saverio.

Saverio è depresso perché non ha né lavoro né speranza nel futuro.

Ha alle spalle una laurea triennale in ingegneria che non gli è servita a molto in termini lavorativi.

Non ha una grandissima stima di se stesso, pensa di essere poco intraprendente e qualificato, vede gli altri più sicuri e in gamba di lui e crede che il mondo fuori di casa sua sia un posto sostanzialmente ostile.

Con definizioni del genere in testa è quasi inevitabile che sorgeranno dei problemi per lui, il primo dei quali l’incapacità di trovare un lavoro.

Da questo problema sorgono per Saverio altre complicazioni come un generale sconforto che lo porta a passare alcuni periodi davanti la TV e a trovare scuse per non uscire di casa.

Il suo modo di pensare gli impedisce di essere felice e ha un impatto sul portafogli di suo padre visto che spende molti soldi in corsi di formazione e seminari online.

Nel compilare la scheda di valutazione del problema Saverio scrive qualcosa del genere:

Leggi anche: Come affrontare la vita quando sorgono i problemi

L’infelicità parte dai problemi, i problemi partono dai pensieri

Come si vede, il problema di Saverio non è tanto il fatto che non abbia un lavoro stabile.

L’insicurezza in amore o la mancanza di lavoro, così come le varie difficoltà economiche e relazionali, partono sempre da una definizione distorta della realtà.

Se Marta potesse vedere le cose con più chiarezza si renderebbe conto che non tutti i ragazzi sono superficiali, che non c’è nulla di sbagliato in lei e che la sua bellezza non dipende dal fondo tinta.

Similmente, anche Saverio scoprirebbe nuove possibilità se cambiasse le definizioni di sé stesso e degli altri.

Con una diversa struttura di pensiero potrebbe decidere di partire e fare un’esperienza all’estero o andare a vivere da solo, fare il cameriere part time mentre usa il tempo libero per capire cosa fare nella vita.

Invece la sua attenzione è rivolta verso quello che non va nelle sue circostanze.

La realtà vista attraverso il filtro delle sue definizioni lo spaventa e suscita in lui una frustrazione che gli annebbia la mente.

Il messaggio dietro queste storie è che se le fondamenta della nostra casa sono negative, se cioè abbiamo definizioni negative di noi stessi, degli altri e del mondo, la nostra vita non potrà mai essere positiva e felice.

Molto prima di provare a sforzarsi di essere positivi e felici, allora, bisogna riconoscere le radici della nostra infelicità: le convinzioni limitanti e i pensieri negativi che abbiamo ogni giorno.

Come essere felici – FASE 2
Le 3 dimensioni di un diverso modo di pensare

Dopo aver vissuto in prima persona un cambiamento tangibile nella struttura di pensiero posso affermare con certezza che la nostra realtà esterna cambia quando cambiamo le nostre definizioni.

Il fatto è però che ciò non avviene dall’oggi al domani.

I pensieri che abbiamo oggi sono il risultato di anni e anni di ripetizione. Essi sono diventati come delle piante che hanno messo radici nella nostra mente occupando molto spazio.

Non basta iniettare un semino di positività per rimpiazzare la negatività ma ci vuole un allenamento costante nel tempo.

Se attualmente vediamo tutto nero dobbiamo addestrare la mente a vedere anche i colori.

Se pensiamo che ci sia qualcosa di sbagliato in noi dobbiamo imparare a riconoscere quello che c’è di buono.

E quando sentiamo di non aver nulla per cui essere grati dobbiamo trovare la forza di apprezzare quello che abbiamo.

Leggi anche: Terapia di coppia, come funziona e quando conviene farla

1. La gratitudine

La gratitudine è la prima dimensione di una nuova struttura mentale, la porta d’ingresso della nostra nuova casa.

Vi racconto la storia di come l’ho scoperto.

Tempo fa mi ritrovai a vivere uno dei miei soliti momenti bui e, come facevo sempre, mi rivolsi a un amico per chiedere aiuto.

Dopo aver esposto le motivazioni della mia tristezza questa persona mi disse qualcosa che non mi aspettavo: “se vuoi un consiglio, prova a scrivere dieci cose diverse per cui sei grato ogni sera, prima di andare a dormire, e vedi cosa succede”.

All’inizio pensai che fosse impossibile, 10 cose nuove ogni sera? Sarà già tanto se ne riesco a trovare 2! pensai.

Ma poi decisi di provare lo stesso e per più di una settimana, prima di andare a letto, mi sforzai di scrivere sul il mio diario dieci cose nuove per cui essere grato.

Dopo appena qualche giorno sentii emergere una nuova vitalità, un nuovo apprezzamento per le persone che avevo intorno.

I miei rapporti con i miei amici e con la mia famiglia migliorarono, sentivo di avere una maggior energia che mi portava a uscire e a sorridere di più.

Così facendo incontrai persone nuove a cui davo un’impressione diversa rispetto alla definizione che avevo di me stesso: venivo visto come una persona solare, affettuosa, positiva.

Un’immagine ben lontana dalla vecchia convinzione di essere un pessimista insicuro e negativo.

I benefici della gratitudine

Come nel mio caso, molte persone hanno scoperto che la gratitudine ha parecchi benefici e che può essere “allenata”.

Grazie a essa entriamo in una dimensione energetica positiva dove il peso di quello che va bene nella nostra vita supera il peso di quello che va male.

Studi in questo campo confermano la verità che mantenere un diario della gratitudine ha dei benefici psicologici, fisici e sociali.

Il buon umore che deriva dall’essere grati ci fa guardare le cose sotto una diversa prospettiva, rafforza i legami e ci permette di attutire l’effetto distruttivo di sentimenti negativi come rancore o invidia.

2. L’empatia

È realistico pensare che non tutti avranno la pazienza di scrivere quello per cui sono grati ogni giorno.

Io per esempio, non ci sono riuscito.

Ho sperimentato sulla mia pelle i benefici concreti della gratitudine ma nel tempo sono ritornato a essere il solito me, con le mie solite convinzioni.

Per questo credo ci sia bisogno di integrare la dimensione della gratitudine con un’altra dimensione, quella dell’empatia.

Per empatia intendo la capacità di essere comprensivi e pazienti con se stessi e con gli altri.

L’empatia è mancanza di giudizio e di pregiudizio, assenza di permalosità.

Quando sbagliamo noi o gli altri l’empatia ci permette di avere un atteggiamento meno bellicoso e di essere invece più curiosi riguardo alle motivazioni dietro lo sbaglio.

È grazie all’empatia, quindi, che si impara.

Essa ci permette di comunicare meglio e di costruire relazioni più sane con le persone che ci stanno intorno.

Perché, se ci pensi bene, è facile ammettere che nessuno vuole stare con qualcuno che critica e giudica di continuo, e nessuno dovrebbe trattare se stesso in quel modo.

Si impara come essere felici quando si smette di prendersela con sé stessi e con gli altri per quello che non va, quando si apprezza di più quello che va e quando si diventa comprensivi con le proprie mancanze.

Da questo stato d’animo, grato e paziente, si può andare avanti e lavorare sulla propria fiducia.

3. La fiducia

La fiducia in se stessi e nel mondo è un altra dimensione del pensiero felice, cioè quello che crea felicità.

Una persona che si concentra sui problemi (e che è infelice) è anche una persona che non ha fiducia nella bontà della vita, che è convinta di dover tenere tutto sotto controllo.

La paura è il sentimento sottostante le sue azioni, la stessa paura che è il risvolto negativo della fiducia.

Essa ci fa temere che le cose andranno sempre male in futuro, che non avremo abbastanza amore o risorse per vivere ed essere felici.

La paura è la madre dell’infelicità perché parte dal presupposto che quello che ci serve per stare al sicuro è all’infuori di noi.

La fiducia, invece, si basa su presupposti diversi, e cioè che la vita è orientata verso il bene, che non c’è nessun pericolo e che tutto quello di cui abbiamo bisogno per essere felici è già dentro di noi.

Come essere felici: un po’ di sano realismo

Concludiamo con un po’ di sano realismo.

Abbiamo già detto che non è semplice cambiare modo di pensare perché l’infelicità è strutturale ed è fatta di pensieri radicati nella nostra mente da anni o addirittura decenni.

Non credete a chi vi promette formule magiche di trasformazione personale perché spesso non bastano neanche molti mesi a imparare come essere felici.

Quel discorso in cui si diceva che per essere felici bisognava cambiare modo di pensare è stato più di dieci anni fa e, a essere completamente sincero, dopo aver apprezzato il messaggio sono tornato a fare quello che facevo sempre…

…fino a quando ho smesso di farlo.

A un certo punto la disistima e il biasimo personale hanno desistito, perché i semi della gratitudine, dell’empatia e della fiducia avevano anche loro preso spazio nella mia mente.

Erano cresciuti ed erano diventati delle abitudini, una parte integrante della mia struttura mentale.

Adesso sono abituato a non prendermela con me stesso e con chi mi sta intorno, a ringraziare l’universo per tutto quello che ho, ad avere fede che la vita mi mostrerà quello di cui ho bisogno per essere felice.

Ad oggi posso dire che, grazie alle nozioni appena condivise, sono più felice.

Ed è realistico affermare che, seppur non basti un articolo su come essere felici per cambiare vita, di certo basta a fare il primo passo, a piantare il primo seme.

Letture consigliate

1. Le coordinate della felicità

Se ogni tanto desideri mollare tutto e partire. Se ti senti “fuori posto” in una vita normale.

Se sogni di essere libero di vivere come preferisci. Se ami viaggiare e ti piacerebbe lavorare viaggiando.

Se sei stufo di inseguire un’idea di felicità decisa da altri… questo libro potrebbe aiutarti a cambiare vita e a trovare la forza di seguire i tuoi sogni.

Formato Kindle €8,99

2. L’arte della felicità

come essere felici

Conoscere se stessi, controllare le emozioni distruttive, sconfiggere l’egoismo per aprirsi agli altri attraverso l’esercizio quotidiano alla compassione: ecco riassunti i precetti che il buddhismo indica come gli ingredienti fondamentali per un’esistenza più felice.

Ma questa è davvero una via percorribile per noi occidentali, costantemente indirizzati a modelli di vita tutti incentrati sulla competizione e il successo?

Copertina Flessibile €11,00

3. La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere

come essere felici

«Immagina per un momento che quasi tutto ciò che credi su come raggiungere la felicità sia in realtà inesatto, fuorviante o falso.

E immagina che siano proprio queste tue convinzioni a farti sentire infelice.

E se in realtà fossero proprio i nostri sforzi per trovare la felicità a impedirci di ottenerla?

Formato Kindle €9,99

4. Dentro la tana del coniglio, cosa ci rende felici

Il libro che ha dato vita al blog.

Tra le sue pagine troverai aneddoti e storie sulla felicità, su ciò che la favorisce e ciò che la limita.

Leggi la pagina di approfondimento per maggiori info.

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La solitudine è diversa dallo stare da soli.

Quest’ultimo può essere una scelta, un bisogno, una forma di sollievo.

La solitudine vera è una sensazione di profondo isolamento che si prova quando la propria esistenza sembra essere scollegata dalle altre, quando si vive in una dimensione parallela dove non c’è condivisione.

È uno stato mentale che affligge anche chi è circondato da volti familiari ma estranei.

La solitudine è quel senso di schiacciante vuoto quando apri la porta di casa e senti il silenzio dell’assenza.

È un dolore acuto, a tratti terrorizzante. Una paura ancestrale di non poter sopravvivere all’abbandono.

Tipi di solitudine

Come vedremo tra poco ci sono diversi motivi per cui una persona può sentirsi sola, ma in generale rientrano tutti nelle due tipologie principali di solitudine: la solitudine emotiva e la solitudine sociale.

Solitudine Emotiva

La solitudine emotiva risulta dalla mancanza di una relazione intima e soddisfacente con un altro essere umano.

Sin dall’infanzia siamo abituati ad avere uno speciale attaccamento a certe persone.

Da piccoli il nostro bisogno di contatto viene soddisfatto dai genitori, mentre da grandi dagli amici e dai partner.

Per questo degli psicologici hanno suddiviso la solitudine emotiva due sotto-tipologie, la solitudine romantica e la solitudine familiare.

La prima causata dalla mancanza di una relazione sentimentale, la seconda dalla mancanza di un nucleo familiare.

Solitudine Sociale

La solitudine sociale ha a che fare con il senso di appartenenza a una più o meno ampia rete di supporto.

Può nascere dalla mancanza di un gruppo di amici o dal non riconoscersi nei valori della società/comunità in cui si vive.

La solitudine è una questione soggettiva

La solitudine è un’esperienza altamente soggettiva in quanto è determinata dalla differenza tra le aspettative personali e la qualità delle reali interazioni umane che si vivono.

C’è, per esempio, chi si sente escluso pur avendo molti amici e chi si sente incluso con pochi; chi si sente solo in una festa, chi sta bene lontano dal mondo.

Ciò che rende una persona “sola”, insomma, è il tipo specifico di contatto che le manca.

Le interazioni superficiali che abbiamo quotidianamente non sono sempre abbastanza a colmare il nostro bisogno di attaccamento agli altri.

Si possono incontrare centinaia di persone al giorno ma se non ci sentiamo veramente visti da nessuno ci sentiremo inevitabilmente soli.

Non serve avere mille amici su Facebook, a volte basta un’unica, autentica conversazione con un altro essere umano per placare la nostra solitudine.

Leggi anche: Dipendenza dal cellulare, cosa comporta e come superarla

La solitudine nel mondo moderno

Si narra di un monaco buddhista che, in visita a Londra e rattristato dallo sguardo assente delle persone in metropolitana, disse ai suoi accompagnatori “Poverini, come vi posso aiutare?”

Per chi viene da un’altra cultura non è facile comprendere lo stile di vita occidentale.

Siamo una tribù frammentata, fatta di milioni di individui ossessionati dal lavoro e dal denaro, che convivono senza conoscersi o… riconoscersi.

Viaggiamo in metropolitane e camminiamo in marciapiedi stracolmi di persone che nella maggior parte dei casi non vediamo neanche.

Insegniamo ai nostri figli a non dare confidenza agli estranei, a non guardarli e a guardarsi da loro.

Viviamo in città affollate dove è facilissimo incontrarsi e nonostante questo siamo noi stessi a scegliere la solitudine quando lasciamo che il pregiudizio e il sospetto abbiano la meglio sulla fiducia nel prossimo.

La “scelta” di stare soli

Prima del 1960 le cose non erano proprio così, ci si sentiva meno soli, ci si fidava forse di più degli altri.

Era molto più comune per le persone rimanere nel posto in cui erano cresciute e mantenere legami con la propria comunità.

Con il boom economico e l’urbanizzazione tutto è cambiato: sempre più persone si sono trasferite in città e hanno scelto, per volontà o bisogno, di rinunciare a quei legami per le opportunità lavorative.

Essere indipendenti e vivere da soli sono così diventati qualcosa a cui aspirare, nonché degli indicatori di successo personale e stabilità economica.

Si pensi che oggi a Stoccolma il 60% degli adulti vive da solo mentre a Berlino è quasi il 50%.

È come se l’essere dipendenti dagli altri, emotivamente o economicamente, fosse visto come una forma di debolezza, soprattutto nei paesi più individualisti dell’occidente come quelli anglosassoni.

Non è forse un caso che qui il tasso di solitudine sia molto più alto rispetto ai paesi più orientati alla vita collettiva.

Si pensi, ad esempio, che negli Stati Uniti o in Inghilterra la percentuale di popolazione che si sente sola oscilla tra il 20 e il 28% – contro il 3-10% della Cina o del Sud Africa.

(Fonte)

La solitudine ai tempi di internet e dei social media

È difficile dire con esattezza quale sia la correlazione tra internet e solitudine.

Alcuni studi hanno riscontrato che il web aiuta alcuni a sentirsi meno soli e a combattere la depressione.

Altre ricerche hanno avuto dei risultati opposti.

La verità sta forse nel mezzo, ovvero nel tipo di utilizzo che facciamo di internet e dei social media.

Si può usare Facebook per mantenersi in contatto con i propri cari oppure per paragonarsi agli altri amplificando il senso di distacco e solitudine.

Oppure possiamo usare Google per leggere fake news, scovare il peggio che il mondo ha da offrire e trovare una buona scusa per non uscire di casa.

La verità è che molte persone, me incluso, hanno trovato una voce grazie al web, e hanno potuto migliorare le loro vite, imparare cose nuove grazie al confronto con l’immensa comunità virtuale.

L’illustratore Jonny Sun nel suo monologo “Non siete soli nella vostra solitudine” (a fine articolo) esprime lo stesso concetto:

Molti considerano Internet un luogo solitario. Può esserlo, un enorme vuoto senza fondo da cui tu puoi gridare incessantemente senza che nessuno ti senta. In realtà, io ho trovato conforto nel parlare a quel vuoto. Ho scoperto che se condividevo i miei sentimenti col vuoto, alla fine questo mi rispondeva.

la solitudine e internet

Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama

Chi prova solitudine

Ci si sente soli in diverse situazioni, per diversi motivi e in diverse fasi della vita.

A sentirsi soli sono spesso gli anziani, i genitori single e gli immigrati.

Si sentono soli gli adolescenti che non hanno amici o parenti che li aiutano ad affrontare l’incertezza della vita che li attende.

Si sente solo lo studente universitario fuori sede che è passato dal paesino alla grande città e non sa come fare per ricreare quel senso di comunità a cui era tanto abituato.

Anche i disoccupati si sentono soli, esclusi dal cerchio degli indaffarati e degli impiegati.

Poi si sente solo chi ha perso una persona cara, chi soffre a causa di un divorzio o della fine di una relazione.

Si sentono sole alcune mamme dopo aver partorito.

Ci si sente soli in alcuni matrimoni, quando la solitudine viene amplificata dalla distanza di chi è più vicino.

Infine, riprendendo il filo della solitudine nel mondo moderno, ci si sente soli nelle grandi città, specialmente quando non ci si sente accolti e non c’è nessun vicino di casa o fruttivendolo a darci un sorriso e dirci “buongiorno, come stai?”.

Cosa comporta la solitudine

Nel libro Solitudine. L’essere umano e il bisogno dell’altro il neuroscienziato John Cacioppo sostiene che la solitudine è qualcosa di ben radicato nella nostra biologia, che coinvolge il corpo in maniera totale, dalla circolazione del sangue alla trasmissione degli impulsi nervosi. 

Le immagini del cervello ottenute con la neurovisualizzazione confermano che le sensazioni provocate dall’emarginazione sociale e il dolore fisico condividono lo stesso meccanismo fisiologico.

La solitudine fa male al corpo tanto quanto la mente e il cuore. Essa può indebolire il sistema immunitario, aumentare la produzione di ormoni dello stress e disturbare il sonno.

Una ricerca ha trovato un legame tra la solitudine e il maggior rischio di infarto, demenza, pressione alta e un generale aumento nel rischio di morte prematura del 50% (un rischio comparabile a quello di fumare 15 sigarette al giorno!).

Riguardo agli effetti psicologici, la solitudine è strettamente collegata alla depressione, l’ansia e le tendenze suicide.

Negli adulti può portare all’alcolismo mentre nei minori a comportamenti auto-distruttivi, antisociali e persino delinquenti.

Nella vita di tutti i giorni il sentirsi soli può compromettere lo svolgimento delle normali incombenze quotidiane e farci sentire come se fossimo delle comparse invisibili nel mondo.

Gli effetti positivi della solitudine

Passando all’aspetto più positivo dell’argomento, stare soli non è sempre un dramma.

In certi casi la solitudine serve e fa bene. Essa è fondamentale per trovare la concentrazione e la creatività, nonché per permettere l’auto-riflessione necessaria a conoscere se stessi.

Altre attività utili alla crescita personale vengono spesso fatte da soli come la preghiera o la meditazione.

Vivere o viaggiare da soli lontani da casa può anche regalare senso di indipendenza e autonomia, aumentare la propria autostima e fiducia in sé stessi.

Ricordo, per esempio, il giorno in cui sono atterrato negli Stati Uniti: ero solo in una cultura lontana anni luce dalla mia e mi sentivo impaurito, impotente.

Col tempo, però, la solitudine iniziale ha iniziato a recedere e ho visto che dietro c’era una forza che non credevo di avere.

Quell’esperienza ha così migliorato di molto la mia vita, mi ha permesso di conoscere meglio me stesso e apprezzare di più la presenza delle persone.

Soluzioni comuni per combattere la solitudine

Una soluzione che avrebbe un grandissimo impatto nel combattere il senso di solitudine che molte persone sentono oggi è l’aumento di spazi condivisi per vivere e lavorare.

Per intenderci, stiamo parlando di co-housing e co-working.

Co-housing

Co-housing vuol dire letteralmente “abitare insieme” ed è un trend che è nato in America e in Danimarca intorno agli 80.

Quello che accade, in sostanza, è che diverse famiglie decidono di acquistare le loro case in una stessa zona e di raggrupparle intorno a una casa comune che di solito include:

  • una cucina (per i pranzi e le cene comuni in occasione di feste);
  • uno spazio giochi per i bambini, in cui le mamme si possono incontrare di pomeriggio per passare del tempo insieme oppure a turno si potevano incaricare di occuparsi dei figli delle altre famiglie;
  • uno spazio di lavoro come un’officina o un laboratorio per costruire oggetti d’uso per la comunità;
  • uno spazio per gli ospiti;
  • una zona lavanderia o altro.

Grazie a una tale disposizione si riducono di molto le possibilità che gli anziani si possano sentire isolati o che alcune mamme possano avere difficoltà con la cura dei bambini.

La vita comune diventerebbe una sorta di cooperativa, dove i problemi e le gioie del singolo vengono condivisi dal gruppo.

Co-working

Co-working vuol dire letteralmente “lavorare insieme” ed è uno spazio usufruito da diversi professionisti.

A differenza di un tipico ufficio le persone che lavorano in un co-working space lavorano per diversi clienti o diverse compagnie.

Inoltre ci sono spesso ambienti per rilassarsi, fare una pausa o persino cucinare.

Lo scopo non è dunque solo quello di permettere la flessibilità lavorativa ma anche di favorire opportunità di collaborazione e aggregazione.

Altre soluzioni comuni al problema della solitudine

Per risolvere il fenomeno dell’isolamento delle persone c’è molto da fare sia online che offline.

A livello governativo si potrebbero varare leggi che finanziano la costruzione di spazi pubblici, riducono le ore lavorative o promuovono la costituzione di associazioni culturali e organizzazioni ricreative.

Gli amministratori locali potrebbero adottare misure per spingere le persone a usufruire dei parchi pubblici; architetti e ingegneri potrebbero includere aree comuni e spazi aperti nei progetti di edifici pubblici e privati.

Anche i social media, il nostro spazio di condivisione virtuale, possono fare molto per far sentire le persone meno sole.

Instagram ha già eliminato il numero di like dai suoi post per evitare che alcuni utenti si potessero sentire inferiori agli altri.

Allo stesso modo altre piattaforme potrebbero riadattare la loro funzionalità al benessere del singolo invece che alle possibilità di guadagno.

Soluzioni individuali alla solitudine

Per quanto si possa incoraggiare a vivere insieme, ogni sforzo sarà inutile se alla base non esiste una ferma volontà di superare la propria solitudine.

Per chi è intenzionato a farlo ci sono tantissimi modi di connettere con gli altri, anche qui sia online che offline.

Sul web ci sono siti come meetup.com che danno la possibilità di partecipare agli incontri di gruppi di persone con interessi in comune come la cucina o lo yoga.

Si può poi usare il web per farsi un’idea di quello che accade nella vita reale e trovare concerti, mostre, attività a cui partecipare ed eventi dove andare.

In ultima istanza, il problema della solitudine è un problema di tutti e al tempo stesso di ogni singolo individuo.

La circostanze in cui viviamo hanno sicuramente un impatto decisivo sulla nostra socialità, ma nessun posto o comunità può mai compensare la nostra mancanza di interesse verso gli altri.

Oltre a sfruttare le opportunità che ci offre la nostra città, per essere meno soli dobbiamo coltivare un elemento essenziale al senso di appartenenza: la fiducia nel prossimo.

Solo con la fiducia si può placare la morsa invalidante della solitudine; solo riuscendo a vedere gli altri come alleati, e non nemici, ci si può sentire meno soli.

VIDEO: Non siete soli nella vostra solitudine

3 commenti su “La solitudine oggi: da dove nasce, cosa comporta e come si può combattere”

  1. la solitudine a me non mi spaventa, non è una cosa così brutta come la descrivano le persone, a volte è saggezza vuol dire non seguire un gregge che non ci piace, vuol dire essere liberi vuol dire essere se stessi

    1. Sono d’accordo Mauro, il problema è quando non è una scelta essere soli ma una conseguenza di una paura o insicurezza. quella solitudine lì è una brutta bestia

  2. Ho letto volentieri tutto l’articolo, grazie! Apprezzo tutte le attestazioni emerse.
    Una mia personale considerazione? L’assenza o la distanza da chi amo avere intorno non la chiamo solitudine ma mancanza, vuoto, rimpianto. La solitudine, invece, è quello spazio gioioso nel quale amo rifugiarmi per ritrovarmi, per lasciarmi andare, per appagare il mio sentire, lontana da qualsiasi tipo di condizionamento, sia affettivo che mediatico.
    Un sentito abbraccio di solidarietà per un tema che mi è caro.

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Le relazioni romantiche non sono cosa semplice e, come le macchine, di tanto in tanto hanno bisogno di essere portate dal meccanico per sistemare quello che non va, ovvero di ricorrere alla terapia di coppia.

È vero, ci sono problemi che possono essere risolti in casa con un po’ di buona volontà e pazienza.

Ci sono però delle fasi di una relazione che sono un po’ come delle sabbie mobili, in quanto l’unico modo di uscirne è farsi tirar fuori da qualcuno al di fuori, possibilmente qualcuno con le dovute competenze.

Cos’è la terapia di coppia?

Uno dei motivi per cui le persone non ricorrono alla terapia di coppia è che il concetto stesso di terapia nella nostra cultura è frainteso.

Come nella psicoterapia individuale, molti pensano che sia qualcosa che solo persone con gravi problemi fanno o che sia un modo di forzare il proprio partner a cambiare.

Molte persone non sono consapevoli dei benefici che il confronto con un terapeuta può avere nella vita, non capiscono che ricorrere alla terapia non è tanto una scelta contro un malessere ma una a favore del proprio benessere psicologico.

Con questa dovuta premessa vediamo più in dettaglio cos’è la terapia di coppia.

La terapia di coppia è un tipo di psicoterapia nel quale un professionista, abilitato e con esperienza, aiuta due persone ad approfondire e risolvere le cause dei loro problemi relazionali.

Il percorso terapeutico di solito inizia con una serie di domande mirate a comprendere la storia della coppia, le origini familiari, i valori e il background culturale.

Il terapista può puoi scegliere il tipo di intervento in base al suo orientamento: può partecipare attivamente alla soluzione della crisi o limitarsi a fare da specchio per aumentare la consapevolezza.

Durante la fase di trattamento, il terapeuta aiuta la coppia a ottenere una nuova prospettiva sulle dinamiche del rapporto che mantengono in vita il problema.

Allo stesso tempo, aiuta entrambi a capire meglio il loro ruolo e le loro responsabilità.

Ciò li aiuterà a migliorare la comunicazione e cambiare il modo in cui percepiscono sé stessi, il partner e i reciproci ruoli nella coppia.

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Due obiettivi: assertività e cambiamento

Un beneficio importantissimo della terapia di coppia è dunque un miglioramento dell’assertività, che è la capacità di esprimere chiaramente le proprie emozioni senza aggredire l’altro.

Oltre a questo c’è poi una parte più pratica, in cui l’obiettivo non è tanto di comprensione ma di cambiamento del comportamento.

A tal fine il terapeuta può assegnare dei “compiti”, o chiedere alla coppia di modificare qualcosa nella loro routine per stabilire una nuova dinamica e ottenere diversi risultati rispetto al passato.

Molte coppie terminano il loro percorso di terapia con una nuova visione di quello che vuol dire stare insieme e avere una relazione sana.

Imparano a rispettare/ascoltare di più l’altro e a tenere a bada le cattive abitudini di comportamento che hanno creato malumori in passato.

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Quando fare terapia di coppia: 10 esempi

Con questo non si vuole di certo far passare il messaggio che la terapia di coppia sia la panacea di tutti i mali e che possa risolvere ogni tipo di problema.

A volte, e semplicemente, non c’è la volontà di stare insieme.

In altri casi, e visto che il terapeuta viene spesso considerato come l’ultima spiaggia, molte coppie scelgono di fare terapia quando la loro crisi è già in corso da diversi anni.

L’efficacia dell’intervento è dunque altamente influenzata dalla tempistica e dalla professionalità del terapeuta scelto.

Vale la pena ricordare che molti terapeuti, sia individuali che di coppia, offrono qualche forma di prima consulenza gratuita per permettere ai partner di decidere autonomamente cosa fare.

Quindi la fase di esplorazione delle opzioni non comporta nessuna spesa.

La cosa più importante da considerare, oltre al chi, è capire esattamente quando chiedere aiuto.

Per chiarire meglio la questione riporto qui una lista di problemi individuati da PsychologyToday comuni alle coppie che scelgono di fare terapia.

1. La fiducia è stata rotta

Uno dei problemi più frequenti nel ricorso alla terapia di coppia è il bisogno di superare una profonda rottura della fiducia.

Forse la causa è stato un tradimento sessuale; forse un tradimento affettivo; o forse ci sono state delle bugie inerenti al denaro.

Grazie alla terapia si offre in questi casi uno spazio sicuro all’interno del quale si può essere vulnerabili e ricostruire fiducia reciproca.

2. Le liti si fanno sempre più frequenti

Le liti di coppia sono una parte normale di ogni relazione, ma se la vita quotidiana inizia a essere orientata sempre di più verso il conflitto potrebbe esserci un problema più profondo sotto la superficie.

Ciò sarà da attenzionare soprattutto quando le cause dei litigi sono apparentemente banali.

3. Problemi di comunicazione

Forse non è una quesitone di conflitto ma di una incapacità di comprendersi a vicenda.

Il tuo partner sembra distante e non capisci cosa pensa o cosa prova.

Spesso uno dei risultati più tangibili della terapia di coppia è un miglioramento della qualità della comunicazione.

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4. Si percepisce che c’è qualcosa che non va ma non si capisce cosa

Come accennavamo prima la terapia di coppia, come quella individuale, è utilissima non solo a risolvere i problemi ma anche a identificarli.

In altre parole, grazie a essa impariamo a dare un nome alle cose.

Magari ci rendiamo conto che il problema non è il fatto che il nostro partner passi troppo tempo a lavoro ma che quando torna a casa non fa nulla per farci sentire apprezzati.

Oppure percepiamo che qualcosa è cambiato nel modo in cui si sta insieme e non si riesce a trovare l’origine di tutto.

5. C’è qualcosa che si vorrebbe dire al partner, ma non si è capaci di farlo

La bellezza della terapia è che crea un ambiente dove tutto può essere detto e condiviso.

Il terapeuta funge spesso da cuscinetto tra te e le verità più nascoste della tua mente, e anche da cuscinetto tra te e il partner.

Ti fa sentire protetto/a abbastanza da dire ciò che ti passa per la testa senza timore di innescare reazioni di giudizio e biasimo.

I professionisti più in gamba hanno poi la capacità di parafrasare le nostre parole per renderle più chiare e meno soggette a fraintendimenti.

Lui o lei, può dunque fare un po’ da traduttore per il nostro partner, e riportare il nostro punto di vista in un modo che sia più facile da accettare e comprendere.

6. Uno dei partner diventa irascibile e difficile durante i conflitti

Gli studi di John Gottman dimostrano che il modo in cui una coppia gestisce i litigi è un indicatore della stabilità della coppia e delle possibilità di divorzio in futuro.

Tra i segnali che lasciano intravedere il pericolo di rottura ci sono quelli che Gottman chiama i quattro cavalieri dell’apocalisse, ovvero degli stili comunicativi altamente nocivi alla crescita della relazione.

Questi stili sono:

  • Criticismo,
  • Difensività,
  • Disprezzo,
  • Stonewalling.

Lo stonewalling è una tecnica di ostruzionismo che adotta chi vuole evitar il confronto diretto o far innervosire il partner.

In concreto può consistere nel lasciare la stanza durante un litigio, nell’assumere un atteggiamento indisponente o passivo-aggressivo, nel fare scena muta.

Leggi anche: Cose da sapere se si vuole avere più fiducia in se stessi

7. C’è stato un evento devastante che ha cambiato il modo in cui interagite

Ci sono eventi nella vita che hanno il potere di cambiarci da dentro e, di conseguenza, di cambiare le nostre relazioni.

La perdita di una persona cara, per esempio, o un lungo periodo di disoccupazione, possono infrangere le basi di un legame e far allontanare due partner.

Il ricorso alla terapia in questi casi può essere d’aiuto nel ripartire da zero e uscire insieme dal periodo difficile.

8. Siete bloccati in una serie di abitudini distruttive

Ci sono diverse cattive abitudini che possono mettere alla prova un rapporto di convivenza o di matrimonio.

Si può trattare del modo di comunicare o di trattare l’altro, come l’abitudine di lamentarsi continuamente con il partner del proprio lavoro e l’incapacità di fare lo stesso per lui/lei.

Magari c’è uno squilibrio eccessivo nelle responsabilità attinenti alla vita di coppia o alle faccende di casa.

Più l’abitudine va avanti nel tempo e più è difficile modificarla.

9. L’intimità emotiva è sparita

È molto comune vedere una forte passione nella fase iniziale di ogni relazione seguita da un calo di interesse nel corso egli anni.

La causa di ciò può essere il semplice eclissarsi dell’intimità di fronte ai sempre più pressanti impegni familiari quotidiani o il sintomo di una frattura più profonda.

La terapia di coppia può sicuramente aiutare ad andare a fondo alla questione ed eventualmente a ritrovare la complicità perduta.

10. L’intimità fisica è un problema

I problemi a letto possono essere il sintomo di altri problemi relazionali e di frustrazioni non adeguatamente attenzionate.

Il modo in cui si presentano varia dal blocco immediato a un raffreddamento graduale della vita sessuale, che può essere vissuto in modo simile da entrambi o avere un impatto maggiore su uno dei due.

A prescindere dal tipo di causa o problema un terapeuta esperto di solito riesce a far luce sulla situazione e dare consigli su un’ipotetica soluzione.

Considerazioni finali sulla terapia di coppia e individuale

Il fatto che le persone che vanno dal terapeuta vengano chiamate “pazienti” può scoraggiare molte persone dal cercare aiuto psicologico.

Quando abbiamo un problema fisico come un dolore o una frattura, non ci facciamo problemi a cercare un dottore.

Il paziente mentale, però, viene visto in modo diverso rispetto al classico paziente d’ospedale.

Le problematiche mentali non sono così chiare come quelle fisiche e, per evitare di ammettere di averle, ci si ostina troppo spesso a pensare di poter risolvere tutto da soli.

Cosa che, a pensarci bene, è alquanto ingiusta da pretendere da sé stessi.

A scuola nessuno ci insegna come controllare le nostre emozioni o come affrontare la vita quando sorgono i problemi.

Molti di noi riescono a imparare grazie all’esperienza e a sviluppare una spiccata intelligenza emotiva.

Ma non tutti apprendiamo allo stesso modo e con la stessa facilità.

Di fronte a una delusione lavorativa/scolastica/amorosa c’è chi si rimbocca le maniche e si rimette a lavoro e chi cade a terra e non riesce più a rialzarsi.

Allo stesso modo, davanti un problema matrimoniale alcune coppie sviluppano una naturale resilienza psicologica, altre soccombono davanti l’ostacolo.

Tutto ciò che la terapia individuale o di coppia fa è ridurre il divario tra chi fa da sé e chi ha bisogno di aiuto.

È un intervento di benessere, di costruzione della felicità, di costruzione della maturità e dell’integrità personale.

Non c’è assolutamente nulla di male nel chiedere aiuto o nell’ammettere di essere in difficoltà.

La nostra accettazione della vulnerabilità è il primo passo verso la forza, così come l’umiltà di ammettere di non essere in grado di risolvere una crisi relazionale è il primo passo verso una più matura e solida relazione.

Lettura consigliata: Terapia di coppia per amanti di Diego De Silva

Un romanzo a due voci, maschile e femminile, che si alternano a raccontare la loro storia mentre la vivono, perché «ci sono fasi dell’amore in cui la realtà diventa un punto di vista, generalmente quello di chi lo impone».

Due adulti sposati (non tra loro) che si ritrovano uniti da una passione incontrollabile e da un amore coriaceo, particolarmente resistente alle intemperie. 

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VIDEO: Le cose che non sapete sul matrimonio

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Di recente ho visto una serie televisiva che descrive l’amore moderno chiamata Modern Love.

La cosa che ha colto subito la mia attenzione è il realismo con cui la serie racconta i legami sentimentali al giorno d’oggi.

Non in modo edulcorato e idealizzato, ma attraverso il racconto di personaggi vulnerabili, ansiosi, depressi, imperfetti, come chiunque di noi potrebbe essere in qualsiasi momento della propria vita.

Il messaggio centrale è che tutti possono amare ed essere amati, è che tutti hanno il diritto di amare e di essere amati.

Perché anche quando si manifesta tra persone di diverse generazioni o culture o dello stesso sesso, l’amore mantiene sempre la sua integrità e fa quello per cui molti lo cercano: fa sentire al sicuro.

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre

Perché serve comprendere l’amore

Tutti abbiamo familiarità con l’idea di innamoramento e di amore eterno.

Ma, e il tasso di divorzi lo conferma, non tutti sanno cosa succede 10 anni dopo la luna di miele o dopo l’ennesimo litigio.

Così come una storia d’amore apparentemente perfetta potrebbe rivelarsi un incubo dopo un mese, una relazione all’apparenza improbabile potrebbe durare per sempre.

Nessuno può sapere con esattezza cosa sia l’amore o cosa porti due persone a innamorarsi.

Non si può dire a qualcuno, o a se stessi, “tu puoi amare questo ma non quello”, non esistono regole, non esistono parametri universali che rendono un amore più legittimo di un altro.

Ciò era vero ai tempi in cui l’amore veniva impedito e punito con la violenza ed è vero anche oggi in cui è più semplice essere esposti alle sue infinite forme.

Per questo, adesso più che mai, serve sviluppare una cultura sull’amore, per poter meglio navigare le tortuose acque della vita sentimentale moderna ed essere più consapevoli nelle proprie scelte amorose.

L’amore ai tempi della tecnologia

Da come ne parlano cinema e televisione, vivere l’amore romantico nel ventunesimo secolo sembra un’avventura avvincente… in teoria.

Nella pratica, ogni relazione porta con sé “complicazioni”: c’è la mancanza di tempo, le numerose tentazioni online e offline, i problemi economici, lo stress, le aspettative disattese, le mancate risposte ai messaggi, i tradimenti.

Alcuni di questi problemi sono gli stessi che avevano le coppie cento anni fa.

Altri invece sono legati al periodo in cui viviamo.

Seppur, infatti, la tecnologia non abbia cambiato l’impulso ad amare, ha però cambiato il contesto e il modo in cui corteggiamo: con le email, gli emoticon, i messaggi vocali, le foto osé, i like e i selfie.

In più, grazie ai social e a siti/app di incontri online come Tinder, Meetic o Ciaosingle abbiamo molte più scelte rispetto a quelle che si avevano a inizio secolo scorso.

Quest’ampio spettro di alternative rappresenta un cambiamento drastico col passato perché, creando un sovraccarico cognitivo nel nostro cervello, ha alterato il modo in cui scegliamo.

Oggi non basta sempre che qualcuno sia di bell’aspetto o che venga dal giusto contesto familiare/sociale, come una volta. Ci sono molti più aspetti da considerare e da comparare con la miriade di altri potenziali partner là fuori, cosa che crea molta più titubanza.

La paura di impegnarsi vs. l’impulso di amare

Il sovraccarico di scelte oggi porta alcune persone a provare quella che la psicologa Esther Perel definisce come “stabile ambiguità”, ovvero uno stato in cui si ha paura di stare soli ma anche paura di impegnarsi e costruire un’intimità.

Ciò crea un tipo di relazione non sana (che vedremo tra poco) chiamata relazione distaccata, all’interno della quale la persona rimane fredda e irraggiungibile pur alimentando a tratti le aspettative dell’altro.

Si tratta, sostanzialmente, di una tecnica di stallo che permette di avere un partner mentre si continua a guardarsi intorno per placare la propria FOMO – la paura di delle opportunità perse.

Nei casi più estremi questa forma di incertezza può risultare nel “ghosting”, cioè nello scomparire da tutti i messaggi per non avere a che fare con il dolore che si infligge all’altra persona.

L’esposizione a molti più potenziali partner, insieme con la liberalizzazione della sessualità, ha aumentato, e forse complicato, la fase di esplorazione pre-matrimonio.

Se prima il matrimonio era considerato l’inizio della vita sentimentale, insomma, oggi è la fine.

Oggi siamo più liberi di sperimentare in amore e di avere multiple relazioni. Abbiamo molti meno preconcetti, molte meno convenzioni.

Non crediamo più nella verginità prima del matrimonio, nei matrimoni combinati o nella figura dell’uomo come capo della famiglia.

Viviamo la vita amorosa senza vergognarci più di tanto e con meno paura di malattie o gravidanze inaspettate.

Abbiamo meno restrizioni culturali da parte di famiglia, stato e società.

Ed è curioso considerare che, nonostante tutto, cerchiamo sempre la stessa cosa.

Si stima che il 97 per cento delle persone  vuole qualcuno che le rispetti, in cui possano credere e confidare; qualcuno che le faccia ridere, che dedichi loro tempo e che trovino fisicamente attraente. Questo non cambia mai.

Riguardo alla relazione tra modernità e relazioni sentimentali, possiamo dunque concludere che il contesto sociale e tecnologico in cui viviamo non abbia intaccato di molto l’inestinguibile e primordiale impulso umano verso l’amore.

Leggi anche: Insicurezze in amore, perché superarle salva la relazione

L’amore non sano: tre tipologie di relazione

Passiamo adesso a vedere quali sono le tipologie di relazioni non sane e come costruire una sana.

1. Relazione co-dipendente

Ci sono coppie che sono molto strette, forse troppo strette.

Se si potesse rappresentarle sarebbero come due cerchi che si intersecano, che non hanno vita propria al di fuori della relazione.

Sono questi i casi di relazioni co-dipendenti in cui l’obiettivo di ciascuna persona è difendersi dalla solitudine inglobando e facendosi inglobare dalla vita dell’altro.

Il risultato è una volontaria o involontaria restrizione della libertà propria e altrui.

Ogni elemento esterno che possa distrarre dalla piena partecipazione alla relazione viene visto come una minaccia da annientare.

Razionalmente i due giustificano la loro co-dipendenza dicendo che non possono vivere l’uno senza l’altro.

Ma nel profondo la relazione è solo un calmante, uno scudo che li protegge dalla paura di affrontare il mondo da soli.

Anche se dietro l’attaccamento morboso e le manie di controllo ci possa essere un sentimento puro, la tendenza a perdersi nella coppia impedisce a entrambi di scoprire il lato più libero dell’amore e crescere come individui.

l'amore moderno

2. Relazione dittatoriale

In altre coppie la dipendenza non è tanto reciproca ma unilaterale in quanto uno dei due partner, il più forte, tiene sotto controllo l’altro, il più debole.

Questa dinamica, che possiamo definire come amore dittatoriale o gerarchica, può essere raffigurata come un cerchio piccolo racchiuso all’interno di un cerchio più grande.

L’amore dittatoriale è anche l’amore patriarcale il cui unico presupposto è la totale sottomissione della donna.

La persona che controlla è chi, attraverso una manifestazione di forza, abusa verbalmente o fisicamente o emotivamente la propria compagna (o il proprio compagno).

Mentre lo scopo (inconscio) di chi controlla è spesso placare il proprio senso di impotenza, lo scopo di chi subisce il controllo è confermare il proprio senso di inferiorità.

l'amore moderno

3. Relazione distaccata

Le persone che prediligono la tipologia di relazione distaccata hanno paura dell’intimità o non vogliono essere derubate della loro energia.

Evitano un eccessivo coinvolgimento nella relazione per paura di impegnarsi e dedicano solo minime attenzioni al proprio partner.

Le motivazioni per un atteggiamento del genere possono essere molteplici.

La causa può essere, come dicevamo prima, la paura di perdere altre opportunità amorose o il tentativo di “testare” l’attaccamento dell’altra persona.

C’è poi chi è distante perché anaffettivo, cioè incapace di dare e ricevere affetto.

Qualsiasi sia la motivazione per cui si rimane distanti, tale dinamica relazionale è poco sana in quanto non consente di condividere e amarsi pienamente a vicenda, ed è per questo raffigurata da due cerchi che non si toccano.

l'amore moderno

L’amore sano: la relazione funzionale

La relazione funzionale è simboleggiata da due cerchi che si toccano senza intersecarsi, a significare che i due partner sono legati ma non si controllano, non si invadono.

All’interno di questa dinamica si può coltivare e capire cos’è l’amore vero, alla cui base c’è il rispetto per l’individualità del partner e un sincero interessamento al suo benessere personale.

In una relazione funzionale entrambi i partner sono liberi ma uniti. Liberi di vivere i loro interessi ma uniti dalla scelta di affrontare insieme la vita e rendersi felici a vicenda.

l'amore sano

Leggi anche: Si può vivere con poco ed essere felici?

10. Consigli per creare una relazione funzionale

1. Crea un ambiente sicuro

Alla base di ogni relazione sana non c’è solo l’amore.

Anche con le persone che amiamo maggiormente c’è il rischio di non capirsi e soprattutto di ferirsi a vicenda.

Se vuoi avere una relazione funzionale crea un ambiente che sia il più sicuro possibile all’interno del quale sia tu che il tuo partner possiate manifestare apertamente i vostri sentimenti senza paura di ritorsioni o arrabbiamenti.

Nella dinamica dei due cerchi che si toccano ognuno di voi deve essere libero di dire la sua e non deve esserci nessuna gerarchia o controllo come nella relazione dittatoriale. Ricorda: il tuo partner non è il nemico ma tuo alleato.

2. Separa i fatti dalle emozioni

Durante momenti di agitazione si può facilmente lasciarsi trasportare dalle emozioni e dire cose che non si pensano realmente.

Quando senti montare la gelosia o la frustrazione chiediti se stiano nascendo da una situazione reale o dalla tua percezione della situazione.

Chiediti dove sta la verità?

A volte immaginiamo scenari negativi perché sono già nella nostra mente, e li temiamo talmente tanto da essere prevenuti nei confronti di tutto ciò che vi assomigli.

Ci sono casi, per esempio, in cui la gelosia non è giustificata da fatti concreti ma nasce dalla paura di essere abbandonati.

Tieni sempre a mente questa distinzione dunque, una cosa sono i fatti, un’altra le percezioni.

3. Modera gli estremismi della tua mente

Ognuno di noi ha diverse voci in testa.

No, non sto parlando delle voci che sentono i pazzi, ma della normale presenza di più punti di vista all’interno della stessa persona.

In fatto di relazioni, si può facilmente passare dall’entusiasmo alla delusione, dal pensiero di voler passare la vita insieme al dubbio se la relazione arriverà a domani.

Se hai pensieri diametralmente opposti prova a mediare, non crederti sul serio quando dici “non lo sopporto più voglio lasciarlo” e aspetta sempre di avere la mente serena prima di prendere decisioni importanti.

4. Sviluppa la compassione

Presta attenzione alla tua tendenza a giudicare.

Quando giudichi chiudi una porta a chiave, etichetti una persona e non le dai la possibilità di dimostrare il contrario.

La compassione è l’opposto del giudizio.

Una volta sviluppata ti porta a connettere con l’altro, a provare ciò che prova e disinnescare il potere delle reazioni negative.

Il giudizio ci separa, la compassione ci unisce.

5. Pensa in termini di “noi” non di “io”

Il fondamento di una relazione sana è soddisfacente è la capacità di rimanere connessi pur restando separati.

Nella relazione co-dipendente ci si sacrifica entrambi.

In quella dittatoriale si sacrifica principalmente una persona.

In quella distaccata non c’è sacrificio ma nemmeno punto di incontro.

E in quella funzionale esiste un punto in cui due Io diventano un Noi.

Qui non devi farti piacere tutto ciò che piace al tuo partner, potete tranquillamente mantenere le vostre differenze ma creare un spazio all’interno del quale queste non contano.

Uno spazio dove si riesce a dare e a ricevere e dove non importa chi vince ma che si vada avanti insieme.

Se ti aspetti che devi avere tutto ciò che desideri da una relazione stai creando i presupposti giusti per la delusione.

Riconosci cosa è importante per il tuo partner e rispettalo, non compiere gesti per avere qualcosa in cambio, dai per il piacere di dare...

… dai con la convinzione che dare a chi ami equivale a dare per due volte a te stesso.

6. Non provare a “salvare” il tuo partner

Una vecchia massima dice che non si può salvare chi non vuole essere salvato.

Ciò vale per chi si è preso “l’impegno” di cambiare il proprio partner e anche per chi si aspetta che sia il proprio partner a cambiare lui stesso o lei stessa.

Solo noi possiamo cambiare noi.

Ed è prerogativa dell’altra persona cambiare la propria vita, ma solo se vorrà farlo.

7. Se non capisci fa domande, non supposizioni

Se nell’atteggiamento del tuo partner vedi qualcosa che non ti piace o non ti convince, dillo apertamente, chiedi chiarimenti, fa domande.

Non fare supposizioni e non arrivare a conclusioni senza aver prima cercato un confronto.

Se sei rimasto deluso perché la tua lei o il tuo lui non ha fatto qualcosa che ti aspettavi, prova a capire la sua motivazione e soprattutto non essere passivo-aggressivo.

Le persone non sanno leggere la tua mente e non possono giustificare ciò che non comprendono.

Quindi, per evitare di aggiungere incomprensione su incomprensione, comunica i dissapori al momento in cui sorgono e crea una canale aperto di comunicazione.

8. Anche se non hai tempo, trova il tempo

Non importa che tu sia super impegnato col lavoro.

Non esiste relazione che possa durare senza essere coltivata, ovvero senza una minima dose di attenzione e cura.

Fa in modo di trovare sempre del tempo per il tuo partner, che sia per una chiacchierata, un appuntamento galante o una piccola vacanza romantica.

Anche se gli impegni ti portano lontano dimostra la tua presenza in qualche modo, con un messaggio, una foto, una chiamata, un gesto di interessamento.

9. L’amore è anche prendersi cura di sé prima dell’altro

Per mantenere l’integrità del tuo cerchio ed essere il miglior partner possibile devi prenderti cura di te.

Non è facile costruire l’amore quando non ci si ama o non si sta bene. Per amarsi bisogna anche saper capire e soddisfare i propri bisogni, per poi essere in grado di capire e soddisfare i bisogni dell’altro.

10. Ricorda che anche l’amore vero ha i suoi momenti negativi

Come accennavamo prima l’amore moderno può essere complicato, a tratti brutale, e sicuramente pieno di alti e bassi.

I bassi possono anche essere indesiderati ma è grazie a loro che si costruiscono i momenti migliori.

Se state passando un periodo difficile non forzare troppo la mano provando a risolvere tutto subito e non farti prendere dall’ansia.

La chiave di tutto è la comprensione reciproca. Più sarai coinvolto in te stesso e guidato dalle tue emozioni e più sarai lontano dal punto di vista del partner.

Più proverai a vedere con i suoi occhi, invece, e più probabilità avrai di mantenere in vita l’amore, e la relazione.

Impara a gestire al meglio le liti di coppia e a prestare attenzione a quello che dice il partner non solo con le parole ma anche con i gesti e le espressioni.

Tutto ritorna alla normalità quando si è in grado di capire e comunicare in modo chiaro cosa si prova, tipo ciò che infastidisce o ferisce, e di effettuare i dovuti cambiamenti.

L’amore nei libri: 5 letture consigliate per potenziare la tua relazione

1. Dimmi come ami e ti dirò chi sei: Come riconoscere quello giusto e soprattutto come tenertelo

Due psicoterapeuti hanno cercato la formula scientifica dell’intesa di coppia e hanno scoperto che esistono tre profili che corrispondono ad altrettanti comportamenti in amore: l’ansioso, lo sfuggente e il sicuro. Tu chi sei, e con chi stai?

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2. Gli uomini vengono da Marte le donne da Venere – Il libro sui rapporti di coppia più venduto nel mondo

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È il libro per eccellenza che spiega le differenza tra uomini e donne, scritto dal guru delle relazioni di coppia. Parte dal presupposto che tu e lui veniate da mondi diversi, parliate linguaggi differenti, e che solo apprezzando le caratteristiche che vi distinguono riuscirete ad andare d’accordo.

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3. Comandi tu: la verità sulle relazioni uomo-donna che devi assolutamente sapere

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I primi tempi della vostra relazione lui era molto più accomodante, ma ultimamente si è trasformato in un brontolone o si prende troppe libertà senza nemmeno interpellarti? Una psicologa esperta di relazioni ti spiega perché è sbagliato subire passivamente le decisioni del partner.

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4. Terapia di coppia per amanti

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L’amore può essere questione di punti di vista? Se lo chiede questo romanzo in cui due amanti, Viviana e Modesto, raccontano loro storia d’amore clandestina alternando la narrazione. Da questo libro è stato tratto il film omonimo, uscito lo scorso anno, con Ambra Angiolini e Pietro Sermonti.

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5. Questo amore fa male: Come salvarsi dalle relazioni distruttive e tornare a vivere

Stai vivendo una relazione tossica ma fatichi a riconoscerne i segnali? Questo saggio non solo ti dice quali sono i campanelli d’allarme, ma ti svela come stare alla larga da narcisisti, anaffettivi, vampiri emotivi.

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Cosa motiva il comportamento umano? Cosa spinge me, te e chiunque altro a fare determinate scelte di vita? La gerarchia dei bisogni di Abraham Maslow è una delle teorie che dà la risposta più esaustiva alla domanda.

Secondo questo famoso psicologo statunitense, uno dei più citati del XX secolo, le nostre azioni hanno lo scopo ultimo di soddisfare determinati bisogni che differiscono tra loro per importanza e priorità.

Il concetto “gerarchia dei bisogni” venne così inizialmente presentato da Maslow in un articolo del 1943 intitolato “A Theory of Human Motivation” e successivamente nel suo libro Motivation and Personality (Motivazione e personalità, ultima edizione disponibile qui).

La gerarchia dei bisogni suggerisce che le persone sono motivate a soddisfare prima i bisogni basilari e poi quelli più avanzati.

Seppur la teoria nel tempo sia stata sottoposta a revisione, è ancora oggi presa in buona considerazione anche rispetto ad alcuni concetti della psicoterapia breve.

Leggi anche: Convinzioni limitanti, quali sono e come riconoscerle

Gerarchia dei bisogni e felicità

Maslow era molto più interessato a conoscere ciò che rende le persone felici e le cose che fanno per raggiungere tale obiettivo.

Come umanista, egli credeva che le persone avessero il desiderio innato di auto-realizzarsi, cioè di essere tutto ciò che potevano essere.

Per raggiungere questi obiettivi finali, tuttavia, è necessario che prima venga soddisfatta una serie di esigenze di base che comprendono ad esempio il cibo o la sicurezza personale.

Se si è sperduti in una foresta senza niente da mangiare o da bere, il primo pensiero non sarà di certo quello esistenziale di scoprire chi si è veramente. Piuttosto, sarà quello pratico di trovare riparo e ristoro. Quando, al contrario, si ha abbondanza di cibo e ci si sente al sicuro, ci si può concentrare su pensieri più astratti come la ricerca di un senso alla propria vita.

Anche grazie a considerazioni del genere, la gerarchia dei bisogni di Maslow viene spesso rappresentata come una piramide a 5 piani.

I livelli più bassi della piramide sono costituiti dai bisogni più elementari, mentre i bisogni più complessi si trovano nella parte superiore della piramide.

I bisogni nella parte inferiore della piramide sono requisiti fisici di base tra cui la necessità di cibo, acqua, sonno, ecc.

Una volta soddisfatte queste esigenze di livello inferiore, le persone possono concentrarsi sul soddisfare i bisogni superiori che hanno una natura più psicologica e sociale.

Qui diventa importante il bisogno di amore, amicizia e connessione col prossimo. 

gerarchia dei bisogni di Maslow

Leggi anche: Enneagramma test della personalità online, scopri il tuo enneatipo

Le cinque categorie della gerarchia dei bisogni di Maslow

Guardiamo adesso nel dettaglio i bisogni della scala di Maslow.

1. Bisogni primari fisiologici

Parliamo di bisogni fisici di base come bere quando si ha sete o mangiare quando si ha fame.

Maslow considerava quelli fisiologici quelli più essenziali.

Per fare qualsiasi cosa nella vita serve avere il giusto apporto di calorie, vitamine e proteine, dormire il giusto numero di ore e mantenere il corpo e la mente sani.

Per questo motivo quando c’è un problema di salute o, come nel caso della pandemia del Covid-19, un rischio grave alla salute pubblica, tutto si ferma.

Non conta più il lavoro o il divertimento quando non si sta bene nel corpo e nella mente, così il soddisfacimento dei bisogni fisiologici è la base sulla quale si può costruire tutto il resto.

2. Sicurezza

Una volta soddisfatte le esigenze fisiologiche delle persone, la prossima necessità che si presenta è vivere in un ambiente sicuro.

Le nostre esigenze di sicurezza sono evidenti anche nella prima infanzia, poiché i bambini hanno bisogno di ambienti sicuri e prevedibili e in genere reagiscono con paura o ansia quando questi non sono soddisfatti. 

Maslow ha notato che negli adulti che vivono in nazioni sviluppate, le esigenze di sicurezza sono più evidenti in situazioni di emergenza (ad esempio durante guerre e catastrofi).

Questa necessità può anche spiegare perché tendiamo a preferire ciò che è familiare a ciò che è sconosciuto e perché acquistiamo polizze assicurative.

3. Amore e appartenenza

Secondo Maslow, il prossimo bisogno nella gerarchia implica sentirsi amati e accettati. 

Questa esigenza include sia relazioni romantiche che legami con amici e familiari e ha a che fare sia con il bisogno di ricevere che di dare amore agli altri.

Strettamente correlato al bisogno di connessione è anche il nostro bisogno di appartenenza a un gruppo sociale

La sua origine va sicuramente cercata ed è correlata alla maggiore sicurezza che una tribù o gruppo sociale garantisce al singolo individuo.

Ma può anche essere spiegata con la natura sociale dell’animale uomo, che riesce a imparare a parlare e a vivere in società solo grazie ad altri esseri umani.

4. Stima

La stima è il quarto livello nella gerarchia dei bisogni.

Maslow la suddivide in due categorie:

  1. la stima per sé stessi (autostima) che include la dignità, il raggiungimento di obiettivi personali, la professionalità, l’indipendenza, la sicurezza in sé stessi;
  2. E il desiderio di stima da parte degli altri (per es. status sociale, visibilità e prestigio).

Maslow sottolinea che il bisogno di rispetto e reputazione è particolarmente importante nei bambini e negli adolescenti e precede il concetto di auto-stima e dignità negli adulti.

5. Auto-realizzazione

L’auto-realizzazione si riferisce al sentirsi realizzati e all’altezza del proprio potenziale, all’essere appagati della propria vita.

Mentre i bisogni primari e secondari possono essere molto simili in quanto attinenti alla psicologia e fisiologia umana, una caratteristica unica dell’auto-realizzazione è che sembra diversa per tutti. 

Per una persona l’auto-realizzazione potrebbe comportare l’aiutare gli altri, per un’altra la maestria in campo artistico o l’avere una famiglia propria.

In sostanza, l’auto-realizzazione significa sentire che stiamo facendo ciò che crediamo di dover fare.

Perché la gerarchia dei bisogni di Maslow può cambiare la nostra vita individuale e collettiva 

Al giorno d’oggi accade troppo spesso che ci si concentri sui bisogni inferiori e che, per esempio, si sacrifichi l’amor proprio per la sicurezza finanziaria.

La paura irrazionale di perdere rispetto o status spinge molte persone a trascurare la loro realizzazione personale e gli impedisce di trovare la versione “più alta” di sé stesse.

In aggiunta, la continua alienazione dell’uomo moderno causata da tecnologia e globalizzazione porta molti di noi a essere più egoisti e a cercare la connessione con la visibilità piuttosto che il contatto umano.

In un contesto come quello in cui viviamo diventa dunque imperativo acquisire consapevolezza dei propri reali bisogni per cambiare in meglio la propria vita ed evitare di sprecare energie rincorrendo falsi sogni e ideali.

Il nostro vero potenziale

La differenza fondamentale tra i bisogni primari e secondari definisce anche la differenza tra vivere e sopravvivere.

Se le tue uniche preoccupazioni sono relative a quello che mangerai domani, quella è sopravvivenza.

Se invece hai trovato il mondo di mantenerti mentre pensi a come puoi dare un significato e un valore alla tua esistenza, quella è vita.

La mente umana è in grado di fare molte più cose rispetto al trovare soluzioni per soddisfare i bisogni più semplici. 

Ogni essere umano ha a disposizione un infinito potenziale creativo che può essere utilizzato per inventare mestieri, risolvere problemi, creare bellezza, arte, musica. 

Dirigere la nostra mente sulle preoccupazioni più ordinarie della vita equivale a usare soltanto una piccola percentuale di questo infinito potenziale. 

La nostra crescita

In modo volontario o involontario, tutti ci muoviamo sempre verso un piano più alto dell’esistenza.

Quando non cerchiamo noi di farlo provando a rincorrere esperienze positive, arrivano le esperienze negative a farci crescere.

Come quando un periodo di disoccupazione aiuta a capire quale mestiere fare o quando un divorzio doloroso aiuta a trovare il vero amore.

O quando la perdita di una persona cara ci fa riacquistare una fede perduta e apprezzare di più quello che si abbiamo.

A prescindere da quale sia il motore che ci fa andare avanti, l’importante è non credere mai che sia finita, che non ci sia più nulla da imparare.

Fa parte della nostra stessa natura crescere.

Ed è forse il nostro bisogno più fondamentale quello di trovare uno scopo di vita e sentirci non solo al sicuro e sfamati, ma pienamente vivi.

VIDEO: Misurando ciò che rende la vita degna di valore

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Mi è capitato più volte nella vita di perdere completamente traccia di quello che ero e di interrogarmi sul come ritrovare se stessi.

Se hai letto la mia storia avrai notato che ho vissuto una moltitudine di esperienze in una moltitudine di luoghi nella vita, e che molte di queste non hanno nulla a che fare con quelle che ho poi scoperto essere le mie inclinazioni.

Allora perché farle? Mi potresti chiedere.

Beh, in questo articolo voglio provare a dare una risposta che possa aiutare chiunque abbia bisogno di trovare un senso nell’apparente incoerenza e confusione della propria vita.

E per farlo ho deciso di utilizzare l’approccio degli scrittori quando devono definire i tratti dei personaggi dei loro racconti: il metodo della scheda del personaggio.

Prima di scrivere una storia è infatti essenziale conoscere la personalità del protagonista, altrimenti diventa quasi impossibile scrivere una trama convincente.

In ogni storia che si rispetti si comincia sempre con un contesto e un azione: qualcuno vive da qualche parte, poi qualcosa accade e quel qualcuno reagisce.

Se non si conosce la sua personalità come si fa a scegliere l’azione che compierà?

Allo stesso modo, se non sai chi sei, come farai a decidere quello che farai della tua vita?

Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella vita ed essere più appagati

Chi sei? 4 Tipologie di persone

Ognuno di noi è diverso e ci sono una miriade di tipologie di persone al mondo.

Quando però si tratta di avere le idee più o meno chiare su chi si è veramente credo che di tipologie ce ne siano solo 4:

  1. Chi lo sa da subito
  2. Chi lo scopre dopo
  3. Chi non si pone il problema
  4. Chi non l’ha ancora scoperto

Nella tipologia numero uno troviamo quelli che già da bambini sapevano cosa volevano diventare da grandi e che poi lo sono diventati.

Nella due ci sono quelli che, all’università o nei loro vent’anni, hanno trovato un settore lavorativo e vi hanno dedicato la loro inamovibile attenzione.

Nella tre c’è chi fa quello che capita senza chiedersi se ci siano o meno altre alternative.

E infine nella quattro c’è la fetta di popolazione degli indecisi, chi non è mai soddisfatto di quello che fa, chi intuisce di avere un potenziale inespresso e non sa come accedervi.

Leggi anche: Cose da sapere per avere più fiducia in se stessi

Come ritrovare se stessi e il proprio personaggio

1. Trova il filo rosso

A quale tipologia di persone appartiene il tuo personaggio?

È la tua la classica storia del “sin da piccolo ho sempre voluto fare…” o forse quella che parla di una persona meno sicura di sé ma con una grande sensibilità artistica?

Come tutti, anche il nostro personaggio ha una storia e un passato: avrà probabilmente vissuto certe esperienze e subito la sua buone dose di delusioni.

Se fa parte della tipologia 4, poi, avrà forse cambiato diverse città e provato diversi lavori.

Cosa accomuna tutte le sue esperienze di vita? Qual’è il filo rosso che le unisce?

Riesci a trovare la coerenza nell’incoerenza e nella disparità di eventi?

Che tipologia di errori tende a compiere?

Una volta individuata la fonte delle scelte sbagliate si può finalmente provare a fare scelte diverse per riscoprire un altro pezzetto di personalità.

Quando, per esempio, ho capito che il mio sogno di fare il musicista era legato a un mio inconscio bisogno di connessione è stato come aprire gli occhi per la prima volta. In quel momento ho scoperto cosa vuol dire la libertà di decidere.

Ho capito che c’erano altri modi di ottenere connessione e affetto e che non avevo bisogno di diventare una rockstar per avere valore. Scoprendo il filo rosso che univa le mie scelte di vita ho potuto finalmente agire sulla base di presupposti diversi, non più “come ottenere rispetto e stima dagli altri” ma “come rendere me stesso più felice e appagato“.

Leggi anche: Il sogno di andare a vivere in America, tra speranze e illusioni

2. Trova casa

Dove abita il nostro personaggio? O meglio, dove si sente a casa?

Casa è il posto in cui ti senti tranquillo, il posto dove tutto ha senso.

Senza una casa, intesa sia come luogo geografico che fisico e sociale, il nostro personaggio non ha motivo di esistere.

Per lui la casa è sì una città o un paese, ma è anche fatta di persone.

C’è un vecchio detto tibetano che dice:

Laddove tu abbia amici, là c’è la tua nazione, laddove tu sia amato, là c’è la tua casa.

Ecco che, per trovare casa, possiamo orientarci grazie all’amore delle persone.

Leggi anche: 11 caratteristiche delle persone con integrità morale

3. Fatti guidare dall’amore

Perché il nostro personaggio è amato?

Le persone che ci amano sono uno specchio fondamentale in quanto ci mostrano quale parte di noi stessi, della nostra natura, entra in risonanza con l’esterno.

Considera che non può esserci amore vero laddove una persona mente a se stessa o agli altri.

L’amore più puro nasce sempre dal contatto tra le parti più vere di due persone.

Comprendi allora il motivo principale per cui le persone ti amano e usalo per capire come ritrovare te stesso/a e delineare la personalità del tuo personaggio.

Affidati alla saggezza di chi ti vede dall’esterno e di chi non è annebbiato dalle tue stesse incertezze.

Si potrebbe trattare di un genitore (anche se è difficile per alcuni fidarsi dell loro obiettività) oppure di un partner o di un amico.

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4. Cerca nel passato… con cautela

Un altra fondamentale fonte di informazione per ritrovare se stessi è il passato.

Cosa pensa oggi il tuo personaggio quando guarda un vecchio album di foto o rilegge il suo diario personale?

A distanza di mesi o anni il valore che diamo a certe cose diminuisce così come l’appiglio di certe emozioni.

Così quest’atto di osservare il sé di altri tempi ci fa capire se è cambiato o meno qualcosa.

Immagina di vedere una foto che risale al tuo primo giorno di lavoro, in cui eri entusiasta e pieno di speranza.

Quanto di ciò che provavi ieri è uguale a quello che provi oggi? Quanto è diverso?

E se è diverso è diverso in meglio o in peggio?

Se oggi sei completamente insoddisfatto di quello stesso lavoro può voler dire solo due cose: che sono cambiate le circostanze o che se cambiato tu.

Se sei cambiato tu cosa ti ha fatto cambiare? Pensi di avere acquisito più saggezza/maturità o sei diventato più cinico?

Attento non soffermarti troppo sui ricordi: non si tratta qui di rivivere i bei tempi andati e di lasciarsi prendere dalla nostalgia.

Il nostro personaggio segue un percorso evolutivo e gli eventi dovrebbero avere lo scopo di renderlo una persona migliore.

Leggi anche: Cosa fare quando si è tristi e giù di morale

5. Trova qualcosa che sia vero

Abbiamo già detto che se si vuole capire come ritrovare se stessi bisogna partire da ciò che è vero.

Alcune verità le possiamo scoprire dagli altri, da chi ci ama e da chi ci conosce.

Il resto lo dobbiamo capire da soli.

Ci sono dei pezzi di puzzle di identità che nessun altro può svelare, dei pezzi di storia che possono solo essere scritti dal protagonista della nostra storia.

E così come ogni storia deve pur cominciare da qualcosa, anche la nostra storia deve poter essere raccontata “su grandi linee”.

Queste non sono altro che tutte quelle verità che sono inconfutabili tipo: “è un padre” o “è una madre” o “ama la lettura” o “è un liberale“.

Se ti sei perso e non sai definire bene chi sei in questo momento della tua vita potresti sentirti come se nulla abbia un senso.

Credimi, so esattamente cosa vuol dire.

Ma ti renderai conto che se parti dalle verità più semplici e basilari la natura del tuo personaggio inizierà a venir fuori.

6. Compila la “scheda del tuo personaggio”

Ok, abbiamo definito le cose più ovvie, passiamo adesso al succo della questione, alle domande importanti.

Questo è il momento in cui puoi dare forma al tuo personaggio compilando una scheda, ovvero una sorta di curriculum vitae fatto non delle tue esperienze lavorative ma da tutto ciò che definisce la tua personalità.

Questa tecnica è molto utilizzata nella scrittura per aiutare lo scrittore di un romanzo a delineare i tratti principali dei protagonisti della storia.

Ma è anche molto utile se viene utilizzata nel processo di capire come ritrovare se stessi.

NOTA: per dare maggior efficacia all’esercizio, è importante che tu compili la scheda rispondendo in terza persona alle domande, così da limitare al massimo l’identificazione con i tuoi pensieri e aumentare l’obiettività.

come ritrovare se stessi

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In sostanza nella scheda ci sono 4 sezioni.

  1. La sezione delle motivazioni;
  2. La sezione delle paure e delle insicurezze;
  3. Il rapporto con gli altri e le aspettative altrui;
  4. L’amore verso una particolare attività.

Ognuna di queste sezioni contiene preziose informazioni su chi siamo oggi e su chi potremmo diventare.

È ovvio che, essendo un processo di auto-scoperta, la risposta non sarà facile e immediata.

Come accennato più volte in altri articoli, per aumentare la nostra consapevolezza a volte serve soltanto immettere una domanda nella nostra mente e poi aspettare che sia l‘Universo a mostrarci la risposta.

Leggi anche: Cos’è la legge dell’attrazione, io divento quello che penso

7. Lascia che le risposte arrivino da sole

Tranquilli, non sto parlando di metafisica.

Semplicemente, in questo preciso istante potrei anche non saper dire se quello che faccio sia o meno influenzato dal bisogno di compiacere gli altri.

Però domani potrebbe capitarmi che un amico mi chieda di aiutarlo a traslocare e mi venga difficile dire di no.

Allora mi ricorderò di aver letto la domanda e inizierò a fare dei collegamenti mentali.

Mi ricorderò di tutte le altre volte in cui non ho saputo dire di no e in cui non ho fatto quello che avrei voluto per evitare di deludere qualcuno, e inizierò a intuire la mia risposta.

È così che funziona il nostro cervello, ragione per deduzione, fa continuamente connessioni tra episodi diversi e trae significati dai più disparati input.

E lo fa in modo del tutto autonomo dal nostro controllo razionale.

Ti è mai capitato di dimenticare un’informazione o una parola basilare proprio nel momento in cui ti serviva?

O di avere un nome sulla punta della lingua e non poterlo tirar fuori?

Poi, quando sei tornato a casa e hai smesso di pensarci, ti è bastato avere un piccolo promemoria dall’esterno che, boom, ti è rivenuto in mente.

Questo è esattamente il meccanismo che ti permetterà di definire nel dettaglio la scheda del tuo personaggio.

Come ritrovare se stessi, in pillole

Ecco dunque come sfruttare al meglio la tecnica della scheda personaggio per ritrovare se stessi:

  • Si cerca nel passato per un comune denominatore tra le proprie varie esperienze e i suoi sbagli.
  • Si cerca di definire dei punti fermi del nostro personaggio tipo Cosa lo rende amabile? e Dove si sente più a casa?
  • Si tenta di individuare verità ovvie e basilari tipo Fa il commesso ma non gli piace – Ha due figli – Ama prendersi cura del suo cane.
  • Si continua l’indagine con domande più difficili ed esistenziali tipo Cosa lo motiva? o Cosa lo spaventa?
  • Ci si dimentica della domanda.
  • Si va avanti con la vita fino a quando non capita qualcosa che il cervello considera come una possibile risposta.
  • Si iniziano a fare collegamenti tra diversi ricordi e si rivalutano i significati delle scelte fatte in passato.
  • Si prova a fare scelte diverse per vedere cosa succede.
  • Si valutano i risultati delle nuove scelte.

Come si può vedere, la scheda del personaggio è solo l’inizio, serve a dare consapevolezza e la spinta ad agire in modo diverso.

L’ultimo consiglio che ti dò quindi è, non credere troppo ai tuoi pensieri attuali, a volte quello che pensiamo è il frutto di un condizionamento esterno o di una abitudine.

Affidati alla tua naturale capacità di osservare e cambiare opinione, perché cambiando opinione potrai cambiare il modo in cui reagisci alla vita, e cambiando il modo di reagire potrai scoprire chi sei veramente.

Lettura consigliata: Il bambino che sei stato, un metodo per la conoscenza di sé

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L’insicurezza viene di solito vista come qualcosa da evitare a tutti i costi. Se parliamo di insicurezza in amore poi, ancora peggio.

Non c’è niente di più stressante che essere in una relazione instabile, che potrebbe crollare da un momento all’altro.

Le ore interminabili ad attendere un messaggio o una chiamata, le continue ansie, la paura che si prova quando dice che deve lavorare fino a tardi o che ha passato il pomeriggio con un amico (o un’amica).

In queste condizioni è difficile essere sereni e ancora di più essere pienamente spontanei e naturali.

Quando si ha il presentimento che l’altro non ci ami per quello che siamo veramente o quando si teme che un minimo errore potrebbe mandare tutto in fumo, ci sono due possibili motivazioni:

  1. o sbagliamo noi a essere troppo insicuri;
  2. o stiamo con la persona sbagliata.

Per capire se si tratti dell’una o dell’altra ipotesi, dobbiamo necessariamente comprendere la natura dell’insicurezza.

Da dove nasce l’insicurezza in amore

L’insicurezza in amore nasce dallo stesso identico luogo da cui nascono tutti gli altri tipi di insicurezza: l’infanzia.

Il modo in cui ci comportiamo nelle relazioni, infatti, riflette spesso la dinamica affettiva che abbiamo vissuto in famiglia.

Diverse ricerche confermano che il modo in cui veniamo trattati dai genitori nella prima parte della nostra vita finisce per definire il copione del nostro comportamento da adulti in diversi tipi di rapporti sociali (Fonte).

Ciò vuol dire che se per ipotesi abbiamo avuto una madre che da bambini ci criticava molto o un padre emotivamente assente, potremmo scegliere un partner che, pur essendo in apparenza diverso/a da loro, avrà nei nostri confronti degli atteggiamenti molto simili – e dunque ci criticherà e sarà emotivamente distante.

Purtroppo, un genitore che non riesce a far sentire il proprio figlio speciale/amato lascerà in lui il dubbio di essere o meno meritevole di amore.

Quella stessa persona, crescendo, si troverà facilmente in rapporti dove l’amore non viene mai realmente percepito, magari non perché non ci sia, ma piuttosto perché non è abituato a vederlo.

In casi del genere siamo noi a “scegliere” (inconsciamente) di essere insicuri e non credere nell’amore altrui.

In casi peggiori, si rimane volontariamente in relazioni altamente insoddisfacenti e nocive perché non si crede di meritare di meglio.

Qui l’insicurezza diventa quasi un habitat naturale, un luogo confortevole e familiare dove si è fatto pace con l’idea di non poter mai essere pianamente amati.

In questo luogo si rivive l’illusione di poter ottenere amore dalla persona sbagliata, di poterla cambiare, aggiustare… salvare.

insicurezza in amore

Leggi anche: 11 caratteristiche delle persone con integrità morale

L’incantesimo dell’amore infantile

Ti è mai capitato di vedere un amico (o un’amica) scegliere un partner completamente sbagliato e di chiederti, “ma come fa a stare con quella (o quello)”?

Allo stesso modo, ti capita mai ripensare alle tue cotte di una volta e non ricordarti il motivo per cui ti piaceva quella determinata persona?

Ci invaghiamo delle persone sbagliate quando operiamo sulla base di un istinto automatico risalente alla nostra infanzia, una sorta di incantesimo che ci impedisce di vederle per quello che sono realmente.

Praticamente viviamo nel presente ma operiamo come se fossimo ancora nel passato.

Proviamo sentimenti non per chi ci può amare senza condizioni ma per chi ci fa rivivere le emozioni associate all’amore dei genitori.

Se mamma e papà ci hanno dato le giuste attenzioni ci accontenteremo solo di chi sarà presente con la stessa intensità.

Chi invece si è sentito ignorato e abbandonato da piccolo avrà più possibilità di legarsi a persone assenti o non completamente presenti, che dimostrano una cosa oggi e spariscono domani, che sembrano coinvolti prima di scoprire che hanno altre storie.

Leggi anche: Perché si ha paura di crescere

Rompere l’incantesimo

L’unico modo di capire se si è vittima di tale meccanismo infantile è la ripetitività delle dinamiche relazionali.

In poche parole, si ha la sensazione di stare rivivendo la stessa identica storia, anche se sono cambiate le circostanze, anche se la nuova fidanzata viene da un’altra nazione o un altra cultura.

Vivere la stessa dinamica con persone diverse vuol dire avere simili litigi di coppia, riscontrare in persone diverse, e in se stessi, i medesimi atteggiamenti e comportamenti.

Se noti di stare avendo la stessa esperienza con diverse persone è il primo segnale che sei vittima di un processo inconscio e il primo passo verso il cambiamento.

Fermati un attimo, presta attenzione e chiediti se il problema sia tu piuttosto che loro.

Non lo dico per farti sentire in colpa.

Capire di essere l’origine dei problemi ti dà l’opportunità di affrontare meglio la vita, di prendere la situazione sotto controllo e cambiarla.

Al contrario, se continui a pensare che la colpa è sempre degli altri non crescerai mai, ma continuerai a sentirti una vittima, a provare le stesse emozioni, la stessa gelosia, frustrazione, invidia o ansia.

Tutte componenti queste di un’insicurezza malsana, eccessiva, che deriva dall’inconscia paura di non essere amati da mamma e papà.

Leggi anche: Convinzioni limitanti, quali sono e come riconoscerle

Insicurezza sana vs. insicurezza malsana

L’insicurezza malsana fa fare cose che distruggono la relazione perché intaccano la fiducia reciproca o soffocano la libertà.

Un sano livello di insicurezza invece nasce nient’altro che dalla consapevolezza che ogni persona è libera di vivere la vita come vuole e con chi vuole.

Questa incertezza ti consente di apprezzare di più la persona che hai accanto e ti fa provare gratitudine, che è una componente fondamentale del vero amore.

La sana insicurezza ci fa dire “questa persona ha scelto liberamente di stare con me e devo onorarla e alimentarla ogni giorno altrimenti potrebbe scegliere diversamente”.

L’insicurezza malsana ci fa dire “devo trovare un modo di tenerla sotto controllo e manipolare la realtà per evitare che mi lasci, perché senza di lei non mi rimarrebbe nulla”.

Leggi anche: Kintsugi filosofia e metafora: le fratture arricchiscono

L’insicurezza in amore è uno dei principali ingredienti di una relazione sana

Seppur le insicurezze vanno superate, nelle relazioni come anche nel lavoro e nella vita, se mantenute entro un certo limite esse hanno dei benefici.

L’insicurezza ti spinge migliorarti, a studiare di più, a lavorare meglio, a voler dimostrare agli altri quanto vali.

Quando non è completamente invalidante, l’essere insicuri fa da contraltare all’autostima, evitandoci di diventare troppo arroganti o egoisti.

Ricordiamo inoltre che è proprio nei momenti di vulnerabilità che le persone riescono a legare maggiormente, o quando sveliamo le nostre più intime insicurezze a qualcuno.

Pensa a come ti sentiresti se il tuo compagno o compagna fosse costantemente sicuro/a di tutto. Mai un dubbio, mai un tentennamento, mai un momento di debolezza.

Quanto sarebbe “reale” una persona del genere? Quanto sarebbe credibile?

Fa parte dell’essere umano sentirsi incerti e insicuri ed è spesso vero che coloro che si mostrano imperturbabili alle difficoltà sono quelli più insicuri di tutti.

Talmente insicuri da aver sentito la necessità di nascondere completamente la loro fragilità e costruirci sopra un enorme castello fatto di finta autostima e rispetto personale.

In conclusione, per costruire una relazione sana e felice serve un mix di diversi ingredienti:

  • Il rispetto per se stessi: permette di distinguere ciò che è giusto da ciò che non è giusto. Serve a evitare che il partner faccia quello che vuole calpestando la nostra dignità;
  • Il rispetto per l’altro: permette di scegliere di fare la cosa giusta e di evitare che siamo noi a calpestare la dignità altrui;
  • La resilienza: aiuta a non perdere la speranza nei momenti difficili;
  • La fiducia in se stessi: ci aiuta a non accontentarci delle soluzioni facili e immediate e ci dà la forza di costruire la realtà che desideriamo;
  • La consapevolezza: è l’elemento che mette un filtro alle reazioni istantanee (tipo quando mandiamo messaggi aggressivi alle due di notte), ciò che ci dà l’autocontrollo e aiuta a mantenere la calma.
  • L’amore per l’altra persona: il perno attorno il quale ruota tutto, la principale motivazione a diventare una persona migliore;
  • L’amore per sé stessi: che non è narcisismo ma ciò che ci consente di ricevere l’amore altrui, di credere alle parole e ai gesti d’amore;
  • L’insicurezza: che, in piccolissime dosi, mantiene vivo l’equilibrio di tutte le precedenti componenti, in quanto ci ricorda che tutto potrebbe finire da un momento all’altro, specialmente se non ci ricordiamo di apprezzare ed essere grati.

(VIDEO) Brené Brown: Il potere della vulnerabilità

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Ormai è comprovato scientificamente che gli animali domestici rendono più felici le persone.

Sia che tu abbia già un piccolo amico che scorrazza per casa, sia che stai pensando di adottarne uno, in questo articolo vedremo:

  • Quando non è il caso di adottare un animale domestico;
  • Quale tra i tanti animali domestici scegliere;
  • Perché la compagni degli animali fa bene;
  • I 5 motivi per cui gli animali ci rendono più felici.

Sei pronto?

Quando non bisogna prendere un animale domestico

Oggi vivere con un animale da compagnia è normalissimo. Ai tempi dei nostri nonni erano visti come forza lavoro (pensa al cane da guardia o al gatto che cacciava i topi).

Oggi entrano invece a far parte delle nostre famiglie e hanno un ruolo differente, quello di compagnia.

Anche se è dimostrato che avere animali in casa riduce la solitudine, non sempre è bene adottarne uno.

Ecco dunque quando è meglio evitare:

  • Quando siamo troppo impegnati: da ragazzino, ho sempre voluto un cane. Quando lo chiedevo ai miei genitori, la risposta era “lavoriamo tutto il giorno, un cane non può stare chiuso in casa da solo”. Ho sempre pensato fosse una scusa. Nel corso degli anni, però, ho capito che un animale ha bisogno di stare con te. Se abbiamo già una vita piena di impegni che ci soddisfano, adottare un animale domestico può essere una sofferenza, sia per lui che per noi. Se invece non siamo pienamente soddisfatti, considera l’idea di “mollare” qualche impegno e prenderti cura di un cane o un gatto. Allora sì che sarai più felice.
  • Come regalo di natale: regalare un animale domestico per una ricorrenza, che sia natale o un compleanno, non è mai una buona idea perché c’è il forte rischio che, una volta passato l’entusiasmo iniziale, non abbiamo più la voglia o la pazienza di prendercene cura. È quello che succede con molti regali dopotutto: sono belli per un po’ e poi vengono dimenticati.
  • Quando non sono tutti d’accordo: in una famiglia si dovrebbero prendere le decisioni importanti insieme. In base alla loro età, anche i figli dovrebbero poter dire la loro. Se qualcuno dei componenti non se la sente, è giusto non adottare animali domestici. l rischio è che il cucciolo diventi un peso per qualcuno, che venga trascurato o maltrattato.
  • Per compassione: quando vediamo gli animali domestici rinchiusi nelle gabbie di un canile, il primo pensiero è “Anche se sono sempre impegnato, sicuramente se lo adotto per lui sarà meglio”. Ne siamo davvero sicuri? Se crediamo che gli animali domestici possano renderci più felici, dobbiamo prima pensare che anche loro devono esserlo. Far uscire un animale da una gabbia per rinchiuderlo in una più grande (la nostra casa) non gli cambierà certo la vita in meglio.
  • Se siamo tristi: questa può sembrare una contraddizione. Se gli animali regalano felicità e sono sempre infelice perché non dovrei adottarne uno? Beh, perché gli animali sono empatici. Anche loro sentono le nostre emozioni. Se prenderai un cane o un gatto solamente per consolarti, otterrai tutto l’opposto. Sarai il padrone di un animale apatico e triste che ti renderà ancora più infelice.

Gli animali ci regalano felicità, quando anche noi sappiamo donargliela a nostra volta.

Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama

Un altro buon motivo per non adottare animali domestici

Un altro buon motivo per evitare di adottare un animale domestico è quando sappiamo che dovremo tenerli chiusi da qualche parte.

Mi riferisco specialmente a tutti quei piccoli animali come conigli, pesci o canarini. Se non abbiamo altro modo per vivere con loro se non tenendoli in gabbia, non bisogna prenderli.

Tempo fa volevo comprare un pappagallo, di quelli grandi, tutti colorati. Avevo letto che per essere felici questi animali hanno bisogno di un compagno e che, quando creano una famiglia, rimangono insieme per sempre.

Mi sono immaginato il giorno in cui l’avrei comprato. Io che tornavo a casa tutto contento con il mio pappagallo e lui triste per essere rimasto solo.

Ovviamente questo pensiero mi ha fatto cambiare idea e oggi sembra che l’universo mi abbia ricompensato.

Da qualche mese mi sono trasferito in una casa fuori città. Intorno ha un grande giardino con molti alberi. E su uno di questi alberi hanno fatto i nidi dei pappagalli tropicali. È una colonia di almeno 50 esemplari, della specie del “Parrocchetto dal collare”.

Si adattano anche ai nostri climi e rimangono stanziali quando trovano la situazione adatta.

Oggi, ogni mattina, faccio colazione e guardo i pappagalli, svolazzare liberi nel mio giardino.

Questo è il senso di felicità.

Se pensi di trovare la tua felicità, adottando un animale in gabbia, non la troverai mai.

Leggi anche: “Può il buon cibo da strada rendere felici?”

Cane o gatto: quale posso scegliere?

Proprio perché gli animali domestici non vanno rinchiusi, parlerò più nello specifico delle due specie più diffuse nelle nostre case.

Ho avuto entrambi: l’ultimo è stato un gattino che è arrivato da solo. Un giorno lo vedo in giardino che passeggia e si avvicina. Ovviamente gli do qualcosa da mangiare e adesso vive con noi da quasi un anno.

Spesso si sente dire “è meglio il cane perché è più affettuoso. Il gatto ti cerca solo quando ha fame” oppure “meglio il gatto che è indipendente. Il cane non lo puoi lasciare solo”.

Questo articolo non vuole servire a farti preferire uno o l’altro, ma solo a fare chiarezza.

Non metterò le due specie a confronto, ma ne descriverò le caratteristiche che li accomuna. Solamente con la consapevolezza si può raggiungere la felicità.

Cane e gatto sono:

  • Fedeli: il cane ha sicuramente la fama del “miglior amico dell’uomo”. Anche un gatto però si affeziona al suo padrone e lo cerca non solo per il cibo.
  • Giocherelloni: entrambi amano passare il loro tempo con te. Solo che ognuno ha i suoi tempi. Se saprai capirli, potrai godere con entrambi bellissimi momenti di gioco e divertimento.
  • Empatici: Più vivono con noi, più sviluppano questa capacità. Se riusciremo a costruire un forte legame, saremo in grado di comprendere meglio sia loro che noi stessi.
  • Intelligenti: Lo potrai vedere quando ci giocherai. Spesso sono loro che si inventano il gioco da fare con te. Sanno riconoscere parole, suoni e gesti, che se coerenti, saranno utilissimi nella vostra comunicazione.
  • Dolci: a qualsiasi età. Da cuccioli per un motivo, da grandi per altri. Saranno teneri in modo incondizionato. Ti regaleranno amore eterno, senza volere niente in cambio. Questa può essere una lezione che ci renderà più felici.

A chi fanno bene gli animali domestici?

“A tutti” sembra una risposta troppo semplice. Vediamo come possono renderci più felici:

  • Se siamo una coppia saremo più uniti con il partner. Avere un obiettivo comune, rafforza il rapporto. Prendersi cura di un altro essere vivente rende complici e ci permette di passare più tempo con la persona che amiamo.
  • Se siamo una famiglia è il quadretto per eccellenza, ma in verità è molto di più. Se abbiamo figli piccoli impareranno il rispetto per gli altri e per la natura. Potremmo responsabilizzarli ad accudire qualcuno che ha i loro stessi bisogni. Si vedranno come “grandi” e questo li aiuterà a crescere. Se i nostri figli sono adolescenti, troveranno comprensione e affetto. L’adolescenza è una fase di cambiamento e spesso ci si sente soli e non capiti. Un animale non giudica, ma sta con te perché ti ama, così come sei. Spesso tante parole non sono così efficaci, come un cagnolino che ti aspetta felice che torni da scuola.
  • Se sei una persona anziana in molti casi la scelta di adottare un animale è la cosa migliore. Avrai molto più tempo da dedicargli e potrai trascorrere del tempo passeggiando o giocando. L’attività fisica e il gioco ti faranno molto bene allo spirito e al corpo.

Ci sono poi tutte quelle situazioni specifiche, in cui un animale può davvero essere indispensabile. Penso alla pet therapy, per superare traumi o malattie, ai cani guida, indispensabili per chi non vede, e a quegli animali addestrati ad avvisare il padrone prima di un attacco cardiaco o epilettico.

Le ragioni per adottare un animale sono tantissime e ognuno di noi troverà sicuramente le proprie. Se ancora non hai trovato il tuo buon motivo per adottarne uno, continua a leggere.

5 motivi per adottare un animale domestico

  1. Riduce stress ed ansia: sapere di vivere con un essere affettuoso, che ti ama in modo incondizionato, ti farà sentire più sereno. Accarezzarne il pelo è un modo per sentirti più vicino a lui.
  2. Aiuta a socializzare: avrai argomenti da condividere con altre persone che hanno animali. Interessi comuni che ti porteranno a stringere relazioni e fare amicizie.
  3. Ti fa stare in movimento: è abbastanza scontato, ma molto importante. Spesso le nostre vite sono sedentarie. Il lavoro e la nostra quotidianità ci portano a muoverci sempre meno. Oltre che appesantirci fisicamente, può causare noia e depressione. Un animale domestico, che ha sempre voglia di giocare, sarà il nostro salvavita.
  4. Aumenta l’autostima: Studi scientifici dimostrano che i padroni di animali domestici hanno maggior capacità di credere in sé stessi. Prendersi cura di un altro essere vivente aumenta il senso di autoefficacia e ci fa percepire come “indispensabili” per qualcun altro.
  5. Allunga la vita: avere un animale a cui pensare, da portare a spasso e con cui passare momenti di gioco ti aiuterà a prevenire tutte quelle malattie legate alla sedentarietà, come pressione alta e cardiopatia. Unita alla diminuzione di stress e ansia, adottare un animale è un ottimo modo per vivere meglio e più a lungo.

Leggi anche: “Meditando si impara. 5 tecniche di meditazione per vivere meglio.”

Raggiungere la felicità con gli animali domestici

Tutti vogliamo essere felici. Ognuno ha la propria idea di felicità e avrà le proprie strategie per raggiungerla.

Vivere con un animale domestico è uno dei tanti modi per sentirsi più sicuri di sé, per stringere amicizie, combattere la depressione o essere compresi.

L’adozione di un cane o un gatto è un momento molto speciale, che può cambiare il tuo modo di pensare e vivere la quotidianità. È giusto che sia una scelta pensata che diventerà un impegno per molti anni.

Se pensi che la tua felicità possa raggiungerti scodinzolando, ti garantisco che sarà un bellissimo modo di viverla.

1 commento su “5 motivi per cui gli animali domestici rendono felici”

  1. Verissimo, gli animali domestici ci possono rendere felici e noi se rispettiamo i tuoi consigli su quando è il caso di prenderli, possiamo salvarli da una vita di stenti per strada o da una vita triste in un canile/gattile. Ci possono anche aiutare a raggiungere un maggior grado di consapevolezza e coerenza con i nostri valori, nel momento in cui osservandoli, rispettandoli, amandoli, ci rendiamo conto che quella categoria ‘animali domestici’ è una pura ed arbitraria convenzione talmente radicata nella nostra cultura da farci pensare irrazionalmente che siano diversi dagli altri. Mi riferisco in particolare a quelli animali relegati ad una ‘categoria B’ che vengono sfruttati, rinchiusi, abusati, torturati anche legalmente per cibo, vestiario, alimentazione, divertimento, sperimentazione e così via. Illuminante, se oltre al senso di giustizia, lasciamo le porte aperte all’empatia, è la lettura di ‘Perchè Amiamo i Cani, Mangiamo i Maiali e Indossiamo le Mucche’ (Melanie Joy: https://www.youtube.com/watch?v=).

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Quando sono a casa, ovunque io guardi, vedo libri. Ne ho molti da sempre e ormai fanno parte di me. Quando mi chiedevano “cosa porteresti su un’isola deserta”, i libri erano sempre la mia prima scelta. Quest’anno sono 30 anni che ho imparato a leggere e volevo condividere con voi come crescere con i libri mi abbia cambiato la vita.

Molte persone non leggono. C’è chi dice di non avere tempo e chi dice che leggere sia noioso.

In realtà leggere è un’abitudine molto potente. Ci apre la mente al nuovo e ci permette di evolverci. Non è solo un passatempo o uno strumento per immagazzinare informazioni.

La lettura è un vero e proprio stile di vita, che può aiutarti a creare il giusto stato mentale per raggiungere la serenità.

Crescere con i libri fin da giovani

Ricordo che, come molti bambini, mi sono approcciato alla lettura con i fumetti di Topolino. Forse fin troppo presto, sono passato a quelli horror con Dylan Dog. Ho cominciato ad avere gli incubi e smisi per un po’ di leggerli. Avevo circa sette anni, ma il genere horror mi aveva rapito.

Negli anni a seguire, cercavo sempre titoli a tema. Così, mostri e vampiri sono diventati i miei compagni di viaggio, la biblioteca la mia “seconda casa” da dove uscivo ogni volta con almeno due o tre titoli sotto braccio.

Nel tempo ho ampliato i tipi di letture. Oggi sono la classica persona che legge un po’ di tutto. Ma prima di arrivare a testi più complessi come i libri di crescita personale, i saggi e le biografie, il mio percorso è iniziato con le storie.

Il potere delle storie

Una bella storia vale sempre la pena leggerla. Di qualsiasi tipo e a qualsiasi età. I giovani lettori sono più attratti da avventure e storie fantasy. Spesso noi adulti sottovalutiamo l’importanza di questi generi rispetto ad altri.

In realtà, ci sono certe caratteristiche che accomunano tutte le storie e ci aiutano a crescere e diventare grandi.

Vediamone insieme qualcuna:

  • L’avvenimento scatenante: può essere un desiderio personale, o un accadimento naturale, di cui non ne abbiamo il controllo. Quando “qualcosa succede” comincia una serie di causa/effetto che potrebbe essere l’inizio di una storia che ci cambierà la vita;
  • Il protagonista: ha una missione da compiere e, per farlo, deve affrontare delle difficoltà. Come nella vita reale, all’inizio sembrano insormontabili, per poi scoprire che con la giusta attitudine il nostro eroe sarà in grado di superare anche se stesso;
  • L’antagonista: è l’ostacolo. Crescere con i libri ci permette di conoscere molti antagonisti e imparare che nella vita lo scontro non è l’unica soluzione per superare un’avversità;
  • Aiutanti e amici: nelle storie il nostro protagonista incontrerà persone che lo aiuteranno nella sua missione. Possono essere vecchie o nuove conoscenze. Grazie alle proprie abilità di relazione, l’eroe non si sentirà solo e avrà più possibilità di raggiungere i suoi obiettivi. Questo lo porterà ad essere lui stesso un aiuto per gli altri;
  • L’ambientazione: in molte storie non è mai sempre la stessa. Il protagonista si trova a cambiare luoghi, a scoprire realtà diverse e confrontarsi con posti sconosciuti. Come nella vita, non sempre vivremo esperienze in posti che conosciamo. Lo spirito di adattamento sarà fondamentale per vivere serenamente in nuove realtà;
  • Morale: ogni storia ne ha una, se non di più. Molti degli elementi che troviamo in un racconto inventato sono gli stessi che potremmo trovarci a vivere nella nostra realtà. Quando leggiamo una valida morale su una pagina scritta, saremo più propensi ad applicarla nella nostra vita quotidiana.

Ecco allora che anche quello che può sembrare un banale romanzo può diventare un ottimo spunto per imparare qualcosa da spendere nella nostra vita.

Leggere per imparare la vita

A scuola ci hanno sempre fatto leggere dei libri per le vacanze estive. Per me non è mai stato un compito difficile ma a volte lo trovavo riduttivo.

I testi proposti erano sempre i classici. Libri come “Le avventure di Tom Sawyer”, “L’isola del tesoro”, “Il ritratto di Dorian Gray” o “Il giornalino di Gian Burrasca”.

Non sto criticando queste letture, anzi. Molte di loro mi sono piaciute e le ho rilette anche da adulto. Credo però che gli stessi insegnamenti si possano ritrovare anche in testi che non sono considerati propriamente “scolastici”.

Come dicevo in un altro articolo, ho avuto la fortuna di incontrare un insegnante al liceo che mi ha aperto gli occhi.

Tutti i libri sono fonte di insegnamenti, sta a noi allenare gli occhi per vederli

Insegnamenti di libri famosi

Questa è solo una brave lista di insegnamenti, presenti nei libri di autori che non ti fanno leggere a scuola:

  • Affrontare la paura di crescere: questo aspetto è tipico degli adolescenti. Troppi cambiamenti e ancora pochi strumenti per essere sereni nell’affrontarli. Nel racconto di Stephen King Stand by me, quattro amici affrontano i rapporti difficili con i genitori e grazie all’aiuto reciproco troveranno la propria strada per crescere insieme.
  • Solitudine e speranza: dopo una potente devastazione a causa di un virus, Robert Neville si troverà da solo. La solitudine, però, non lo ostacolerà a cercare una cura per salvare il mondo. La sua voglia di amore e riscatto lo porteranno a incontrare pochi sopravvissuti che infonderanno la speranza nella vita del protagonista di Io sono Leggenda” di  Richard Matheson.
  • Il potere della fantasia: il protagonista è un ragazzino goffo, spesso bullizzato, con problemi conflittuali con il padre. La sua voglia di crescere con i libri lo porterà a trovare un mondo magico, fatto di luoghi incantati. Ne La storia infinita, Bastiano ritroverà se stesso e finalmente avrà la possibilità di crescere e diventare l’uomo che ha sempre sognato, grazie alla sua capacità di immaginare.

“Bastiano voleva essere un individuo, un qualcuno, non soltanto uno come tutti gli altri. E proprio per questo voleva essere anche essere amato, perché era così com’era. La vera volontà è quella di amare.”

Michael Ende
  • Il potere della normalità: ci sono infiniti insegnamenti neIl signore degli anelli. La lealtà, il coraggio e la speranza. Tolkien dà la possibilità di essere speciali, anche a chi si considera inferiore ai più. Ognuno di noi è unico per qualcuno, ed è importante esserne consapevoli e valorizzarsi sempre.
  • Cambiare vita è sempre possibile: In Shantaramil personaggio descritto da G.D. Roberts si trova a ricostruirsi da zero in una terra caotica e sconosciuta come l’India. Scappato da una prigione australiana, incontrerà amici leali e amori struggenti che gli daranno la possibilità di riscattarsi. Sarà lui quello che, con sacrificio e dedizione, salverà moltissime vite e diventerà quello che mai avrebbe pensato.
  • Il rispetto della natura: nel libro Congo“, Michael Crichton ci fa respirare aria di foresta. Se leggiamo questo libro, impareremo a rispettare gli equilibri di madre natura e a capire quanto sia pericoloso romperli (per esempio per avidità o brama di potere). Impareremo ad accettare il bello di quello che esiste e quanto sia sbagliato ostinarsi a portare cambiamenti che destabilizzano il creato.
  • Il vero amore scavalca i confini del tempo: nel libro Lampi di Koontz scopriremo la potenza del vero amore. Storia tragica di morte e amicizie che avrà come protagonista un amore disperato che nemmeno il tempo potrà arrestare.

Non bisogna sottovalutare il potere delle storie. Qualsiasi vicenda, seppur inventata, è un ottimo modo per riflettere su di noi e sulla nostra vita. Leggere ci permette così di aprire la mente e liberarci da stereotipi e influenze che limitano la nostra prospettiva.

«Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo.»

Gianni Rodari

I 5 benefici di crescere con i libri

Quando leggiamo c’è chi ha bisogno di assoluto silenzio per godersi ogni parola dell’autore e chi riesce a leggere anche camminando, giusto per passare il tempo dalla fermata del bus fino a casa.

Non importa il “come”, ma se hai l’abitudine di leggere, potrai godere di grandi benefici come:

  1. Ridurre l’ansia: per quanto possa essere stata complicata la tua giornata, non c’è niente di meglio di una buona storia per evadere dalla realtà. Avrai tempo da dedicare a te e potrai rigenerarti per affrontare al meglio il giorno successivo.
  2. Aumenta l’empatia: calandoci nella vicenda, ci rispecchiamo nei personaggi della storia. Affineremo la nostra capacità di capire l’altro e riusciremo, anche nella vita vera, ad essere più comprensivi ed empatici.
  3. Affinare il linguaggio: crescere con i libri mi ha permesso di imparare parole ed espressioni nuove. Oltre che ad allenare la mente e fruire di svariati vocaboli, leggere ci permette di esprimere al meglio le nostre idee, intenzioni ed emozioni. Saremo più efficaci nelle relazioni, e di conseguenza più felici.
  4. Migliora la concentrazione e ti aiuta a prendere decisioni: uno studio svolto dall’università di Liverpool ha dimostrato che chi legge tende a essere più sicuro di sé. L’aumento dell’autostima ci porterà a prendere decisioni con consapevolezza e a non sperare nella fortuna.
  5. Insegnare: le esperienze che viviamo tra le pagine dei libri andranno ad arricchire quelle vissute ogni giorno. Grazie ai benefici visti fin ora, troveremo il modo giusto per trasmettere le nostre conoscenze.

Leggi anche: “Come crescere insieme ai figli con i cartoni animati”

Non si smette mai di crescere con i libri

La lettura è il processo mentale che permette di decodificare e comprendere informazioni o idee rappresentate in forma visiva o tattile. 

Wikipedia

Dietro questa semplice definizione, si nascondono un mare di possibilità. Spesso sono così tante che è difficile metterle a fuoco tutte insieme, con il rischio di perdere il vero significato della lettura.

Non credo che ce ne sia solo uno: come abbiamo visto di motivi e di benefici ne esistono molti e tanti altri ce ne saranno.

Credo che anche tu ne avrai di tuoi, e sarebbe bello leggerli nei commenti.

Leggere è un’arte alla quale tutti dovremmo avvicinarci. Le parole scritte su un pezzo di carta potranno essere la chiave per la tua libertà, per il tuo successo e la tua felicità.

“Il primo passo non ti porta dove vuoi andare, ma ti toglie da dove sei”.

Anonimo

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Non voglio sembrare esagerato, eppure penso che riuscire a conoscere se stessi equivalga a garantirsi un futuro sereno con il più azzeccato degli investimenti.

Per spiegarmi meglio ho bisogno di introdurre il concetto di premessa.

Ognuno di noi imposta la propria esistenza su una convinzione basilare, una premessa appunto, che può essere qualsiasi cosa, da “il mio destino è fare lo scrittore” a “per trovare un posto fisso bisogna avere conoscenze”.

In pratica, la premessa che scegliamo detta le nostre scelte e guida il nostro percorso di vita, un po’ come quando si programma un computer scrivendo le istruzioni del suo sistema operativo.

Alcuni computer vengono programmati per fare semplici calcoli, con altri puoi creare vere e proprie forme di arte digitale.

La scelta sta a monte, nell’intenzione del programmatore.

Leggi anche: Vivere all’estero ti aiuta a scoprire chi sei

Non si può conoscere se stessi senza sapere quali sono le proprie premesse fondamentali

Qual’è la tua intenzione di vita?

Cosa hai deciso di fare con il tempo che ti è stato dato e perché?

Sono domande a cui è molto facile dare una risposta superficiale ed estremamente difficile darne una esaustiva.

Per esempio, è quasi ovvio affermare che si vuole lavorare come architetti perché si è studiato architettura o che si vuole lavorare nel pubblico perché c’è la crisi e il privato non dà garanzie.

Ma quali sono le premesse fondamentali dietro queste scelte?

Perché hai studiato architettura?

Ti fa stare bene? È qualcosa che hai sempre sentito di voler fare?

Perché vuoi il posto fisso nel publico? Per amore dell’amministrazione o paura di non avere lo stipendio fisso?

E sei sicuro che la tua paura sia reale o ci credi perché ti fai influenzare dalla gente o dal telegiornale?

Potremmo fare lo stesso tipo di domanda con altri settori accademici o con la scelta di aprire un’attività commerciale.

In ogni esperienza scopriremo sicuramente che si è intrapresa una strada per un motivo che poi è cambiato, a causa di una premessa che non rispecchia al cento per cento ciò che siamo veramente.

Leggi anche: Cos’è la libertà, ed è possibile essere liberi?

La storia di quando ho dovuto perdermi per conoscermi

Ti racconto la mia esperienza per chiarire il tutto.

Un giorno ho capito che mi ero laureato in giurisprudenza seguendo la premessa sbagliata, quella secondo la quale per vivere felice nella vita dovevo fare un lavoro prestigioso e sicuro.

Così ho deciso di cambiare il mio modo di pensare, il mio sistema operativo, e ho deciso di dedicarmi completamente alla musica.

La premessa lì sembrava più vera, cioè “non sono un avvocato ma dentro sono un musicista”.

E seguendola iniziai a fare musica a tempo pieno, andando prima a Milano, poi a Boston, poi a Los Angeles, poi a Londra, poi in Cina, poi di nuovo a Londra.

Feci migliaia di chilometri e centinaia di esperienze, belle e brutte, tutto perché un giorno ho deciso che la mia verità era fare il musicista.

Da notare: non avevo le idee chiare su quale strumento volessi suonare o su che tipo di musicista volessi essere, fatto sta che suonavo prima la chitarra, poi decisi di fare composizione, poi passai al basso, prima in una band rock poi in diverse cover band per eventi e matrimoni.

Leggi anche: Voglio cambiare vita, ma ho paura

La premessa sbagliata

Sarebbe bello ammettere che scegliendo di inseguire quel sogno tutto andò bene e adesso vivo di musica.

Ma non è andata così.

C’era un’altra premessa sbagliata in quella miriade di piccole scelte giornaliere che mi fecero girare in tondo come una trottola… e la premessa era “se non divento famoso non avrò mai nessun valore”.

Non c’era amore vero dietro quello che facevo, non c’era una vera intenzione di vivere di musica, non c’era un reale appagamento nel processo di fare musica giornalmente.

La carriera come bassista era solo un mezzo per ottenere qualcos’altro.

Cioè, avevo creato un personaggio, Vincenzo il musicista, che serviva a farmi vivere una fantasia e distrarmi dalla realtà di chi ero.

Non lo sapevo, in realtà, chi ero. Come molti di noi d’altronde.

Agivo solo sulla base di quella premessa perché era questo il piano e non c’era nient’altro da fare.

Non notavo che durante il giorno non avevo nessun desiderio di prendere in mano il mio strumento o che non avevo interesse a scoprire musica nuova.

Non notavo che quando suonavo sul palco ci fosse poca gioia nei miei occhi.

conoscere se stessi

Leggi anche: Odio il mio lavoro: perché la tua vita non rispecchia chi sei

La scelta di chi essere

Quanto descritto non è qualcosa che faccio solo io.

Un po’ tutti, a un certo punto, scelgono un piano di vita più o meno veritiero e poi lo seguono quasi ciecamente, senza “controlli periodici di autenticità”.

E un po’ tutti noi (in modi diversi) creiamo dei personaggi.

Quando ci chiedono chi sei? rispondiamo con risposte approssimative tipo sono un ingegnere, un avvocato, un dottore.

Per quanto non dica nulla su chi siamo realmente dentro, una risposta del genere soddisfa il nostro bisogno di avere un ruolo e il nostro bisogno di coerenza e semplicità.

A nessuno piacerebbe ammettere di non aver ancora capito cosa fare della propria vita a trent’anni, di non avere un lavoro stabile o un’identità precisa.

Così ci affanniamo a scegliere un personaggio come quando ci si affanna a scegliere una sedia nel gioco delle sedie musicali.

Perché lo sforzo di conoscere realmente se stessi fa molta più paura dello sforzo di scegliere la prima opzione disponibile e fa anche più paura dell’idea di cambiare la propria vita a qualsiasi età.

Conoscere se stessi: il nostro vero Io vs. il nostro personaggio

Dietro le scelte che vanno a costituire il nostro personaggio, ovvero colui o colei che rappresenta chi siamo in apparenza, c’è un altra persona.

Dietro il personaggio del musicista che avevo scelto per placare le mie insicurezze c’era una persona con una voce e con una vocazione.

Una parte di questa persona ti sta scrivendo in questo momento e ti sta dicendo che non sei soltanto quello che sembri e non sei neanche quello che fai.

Dietro quello che fai ci possono essere delle premesse sbagliate e svelando queste premesse potresti scoprire di dover o voler fare qualcosa di completamente (o parzialmente) diverso.

Esiste dunque una parte di te che rappresenta la verità su chi sei, il tuo vero Io.

Al suo interno non esiste paura perché la connessione con la nostra verità ci dà sicurezza e ci rende liberi, più di quanto non possano mai fare i soldi o le relazioni.

Leggi anche: Cos’è l’ego e perché è importante distaccarsene

Un metodo per conoscere sé stessi: lo schema di Johari

Adesso che abbiamo familiarità con il concetto di premessa e di personaggio, passiamo a un metodo pratico per migliorare la conoscenza di sé: lo schema di Johari.

Questo è uno strumento di esplorazione personale che ci mostra le 4 parti di noi stessi:

  1. Il sé pubblico;
  2. Il sé privato;
  3. Il sé cieco;
  4. Il sé sconosciuto.
conoscere se stessi

Il sé pubblico è quella parte di noi che è palese sia a noi stessi che agli altri: è quello che mostro su facebook, le qualità e le qualifiche, i ruoli e i gusti.

Il sé privato è la parte di noi che non vogliamo mostrare al mondo: può includere le nostre insicurezze, l’invidia che proviamo nei confronti degli altri, le vulnerabilità e gli errori che ci fanno vergognare.

Il sé cieco è invece la parte di noi che vedono gli altri ma che non vediamo noi: si tratta di quei comportamenti fastidiosi che non ci accorgiamo di avere, di quelle convinzioni limitanti che diamo per scontate, di gesti automatici che finiscono per danneggiare inconsapevolmente gli altri.

Infine, il sé sconosciuto è tutto ciò che nessuno sa che siamo: è la nostra parte potenziale, quello che potremmo diventare e scoprire grazie alle esperienze e ai viaggi.

Conoscere la verità su sé stessi

Chi si ferma soltanto alle apparenze e incentra la propria vita sul compiacere gli altri vive soltanto nel sé pubblico.

Qui la vita finisce inevitabilmente per diventare vuota e priva di significato, come lo può essere per tutti quelli che sono ossessionati con i selfie e la fama mediatica.

La soluzione sta nel concentrarsi sullo scoprire il proprio sé sconosciuto e nello svelare le limitazioni del nostro sé cieco.

Per farlo ci sono una miriade di opzioni e strategie che ti posso dare, dai test della personalità alle liste di domande da fare per conoscere meglio sé stessi.

L’unico problema sta nel fatto che non esiste un aiuto esterno che può immediatamente svelare la verità su chi sei.

Leggere, viaggiare e incontrare persone nuove sicuramente aiuta, ma alla fine dipende solo da te trovare la forza di guardarti dentro per vedere se ci possono essere delle premesse diverse rispetto a quelle che conosci già.

Cosa accade quando si conosce meglio sé stessi

Visto allora che non posso dirti chi sei, posso darti un’idea di quello che ti accadrà quando avrai conosciuto la parte sconosciuta di te.

  • Sentirai di avere più coraggio, il coraggio di fare e di esprimere le tue idee.

Il sé potenziale e sconosciuto è la parte di noi che può far accadere tutto ciò, il depositario del vero motivo per cui siamo venuti al mondo.

Quando siamo veri attiriamo a noi persone e opportunità. Quando non siamo veri accade il contrario.

Quando viviamo una bugia iniziano gli imprevisti, i problemi, le cose non funzionano per qualche ragione e non si ottengono mai gli effetti sperati.

Ciò avviene perché l’Universo non vuole che tu sia un personaggio, vuole che tu sia Tu.

Quando scopri chi sei veramente, allora, l’Universo inizierà ad aprire porte per te laddove prima c’erano muri (J.Campbell).

Ed ecco perché, come ho detto all’inizio, conoscere se stessi equivale ad assicurarsi un futuro più sereno.

Perché se le false premesse ci fanno incappare in strade senza uscita, trovare la verità su chi siamo ci farà andare avanti e ci renderà felici.

4 Libri per conoscere sé stessi

1.L’arte di conoscere se stessi

conoscere se stessi

Avviato nel 1821 e proseguito poi nei decenni successivi, questo «libro segreto» consisteva probabilmente in una trentina di fogli fitti di annotazioni autobiografiche, massime e citazioni che Schopenhauer aveva registrato come ciò che gli stava più a cuore.

Come una sorta di distillato della propria personale saggezza di vita: le regole di un’arte per conoscere se stessi e, nel contempo, per rendere meno difficile la convivenza con gli altri e l’orientamento nel mondo: «Volere il meno possibile e conoscere il più possibile è stata la massima che ha guidato la mia vita».

Formato Kindle €2,99

2. Cambia l’abitudine di essere te stesso

Non sei destinato né programmato geneticamente a essere ciò che sei per tutta la vita.

Infatti è nata una nuova scienza che restituisce all’individuo il potere di creare la realtà che desidera vivere.

Nel suo libro, il dottor Dispenza, autore noto a livello internazionale, speaker, ricercatore e chiropratico combina la fisica quantistica con la neuroscienza, la chimica del cervello, la biologia e la genetica per mostrarci cosa sia veramente possibile realizzare. 

Formato Kindle €3,99

3. Ventuno giorni per rinascere: Il percorso che ringiovanisce corpo e mente

Esiste un cammino di tre settimane capace di renderci più giovani, più sani, più longevi, più gioiosi.

Lo ha studiato Franco Berrino, noto medico ed esperto di alimentazione, assieme a Daniel Lumera, riferimento internazionale nella pratica della meditazione, e a David Mariani, allenatore specializzato nella riattivazione dei sedentari.

È un percorso pratico e quotidiano fatto di ricette, esercizi fisici e spirituali. Ma anche di conoscenza, illuminazione, consapevolezza.

Formato Kindle €7,99

4. Il segreto è credere in se stessi 

Che sogno inseguiremmo se fossimo certi di poterlo realizzare? Quante cose cercheremmo di fare se non fossimo bloccati dalla paura del fallimento?

Quanto più avremo fiducia nelle nostre capacità, tanto più facile sarà per noi fissare obiettivi importanti e impegnarci al massimo per raggiungerli.

È ciò che sostiene Brian Tracy – esperto di crescita personale e coach di fama internazionale – in questo libro frutto di anni dedicati a osservare comportamenti e azioni delle persone di successo. 

Formato Kindle €1,99

2 commenti su “Come conoscere se stessi per garantirsi un futuro migliore: lo Schema di Johari”

  1. Grazie infinite per le tue bellissime perle di saggezza, ho 35 anni ho fatto una miriade di lavori altalenanti, ma con nessuno mi sentivo “ME”, io l’ho sempre saputo chi sono, solo che sentirmi una motociclista non mi dà cibo ne mi fa pagare le bollette, ma mi regala così tanta fiducia in me stessa, così autostima.. Grazie.

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Ti è mai capitato di stare alla scrivania del tuo ufficio a fissare uno schermo e pensare “odio il mio lavoro“?

Non deve trattarsi necessariamente di un ufficio, non deve trattarsi necessariamente di uno schermo.

In qualsiasi luogo ti trovi, qualsiasi cosa tu abbia davanti, quando pensi che il tuo lavoro non ti appaga il motivo è quasi sempre lo stesso: a un certo punto della tua vita avrai fatto un compromesso, forse rinunciando a una passione per la sicurezza personale.

Il motivo per cui ci ritroviamo a fare lavori che odiamo

La semplice e banale verità è che ci ritroviamo a fare lavori che odiamo per i soldi. Ma andiamo più a fondo.

A cosa servono i soldi? (domanda cretina eh?)

Servono ad avere casa, vestiti, macchina, riscaldamento, TV.

Andiamo ancora più a fondo.

A cosa servono queste cose?

A sentirci bene… al sicuro.

In ultima istanza, il denaro serve a farci sentire al sicuro, e ne siamo talmente certi che siamo disposti a sacrificare tutto per averlo: il nostro tempo, la nostra felicità, i nostri sogni.

Praticamente, quando lavoriamo solo per il denaro diciamo a noi stessi che il nostro unico interesse è quello soddisfare i nostri bisogni primari (avere un tetto sulla testa, il frigo pieno, l’armadio ben fornito).

Gli altri bisogni, come quello di conoscere meglio se stessi, esplorare le proprie passioni, imparare a essere creativi o passare del tempo in famiglia, vengono sottomessi alle esigenze del lavoro, arrivano sempre dopo.

Sacrifichiamo così il nostro tempo nella speranza che, una volta aumentata la nostra disponibilità finanziaria, ci sentiremo automaticamente appagati, soddisfatti, liberi.

Ma poi ci rendiamo conto che non è così, che se ci occupiamo solo dei soldi cresceranno anche i soldi ma non è detto che cresceremo anche noi come persone.

Cioè non è detto che con la stabilità finanziaria aumenti anche la stabilità e la serenità mentale.

Leggi anche: Ikigai significato e filosofia, scoprire il senso della propria vita

Tratti caratteriali di persone soddisfatte del loro lavoro

Quando osserviamo le motivazioni che spingono le persone a fare lavori che odiano in molti casi troveremo questo forte bisogno di avere denaro per avere stabilità.

Quando invece osserviamo le motivazioni delle persone che sono soddisfatte di quello che fanno troveremo anche altro: un forte bisogno di affermare se stesse facendo quello che li appaga maggiormente.

La differenza è abbastanza sostanziale perché nel primo caso ci sarà la convinzione che la soluzione alla felicità sia all’esterno.

Mentre nel secondo caso ci sarà la convinzione che la soluzione alla felicità sia all’interno.

Ricerche di settore confermano che molte persone di successo leggono spesso libri, mangiano sano e fanno attività mirate al loro sviluppo interiore, sia fisico che mentale.

Al contrario, coloro che sono maggiormente insoddisfatti delle loro vite cercano distrazioni come la TV o il gossip e sono più indulgenti con il cibo iper-calorico.


Per approfondimenti: Dentro la Tana del Coniglio – Cosa ci rende felici di Vincenzo Marranca

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Leggi anche: Positività in pillole, cambiare la propria vita con le affermazioni

La sicurezza non viene solo dai soldi

Come abbiamo già menzionato, molti hanno quest’incrollabile certezza che il denaro sia fonte di sicurezza, e in parte è vero.

Grazie a entrate stabili ci si può proteggere dalla preoccupazione per il mangiare, per l’affitto e per le spese, cosa che in effetti rende la mente più tranquilla e libera di concentrarsi su altri obiettivi.

Ma una volta superata la soglia dell’autosufficienza i soldi non bastano a darci un vero senso di stabilità e sicurezza.

Se fosse così coloro che ne hanno di più dovrebbero vivere nella pace dei sensi, essere persone illuminate che vivono pienamente la vita senza paure.

Invece…

…hai mai visto un monaco buddista andare da un milionario per avere consigli su come essere felice?

Io no.

I milionari sono persone come noi, a volte anche più insicure, terrorizzate dall’idea di perdere quello che hanno, anche loro vulnerabili all’ansia e alla depressione, alle conseguenze di relazioni tossiche (Fonte).

Le loro vite hanno problemi di portata diversa rispetto ai nostri ma l’origine è sempre la stessa: come noi vogliono sentirsi accettati, amati, valorizzati.

Come noi vogliono sentire che la loro vita e il loro lavoro abbiano un senso.

Ma se allora i soldi non bastano a far amare quello che si fa e a dare un significato più profondo alla propria vita, cos’altro serve?

Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama

Il metodo migliore per sentirsi al sicuro senza fare un lavoro che si odia

Il metodo migliore per sentirsi al sicuro non è fare un lavoro che si odia per riuscire ad accumulare grandi quantità di denaro.

La soluzione sta nel trovare la propria sicurezza all’interno sviluppando quelle abilità che ci permetteranno di sostenerci a prescindere dalle condizioni esterne.

Pensa, per esempio, a una persona che abbia talento e denaro, diciamo Fabio Fazio.

Credi che se, a causa di una pandemia, lui dovesse perdere tutto quello che ha oggi non sarebbe in grado di rimettersi in piedi prima o poi?

Così come lo ha fatto una volta lo può fare di nuovo no?

Il suo successo come presentatore non è dovuto alla fortuna, non ha vinto alla lotteria di “Che tempo che fa”.

C’è riuscito perché ha scoperto la sua vocazione e si è concentrato sul perseguirla senza farsi bloccare dalla paura di fallire.

Dove credi sarebbe oggi Fazio se avesse pensato “fare il presentatore è un bel sogno ma ho bisogno di un lavoro vero”?

Di norma, le persone più felici non sono sicure di sé stesse perché hanno soldi, ma perché sanno chi sono, cosa vogliono e cosa sanno fare meglio.

La vera sicurezza, dunque, te la dà una forte connessione con le tue inclinazioni naturali. Solo quella ti può dare il senso di stabilità che cerchi, non il denaro.

Il denaro è solo ciò che ti verrà incontro quando avrai scoperto quale delle tue uniche e naturali inclinazioni puoi mettere al servizio degli altri.

Il denaro è un voto, un segno di apprezzamento che il mondo ti dà per i tuoi servizi.

Adesso potrai pensare che ci sono anche persone che guadagnano molto sfruttando gli altri, e avresti ragione. Ma ti assicuro che non è quella la strada che vuoi seguire.

Stiamo parlando di costruire una pace interiore e una stabilità reali, non contraffatte. Se hai bisogno di fregare gli altri per sostenerti vuol dire forse che prima di pensare alle tue inclinazioni naturali dovresti concentrarti sullo sviluppare l’integrità morale.

Smetti di dire “odio il mio lavoro” e impara a dire “amo chi sono”

Quindi, se il pensiero “odio il mio lavoro” continua a ripetersi nella tua mente smetti di biasimare le circostanze, non ti porterà da nessuna parte.

L’unica cosa che puoi fare è imparare prima a conoscere chi sei e poi ad amare chi sei.

Ti sei mai concesso del tempo per capire cosa ti fa stare bene?

Avrai sicuramente passato del tempo a studiare svariate materie al liceo o all’università.

Hai mai studiato chi sei?

Sembra un’altra domanda cretina, lo so.

Ma se è facile credere che lo studio dell’economia possa portare sicurezza nella vita perché non possiamo credere che lo studio di noi stessi non possa fare lo stesso?

Perdiamo moltissimo tempo a fare cose che non ci piacciono e non ci chiediamo neanche il motivo, le facciamo e basta come se ci fosse una sorta di accordo implicito e infrangibile.

E non ci fermiamo a considerare che non è poi così necessario sacrificarsi per vivere.

Nessun’altra specie lo fa. Nessun animale deve provare a essere qualcosa che non è per guadagnarsi il diritto di sopravvivere.

Hai mai visto un orso che al mattino va a fare la mucca per vivere?

L’orso fa l’orso e la mucca fa la mucca.

Ognuno dei due ha una sua natura precisa e una sere di comportamenti istintivi che assicurano la loro sopravvivenza.

La differenza tra noi e loro è che noi possiamo vivere anche se completamente ignari di quale sia la nostra vera natura.

Come vivere la vita che si desidera e smettere di pensare “odio il mio lavoro”

Adesso basta con le analogie.

So che alla fine le chiacchiere stanno a zero e domani dovrai comunque alzarti per andare a lavoro (che ti piaccia o no).

Quindi ti lascio con un metodo che ho scoperto da poco e che credo sia efficace per iniziare a trasformare la tua vita.

Fa una lista.

Fa una lista di tutte le cose che fai durante il giorno, che sia lavorare, stare su facebook, guardare la TV, mangiare, accompagnare i figli a scuola, andare in palestra.

Scrivi più che puoi e non preoccuparti di essere impreciso o di lasciar fuori qualcosa.

Quando hai finito guarda ogni attività singolarmente e prova a dare un voto da 1 a 10.

Dai 1 a tutte quelle attività che “di pancia” (a livello emotivo/istintivo) ti risultano spiacevoli o noiose.

Dai 10 a tutte quelle attività che invece ti fanno stare bene, che ti danno un senso di completezza e soddisfazione.

Una volta completata la tua lista fa la somma di tutti i voti dati e dividila per il numero di attività che hai scritto.

Quella che otterrai è la tua media di corrispondenza, cioè il livello di allineamento tra ciò che sei e quello che fai nella vita.

Se il risultato finale è alto vuol dire che la maggior parte di quello che fai rispecchia chi sei.

Se il numero è basso vuol dire che hai scelto di fare cose che non ti soddisfano e l’esercizio ti darà la possibilità di capire cosa cambiare… un passo alla volta.

Questo è un modo pratico di iniziare a trasformare la nostra vita partendo dalle singole attività che non ci piace fare.

Ovviamente non puoi lasciare il tuo lavoro dall’oggi al domani ma di sicuro puoi smettere di fare altre cose che non ti fanno stare bene, tipo mangiare fast food tre volte a settimana o guardare troppa TV.

Una volta che inizi a cambiare le piccole cose nel tempo sarai pronto a cambiare quelle grandi.

Leggi anche: Come migliorare la propria vita, 4 scelte fondamentali da fare

Trova uno scopo

In conclusione, si arriva a pensare “odio il mio lavoro” solo quando quello che facciamo non ha nessun altro scopo che lo stipendio.

Dare tutto questo valore allo stipendio farà anche mangiare, ma purtroppo porta a credere che non esiste ricchezza senza di esso.

La vera ricchezza, invece, non sta nel conto corrente ma sta nel trovare uno scopo, nell’avere un’intenzione di vita.

La tua intenzione di vita potrebbe essere quella di fare qualcosa di creativo o di ottenere la libertà finanziaria o di migliorare la vita degli altri.

Non deve essere necessariamente specifica in questo preciso momento, l’importante è capire quanto sia fondamentale averla per evitare di diventare schiavi dei soldi.

Grazie a una forte intenzione ci sente più sicuri di sé e si sente di avere un motivo per sopportare sacrifici momentanei – senza renderli permanenti.

La lista di attività che ho menzionato prima serve proprio ad aiutarti a scoprire la tua intenzione.

Le attività che ti danno piacere possono essere dei segnali che ti guideranno verso la tua vocazione, verso il tuo scopo.

E una volta che troverai il tuo scopo ti verrà più facile trovare il lavoro che si allinea maggiormente con esso, un lavoro che farai di sicuro più fatica a odiare.

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2. Mollo tutto: E faccio solo quello che mi pare

Il capo pretende da voi l’impossibile ma lo stipendio è impalpabile? Sentite il bisogno di cambiare vita e dedicare tempo a ciò che davvero vi appassiona?

Non è della gallina dalle uova d’oro che stiamo parlando, ma della possibilità di mettere a frutto interessi e competenze ricavandone un reddito. Di lavorare divertendosi.

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3. 4 ore alla settimana: Ricchi e felici lavorando 10 volte meno

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Il bello è che Tim non è un milionario, né vuole diventarlo. I soldi non fanno più la felicità.

Imprenditore seriale e ultravagabondo, per sua stessa definizione, Ferriss ha impiegato cinque anni per studiare le abitudini dei Neo Ricchi, ovvero di quel curioso gruppo umano che ha abbandonato un «piano di vita differita» (lavoro da schiavop risparmioppensione) per vivere alla grande grazie alla nuova, fortissima valuta: il tempo e la mobilità.

Ha carpito i loro segreti, e oggi è il Neo Ricco più famoso d’America, conteso dalle più prestigiose università americane, da Princeton a Harvard. La sua ricetta è per tutti, la sua ricetta è in queste pagine.

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4. Ikigai. Il metodo giapponese: Trovare il senso della vita per essere felici 

L’ikigai è nascosto in ciascuno di noi, basta trovarlo. Insieme possiamo scoprire come. 
Dal Giappone un metodo per giungere alla conoscenza di sé, alla scoperta di ciò che dà senso e realizzazione alla propria quotidianità. Lo scopo?

Trovare il proprio Ikigai, la propria ragione di vita, e sentire finalmente di condurre un’esistenza piena, soddisfacente e degna di essere vissuta. 

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La più grande avventura che intraprenderai nella tua vita è capire chi sei. 

Sembrerà contro-intuitivo, ma molti di noi vivono le loro giornate in modo inconsapevole, perseguendo falsi ideali e falsi desideri.

Confondiamo spesso la consapevolezza per auto-indulgenza, e andiamo avanti senza fare le domande che veramente contano tipo “Chi sono veramente?” oppure “Cosa voglio dalla vita?”.

Interrogativi marzulliani a parte, capire chi sei avrà dei riscontri estremamente pratici nella tua vita.

Siamo fatti di estremi opposti

Non pensare che sia solo una questione teorica/esistenziale e neanche un a cosa egoista o narcisista.

Tutt’altro.

Trovare sé stessi è l’unico modo di essere veramente d’aiuto agli altri, l’unico modo per essere un miglior partner, genitore, professionista, amico.

Perché come possiamo dare il meglio di noi in qualsiasi ambito se non sappiamo “cosa” siamo?

Come potrei mai insegnare a un figlio a realizzarsi se io stesso non sono consapevole di chi sono realmente?

La cosa più importante di tutte è riconoscere la propria vera natura in tutte le sue sfaccettature.

Ciò vuol dire accettare anche i lati più problematici, le insicurezze, i difetti. E significa anche essere vulnerabili di tanto in tanto.

Che noia sarebbe il mondo se tutti fossero sicuri di sé e impeccabili.

Prima di passare ai 7 step per capire chi sei veramente, ricorda dunque questi principi fondamentali:

Quello che sei è multiforme, colorato, fatto di opposti estremi come paura e coraggio, forza e debolezza, certezza e incertezza.

Non puoi eliminare un opposto ed essere solo l’altro, non puoi liberarti di nulla che sia perfettamente naturale e umano.

Non puoi imparare ad accettarti solo quando ciò che non ti piace di te sarà scomparso.

Farai prima, molto prima, a capire perché sei arrivato a essere come sei, e poi a provare a essere la miglior versione possibile di te.

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

7 step per capire chi sei

1. Trova il vero significato del tuo passato

Non puoi capire nulla del tuo presente o del tuo futuro se non conosci bene la tua storia. 

Certo, sicuramente sei consapevole di dove sei cresciuto e di quello che hai fatto, ma sei sicuro di saper ricordare con obiettività gli eventi che hanno caratterizzato la tua infanzia e adolescenza?

La ricerca lo conferma: non è tanto quello che ci succede nella vita, ma il significato che gli diamo. E questo significato è essenziale al nostro benessere mentale e fisico.

Ci sono moltissime persone che, avendo avuto esperienze negative in passato, si portano ancora dietro la sofferenza e l’insicurezza che sono scaturite immediatamente dopo.

Per esempio, avere dei genitori eccessivamente rigorosi o freddi può portare le persone a essere difensive e distaccate nelle relazioni.

Possibilmente se chiedi loro perché sono così ti diranno che è carattere, o magari saranno in grado di collegare il loro atteggiamento alla dinamica familiare.

Ma la cosa più difficile da fare per loro sarà cambiare il significato di quello che è successo, perdonare sé stessi e i propri genitori, iniziare a vivere partendo da presupposti completamente diversi.

Anche questo è capire chi sei.

Il passato è passato, va ricordato ma senza rimuginare, senza illudersi che definisca il nostro presente.

Chi siamo adesso è una conseguenza ma anche un divenire, una potenzialità, e abbiamo tutti la sacrosanta libertà di scegliere chi vogliamo essere a prescindere da chi siamo stati.

Leggi anche: Perché si ha paura di crescere

 2. Differenzia il vero dal falso

Il processo di differenziazione comporta lo sviluppo di una percezione di se stessi come individui diversi e separati dagli altri.

Per trovare la nostra vera natura dobbiamo distaccarci dalle influenze più distruttive della famiglia e della società.

Gli psicologi individuano 4 step per completare questo processo:

  1. Liberati da pensieri dannosi e critici nei confronti di te stesso/a o di altri;
  2. Individua tutti quei tratti caratteriali negativi che hai assimilato dai genitori;
  3. Rinuncia ai meccanismi difensivi che hai sviluppato per adattarti alle condizioni familiari nell’infanzia;
  4. Scopri quali sono i tuoi valori invece di accettare quelli che ti sono stati impartiti crescendo, e questo ti aiuterà anche a capire cosa vuoi fare nella vita.

Leggi anche: Odio il mio lavoro: perché la tua vita non rispecchia chi sei

3. Trova un senso 

Viktor Frankl disse:

“La vita non è resa insopportabile dalle circostanze, ma soltanto dalla mancanza di senso e scopo”. 

Per chi non lo sapesse, Frankl è sopravvissuto alla circostanza più orribile che si possa immaginare, vivere in un campo di concentramento nazista.

E se ci è riuscito è stato perché sentiva che la sua vita avesse un senso e una direzione che andavano al di là di quell’esperienza e che erano molto più importanti.

È il perché del vivere che conta alla fine di tutto, non il come.

Studi dimostrano che le persone più felici del mondo sono coloro che trovano un significato in quello che fanno, coloro che hanno obiettivi che vanno al di là del piacere o della ricchezza materiale.

Capire chi sei qui si ricollega alla scoperta dei tuoi valori, al senso profondo che vuoi dare alla tua presenza su questa terra.

Leggi anche: Come ritrovare se stessi grazie alla “scheda del personaggio”

4. Concediti il diritto di desiderare

Non puoi scoprire chi sei se non sai cosa vuoi e dove vuoi arrivare.

Sembra facile, ma non lo è.

A volte ci difendiamo dai nostri desideri perché ammettere di volere qualcosa equivale anche a esporsi alla possibilità di non riuscire a ottenerla e, quindi, di soffrire. 

Volere ci fa sentire vivi e vulnerabili, ci fa pensare di non meritare l’oggetto del nostro desiderio e ci porta a cercare una sicurezza blanda, grigia, sterile.

I desideri si possono sbloccare solo se ci si convince di meritare felicità, amore e ricchezza.

Fatti questo regalo allora, datti la possibilità di pensare in grande, di non mettere il freno alle tue aspirazioni.

Chiediti cosa faresti se tutto possibile, se non ci fosse possibilità di errore.

5. Riconosci il tuo potere  

Tutti hanno un potere, solo che alcuni si convincono di essere deboli e vivono in accordo con questa convinzione.

Essere potenti significa nient’altro che avere autostima, fiducia in se stessi, forza d’animo.

Significa essere persone che si assumono la responsabilità delle loro azioni e che hanno integrità morale.

Altri aspetti importanti sono:

  • Saper controllare le proprie emozioni soprattutto quando distruttive;
  • Saper formulare obiettivi e implementare le giuste strategie per raggiungerli;
  • Essere proattivi e indipendenti invece di passivi e dipendenti;
  • Costruire relazioni basate sull’egualità;
  • Essere aperti a cambiare punto di vista e considerare nuove idee o opinioni.
capire chi sei

Leggi anche: Perché pensi di aver ragione anche quando hai torto

6. Pratica l’empatia e la gratitudine  

Una parte essenziale dell’essere una persona consapevole è la capacità di provare empatia e gratitudine.

Le persone inconsapevoli tendono a biasimare gli altri per quello che non va nelle loro vite perché non riescono a vedere le loro responsabilità.

Chi ha compreso la propria natura invece non ha bisogno di paragonarsi o di prendersela con nessuno. Vive le relazioni con l’attitudine del dare e del darsi.

Dopotutto, lo stesso Gandhi diceva che “il miglior modo di capire chi si è veramente è di perdersi nel servizio degli altri”.

È dunque un paradosso che più siamo incentrati su noi stessi, più pensiamo a prendere invece che a dare e più saremo insoddisfatti e lontani da chi siamo.

Leggi anche: L’invidia e le sue insidie: 4 consigli per smettere di paragonarsi agli altri

 7. Scegli la tua tribù 

Infine, un’ultima condizione essenziale per capire chi siamo è la nostra famiglia, la nostra tribù.

Non possiamo scegliere la famiglia in cui siamo nati ma possiamo scegliere i nostri amici e i nostri sostenitori.

Mentre da bambini non abbiamo molto controllo sul nostro tempo, man mano che cresciamo acquisiamo la possibilità di scegliere chi emulare e chi frequentare.

Da adulti possiamo avere la famiglia che scegliamo, possiamo stare con persone che ci rendono felici, che ci ispirano e che ci supportano.

Questa scelta può dirottare il corso del nostro destino, o verso la direzione di una maggior consapevolezza e serenità o verso una vita piena di insoddisfazioni e falsi credi.

Perché non si può crescere nel vuoto, abbiamo sempre bisogno di qualcuno al nostro fianco.

Scegli con cautela dunque, trova la tua tribù, la tua rete di supporto alla tua crescita e scoperta personale.

LIBRO: L’uomo in cerca di senso di Viktor Frankl

Un libro che ha influenzato la vita di un numero enorme di persone, inclusa la mia.

Tradotto in 42 lingue, ha venduto più di dieci milioni di copie.

Nel resoconto di un esperienza traumatica come quella dei campi di concentramento nazisti, Viktor Frankl riesce a trovare e svelare, con una chiarezza che non ha precedenti il lato più nobile dell’essere umano… e facendolo ci dà la possibilità di trovare il lato migliore di noi stessi.

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Voglio iniziare con una confessione: sin da quando ero piccolo non ho mai veramente avuto le idee chiare su cosa fare nella vita.

Dopo aver lasciato il liceo ho preso due lauree completamente diverse, una in legge e l’altra in composizione.

In più, ho fatto una serie di lavori che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro.

Sono passato dall’operatore di call center allo sviluppatore di contenuti mediatici; dall’assistente compositore al cameriere; dal musicista negli alberghi all’insegnante di chitarra per bambini; dal life coach all’insegnante d’inglese.

Per non parlare dei vari corsi e seminari su tematiche più disparate come il marketing o la meditazione.

Praticamente non sono mai riuscito a rimanere costante in nessuna attività per più di qualche mese o anno e ammetto che ciò mi ha creato alcune insicurezze.

Provo una sorta di invidia nei confronti di coloro che si dedicano a una sola cosa, o di quelli che scoprono la propria vocazione già da piccoli.

In passato leggevo spesso libri e guardavo video sull’importanza della costanza e della determinazione, su quanto fosse essenziale l’esercizio ripetuto e costante per ottenere risultati e successo nella vita.

Ma più imparavo sul successo e più mi convincevo di non aver nessuna delle qualità che servivano a ottenerlo.

Tristemente, a un certo punto mi ero persino convinto che non avrei mai trovato la quadratura del cerchio, che sarei rimasto per sempre indefinito, incompleto.

Poi ho scoperto che non tutto è bianco o nero, e che molte delle supposizioni che avevo su come trovare la propria strada erano distorte.

Leggi anche: I 4 principi della comunicazione efficace: come farsi capire

La formula (sbagliata) per trovare la propria strada e capire cosa fare nella vita

Da secoli gli uomini danno consigli su come raggiungere il successo, ma questi consigli sono quasi sempre contestuali al tempo e al tipo di società in cui si vive.

Secoli fa il successo si misurava con il numero di pecore che avevi nel tuo gregge.

Poi con l’importanza del casato a cui si faceva parte o che si serviva.

E più in là ancora bastava avere un pezzo di terra o un lavoro in fabbrica per sentirsi realizzati.

Oggi, ovviamente, lo standard per il successo è diverso, ma non per questo più accurato di prima.

In sostanza la formula che ci viene comunemente venduta per ottenere il successo è:

“Scopri la tua destinazione il prima possibile – lavora sodo – non mollare – diventa più bravo degli altri”

Grazie a questa formula si dovrebbe riuscire a ottenere l’eccellenza che, a sua volta, dovrebbe portare al successo e al fine ultimo della nostra esistenza… la felicità.

L’obiettivo qui è fare quello che fanno gli altri, meglio degli altri.

Però ci sono alcuni problemi.

In primis, non può esistere una formula standard che valga per tutti perché ognuno di noi è diverso.

In secondo luogo, non è detto che diventare i migliori, o raggiungere alti livelli di eccellenza, porti a essere completamente appagati.

La differenza tra appagamento ed eccellenza

Ci basta guardare a tutte quelle persone che, pur avendocela fatta, odiano il loro lavoro, per capire che l’eccellenza non è garanzia di appagamento.

Quest’ultimo non è incluso nella generale concezione di successo.

Si tende a credere che un direttore di banca abbia più successo di un tappezziere, senza considerare che, per alcuni, foderare divani potrebbe rendere molto più felici che stare seduti in un ufficio tutto il giorno.

Tra i vari parametri per misurare la qualità delle nostre scelte di vita, l’appagamento è dunque quello più significativo e affidabile.

Se quello che facciamo non ci rende appagati potrebbe esserci qualcosa che non abbiamo capito di noi stessi, qualcosa che possibilmente abbiamo ignorato strada facendo.

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Il mito del talento innato

Uno degli errori più grandi che abbia fatto nella vita è stato quello di smettere di fare alcune attività che mi davano piacere perché non mi sentivo all’altezza dei grandi.

Ho creduto, erroneamente, al mito del talento innato e non mi sono dato il permesso di testare delle abilità solo perché credevo di non aver iniziato in tempo.

Del resto, come si può pensare di iniziare musica a trent’anni quando Mozart scriveva sinfonie a 8?

Lo stesso vale per la finanza se si considera che Warren Buffet comprava azioni a 11 anni.

E per il golf quando consideri che Tiger Woods vinceva tornei di golf a 6 anni.

Esempi del genere sono spesso considerati come la prova che il talento vero si manifesti all’inizio della vita per una manciata di prescelti.

Se entro vent’anni non hai ancora vinto nessun premio o impressionato nessuno con le tue naturali abilità, probabilmente non farai parte di loro.

E questa è la grande bugia del nostro tempo: la convinzione che ci siano persone fortunate e persone sfortunate.

A causa di questa convinzione milioni di persone ogni giorno scendono a compromessi perché credono di non essere abbastanza bravi, abili o intelligenti da ottenere ciò che li renderebbe felici.

3 persone che hanno trovato la loro strada e raggiunto il successo dopo i vent’anni

Quando si pensa al successo vengono a mente storie di persone eccezionali che sono passate dalle stalle alle stelle.

Si pensa a personaggi del calibro di Richard Branson, Steve Jobs o Mark Zuckerberg.

Eppure ci sono tantissime altre persone che, pur non avendo ottenuto lo stesso livello di ricchezza e notorietà, sono comunque riuscite ad affermarsi senza rispettare le tempistiche e gli step convenzionali.

Ecco tre esempi.

1. Jennie McCormick

Jennie McCormick è la prima astronoma amatoriale a scoprire un pianeta dal 1781.

Nata a Auckland, nella Nuova Zelanda, ha scoperto la sua passione per le stelle soltanto intorno ai 25 anni quando un parente le mise in mano dei binocoli e le chiese di guardare in alto verso la Via Lattea.

Da quel giorno si dedicò anima e corpo allo studio dell’astronomia e, senza conseguire una laurea, pubblicò diversi articoli su riviste accademiche prestigiose, scoprì un pianeta e un asteroide.

2. Alan Rouleau

Uno dei più grandi sarti di alta moda degli Stati Uniti.

Alan Rouleau crea vestiti per celebrità, magnati della finanza e atleti professionisti; ha ricevuto diversi premi nazionali e viene menzionato come un’autorità dalle principali riviste del settore.

E ha cominciato solamente nei suoi trent’anni anni, dopo aver passato più di un decennio a fare i lavori più disparati, dal barman all’agente immobiliare.

3. Ingrid Carozzi

Ingrid Carozzi lavorava in una compagnia di relazioni pubbliche ed era completamente insoddisfatta della sua vita prima di scoprire, anche lei nei suoi trent’anni, la sua passione per le composizioni floreali.

Adesso è una delle artiste floreali più acclamate di New York e fornisce le sue composizioni a matrimoni dell’alta società, alla sede di Burberry a Londra e alla corte reale di Svezia.

cosa fare nella vita
Ingrid Carozzi

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Come capire cosa fare nella vita: un metodo completo in 5 step

Dallo studio di persone come Ingrid sono emersi diversi aspetti che confermano che la formula convenzionale del successo non vale per tutti.

Se per alcuni rimanere costanti in un’attività può funzionare, altri potrebbero aver bisogno di iniziare e poi smettere diversi lavori, cimentarsi in diversi settori.

Quello che conta, quindi, non è tanto forzarsi di essere coerenti ma accettare e comprendere la propria individualità, partendo dalla scoperta delle motivazioni nascoste.

1. Conosci i tuoi micro-motivi

Nel trovare una strada da seguire si tende a orientarsi grazie ai grandi obiettivi e alle grandi motivazioni della vita come trovare casa, sposarsi o raggiungere una stabilità finanziaria.

Ma questi non dicono nulla su chi siamo e su quello che ci piacerebbe fare/essere.

Chiunque può dire di voler avere tanti soldi o trovare l’amore.

Ciò che ci rende unici sono invece i nostri micro-motivi, cioè quelle piccole attività improduttive che crediamo non avere valore ma che ci danno comunque immenso piacere.

Si potrebbe trattare di un interesse particolare o di un tratto particolare del nostro carattere.

Un micro-motivo è la sensazione di benessere che si prova nello stare all’aria aperta o l’ossessione di allineare gli oggetti.

Dietro quest’ultima potrebbe nascondersi un talento per l’odontoiatria e dietro l’amore per la natura una carriera come guardia forestale.

Ciò che ci potrà portare appagamento non deve essere per forza grandioso, eccentrico o affascinante.

I nostri micro-motivi possono portarci a fare un’attività completamente normale e ordinaria me che, nel tempo, ci può rendere perfettamente soddisfatti e appagati.

Consigli per scoprire le proprie motivazioni

Per trovare quali sono le tue micro-motivazioni chiediti quali sono le cose che ami fare di più.

Osserva la tua reazione quando ti trovi davanti persone che fanno determinati lavori e prova a capirne la radice.

Se davanti alla storia di un’artista floreale ti ritrovi a pensare “e cosa c’è di speciale? è pur sempre una fioraia” vuol dire forse che per te la notorietà e lo status sociale sono più importanti.

In altre parole, studia le tue reazioni ai lavori e alle vite degli altri, prestando attenzione a pensieri del tipo “quello/a potrei essere io!”.

Sta attento/a però a non farti condizionare dall’invidia o a cedere alla tentazione di fare paragoni ingiusti.

2. Conosci i tuoi valori

Alla base di tutto quello che facciamo c’è un valore.

Uno molto comune è il denaro, per esempio.

Molte persone considerano importante la stabilità finanziaria e impostano le loro scelte di vita sulla base di questo obiettivo finale.

Altre tengono alla famiglia e quindi sacrificano alcune opportunità lavorative per stare vicine ai loro cari.

Ecco qui una lista abbastanza esaustiva dei valori che possono guidare le nostre scelte.

Individua quelli a cui tieni particolarmente e poi chiediti se le tue scelte di vita siano in accordo con essi.

Se c’è una discrepanza, chiediti quale scelta concreta potrebbe allineare le tue circostanze ai tuoi valori.

  • Accoglienza
  • Accuratezza
  • Affidabilità
  • Amicizia
  • Amore
  • Apertura mentale
  • Avventura
  • Auto-accettazione
  • Auto-controllo
  • Auto-stima
  • Autorità
  • Autonomia
  • Avere un bel fisico
  • Bellezza
  • Cambiamento
  • Carriera
  • Comfort
  • Compassione
  • Competenza
  • Conformismo
  • Conessioni
  • Consapevolezza
  • Contribuire
  • Cooperazione
  • Cortesia
  • Creatività
  • Crescita
  • Cura per gli altri
  • Divertimento
  • Dovere
  • Eccellenza
  • Ecologia
  • Entusiasmo
  • Essere d’aiuto
  • Fama
  • Famiglia
  • Fede
  • Flessibilità
  • Generosità
  • Genuinità
  • Giustizia
  • Interdipendenza
  • Intimità
  • Lavoro
  • Lusso
  • Moderazione
  • Monogamia
  • Natura
  • Non-conformismo
  • Onestà
  • Ordine
  • Pace interiore
  • Passione
  • Piacere
  • Popolarità
  • Potere
  • Razionalità
  • Realismo
  • Responsabilità
  • Ricchezza
  • Rischio
  • Romanticismo
  • Salute
  • Semplicità
  • Servizio
  • Sessualità
  • Sfida
  • Sicurezza
  • Solitudine
  • Spiritualità
  • Speranza
  • Stabilità
  • Tolleranza
  • Tradizione
  • Tranquillità
  • Umiltà
  • Umorismo
  • Virtù

Nota: I valori non sono fissi e immutabili.

Man mano che cresciamo e impariamo a conoscerci meglio i nostri valori potrebbero cambiare con noi.

3. Conosci le tue scelte

Una volta capito quali sono i valori e le motivazioni arriva l’ora di capire quali scelte abbiamo.

Qui è essenziale non lasciarsi influenzare da quello che dicono gli altri in quanto la stessa scelta fatta da due persone diverse potrebbe portare a due risultati completamente opposti.

Considera inoltre che c’è una differenza sostanziale tra scegliere tra le opzioni disponibili e scegliere ciò che volgiamo.

Nel primo caso sarebbe un po’ come ordinare da un menù in pizzeria: le pizze disponibili sono solo quelle proposte.

Scegliere ciò che volgiamo vuol dire invece creare le opportunità anche quando non fanno parte delle circostanze o cambiare le circostanze per ottenere il risultato sperato.

Le scelte hanno dunque lo scopo di creare un ambiente che sia adeguato alla nostra personalità e ai nostri valori.

Se l’ambiente è quello giusto non importa se il nostro obiettivo finale sembra lontanissimo, riusciremo comunque a crescere e ad avere successo.

Se, al contrario, ci troviamo nel contesto sbagliato, difficilmente otterremo i risultati sperati.

Pensa per esempio a quante persone lavorano come assistenti o camerieri.

Non tutte avanzano di carriera e diventano manager o dirigenti, ma solo quelle che hanno reali motivazioni a lavorare in quell’ambiente e i cui valori sono congruenti con il tipo di lavoro.

4. Conosci le tue strategie

La cultura della standardizzazione ci dice che c’è un solo modo per affermarsi nella vita.

Invece, come abbiamo già accennato, ce ne sono diversi.

Ognuno di noi ha delle abilità e punti di forza, e saranno queste a dettare la nostra strategia d’azione.

Sarà essenziale, dunque, capire per cosa siamo portati, cosa ci riesce meglio di altri, quali inclinazioni naturali ci contraddistinguono.

Alquanto importante sarà anche ricordare che ogni difetto o punto di forza è altamente circostanziale:

  • una persona empatica non farà successo nell’esercito ma potrebbe diventare un’ottima infermiera;
  • uno molto alto farà meglio a fare pallacanestro che a lavorare in una miniera;
  • se una persona ha problemi a leggere un testo ma ha una grande memoria visiva potrebbe avere una predisposizione per l’arte.

Al mondo ci sono tante forme di intelligenza e non esiste una formula che valga per tutti.

Ognuno di noi può fare meglio o peggio in base al contesto in cui si trova.

Per trovare questo contesto la giusta strategia non sarà sempre scegliere una cosa sola a cui dare la completa dedizione ma provare diverse attività fino a quando non si trova quella che dà il maggior piacere.

In definitiva, la verità è che le tue inclinazioni naturali verrano scoperte grazie all’azione non all’introspezione.

Lettura consigliata: Diventa chi sei di Emilie Wapnick

Un libro anticonvenzionale che sfida il popolare credo della dedizione a un’unica passione. Grazie a Emilie Wapnick ho capito che così come siamo tutti diversi all’esterno anche all’interno di noi convivono diversi interessi e inclinazioni. Capire la moltitudine dentro è un modo di creare ordine e coerenza.

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5. Ignora la destinazione

Eccoci arrivati l’ultimo step, quello più controintuitivo: ignora la destinazione.

La formula convenzionale del successo ti dice di tenere fissa l’attenzione sulla meta, su dove vuoi arrivare.

Ci dicono che ci vuole X tempo per imparare un mestiere e che si devono seguire X step.

Questo è, un altra volta, parte della nostra irresistibile tendenza a voler imporre ordine e prevedibilità in un campo caratterizzato dalla scoperta continua.

Ignorare la destinazione non vuol dire ignorare un obiettivo.

Significa invece che il modo in cui crediamo le cose debbano andare potrebbe cambiare nel tempo.

La risposta che stiamo cercando potrebbe cambiare così come la nostra motivazione.

Il segreto è dunque concentrarsi sui valori, sulle motivazioni e sulle strategie, e sull’imparare il più possibile su sé stessi per trovare le circostanze più adeguate alla propria personalità.

Per fare un’analogia, questo metodo sarebbe un po’ come scalare una montagna sconosciuta.

Si arriva alla prima fermata, ci si guarda intorno, si tenta di capire quale sia la strada migliore, si prosegue nella scalata.

Se sorge un problema si torna indietro e si riparte.

Questo vuol dire, nelle parole più semplici in assoluto, capire cosa fare nella vita.

Leggi anche: Come cambiare la propria vita – e quando farlo

Un ultimo consiglio per chi non sa cosa fare nella vita

Non sapere cosa fare nella vita non è una condanna e neanche un segno di sconfitta o inettitudine.

Non tutti possono nascere specialisti in qualcosa.

Il mondo ha bisogno di persone con una singola vocazione tanto quanto ha bisogno di persone con una gamma di interessi più ampia.

Quindi, se anche tu sei una persona che fa fatica a inquadrare la propria strada il mio consiglio è… non perdere tempo a provare a essere qualcuno che non sei.

Asseconda le tue curiosità e presta attenzione alle tue motivazioni e ai tuoi valori.

Spero che con questo articolo sia riuscito a convincerti che è possibile trovare la propria strada in qualsiasi momento della vita.

E che spesso le svariate esperienze che facciamo prima servono semplicemente a darci la maturità e consapevolezza necessarie ad affrontarla al meglio.

cosa fare nella vita

Lettura consigliata: Ikigai: Il metodo giapponese. Trovare il senso della vita per essere felici

Un libro pieno di saggezza che può cambiare completamente il modo in cui vedi la ricerca del tuo posto nel mondo.

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2 commenti su “Come capire cosa fare nella vita ed essere più appagati”

  1. Grazie per questi spunti. Di decine e decine (solo perché centinaia suona esagerato), di contenuti che ho letto/ascoltato su questo tema, questo è quello che mi convince di più: equilibrato , genuino, realista. Capitata qui per caso, ti seguirò ancora. A presto

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Non esistono bambini che nascono cattivi, e ci sono quasi sempre dei motivi per cui alcuni diventano bulli a scuola.

In particolare, le ragioni più comunemente date per spiegare il fenomeno del bullismo sono 5.

1. Problemi a casa

Molto spesso i comportamenti aggressivi sono appresi dai genitori e avvengono con più frequenza in tutti quei casi in cui ci sono dei problemi in famiglia.

Alcuni ragazzi, per esempio, dirigono la loro rabbia verso gli altri quando vengono ignorati da mamma e papà o quando sono vittime di abuso fisico o emotivo.

Una situazione difficile a casa potrebbe anche portare un bambino a non ricevere affetto e, di conseguenza, a diventare indifferente alla sofferenza altrui.

Il contesto socio-familiare ha dunque un’influenza decisiva sul comportamento del bullo, così come l’esempio sbagliato di genitori impreparati o poco attenti.

Leggi anche: Perché si ha paura di crescere

2. Personalità

Nonostante alcuni bambini diventino bulli a scuola a causa di un processo educativo inadeguato, ci sono alcuni tratti caratteriali che molti di loro condividono.

Tra questi quelli più comuni sono:

  • l’aggressività,
  • l’impulsività,
  • il senso di superiorità,
  • la mancanza di empatia o abilità sociali.

Certo, non si sta dicendo che chiunque sia impulsivo o aggressivo per natura sia destinato a diventare un bullo.

Ma solo che questi tipi di persone hanno più probabilità di diventare bulli laddove la famiglia non fornisca loro un contesto sano e amorevole in cui crescere.

3. Stress

I ragazzi di oggi sono forse più stressati che mai.

Viviamo in una società che spesso pretende troppo dai bambini e che, a causa dei social media, ci porta quotidianamente a paragonare le nostre vite a quelle degli altri.

La frustrazione è spesso causata da:

  • aspettative eccessive e spesso disattese,
  • pressione di far bene a scuola,
  • mancanza di amici o una rete di supporto,
  • preoccupazioni sul proprio aspetto fisico.

Attaccando altri studenti, i bulli riescono a ottenere l’illusione del controllo e un artificiale senso di superiorità.

Lo stress che provano, non potendo essere compreso, trova sfogo verso l’esterno e va colpire chiunque non sia forte abbastanza da potersi difendere.

Leggi anche: Selfie: significato e impatto psicologico

4. Eccessiva sicurezza

Un tempo si tendeva a credere che la ragione sottostante al bullismo fosse sostanzialmente la carenza di autostima.

Recenti ricerche, però, confermano che molti bulli si sentono molto, forse troppo, sicuri di sé.

La ragione di ciò può risiedere in un’eccessiva indulgenza da parte di genitori che non riescono a dare loro regole e limiti, o che accontentano tutti i loro capricci.

I bambini che sono particolarmente viziati, allora, possono arrivare a bullizzare perché – semplicemente – li fa stare bene, o perché sono abituati a fare ciò che vogliono senza considerazione alcuna per nessun altro che loro stessi.

5. Insicurezza

Mentre alcuni bulli abusano i compagni perché troppo sicuri, altri lo fanno perché dentro si sentono profondamente insicuri e inadeguati.

Prendersela con i più deboli diventa per loro un modo per compensare un vuoto profondo, farsi belli davanti agli amici e guadagnare il loro rispetto.

Una ricerca fatta su un campione di studenti ha mostrato che, quando messi davanti l’ipotesi di un caso di bullismo, coloro che vengono considerati bulli reagiscono favorevolmente, pensando all’attenzione che riceverebbero dai compagni (fonte BBC Future).

Leggi anche: I 5 stadi per diventare razzista

Chi sono i bulli a scuola (e nella vita)

I bulli a scuola sono arrabbiati col mondo e a volte sono gelosi degli altri perché non sembrano avere gli stessi problemi di disistima e carenza di attenzione

Possono essere bambini o adulti, sfogare la loro rabbia in classe, a casa o su internet. 

Il bullo è il classico leone da tastiera che sputa veleno sui social perché non ha altro modo di sfogare la sua repressione.

È il bambino che spinge altri bambini a scuola e che li prende in giro su Facebook.

È il tifoso che prende a manganellate i fan della squadra avversaria.

Oppure il razzista che ce l’ha con gli emarginati e gli immigrati.

O, ancora, è il padre di famiglia che ignora i figli e abusa la moglie.

Il bullo pensa solo a sé stesso.

Visto che, inconsciamente, si sente privato di qualcosa, non si fa problemi a prendere più di quello che gli spetta. 

Nella sua mentalità è giusto prendere in giro, insultare o anche picchiare, perché tanto il dolore dell’altro non esiste e tutto ciò che conta è la ricerca della propria soddisfazione. 

Il bullo è figlio dell’ignoranza, dell’inconsapevolezza di quello che realmente serve a un essere umano per essere sano

Egli educa i figli nel modo in cui lui è stato educato.

Non accetta manifestazioni di debolezza e usa maniere forti per incutere timore e rispetto.

Il bullo può essere uno di quei ragazzi che a scuola sono particolarmente inquieti e aggressivi, come quei cani che diventano pericolosi perché hanno imparato a ringhiare anche a chi vorrebbe solo accarezzarli. 

Leggi anche: Come proteggere la fragile creatività dei bambini

Il dislivello di potere

Una caratteristica molto comune nei casi di bullismo, che siano essi a scuola o nella vita, è il dislivello di potere.

I bulli a scuola sono spesso ragazzi più popolari che se la prendono con quelli meno popolari.

Da grandi, i bulli prendono di mira i più deboli, coloro che sono incapaci di difendersi o di contrattaccare (come nei casi di razzismo sui social e nella vita reale).

La volontà di affermarsi sugli altri è una componente portante del fenomeno e, nel tempo, può trasformarsi anche nella ricerca di potere, status e superiorità.

La dottoressa Dorothy Espelage, esperta internazionale in bullismo, spiega per l’appunto che alcuni bulli tendono a scegliere professioni che alimentano il loro senso di importanza come il poliziotto, il professore universitario o l’avvocato.

I devastanti effetti del bullismo

Gli effetti del bullismo non sono soltanto devastanti per l’individuo ma anche per la società in generale.

Quando accade a scuola, l’abuso fisico o verbale può privare un adolescente dell’autostima, farla sentire “un mostro”, una persona “inutile”.

Quando accade nella società, si trasforma in un fenomeno di odio di massa verso determinate categorie o gruppi di persone e crea divisione sociale.

La cosa peggiore è che le vittime di bullismo, in qualsiasi forma, tendono a interiorizzare l’aggressività ricevuta dirigendola, a loro volta, verso sé stessi o gli altri.

Per questo molte vittime di discriminazione hanno problemi sociali e relazionali, tendenze suicide o violente.

E per questo bastano poche parole cattive a togliere la serenità o persino la gioia di vivere a chi è già fragile di suo.

Ragazzi bullizzati riportano spesso di vivere dei veri e propri “incubi”, di sentirsi in colpa per non essere accettati o per essere presi di mira dai compagni.

Il loro dolore finisce per monopolizzare le loro vite e coinvolgere genitori e familiari.

Cosa fare quando ci si trova davanti a dei bulli a scuola

Chiunque potrebbe diventare un bullo, a qualsiasi età e per qualsiasi ragione.

Perciò bisogna stare particolarmente attenti quando incontriamo qualcuno che mostra gli atteggiamenti tipici del bullismo.

Entrare in conflitto non serve a molto perché, più che portare armonia, potrebbe inasprire il rapporto e creare risentimento.

Al contrario, è necessario mostrarsi comprensivi e pazienti perché, se è vero che il bullismo nasce dalla mancanza di attenzione, ne consegue che può essere guarito grazie a un interesse sincero.

Ricordiamo sempre che un bambino bullo è pur sempre un bambino.

E che un adolescente bullo è pur sempre un adolescente.

Dietro le loro azioni problematiche ci sono spesso emozioni incomprese, ansie, invidie, gelosie e paure.

Soprattutto per i più piccoli si deve agire con cautela per oltrepassare le loro barriere protettive, e ciò si può fare solo se si rimane compassionevoli e calmi.

È importantissimo dare il buon esempio, mostrare cosa vuol dire rispettare il prossimo e, cosa essenziale, creare un ambiente accogliente, privo di giudizio.

Perché una volta che il bullo si sente realmente compreso e accettato per quello che è non avrà più motivo di affermare la sua identità denigrando e facendo del male.

Una volta che avrà imparato ad amare sé stesso, sarà capace di rispettare e amare anche gli altri.

Video: Bullismo: parlano le vittime – Nemo – Nessuno Escluso 27/04/2018

Libro consigliato: Fanno i bulli, ce l’hanno con me… Manuale di autodifesa positiva per gli alunni

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Fonti aggiuntive:

What causes your child to become a bully

5 reasons teens become bullies

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Che sia con qualcuno che abbiamo appena conosciuto o un amico di vecchia data, quando si hanno le giuste domande da fare si dà profondità e sostanza a qualsiasi conversazione.

Le domande servono, non solo perché mostrano interesse, ma ti mettono nella condizione di dover ascoltare e prestare attenzione all’altro più che a te stesso.

In più, certe domande possono aiutare a fare chiarezza interiore e a scoprire delle verità su sé stessi.

Perché è difficile conoscersi in solitudine.

Per imparare a fondo chi siamo abbiamo anche bisogno di rispecchiarci negli altri e di confrontarci con loro.

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Le domande sono l’anima di ogni conversazione vera

Cosa vuol dire secondo te avere una conversazione vera con un altro essere umano?

Per me conversare significa innanzitutto instaurare un dialogo interattivo dove si prova un sincero piacere nel chiedere quanto nel rispondere apertamente.

In sostanza, dunque, l’essenza di una buona conversazione sta nella capacità di entrambi di ascoltare.

Perché come dice G.D. Roberts in Shantaram:

“È molto difficile resistere a chi ti ascolta. Essere ascoltati – ascoltati sul serio – è la seconda cosa migliore al mondo”.

Leggi anche: Cos’è l’amore e quando si ama veramente

Perché è a volte difficile conversare

Non è sempre facile avere conversazioni di valore soprattutto quando non si sa cosa dire o… cosa chiedere.

Per esempio,

ti è mai capitato di conoscere una di quelle persone che sanno parlare solo di sé stesse e che non si rendono conto di stare annoiando o dando fastidio?

Beh, questi sono proprio i casi in cui la conversazione non decolla in quanto viene portata avanti da un solo interlocutore senza l’apporto dell’altro.

Sono quei casi in cui la mancanza di argomenti in comune, o la mancanza di interesse, comporta la mancanza di domande da fare.

E senza domande non c’è interazione, non si crea rapporto, non ci si conosce.

Le domande che tengono viva una conversazione nascono spontanee nei momenti giusti e con le persone giuste.

Nei casi contrari, ci sono diversi motivi per cui può risultare difficile parlare con qualcuno.

  • A volte si ha a che fare con gente che è semplicemente lontana anni luce dal nostro mondo.
  • Altre volte, come accennavamo, l’altra persona è troppo coinvolta in sé stessa, forse perché un po’ narcisista o semplicemente perché incapace di prestare attenzione.
  • Oppure (eventualità difficile da ammettere)  potremmo essere noi stessi a essere troppo auto-centrati e a non rendercene conto.

Le caratteristiche principali delle migliori domande

Per conoscere a fondo una persona si deve sviluppare un’attitudine ricettiva, una mentalità aperta e uno stato d’animo privo di pregiudizi, così da poter accettare quello che dice senza provare a imporre le proprie opinioni.

E non sono molte le persone che sanno farlo, cioè non sono molte le persone che sanno ascoltare.

Molti di più sono coloro che amano parlare di sé.

Per questo,

le domande migliori riescono a far parlare l’altra persona, sono quasi sempre aperte e la portano a riflettere qualche secondo prima di rispondere.

Nota: è meglio testare sempre lo stato d’animo del nostro interlocutore prima di fare domande personali e cercare di intuire fino a che punto sarà disposto a condividere certi aspetti privati della sua vita.

Se si tratta di un primo appuntamento è meglio (di norma) stare lontani da argomenti delicati (tipo soldi, sesso, politica, religione, malattie, morte).

Di contro, è molto più semplice chiedere quanto più possibile dei gusti e dei valori personali, stuzzicare l’immaginazione facendo domande sulla linea di “Cosa faresti se…”.

Queste ultime sono perfette per avere una panoramica della personalità e saranno tanto più efficaci quanto originali e pertinenti all’argomento in questione.

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre

30 domande da fare per approfondire la conoscenza in amicizia e in amore

  1. Ti piacerebbe essere famoso? Per che cosa?
  2. Ti capita mai di provare ansia prima di una telefonata o di un confronto? Perché?
  3. Com’è un giorno perfetto secondo te?
  4. Hai mai scritto un diario personale? Quali pensieri ti piace – o ti piacerebbe – mettere per iscritto?
  5. Se avessi la possibilità di vivere fino a 90 anni avendo o la mente o il corpo di un trentenne quale sceglieresti tra i due?
  6. Pensi mai alla tua morte? Hai un presentimento segreto sul modo in cui morirai?
  7. Chi è la persona che ti ha influenzato di più nella vita? E la persona di cui non riusciresti assolutamente a fare a meno?
  8. Se potessi cambiare qualcosa del modo in cui sei stato cresciuto, quale sarebbe?
  9. Per quali cose, persone o aspetti della tua vita provi più gratitudine?
domande da fare

Leggi anche: Amori romantici e cinema, quello che i film non ti dicono sull’amore

  1. Se avessi solo 10 minuti per raccontare la storia della tua vita, cosa diresti?
  2. Se potessi svegliarti domani avendo acquisito un superpotere, quale sarebbe e perché?
  3. C’è qualcosa che sogni di fare da tanto tempo? Perché non l’hai ancora fatto?
  4. Quale credi sia il traguardo più importante che hai raggiunto nella tua vita o il tuo più grande risultato?
  5. Quali sono le cose che per te contano di più in un rapporto di amicizia? E in una relazione amorosa?
  6. Qual è il tuo ricordo più caro? E quello peggiore?
  7. C’è qualcosa che cambieresti del tuo aspetto fisico? Cosa?
  8. Se avessi la certezza che entro un anno morirai, cosa cambieresti del modo in cui stai vivendo la tua vita? Perché?
  9. Che cosa significa per te avere fiducia in se stessi e negli altri?
  10. Credi nel destino o credi di essere responsabile per quello che ti accade?
domande da fare

Leggi anche: Come piacere alle donne, 7 aspetti essenziali da considerare

  1. Che ruolo hanno nella tua vita l’amore e l’affetto?
  2. Qual’è il tuo più grande rimpianto?
  3. Hai un rapporto stretto con la tua famiglia? Pensi che la tua infanzia sia stata felice?
  4. Ti paragoni mai agli altri? Se sì in quali circostanze e su quale piano? Arrivi mai a provare invidia?
  5. Per cosa ti piacerebbe essere ricordato/a dopo che non ci sari più?
  6. Qual è l’episodio più imbarazzante della tua vita?
  7. Quando è stata l’ultima volta che hai pianto di fronte a un’altra persona? E da solo/a?
  8. Qual è – se esiste – l’argomento su cui non si può scherzare per te?
  9. Se stasera morissi senza poter più comunicare con nessuno, qual è la cosa che rimpiangeresti di non aver detto a qualcuno? Perché non gliel’hai ancora detta?
  10. La tua casa prende fuoco e dentro c’è tutto quello che possiedi. Dopo aver salvato le persone che ami e gli animali, hai il tempo per fare un’ultima corsa dentro e portare via un solo oggetto. Quale sarebbe? Perché?
  11. Se potessi vedere in una sfera di cristallo la verità su te stesso/a, la tua vita o il tuo futuro che cosa vorresti sapere?

Leggi anche: Insicurezze in amore, perché superarle salva la relazione

3 libri per migliorare l’arte del dialogo

1. Parlare agli sconosciuti – Roberto Morelli

Grazie a questo libro noterai come in realtà sia facile creare nuovi rapporti, stringere amicizie ed essere più aperti, anche se ora ti consideri un introverso.

Questo manuale di comunicazione ti fornirà passo dopo passo le informazioni più importanti di cui hai bisogno per migliorare le tue abilità sociali e comunicative. 

Imparerai come ci si deve comportare in determinate situazioni e come rispondere a determinate domande nel migliore dei modi, per lasciare sempre un’ottima impressione a chiunque. 

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2. Fare Conversazione – Aston Sanderson

Se vi siete mai sentiti a disagio incontrando nuove persone, se vi preoccupate per l’ansia sociale, se non sapete come parlare alle persone o rendervi interessanti, questa breve guida alla conversazione vi trasformerà in qualcuno con cui la gente amerà parlare.

Il libro è semplice e breve, presenta strategie consolidate, e vi permetterà di migliorare immediatamente la vostra abilità nel fare conversazione.

Prezzo Kindle €5,49

3. L’arte di fare domande – David Cardano

Come formulare domande efficaci per ottenere risposte soddisfacenti.

Come formulare domande ben strutturate per ottenere risposte aperte o chiuse a seconda del nostro scopo.

Come impostare al meglio una comunicazione selezionando accuratamente le domande da porre: domande neutre, orientate e di riformulazione: cosa sono e come si differenziano.

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1 commento su “30 Domande da fare per conoscere meglio una persona”

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La paura di crescere è un fenomeno diffuso sopratutto in Italia dove il 62% della popolazione tra i 18 e i 35 anni vive ancora a casa con i genitori.

La ragione che viene spesso data è la precarietà del lavoro insieme alle basse retribuzioni.

Ma se ci fosse qualcos’altro?

Sarà sicuramente vero che nel nostro paese i giovani non vengono agevolati nel trovare un lavoro e un alloggio che possono permettersi.

Eppure le difficoltà economiche non giustificano per intero il motivo per cui siamo uno tra i popoli più mammoni d’Europa.

Proviamo allora a guardare la situazione da una prospettiva più ampia.

Paura di crescere e “modelli” di mondo

Ognuno di noi ha un modo preciso di vedere il mondo, una rappresentazione mentale della realtà.

In altre parole, abbiamo una mappa in testa, una mappa che serve a capire dove possiamo andare, che ci dice quali sono le nostre opzioni nella vita.

Secondo la mia mappa mentale il mondo potrebbe essere un posto pieno di opportunità e io potrei sentirmi perfettamente in grado di sfruttarle tutte.

Secondo la tua mappa mentale, il mondo potrebbe essere un posto ostile e potresti sentirti in pericolo ogni volta che ti ritrovi da solo ad affrontarlo.

In entrambi i casi la nostra mappa, il nostro modello mentale, non sarebbe la perfetta rappresentazione del mondo reale, ma solo un’idea dello stesso.

Così come la mappa non coincide con il territorio, il modello che abbiamo del mondo non coincide interamente con il mondo.

Quello che questa metafora ci permette di capire è che la paura di crescere è spesso legata a una rappresentazione distorta della realtà che i giovani hanno.

Molti di loro sono convinti di non avere le capacità adatte a diventare padri, a mantenere un lavoro o a comprare casa.

Altri temono che se escono di casa finiranno per strada.

Altri ancora non riescono nemmeno a immaginarsi nella veste di persona adulta e responsabile.

Se potessimo ridurre l’intero modello di mondo in una sola frase, per coloro che riescono ad andare via di casa senza troppi problemi questa frase sarebbe:

Io sono capace di fare quello che voglio e ovunque io vada potrò trovare ciò che mi serve per costruire una vita soddisfacente.

Per chi non riesce a emanciparsi, invece, la frase che più riassumerebbe il loro modello di mondo sarebbe:

Senza i miei genitori accanto non posso andare lontano, diventare grandi è troppo difficile e io non ho ancora le capacità adatte a essere una persona indipendente.

Il ruolo dei genitori

Una delle componenti fondamentali nel maturare una visione del mondo positiva è sicuramente l’educazione dei genitori.

Quando una madre o un padre sono troppo protettivi non permettono al bambino di imparare a contare su se stesso perché il loro atteggiamento invia un messaggio preciso:

Non sei in grado di cavartela da solo quindi hai bisogno di protezione.

Nel caso opposto, dei genitori che non sono molto presenti potrebbero portare i figli a credere di non valere molto cosicché il risultato finale sarà lo stesso:

Non merito l’affetto dei miei genitori perché non valgo, e se non valgo non sarò capace di cavarmela da solo nella vita.

A livello psicologico questi non sarebbero pensieri espliciti, bensì delle convinzioni profonde e limitanti che andrebbero a influenzare ogni scelta di vita.

Ciò che conta al momento è capire che la paura di crescere ha una sua origine nell’esperienza socio-familiare e che nella maggior parte dei casi non facilita la felicità ma la compromette.

Leggi anche: Qual’è il senso della vita, l’illuminante risposta di Alfred Adler

Quando non si riesce a crescere a 30 anni

Certo, la paura di diventare grandi può anche aver senso quando si è piccoli.

Da bambini abbiamo bisogno di sentirci protetti dai genitori e la loro mera presenza basta a renderci felici.

Da grandi il discorso cambia.

Se si continua ad avere paura di crescere a 30 anni, o a 40, può voler dire che qualcosa non si è sbloccato, che non abbiamo ancora ottenuto ciò di cui avevamo bisogno e che per questo non abbiamo potuto sviluppare il senso di indipendenza.

Quando ciò accade, il nostro modello di mondo ne risulterà modificato, distorto, in quanto, in qualche modo, dovremo giustificare a noi stessi il motivo per cui non siamo capaci di crescere.

Le distorsioni mentali che ci proteggono dalla paura di diventare grandi

Le distorsioni mentali che ci proteggono dalla paura di crescere sono di 3 tipi:

  • generalizzazione;
  • cancellazione;
  • deformazione.

Per capire come funziona la generalizzazione prendiamo una frase che molti ragazzi dicono: non c’è nulla che posso fare.

“Nulla” o “niente” o “nessuno” sono dei termini molto generici ed estremi.

Sono parole che non danno nessuna possibilità di reazione, che tolgono la voglia di agire e di rischiare.

Coloro che hanno paura di crescere a 30 anni sono spesso vittime di una distorsione mentale in quanto diminuiscono nella loro mente la loro vera potenza e il loro vero potenziale.

In teoria non c’è nulla a impedire a un individuo sano di auto-mantenersi.

Nella pratica ciò non accade quando non si ha piena consapevolezza delle proprie abilità.

Abbiamo già visto come con la generalizzazione si può creare una versione della realtà che sia in bianco e nero.

Con la cancellazione invece si eliminano dalla propria consapevolezza le “prove” delle proprie vere capacità.

C’è per esempio chi “sceglie” di concentrarsi su quello che non sa o che non può fare, chi nota soltanto i propri limiti e non nota le possibilità che sono là fuori.

O c’è chi, nel caso della deformazione, cambia il significato di un evento positivo scegliendo di vederlo come negativo per continuare a confermare a sé stesso di non poter ancora crescere.

L’obiettivo di crescere vs l’obiettivo di rimanere bambini

Possiamo anche studiare e scoprire tutti i fattori socio-economici che impediscono a quel 62% di ragazzi e ragazze italiani di crescere, ma alla fine della giornata ciò che fa la differenza è la loro voglia di farlo.

A causa dei loro modelli di mondo e delle loro distorsioni mentali, i “mammoni” d’Italia hanno scelto la cosa più logica per loro, quella di rimanere a casa.

D’altro canto, i “non-mammoni” hanno scelto diversamente perché avevano un diverso modello di mondo, diverse opportunità economiche e una diversa concezione delle loro capacità.

Sia nel primo che nel secondo caso, c’è sempre una scelta, inconsapevole o pensata, che influenzerà tutte le loro azioni e tutte le loro decisioni future.

Quando ho deciso di non crescere

Uso me stesso come esempio.

Anch’io ho deciso di non crescere una volta.

Non è stata una decisione esplicita e nemmeno consapevole.

A un certo punto della mia vita, quando avevo 19 anni, ho constatato che non avevo nessuna intenzione di diventare grande, perché nel mio modello di mondo “diventare grande” voleva dire perdere l’amore dei miei genitori.

Così, nel decennio dei miei vent’anni, per quanto dicessi a me stesso di voler trovare casa e lavoro, non facevo nulla di concreto per realizzarlo, ma piuttosto sabotavo inconsapevolmente ogni concreta opportunità di crescita.

Ciò volle dire niente lavori seri e niente relazioni serie in quanto entrambi mi avrebbero portato all’emancipazione e a perdere l’appoggio (la protezione) dei miei genitori.

Il modo in cui l’ho fatto è coerente con quanto detto prima sulle distorsioni:

  • generalizzavo la mia visione del mondo arrivando a credere che non ci fosse nessuno disposto a darmi un lavoro stabile;
  • cancellavo dalla mia mente tutto ciò che provava che ero perfettamente capace di avere una vita da adulto;
  • deformavo il significato di eventi che rendevano evidente la mia maturità alimentando così l’idea di essere debole e bisognoso di supporto.
paura di crescere

Leggi anche: 6 abilità essenziali al lavoro del futuro

Quando si cambia, quando si riesce, finalmente, a crescere

In alcuni paesi, i ragazzi escono di casa a 18 anni, mentre in altri paesi sono ancora con i genitori a 40.

Nel mondo naturale ci sono animali che imparano a camminare da soli subito dopo la nascita e altri che devono rimanere sotto la protezione della madre per qualche mese.

La differenza trai il mondo degli umani e quello degli animali è che, in quest’ultimo, l’istinto porta i cuccioli ad andarsene quando arriva il momento giusto.

Mentre per noi questo momento può essere dilazionato dalla paura.

Perché questo importantissimo passaggio avvenga finalmente devono esserci alcuni fattori motivanti.

Le motivazioni

In primis, la volontà.

Nessuno ti obbligherà mai a crescere se non sei la prima a volerlo.

Al tempo stesso non lo vorrai mai se non credi di avere ciò che serve.

Dunque oltre alla volontà di farlo si cresce quando ci si vede più forti e cresciuti di prima.

Qui è dove le distorsioni mentali hanno il loro effetto più distruttivo perché possono portarci ad avere una visione molto limitata di quello che possiamo fare.

Coloro che non credono di saper fare nulla avranno difficoltà a trovare la voglia di crescere.

Fortunatamente, però, arriva un punto nella loro vita in cui entra in gioco un fattore essenziale alla crescita: il senso d’urgenza.

Più passa il tempo, infatti, e più ci si rende conto che il pensare poco di sé stessi è altamente pericoloso.

Un’idea povera del mondo e delle proprie abilità conduce a vivere una vita insoddisfacente.

Porta a non inseguire i propri sogni e ad accontentarsi di poco o nulla pur di non correre il rischio di fallire.

Grazie al senso d’urgenza si dà più importanza al tempo e si evita di sprecarlo in attività che non rendono felici.

Vivere appieno la vita, rimanendo bambini dentro

Ci sono diversi modi di vedere i bambini e diversi modi di rimanere bambini dentro.

Certo, i bambini sono coloro che non sanno prendersi cura di sé stessi ma sono anche coloro che sanno correre rischi e sognare.

I bambini sanno creare, i bambini sanno giocare.

E il gioco, il rischio, la creatività e la capacità di sognare sono essenziali per vivere appieno la vita.

La paura tende a far spegnere la vita perché vuole la sicurezza e vuole la serietà.

Mentre per realizzare i sogni si devono fare cose che spaventano, cose che ci portano a cambiare il nostro modello di mondo per renderlo più aperto e positivo.

Le scelte basate sulla paura si rivelano sempre sbagliate nel tempo e le nostre paure smettono di avere appiglio quando ci si rende conto di non avere più tempo a disposizione.

Io alla fine ho abbandonato l’idea di non poter crescere perché ho capito che se avessi continuato a vedermi piccolo alla fine avrei perso tutto, inclusi i miei genitori.

Allo stesso modo, tutti i trentenni che vivono ancora una forte dipendenza dai genitori hanno una scelta da fare:

lasciare che mamma e papà continuino a proteggerli o provare a correre qualche rischio da soli, sperimentare uno stile di vita senza rete di sicurezza.

Non c’è nulla di più entusiasmante della constatazione di stare iniziando a vivere sulle proprie gambe, di essere diventati capaci di fare, di essere responsabili dei propri successi e fallimenti.

In questo passaggio dall’infanzia all’età adulta si nasconde forse uno dei capisaldi della vita su questo pianeta, una sensazione terrificante ma che fa sentire estremamente vivi.

Perché non si può vivere se non si cambia, e tutto ciò che è vivo al mondo deve cambiare, si deve trasformare, deve crescere… anche se ha paura.

Video: E tu hai paura di crescere?

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Se lo chiediamo in giro non avremo problemi a sentir dire che lo scopo della vita è essere felici, ma quante persone possono affermare di sapere con esattezza cos’è la felicità?

Un tempo pensavo che la felicità fosse fare esperienze uniche come vivere in un albergo a 5 stelle.

Poi un giorno mi ritrovai in una stanza super lussuosa nel 32esimo piano di un palazzo di vetro di Guangzhou e mi resi conto che non ero affatto felice.

Tra le mani avevo un libro, L’arte della felicità, in cui sua Santità il Dalai Lama parlava proprio del fatto che l’abbondanza materiale non aiuta a vivere felici se non si ha la giusta attitudine mentale.

E in quel momento capii perfettamente cosa volesse dire.

Come milioni di persone nel mondo moderno avevo agito nella convinzione che la felicità fosse una cosa, mentre in realtà era un’altra, almeno per me.

Non avevo la piena consapevolezza di cosa fosse, ma sapevo che non la potevo trovare nella fama, nel lusso o tra i cento “mi piace” di un post su Facebook.

Capii che la felicità richiede un lavoro interno, un percorso di apprendimento.

Così continuai a leggere le parole del Dalai Lama, e quello che imparai cambiò completamente il mio modo di prendere decisioni, di inseguire l’obiettivo di una vita felice.

Chi è il Dalai Lama e cos’è per lui la vera felicità

Il Dalai Lama (Tenzin Gyatso) è la massima autorità buddista tibetana, la guida spirituale del popolo del Tibet che negli ultimi decenni (a causa del suo esilio) è diventato una figura importante anche per noi occidentali.

Il motivo per cui i suoi insegnamenti hanno un appiglio così universale è la chiarezza con cui descrive la sua ricetta per una vita sana e felice.

La felicità è spesso, e per il modo in cui viviamo, qualcosa di irraggiungibile e sfuggevole.

Tendiamo a pensare che ci siano tanti, forse troppi, elementi che la compongono, e che se non si verificano le giuste condizioni esterne non sarà possibile essere felici.

La natura mentale della felicità

Per il Dalai Lama il significato di felicità è diverso, e in parte prescinde da quello che abbiamo e da quello che ci manca.

Certo, esistono degli elementi chiave che facilitano la gioia di vivere, come la salute, la ricchezza e gli amici, ma non bastano questi da soli a capire cos’è la felicità o a rendere una persona felice.

A fare la differenza è l’atteggiamento mentale.

In altre parole, la vera felicità è stabile e durevole. È quella cosa che resta nonostante gli alti e i bassi della vita e le normali oscillazioni dell’umore.

La vera felicità parte da dentro; è ciò che ti permettere di apprezzare quello che hai e di non soffrire per quello che non hai.

È un rapporto pacifico con il mondo e con sé stessi, uno stato di appagamento e apertura verso gli altri, un sentimento di fiducia e di calma.

Comprendere la felicità e l’infelicità con gli stati mentali

In pieno accordo con gli insegnamenti della filosofia buddista, il Dalai Lama spiega che, come tutto il resto, la felicità e la sofferenza hanno sempre una causa.

Se desideriamo la felicità, dice, dovremo vedere quali cause la producono e, se non desideriamo la sofferenza, dovremo assicurarci che le cause e le condizioni da cui si origina non insorgano più.

Vediamo dunque alcuni esempi di stati mentali che creano sofferenza e di altri che creano felicità.

I desideri e la ricerca del piacere

La sofferenza e l’infelicità possono essere causate da diversi fattori e tra questi ci sono i desideri non appagati.

Quando si parla di desideri Tenzin Gyatso distingue tra due tipi: desideri positivi e desideri negativi.

Tra quelli positivi ci sono il desiderio di essere felici, di avere rapporti sani e di essere d’aiuto agli altri.

Sono considerati invece negativi tutti quei desideri che sono irrealistici o che possono arrecare danno a noi o agli altri.

Il desiderio di ricchezza alimentato dall’avidità, per esempio, conduce a uno stato di perenne insoddisfazione.

Lo stesso vale per la ricerca spasmodica del piacere attraverso il gioco, l’alcol o la droga.

Il rapporto negativo con gli altri

Nel rapporto con gli altri si possono provare diversi stati negativi come l’ostilità, la rabbia, l’odio o l’invidia.

Questi sono stati mentali altamente nocivi per la nostra felicità e che alimentano la sofferenza.

Sono spesso causati da un rapporto poco salutare con sé stessi e da una mancanza di amore interiore.

Ci portano a paragonarci agli altri e a essere infelici per i loro successi.

Ci impediscono di apprezzare quello che abbiamo e a comprendere cosa ci rende felici.

La sofferenza

Per il buddismo, lo scopo della vita è superare lo stato di sofferenza.

Il problema è che molti di noi fanno l’esatto opposto, creando, invece di risolvere, il proprio malessere.

Per sofferenza auto-indotta si intende quella sofferenza non necessaria, che nasce a causa di una eccessiva sensibilità.

Quanti di noi, infatti, ingrandiscono l’importanza di determinati eventi creando stati mentali di stress e angoscia?

E quanti, poi, si convincono di essere i soli a provare determinate sensazioni negative esasperando così la loro infelicità?

A riguardo, Jacques Lusseyran affermò che l’infelicità colpisce ciascuno di noi perché ci riteniamo al centro del mondo, perché siamo convinti di essere i soli a soffrire in maniera intollerabile.

Con questo non si vogliono sminuire le circostanze che fanno stare male alcuni.

Piuttosto, si vuole marcare una linea di separazione tra la sofferenza giustificata e quella che è il risultato di una tendenza al vittimismo o all’autolesionismo.

Perché soffrire di tanto in tanto è normale e la sofferenza stessa è una parte integrante della vita su questa terra.

Quello che però la rende insopportabile è la convinzione che debba essere estirpata o evitata a tutti costi.

Gli stati mentali positivi: la compassione e gratitudine

Il Dalai Lama afferma che l’unico modo di contrastare gli stati mentali negativi che distruggono la felicità è quello di sviluppare degli stati mentali positivi.

E tra questi hanno particolare importanza la compassione e la gratitudine.

  1. La compassione serve ad annullare l’effetto nocivo della rabbia e dell’odio verso gli altri; aiuta a rendersi conto che tutti gli esseri umani sono come noi e che la natura dell’uomo è intrinsecamente buona.
  2. La gratitudine, invece, aiuta a contrastare gli effetti negativi dei desideri irrealistici, porta ad apprezzare quello che si ha, ad essere più appagati.

Senza compassione il mondo può diventare un posto estremamente spiacevole, pieno esseri estranei e potenzialmente pericolosi.

E se non si sa provare gratitudine si diventa vittime del desiderio incontrollato che produce delusione e sofferenza continue.

Sviluppare questi stati mentali positivi fa parte del cammino verso la felicità e di quello che il Dalai Lama chiama l’addestramento mentale.

cos'è la felicità

Leggi anche: Cosa fare per essere felici? avere poche aspettative

Addestrare la mente alla felicità

Se l’aspetto cruciale della felicità è la nostra attitudine mentale vuol dire che cambiando la nostra mente è possiamo essere più felici.

Ma come si fa?

Secondo il Dalai Lama ci sono 5 step che favoriscono il cambiamento in positivo, ma prima di vedere quali sono dobbiamo introdurre due concetti: la duttilità della mente è l’importanza di cambiare ottica.

La duttilità della mente

La nostra infelicità è spesso il risultato di abitudini di pensiero.

Non è completamente vero che siamo il risultato dei nostri geni e che la personalità è immutabile.

Diverse ricerche hanno ormai appurato che il nostro cervello è duttile, che può essere modificato.

Esso è dotato di plasticità, che è la capacità di cambiare e riconfigurare le connessioni in base a nuovi pensieri ed esperienze.

Questa straordinaria caratteristica dell’encefalo rappresenta forse la base fisiologica che ci permette di modificare la mente.

Agendo sui pensieri e adottando nuove ottiche possiamo influire sulle vie neurali e correggere il modus operandi del cervello.

Il cambio d’ottica

Il cambio d’ottica è particolarmente utile per limitare l’effetto di stati mentali negativi.

Il Dalai Lama illustra alla perfezione come si fa quando parla della sua attuale condizione di esiliato.

Alcuni di voi sapranno che il Tibet è stato occupato dal governo cinese e che Tenzin Gyatso non può rientrare in patria.

Una situazione del genere potrebbe essere vista facilmente come una situazione negativa e suscitare odio e risentimento.

Da una certa ottica, lui stesso dice, questo fatto è senza dubbio tragico.

Ma se si considerano gli stessi avvenimenti da un altra angolazione ci si rende conto che, come profugo, egli ha alcuni vantaggi, come la possibilità di vivere senza formalità o l’opportunità di conoscere gente.

Cambiando modo di vedere certe situazioni si sgombra la mente dalle emozioni negative e si è liberi di concentrarsi sul cammino verso una vita più felice.

Leggi anche: Cos’è la libertà? Ed è possibile essere liberi?

I 5 step del cambiamento

Eccoci dunque al punto centrale dell’addestramento alla felicità, i 5 step del cambiamento:

  1. Apprendimento
  2. Convinzione
  3. Determinazione
  4. Azione
  5. Sforzo

Per apprendimento si intende l‘educazione alla felicità, ovvero la comprensione di quei fattori che ci aiutano a essere felici e di quelli che ce lo impediscono.

Una volta sviluppata tale consapevolezza serve altro.

Così come non basta sapere che il fumo provoca danni alla salute, non basta sapere che l’invidia o il rimorso provocano danni alla felicità mentale.

Al sapere va aggiunta anche la convinzione di voler cambiare il proprio modo di pensare.

Per sapere se si è convinti o no bisogna rispondere sinceramente a una semplice domanda: voglio essere felice?

Oppure, voglio che le mie azioni conducano alla felicità?

Se la risposta è positiva si passa a valutare la propria determinazione con le domande del tipo: quanto voglio essere felice? E cosa sono disposto a fare per raggiungere questo obiettivo?

Se abbiamo la convinzione e la determinazione possiamo passare all’azione, grazie alla quale si sviluppano gli stati mentali positivi di cui si parlava prima, la compassione e la gratitudine.

Ma, siccome non è facile agire una volta per creare uno stato di felicità stabile e durevole, serve un ultimo step, lo sforzo.

Grazie allo sforzo si può evitare di lasciarsi sopraffare dalle vecchie abitudini e dai vecchi stati mentali negativi.

Tornando alla metafora del fumatore, sarebbe come resistere all’urgenza di fumare trovando la forza di dire “no” a un’azione che (pur arrecando piacere immediato) ci arreca danni seri nel lungo termine.

Le emozioni negative che ci rendono infelici sono come delle vere proprie droghe.

Siamo spesso completamente assuefatti a esse e non ci accorgiamo nemmeno quando siamo sotto il loro effetto.

Proviamo invidia e rabbia, biasimiamo gli altri e li disprezziamo in modo del tutto naturale, non rendendoci conto che così facendo creiamo noi stessi la nostra infelicità.

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Il senso d’urgenza

Personalmente, credo che capire la reale conseguenza di questi stati d’animo sul benessere mentale e la salute fisica non sia molto facile.

Basta accendere la TV per essere esposti a indignazione, urla, liti e conflitti continui.

L’odio e il rancore più che essere visti come sentimenti pericolosi vengono messi in mostra negli studi televisivi come una parte normale delle nostre relazioni.

Per questo a volte viene a mancare un sesto elemento essenziale al cambiamento, che rende più pregnante il bisogno di re-inventarsi: il senso d’urgenza.

L’urgenza aiuta a dare efficacia ai nostri sforzi, ci dà una seria motivazione a cambiare le cose in meglio.

Quando ci sono pericoli imminenti gli esseri umani di solito tirano fuori il meglio di loro.

Pensa alle stragi naturali, ai terremoti e alle inondazioni, a come in questi casi la gente ritrova il coraggio e la voglia di aiutare.

Allo stesso modo, se pensiamo al fatto che il nostro tempo su questo pianeta è limitato, potremmo ritrovare l’urgenza di vivere al meglio ogni singolo giorno.

Se consideriamo che questo potrebbe essere l’ultimo giorno o l’ultimo anno di vita, sarà più semplice trovare la voglia di apprendere cos’è la felicità, nonché la determinazione di cambiare e di vivere meglio.

Il mio rapporto con la felicità

Dopo aver letto il libro del Dalai Lama la tematica della felicità ha iniziato ad appassionarmi molto.

E lo ammetto, se lo ha fatto è perché non sono mai stato una di quelle persone che riescono a essere felici con naturalezza.

Tuttora tendo a trovare motivi per non essere contento e me la prendo spesso con me stesso per quello che non sono ancora diventato.

Ma se non fossi così determinato a imparare a essere felice starei molto peggio.

Grazie ai 5 step del Dalai Lama sono stato in grado di intraprendere un cambiamento radicale e sono adesso capace di contenere l’impatto di certi stati emotivi negativi come il rimorso o il senso di colpa.

E consiglio a chiunque di fare lo stesso, di capire il più possibile cosa sia la felicità e di impegnarsi per creare le circostanze che la rendono meno irraggiungibile.

Le più belle frasi del Dalai Lama sula felicità e sulla vita

Dal libro L’arte della Felicità del Dalai Lama con Howard Cutler.

Tuttavia io resto profondamente convinto che la natura umana sia in buona sostanza compassionevole e mite, che questa sia la sua caratteristica predominante.

Finché considereremo la sofferenza qualcosa di innaturale, una condizione da temere, non elimineremo mai le sue cause e non riusciremo mai a vivere una vita felice.

Credo che il giusto impiego del tempo sia, ove possibile, nel servire gli altri, gli altri esseri senzienti. Ove non sia possibile, bisogna almeno evitare di far loro del male.

Più sofisticato sarà il livello di educazione e conoscenza in merito a ciò che produce la felicità e a ciò che produce la sofferenza, più capaci saremo di raggiungere la felicità.

Io considero sana una persona compassionevole, dotata di buon cuore e di calore interiore.

Il vero antidoto all’avidità è l’appagamento. Se abbiamo un forte senso di appagamento, non ci importa di ottenere o no l’oggetto; in un modo o nell’altro, siamo ugualmente soddisfatti.

Cambiando il modo in cui ci percepiamo possiamo influire in maniera molto concreta sulla nostra interazione con gli altri sulla nostra gestione della vita quotidiana.

Se esaminiamo qualsiasi situazione con cura, sincerità e mancanza di pregiudizi, arriviamo a capire che anche noi siamo, in larga misura, responsabili del dispiegarsi degli eventi

Qualunque comportamento cerchiamo di modificare, qualunque azione o obiettivo sia oggetto dei nostri sforzi, dovremo maturare innanzitutto la forte disposizione, il forte desiderio di cambiare.

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Video: L’arte della felicità del Dalai Lama

2 commenti su “Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama”

  1. Un articolo ben fatto, complimenti.
    Avevo sempre ignorato fino ad oggi la compassione, spero di poter trarre il meglio da questa lettura.
    Personalmente ho creato il mio centro dell’universo intorno all Gratitudine, ed ogni volta che mi trovo ad interagire con persone insoddisfatte, irrequiete o sovrastate dai loro problemi, ricordo loro che quanto hanno non è per niente scontato.
    Spesso bastano gli esempi ad aprire le nostre menti, altre volte dobbiamo sbatterci la testa, ma aiutiamoci.
    Il mondo è già brutto abbastanza, non serviamo noi..
    Riguardo quest’ultima affermazione devo lavorare sul concetto opposto, che purtroppo ancora manca dentro di me.
    Grazie ancora. Un caloroso saluto
    Fabio Romano

    1. Vincenzo Marranca

      Grazie mille Fabio,
      hai perfettamente ragione spesso siamo irrequieti perché non ci rendiamo conto di quanto siamo realmente fortunati. Ci accorgiamo di quanto siano importanti le cose che diamo per scontate, come la salute o la famiglia, colo quando ci vengono a mancare, mentre tutto ciò che rapisce la nostra attenzione nella vita quotidiana alla fine non è poi così essenziale come crediamo.
      Si dovrebbe trovare un modo di dare peso a quello che realmente conta senza con ciò rischiare di ignorare le cose pratiche che, sfortunatamente per il modo in cui viviamo, monopolizzano il nostro tempo e ci impediscono di vivere realmente.
      Un caloroso saluto a te

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Qual è il senso della vita?

Perché facciamo quello che facciamo?

Cioè, perché ci alziamo al mattino per andare a lavoro? Perché ci sposiamo? Perché abbiamo bisogno di avere una vita sociale?

Pochi psicologi hanno chiarito le origini della motivazione umana come Alfred Adler.

In libri come “La scienza del vivere”, “Il senso della vita” o “Il coraggio di non piacere” vengono esposti i principi fondamentali della sua teoria individuale psicologica, con la quale si spiega la motivazione, e le problematiche, dei comportamenti dell’uomo.

I tre problemi della vita

Dal punto di vista pratico, lo scopo della vita è prima di tutto risolvere 3 principali tipologie di problematiche:

  1. Occupazione
  2. Vita sociale
  3. Amore

Per alcuni sarà relativamente semplice risolvere questi problemi e trovare il giusto lavoro, gli amici giusti e il giusto partner.

Per altri sarà più complicato.

La sfida più grande per questi ultimi sarà quella di credere in sé stessi, di individuare esattamente cosa desiderano e di provare a ottenerlo.

Nella maggior parte dei casi in cui ciò non accade la motivazione più comune si trova in circostanze di vita sfavorevoli, in una inadeguata educazione o nella mancanza di adeguate attenzioni nell’infanzia.

Ma, per la psicologia adleriana, questi fattori non hanno il peso decisivo che invece avevano per Freud o altri psicologi.

Leggi anche: Come leggere libri di crescita personale mi ha cambiato la vita

Alfred Adler vs Sigmund Freud e la possibilità di cambiare

Quando si adotta il punto di vista della psicologia Freudiana, si vede la vita dell’uomo come una grande storia basata su causa ed effetto.

La risonanza di questa teoria è visibile tutt’oggi, in quelle persone che credono che le loro vite siano il risultato di eventi passati, di dove sono nati, delle opportunità non date dai genitori, del tipo di infanzia che hanno avuto.

In aggiunta, molti provano a vivere in un modo che sia coerente con la loro storia infantile, come se non avessero altra scelta.

  • Sperano in un futuro migliore ma non fanno nulla di concreto per crearlo.
  • Mantengono viva l’idea che gli eventi dell’infanzia abbiano un peso ancora rilevante sulle azioni e sulle scelte di oggi.

Per Adler, invece, il passato non ha tutta questa influenza.

Sì, è importante capire il perché dei propri comportamenti e delle proprie scelte, ma una componente principale della psicologia Adleriana è la possibilità di scelta che ognuno di noi ha in qualsiasi momento della vita.

Non c’è nessun significato, nessun copione da seguire.

Non importa da dove veniamo o quali siano i traumi che abbiamo vissuto in passato.

La vita di tutti noi è una pagina bianca che possiamo scrivere e riscrivere come vogliamo, specialmente se prendiamo piena coscienza dei motivi per cui facciamo quello che facciamo.

qual'è il senso della vita
Alfred Adler

Leggi anche: 10 romanzi da leggere per comprendere meglio la vita

La voglia di essere speciali

Per molti, il senso della vita sta in una continua evoluzione, in un cercare di andare avanti nel lavoro, nella famiglia e nelle relazioni.

Alla base di questa intenzione c’è la volontà di potenza, ovvero la voglia di superare sé stessi e il proprio innato senso di inferiorità.

Praticamente, tutti hanno dei motivi per sentirsi inferiori e per voler essere speciali.

Quando, per esempio, si guarda al comportamento problematico di alcuni adolescenti o anche adulti, si noterà che alla radice dei loro comportamenti c’è sempre una viscerale voglia di attenzione, di essere amati.

Questa tipologia di persone prova a ottenere la propria superiorità nel modo più semplice possibile, ma facendolo finiscono per fare del male a sé stessi o agli altri.

Il modo migliore per superare il proprio senso di inferiorità ed essere amati è, invece, seguire i passaggi necessari a ogni percorso di crescita personale.

I tre passaggi necessari a trovare il senso della vita

Primo step: l’auto-accettazione

Nella psicologia Adleriana il primo passo per scoprire il vero senso della propria vita sta nell’auto-accettazione, in quello che lui stesso definisce come “il coraggio di essere normali”.

C’è nel mondo chi equipara l’essere normali al non avere nessun valore o abilità particolari.

Per Adler, invece, l’accettazione della normalità conduce alla grandezza e al trovare la propria unicità… e il motivo è abbastanza semplice:

Quando non accettiamo chi siamo finiamo per posporre la felicità al momento in cui saremo diversi e così facendo impediamo a noi stessi di scoprire quali sono le nostre vere inclinazioni.

Paradossalmente, accettare chi si è e la propria situazione attuale, anche se negativa e insoddisfacente, è il primo passo per cambiare.


qual'è il senso della vita

Lettura consigliata: Il coraggio di non piacere di I. Kishimi e F. Koga

Una conversazione tra un ragazzo e un saggio in cui si svela come capire il senso della vita grazie alla filosofia di Adler.

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Leggi anche: Come conoscere sé stessi, 20 domande utili

Secondo step: la libertà di vivere nel qui e ora (metafora della montagna)

La differenza sostanziale tra chi vive proiettato nel futuro e chi vive pienamente il presente può essere compresa grazie alla metafora della montagna.

Immagina di dover scalare una montagna. Se il tuo scopo è solo quello di arrivare in cima non importa come ci arriverai. Potresti prendere un elicottero e arrivare lì in dieci minuti o potresti catapultarti con un cannone. La scalata non avrebbe nessun valore in questi casi e neanche il panorama che troveresti una volta arrivato.

Questo è l’approccio di chi trova scorciatoie per ottenere successo nella vita, di chi vuole ottenere la superiorità senza lavorare su sé stesso.

Di contro, coloro che scalano la montagna per il piacere di farlo non sono ossessionati dalla cima.

Per loro l’obiettivo è la scalata in sé e non importa se arrivano o non arrivano alla fine.

La loro motivazione ad agire è la sensazione di piacere che ottengono nell’atto stesso di camminare sulle rocce e sui sentieri, e se raggiungono l’obiettivo sarà per loro un piacevole effetto collaterale, ma mai l’unica motivazione.

Terzo step: contribuire alle vite degli altri

Eccoci arrivati alla componente principale, ciò che dà direzione e senso alla crescita personale.

Visto che vivere nel presente rischia di diventare un approccio incentrato sulla ricerca del piacere fine a sé stesso, Adler fornisce una guida per valutare il valore delle nostre azioni: il contributo alle vite degli altri.

Se vogliamo capire pienamente qual’è il senso della nostra vita dobbiamo abbinare all’auto-accettazione questo principio chiave.

Non può esserci senso alla vita di nessuno se quello che si fa non ha qualche forma di utilità sociale. E l’utilità sociale è il parametro con cui si può distinguere un obiettivo di vita utile da un obiettivo di vita inutile.

Leggi anche: Come migliorare la propria vita, 4 scelte fondamentali da fare

Scopi di vita utili vs inutili

Come si accennava prima l’essere umano vive, nella maggioranza dei casi, una qualche forma di senso di inferiorità.

Ciò porta l’individuo a scegliere, già dalla primissima infanzia, delle strategie per superare la propria vulnerabilità e sentirsi più forte/ accettato.

Quando si riceve una educazione adeguata queste strategie saranno in accordo con i tre step soprammenzionati: il bambino imparerà ad accettarsi, a trovare il suo ruolo nel mondo e a stare bene nel qui e ora.

Per lui sarà normale pensare di avere le abilità necessarie e fidarsi degli altri in quanto la sua prima esperienza con le relazioni umane è stata positiva.

Quando si riceve un’educazione inadeguata, affrontare i problemi della vita sarà molto più difficile in quanto l’individuo non penserà di avere le capacità necessarie e non avrà abbastanza interesse negli altri.

Ciò porterà il bambino a crescere pensando principalmente a sé stesso, scegliendo scopi di vita inutili, incentrati cioè a risolvere il proprio senso di inferiorità più che a dare un contributo.

Pensa, per esempio, a una persona che non ha forza perché non mangia da giorni: come pensi che questa persona potrà dare aiuto e sostegno agli altri?

Il suo pensiero principale sarà quello di mangiare, non di aiutare gli altri.

Sarà, in altre parole, preoccupata principalmente per sé stessa e il suo benessere.

Allo stesso modo, la persona che si sente inferiore non sarà mai in grado di essere utile alla società perché vive in uno stato di difetto, di “fame” perenne.

Il suo obiettivo non sarà di trovare un modo di contribuire ma di risolvere le proprie problematiche individuali, anche se a discapito di qualcun altro.

Leggi anche: Ikigai significato e filosofia, capire il senso della propria vita

Qual è il vero senso della vita secondo Alfred Adler

Il vero scopo della vita è, in un ultima analisi, superare la preoccupazione per sé stessi e sviluppare un sincero e profondo interesse per gli altri, quello che Adler definisce come il sentimento sociale.

Così come il bambino vuole essere amato dai genitori, l’adulto vuole essere accettato dai suoi pari, sentirsi parte integrante di una comunità.

Il sentimento sociale è dunque la parte più importante della nostra educazione e una delle componenti più importanti della nostra vita.

Così come la persona isolata impazzisce, la persona accettata fiorisce.

Come dicevamo prima tutti, in un modo o nell’altro, vogliono essere speciali, ma se provano a farlo in modo egoista finiranno per rovinare la vita degli altri.

Per essere utili al mondo dobbiamo necessariamente lavorare per accettare noi stessi e quello che siamo.

Non potrà mai esserci nessun successo senza l’accettazione e il contributo sociale, anzi, il successo può essere definito proprio come la ricompensa per aver soddisfatto un bisogno altrui.

Combattiamo costantemente con la paura di non essere abbastanza, contro convinzioni vecchie di una vita che avevano un senso quando eravamo bambini ma che non ce l’hanno più adesso.

Così la società diventa spesso un’impervia foresta dove si corre il rischio di essere giudicati e rifiutati per le proprie debolezze e imperfezioni.

Voler entrare in questa foresta, contribuire al suo miglioramento, è quanto di più sano e umano ci possa essere.

L’individuo maturo e sicuro di sé tende naturalmente ad avere interesse nei confronti dei suoi simili, ad avere la spinta di fare qualcosa di utile per loro.

Sta qui il vero senso di una vita sana per Adler, nel trovare sé stessi per capire in che modo si può migliorare la vita degli altri.

Il percorso di crescita individuale consiste nel riuscire a superare le insicurezze infantili e nel maturare un interesse sociale.

Quando ciò avviene senza troppe complicazioni, si proverà un senso di completezza, di felicità, il segnale principale che comunica di aver trovato il senso della propria vita.

3 libri sul senso della vita e la psicologia di Alfred Adler

Il lavoro di Adler è particolarmente interessante per chiunque volesse comprendere meglio le ragioni dei propri atteggiamenti e le cause delle proprie scelte di vita.

Come dice lui stesso, “con l’aiuto della conoscenza possiamo cambiare”, e per ottenere conoscenza si può solo vivere o… leggere.

I tre libri che, a mio parere, espongono in modo migliore le teorie di Adler sul senso della vita sono quelli menzionati all’inizio di questo articolo: “La scienza del vivere”, “Il senso della vita” e “Il coraggio di non piacere”.

I primi due sono stati scritti dallo stesso Adler mentre il terzo è stato scritto da due suoi sostenitori, Ichiro Kishimi e Fumitake Koga.

Li ho letti tutti e tre, e devo dire che da quando ho adottato la filosofia di Adler come parte integrante del mio modo di pensare mi sento molto meno vittima delle circostanze.

A un lettore distratto potrebbe sembrare che ci sia della fredda indifferenza in queste teorie, eppure è tutto il contrario.

La vera indifferenza starebbe nell’accettare mutamente il proprio destino e nel piangersi addosso per tutto quello che non si può o non si è potuto fare.

Quantomeno Adler ci dà dei mezzi e delle risposte concrete. Ci dice, senza troppi giri di parole, qual’è il vero senso della vita e cosa bisogna fare per trovare il nostro posto nel mondo.

Spetta solo a noi scegliere se vogliamo ascoltare o meno.

9 commenti su “Qual è il senso della vita? L’illuminante risposta di Alfred Adler”

  1. In relazione al conoscere il vero scopo della vita, io penso che si debbano considerare varie cose importanti, ecco quali:
    1) la questione non riguarda singoli individui, ma tutta l’umanità in generale, la terra e’ un unico pianeta con le stesse leggi fisiche, gli esseri umani hanno tutti le stesse esigenze e desideri,
    2) Gli esseri umani, pur avendo caratteristiche personali utili diverse, con le quali possono contribuire al meglio nella societa’, sono tutti intelligenti, la differenza è l’istruzione che in base alla nascita, casuale luogo di vita ed educazione che forma l’individuo adulto.
    3) Ovviamente non sono le persone a stabilire lo scopo della vita, neanche quelle che hanno 50 lauree. Per esempio a stabilire lo scopo di un oggetto costruito o una macchina è il costruttore non altri. Noi siamo creature soggette a leggi fisiche e morali che operano al meglio per tutti sé rispettate.
    4) Scopo della vita? E’ indicato i un libro antico ” Dio prese l’uomo e lo mise nel giardino di Eden perché lo COLTIVASSE e ne AVESSE CURA.)(genesi 2:15). Ecco il vero scopo originale e futuro della vita, siamo fatti per godere la vita per sempre avendo cura della terra rispettando le leggi fisiche che ne regolano la vita e collaborando per far vivere bene tutti.

  2. Credo che il vero senso della vita individuato da Adler non sia altro che l’insegnamento di Gesù Cristo:”Amatevi gli uni e gli altri come io ho fatto con voi.”
    Adler non ha fatto altro che dare la versione psicologica di questo insegnamento. Tutte le teorie moderne alla fin fine sono delle riscritture di ciò che ha affermato ormai più di 2000 anni fa un uomo chiamato Cristo.

    1. Ci sono altre culture, nate prima di 2022 anni fa che hanno alla base le stesse convinzioni e idee. Prima di ricondurre tutto al Cristianesimo si possono allargare le proprie conoscenze. Tra Adler e i principi cristiani ci sono differenze. È utile studiare e approfondite

  3. Non bisogna contrapporre culture diverse o religioni, leggendo e studiando ho trovato molte più cose buone in un comune tra loro che diversità .
    Un esempio l’uso corretto e impeccabile della parola è comune a tutte .
    Uccide più la lingua che la spada.
    La tua parola sia impeccabile.

  4. Ciao! Ho trovato il tuo articolo molto ben esposto e di piacevolissima lettura.
    Ho cercato di rintracciare online in libro “Il senso della Vita”, ma non sono riuscita a reperirlo da nessuna parte, neanche su siti di annunci/usato. Avresti dei consigli su che canali utilizzare per reperirlo?
    Grazie!

  5. Comprato il il libro il coraggiosi….mi piace il concetto di scrutare noi stessi e accettarsi così come siamo. Io in questo momento però mi chiedo … ok mi accetto , sono utile agli altri poi…si muore e dopo? Si ho lasciato sulla terra qualcosa ma perché tutta questa fatica? Non è ora il problema è dopo!

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La filosofia Buddista è racchiusa perfettamente nelle parole del Buddha: “Io insegno solo due cose, miei discepoli, la natura della sofferenza e la cessazione della sofferenza”.

Partendo da questa semplice premessa, il Buddismo si sviluppa in una religione molto pratica, che si basa sull’utilizzo dell’esperienza diretta per comprendere il motivo per cui si è infelici e insoddisfatti.

E il motivo, di solito, non è tanto quello che accade, ma la nostra reazione a quello che accade.

La nostra mente è afflitta da un chiacchiericcio continuo che giudica la realtà senza mai riuscire a vederla per quello che è.

Siamo troppo spesso in balia dei cambiamenti, dei successi e delle sconfitte, dei guadagni e delle perdite, senza possibilità di controllare gli eventi.

L’unica cosa su cui abbiamo il controllo è invece il dialogo interno che avviene nella nostra mente, che giudica gli avvenimenti e distorce la nostra percezione.

Il concetto del nirvana nella filosofia Buddista

Lo scopo della vita secondo la filosofia Buddista è di superare questo stato di visione distorta e instabile per arrivare all’illuminazione, alla pace interiore, o… al nirvana.

L’unico modo per farlo è ripulire la nostra mente da pensieri caotici e inutili, distaccarsi dalla convinzione che quello che ci accade può essere solo buono o cattivo.

Nella visione buddista niente è cattivo, niente è buono, ma tutto è, neutrale, esiste, e ha uno scopo.

Etichettando quello che viviamo ci esponiamo alla sofferenza, alla delusione.

Ne consegue che per eliminare l’infelicità bisogna rinunciare alle proprie manie di controllo, alla convinzione che le cose debbano andare in un certo modo.

Il nostro concetto di felicità è, infatti, spesso condizionato al soddisfacimento di certe aspettative arbitrariamente scelte.

Quello che passa davanti ai nostri occhi viene vagliato sulla base di standard anch’essi arbitrari e poi etichettato.

Così fuggiamo sempre da ciò che non vogliamo e cerchiamo ciò che ci manca, che desideriamo.

Nel nirvana accade tutto l’opposto.

Nel nirvana la felicità viene creata imparando non solo ad accettare, ma anche a desiderare quello che è, quello che c’è.

Ciò non vuol dire accontentarsi, ma far pace con la parte di noi che lotta continuamente contro le circostanze, che non accetta, che desidera ciò che non può avere, che soffre.

Leggi anche: Come essere felici cambiando modo di pensare, un sistema realistico in 2 fasi

Principi base del buddismo: le 4 nobili verità

Per il Buddha, il modo per arrivare al nirvana è di apprendere appieno le 4 nobili verità:

  1. La vita, nel modo in cui viene ordinariamente vissuta, è insoddisfacente, piena di sofferenza e infelicità.
  2. La sofferenza viene causata dalle nostre voglie incontrollate, ed è dunque la nostra mente il motivo principale per cui si soffre.
  3. La libertà dalla sofferenza è possibile.
  4. La via per liberarsi dalla sofferenza è l’Ottuplice Sentiero.

Come si vede la filosofia buddista è estremamente semplice.

Non ci sono insegnamenti astratti o teorie che rasentano il metafisico.

Non ci sono comandamenti o divinità a cui giurare fedeltà nella speranza di ottenere la redenzione.

Il male di vivere affligge l’umanità sin dall’inizio del tempo e la ragione è sempre la stessa: l’inconsapevolezza, l’incapacità di pensare in modo chiaro ed efficace.

Innumerevoli volte ci si illude che le circostanze indesiderate accadano per sfortuna o per caso, e innumerevoli volte si manca di vedere la propria responsabilità nel crearle.

È una legge del Buddismo, e della fisica, che ogni azione ha una reazione, e che la situazione presente è il frutto di pensieri, scelte e azioni passate.

Grazie al ragionamento consapevole e all’utilizzo del retto pensiero si può arrivare alla comprensione della nostra realtà e della nostra sofferenza.

E grazie alla comprensione dei motivi per cui soffriamo possiamo trovare un modo di agire più consono alla nostra felicità.

L’Ottuplice Sentiero

La quarta nobile verità della filosofia Buddista è la liberazione dalla sofferenza grazie alla crescita spirituale che passa attraverso l’ottuplice sentiero.

Quest’ultimo contiene, per l’appunto, otto aspetti fondamentali:

  1. Retta Comprensione
  2. Retto Pensiero
  3. Retta Parola
  4. Retta Azione
  5. Retta Condotta di Vita
  6. Retto Sforzo
  7. Retta Consapevolezza
  8. Retta Concentrazione

In altre parole,

  • il sentiero consiste nella comprensione del motivo per cui soffriamo e del modo di smettere di soffrire;
  • si basa su un pensiero pulito, sulla rinuncia al desiderio incontrollato;
  • incoraggia alla giusta azione e alla giusta condotta di vita, che vuol dire non rubare, non uccidere, non arrecare danno agli altri;
  • incoraggia alla motivazione e persistenza nel portare alla luce il potenziale che c’è dentro, sviluppare il proprio talento e la propria abbondanza;
filosofia buddista

La praticità della filosofia Buddista

Quello che adoro dell’insegnamento Buddista è che non c’è nulla di rituale o distaccato dalla realtà.

La sofferenza è ciò che accomuna tutti gli uomini sulla terra e la verità su come superarla è tanto facile da comprendere quanto difficile da attuare.

Pensa infatti a quanto la vita possa essere schiacciante a volte.

Spese che si accumulano e impegni fino ai capelli.

Problemi a lavoro, problemi a casa, faccende quotidiane che ti tolgono il tempo di vivere o persino di respirare.

Nel bel mezzo di un caos del genere uno potrebbe fermarsi e chiedersi, ma che senso ha tutto questo?

  • Perché mi alzo al mattino?
  • Perché lavoro?
  • Perché mi stresso?

Sarebbe un po’ come spostare leggermente una tenda per vedere cosa c’è dietro la finestra o alzare il cofano di una macchina per vedere cosa non va nel motore.

Beh, noi siamo la macchina o la finestra, e la nostra mente è spesso la tenda o il cofano.

I principi del buddismo sono la mano che solleva la tenda e solleva il cofano.

Riportano l’attenzione all’essenziale, alla scoperta della propria verità per mezzo dell’esercizio mentale e della conoscenza di sé.

E il bello è che non c’è bisogno di un altare per farlo, o di una chiesa o dell’intermediazione di un prete.

Certamente, esistono tempi buddisti ed è possibile convertirsi alla religione buddista, ma qui stiamo parlando di altro, stiamo parlando di integrare la filosofia buddista nella vita di tutti i giorni.

Integrare la filosofia buddista nella propria vita

C’è, d’altronde, un motivo per cui questi concetti vengono spesso utilizzati in psicoterapia o menzionati nei libri di psicologia.

Seguire le 4 nobili verità e l’ottuplice sentiero è una pratica molto terapeutica e facile da intraprendere.

Tutto quello di cui si ha bisogno è un minimo di familiarità con i principi fondamentali e la ferma volontà di eliminare la sofferenza dalla propria vita.

  • Si inizia osservando i propri pensieri ricorrenti e le proprie reazioni.
  • Si pratica l’arte del non-giudizio e si presta maggiore attenzione alle piccole azioni quotidiane provando a essere più presenti nel qui e ora.
  • Si pratica l’arte della gentilezza, sia dentro, nella propria mente, che fuori, con le azioni e le parole dette.

Potrà anche sembrar poco ma questi piccoli accorgimenti sono una vera e propria via d’uscita dalle oppressioni che affliggono l’esistenza.

Ripuliscono l’animo e aiutano a chiarirsi le idee.

Senza considerare il fatto che ti portano anche a essere una persona migliore, una presenza benefica nel mondo.

Leggi anche: Ikigai significato e filosofia, capire il senso della propria vita

La mia esperienza personale con i principi del Buddismo

Ricordo di un periodo in cui non avevo idea di cosa fare nella mia vita.

Mi sentivo disorientato e confuso, immaginavo scenari tragici in cui mi vedevo buttare i miei anni migliori per poi finire da solo e senza amore né soldi.

Sentivo l’ansia montare e ogni giorno che passava era pieno di preoccupazioni impossibili da risolvere.

Nella mia mente impazzavano domande come, Cosa farò? Perché mi sento sempre così triste e scoraggiato? Dove troverò la forza di costruirmi un futuro?

Più mi interrogavo sul come e sul quando e più mi preoccupavo.

Ero spesso arrabbiato con me stesso per non essere quello che avrei dovuto essere, per non rispettare il mio impossibile standard di perfezione.

Avevo l’impressione di non avere scelta, stavo male e non potevo smettere di pensare a ciò che mi faceva stare male.

Poi scoprii la filosofia buddista grazie alla quale iniziai a capire che quella sofferenza era una mia creazione… e la mia vita cambiò.

Non dico di aver completamente debellato l’infelicità dall’oggi al domani, ma grazie a questi principi capii di avere una soluzione pratica contro i pensieri della mia mente, una soluzione che spettava solo a me usare.

Dopo tutto, fu il Buddha stesso a dire:

Il mio insegnamento è un mezzo, non qualcosa da tenere stretto o venerare. Esso è come una zattera usata per attraversare un fiume. Solo uno stolto porterebbe la zattera in giro con sé una volta raggiunta la sponda della liberazione.

Messaggio finale

Lo stesso vale per te.

Non commettere l’errore di pensare che il Buddismo sia una religione che pretende qualcosa.

Non devi andare a messa e non ti devi confessare.

Non c’è nessuna regola da rispettare per non finire all’inferno.

La filosofia buddista è uno strumento basato sull’esperienza di chi ha vissuto prima di noi, uno strumento che serve principalmente a stare bene.

Questo deve essere il tuo obiettivo, stare bene.

È un tuo diritto pretenderlo, un tuo diritto provarci.

Se il buddismo non riesce ad aiutarti nel tuo intento, scegli un’altra filosofia di vita, tipo quella Huna, o prova un aiuto un po’ più personale come quello del life coaching.

La scelta è tua.

L’importante è che tieni a mente le parole del Buddha.

Pensa alla zattera, pensa all’altra sponda del fiume, pensa a come sarebbe la vita con maggior felicità e minor sofferenza.

LIBRO: Il benessere emotivo: Trasformare paura, rabbia e gelosia in energia positiva

“La mente è uno splendido meccanismo, usalo, ma non farti usare. È al servizio dei sentimenti: se il pensiero serve i sentimenti, tutto è in equilibrio; nel tuo essere sorgono profonda quiete e gioia.”

Come una pietra filosofale, che secondo la credenza trasformava il piombo in oro, Osho ci insegna a tramutare le emozioni distruttive in energia positiva.

 La chiave di tutto è fidarsi di sé, vivere al servizio dei propri sentimenti, assistere al trionfo delle emozioni e della loro potenza, fare solamente quello che sentiamo.

Contrapporre l’espressione alla repressione, abbandonare la dittatura della testa e scendere verso il nostro cuore, che sia lui a guidarci, a governare.

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Alcuni di noi maschietti non hanno nessun problema a piacere alle donne, ci riescono in modo naturale perché magari hanno un modo di fare che attira, intriga o ispira fiducia.

Altri, purtroppo, non sono nati sotto questa buona stella e hanno bisogno di fare qualche sforzo in più, capire di più sulla psicologia femminile e imparare ad avere più fiducia nell’approccio.

È soprattutto a loro che si rivolge questo articolo su come piacere alle donne.

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre

Come piacere alle donne online: consigli per parlarle sui social

Oggi si può iniziare una conversazione non solo dal vivo ma anche via internet grazie ai social.

Se ti attira il profilo di una ragazza su Facebook o qualche altro social, comincia col mettere qualche like, a mostrare interesse.

Ben accetti i commenti su foto e post, non in maniera insistente e purché pertinenti all’argomento.

Osserva come risponde e prova ad avviare un dialogo via chat, riallacciandoti magari a ciò che le piace (che hai intuito dalle sue foto o da ciò che scrive).

Importante: sii il più naturale possibile, evitando frasi fatte o scontate.

Più che provare a scervellarti su qualcosa di divertente o intelligente da dire, chiediti cosa ti ha colpito del profilo della ragazza e diglielo apertamente.

Ciò che spesso intimidisce le donne è il presentimento che ci sia qualcosa di nascosto, quindi è essenziale essere trasparenti, senza però sovraccaricare la persona di attenzioni o informazioni.

Falle capire che il tuo approccio è nato da un sincero interesse o da una sincera curiosità, e poi presta attenzione a quello che lei dice, al tono delle sue parole.

Se non fa domande o se scrive messaggi molto brevi e sbrigativi può voler dire che va di fretta o che non è interessata.

In questo caso non forzare la mano.

Lasciale il suo spazio e magari fa un altro tentativo dopo un po’ di tempo.

Se non c’è ancora risposta o non riesci a instaurare un dialogo forse non è la ragazza per te.

Considera altre opzioni e, soprattutto, evita di ossessionarti: rischi di illuderti e di sprecare del tempo prezioso in qualcosa che non vale la pena di essere perseguito.

Leggi anche: Identikit di una amore non corrisposto, 10 domande per capire se chi ami non ti ama

Piacere alle donne nella vita reale: quando la vedi di rado

Se invece rimani colpito da una ragazza che vedi faccia a faccia hai diverse possibilità.

Intanto considera se la vedi spesso o no: è una ragazza che hai incontrato accidentalmente sul treno e che potresti non rivedere mai più?

Allora il tempo è limitato, prova ad attirare la sua attenzione, sorridi e vedi se ricambia, e in caso fatti avanti chiedendole se puoi sederti accanto a lei.

Se sta per scendere, prendi carta e penna, scrivi il tuo nome e numero, sfodera il tuo miglior sorriso e prima che vada daglielo.

Il gesto avrebbe un doppio vantaggio.

A. Dimostra che hai coraggio e rispetto.

B. Ti evita ti intavolare una conversazione che potrebbe essere presto interrotta e mette la palla nel suo campo. Se non ti scrive non hai perso nulla e non c’è nient’altro che puoi fare.

Ma se ti scrive sai per certo che ha apprezzato e che è potenzialmente interessata.

piacere alle donne

Leggi anche: Le 100 frasi più belle, memorabili (e divertenti) sull’amore

Piacere alle donne nella vita reale: quando la vedi spesso

Nel caso di ragazze che vedi ogni giorno la situazione cambia ulteriormente.

È qualcuno che vedi a scuola o al lavoro? Forse al bar o al ristorante dove vai spesso? È un’amica, collega o semplice conoscente?

Non ti fai avanti perché non hai il coraggio o perché non c’è mai l’occasione/il tempo?

A prescindere dalla risposta a queste domande ci sono degli aspetti fondamentali da tenere assolutamente a mente se si vuole piacere alle donne.

E non stiamo parlando di talento innato o di abilità particolari.

Stiamo parlando di norme di comportamento che possono essere apprese da chiunque, che partono dal buon senso e dalla considerazione/rispetto per gli altri.

E queste norme di comportamento possono essere riassunte in 7 punti, o aspetti, essenziali.

Leggi anche: Una guida per comprendere l’amore moderno e costruire una relazione sana

7 aspetti da considerare per piacere alle donne

1. Sii spontaneo

Un consiglio chiave per piacere a una ragazza è essere sé stessi.

Puoi leggere molti libri su come flirtare e conquistare una donna, ma se provi a essere qualcuno che non sei e fai finta di goderti cose che non ti piacciono, non ce la farai.

Peggio ancora, finirai per allontanarla se dai l’idea di utilizzare strategie studiate a tavolino per conquistarla o portarla a letto.

Per quanto potrai sentirti al sicuro non rivelando cosa pensi veramente, le nostre reali intenzioni ed emozioni trapelano dalle nostre parole e dai nostri modi di fare, prima o poi.

Per attrarre qualcuno, dunque, non bisogna mai mettere da parte la propria personalità, nemmeno i propri difetti.

Piuttosto, la chiave è sapere a priori chi si è e cosa si sta cercando, ed essere poi completamente aperti e trasparenti al riguardo.

Perché se quello che vuoi tu è diverso da quello che sta cercando lei è meglio scoprirlo subito e passare oltre!

2. Sii sicuro di te

Avrai anche avuto qualche fallimento amoroso, ma questo non significa che fallirai sempre.

La fiducia in se stessi è molto importante quando si tratta di piacere a una ragazza, perché ti rende più sicuro delle tue capacità, di ciò che meriti e di ciò che sei.

Inoltre l’essere sicuro di te ti permette di essere più diretto e sincero, di tenere alla larga paranoie e gelosie tossiche e distruttive, di lasciare che la persona sia libera di essere chi è senza restrizioni.

La sicurezza è poi autostima, ti permette di mostrare il tuo lato migliore e funge anche da calamita non solo per le donne.

Grazie all’amore per sé stessi si è maggiormente in grado di amare gli altri, e questo le donne lo percepiscono e lo apprezzano, purché l’autostima non si trasformi in arroganza e mancanza di rispetto.

Leggi anche: Insicurezza in amore, da dove nasce e perché può far bene (fino a un certo punto)

3. Apprezza la persona che hai davanti

Si dice che a una donna bastino pochi secondi per decidere se un uomo le interessa o meno quindi il primo punto di contatto è fondamentale.

Anche qui la parola d’ordine è la spontaneità.

Puoi iniziare facendo il premuroso, scherzando, facendo il simpatico, raccontando una barzelletta, lusingandola o parlando di qualcosa su cui ti senti a tuo agio.

L’importante è prestare attenzione, capire chi si ha davanti e interagire… non recitare.

Evita battute volgari, le classiche frasi scontate ad effetto per cercare di fare colpo, punta invece sul farti notare semplicemente per quello che sei e mostrando interesse per quello che lei dice e fa.

E poi, come sempre, sorridi.

Piacere alle donne non è una sfida

Conoscere qualcuno è un’esperienza bellissima e, se può risultare snervante o particolarmente difficile, lo è soltanto perché abbiamo distorto il suo significato.

Gli uomini la vedono spesso come una prova da superare per dimostrare di essere particolarmente capaci o affascinanti, ed evitano così di apprezzare l’aspetto genuino e umano dell’interazione.

La cosa da evitare quando si decide di farsi avanti con una donna è dunque l’avere troppe aspettative.

Lo stress che ne deriva sarebbe invalidante e verrebbe percepito dalla ragazza in questione che, di conseguenza, potrebbe provare del nervosismo o disagio.

Nel presentarsi è meglio avere l’atteggiamento di chi sta bene a prescindere, di chi non ha bisogno di conferme, di chi non è legato a nessun risultato in particolare.

Per questo molti dating coach consigliano di approcciare le donne con l’attitudine di chi è di passaggio, di chi non ha intenzione di rubarti troppo tempo.

Se mostri di essere tranquillo alleggerisci la conversazione ed eviti di porre troppe pretese sulla ragazza mettendola più a suo agio.

4. Falla ridere

Adesso che abbiamo esplorato l’abc del primo approccio, parliamo di qualcosa che è vero per molte donne.

Anche se potrai trovare ragazze dalla personalità diversa, la maggior parte di loro apprezzano nel comportamento di un ragazzo il buon umore, la cavalleria, l’intelligenza.

Come diceva Marilyn Monroe “se riesci a far ridere una ragazza, puoi farle fare qualsiasi cosa”.

Non c’è bisogno di prepararsi delle barzellette o di provare a tutti i costi di fare battute ogni volta che apre bocca.

A volte facciamo ridere quando non abbiamo l’intenzione di farlo, quando diamo una risposta spontanea a una domanda o quando raccontiamo una storia che mostra un lato più leggero di noi.

L’umorismo è una reazione automatica della persona che è felice in una determinata situazione.

Se vuoi far ridere una ragazza che ti piace non provare a farlo solo di proposito. Affidati alla naturalezza delle tue reazioni, specialmente se scaturiscono da uno stato di buon umore.

La positività (è quasi scontato dirlo) è contagiosa, facilita le relazioni e attira a te le persone permettendoti di fare una buona impressione.

Leggi anche: Come essere felici cambiando il proprio modo di pensare, un sistema realistico in due fasi

5. Trova il giusto equilibrio

Non ti preoccupare troppo per lei.

Alle ragazze piacciono gli uomini che sanno gestire il corteggiamento con sufficiente equilibrio.

Per dirla in modo più semplice, non lusingarla ogni istante e non trasformare la sua casa in un giardino di rose e cioccolatini, ma non sparire nemmeno per giorni interi.

Trova la giusta via di mezzo tra presenza e assenza, tra attenzione e lontananza.

Presta attenzione a quello di cui lei ha bisogno.

  • Se vuole conferme dagliele.
  • Se vuole spazio daglielo.
  • Se vuole parlare ascoltala. Falle domande, sii presente.

Ogni esagerazione è un sintomo di qualcosa che non va, mostra forse che le idee e i sentimenti non sono molto chiari.

L’equilibrio si raggiunge con la conoscenza di sé stessi, con la consapevolezza di quello che si sta cercando, e nasce anche da una situazione di tranquillità interiore.

La persona che dice troppo o che prova a controllare troppo è la stessa persona che prova a compensare una mancanza in modo disfunzionale.

Cioè, iniziamo a esagerare nei modi di fare quando una donna non è per noi il fine ma il mezzo per raggiungere una pseudo-stabilità interiore.

Importante: è una reazione naturale di ogni essere umano, donna o uomo che sia, quella di volersi allontanare da chi vuole sfruttarli.

D’altro canto, è naturale essere attratti da chi ci sa trattare con rispetto, mantenendo un sano equilibrio tra legame e indipendenza.

Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona

6. Comunica in modo chiaro

Parlando di comunicazione c’è solo una cosa da dire: sii chiaro in quello che dici.

Non dire una cosa per poi farne un’altra. Non comunicare cose importanti tramite messaggi.

Prediligi il contatto diretto a quello indiretto, le chiamate ai messaggi whatsapp, le visite alle videochiamate.

Non aver paura di dire quello che ti passa per la testa anche se pensi sarà ricevuto con astio o resistenza.

Evita di essere passivo-aggressivo e di fare battute taglienti al posto di comunicare chiaramente che qualcosa ti disturba.

Leggi anche: Amori romantici e cinema, quello che i film non ti dicono sull’amore

7. Condividi

Eccoci arrivati alla fine, al collante che mantiene viva ogni relazione: la condivisione.

Perché potrai anche essere il seduttore più bravo dell’universo e riuscire a far colpo su ogni ragazza che incontri, ma alla fine la cosa che ti permette di piacere alle donne nel lungo termine è saper condividere.

E con questo non intendo solamente gusti in comune.

La condivisione di cui stiamo parlando è la condivisione di ideali, di obiettivi, del modo in cui entrambi vedete il mondo.

Nessuna relazione può durare nel tempo se non c’è un legame che va al di là della simpatia reciproca o dell’attrazione fisica.

Va bene anche avere interessi diversi dai suoi o non essere d’accordo con alcune delle sue opinioni.

Se si riesce ad accettare le differenze, a condividere un progetto comune o anche solo a tenere la persona partecipe della propria vita, la relazione potrà comunque andare avanti ed evolversi.

Come piacere alle donne: 2 libri consigliati

1. L’arte della seduzione

Ci sono persone che sono naturalmente seducenti, per via del loro modo di comportarsi, per il loro sguardo, per come parlano.

Altri invece rimangono nell’anonimato, sono impacciate, faticano a farsi notare e ad avere rapporti con le persone dalle quali sono attratte.

Questo libro offre una molteplicità di consigli pratici per far emergere il meglio di se stessi, acquisire sicurezza e diventare seducenti in maniera naturale.

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2. Il linguaggio inconscio della seduzione

Gli uomini e le donne veramente affascinanti sono coloro che si aprono a uno scambio autentico con il prossimo, sforzandosi di capire chi sono le persone con le quali entrano in contatto: la seduzione è un circolo virtuoso nel quale chi seduce viene a sua volta sedotto.

Tale processo avviene attraverso strategie inconsce che passano per la gestualità, vera e propria firma psicologica di ciascuno di noi.

Questo saggio dimostra che la seduzione non è un talento per pochi eletti e che, al contrario, conoscendo il codice espressivo – spontaneo e universale – del corpo, chiunque può riappropriarsi della capacità di sedurre

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A tutti sarà capitato, prima o poi, di avere delle insicurezze in amore.

A tutti sarà capitato di sentirsi un po’ inadeguati, gelosi, ansiosi, di avere paura di perdere l’altra persona o di non avere le qualità giuste per tenerla al proprio fianco.

Quando ci si sente insicuri non si riesce a partecipare pienamente alla relazione e si pensa troppo a risolvere le proprie insicurezze piuttosto che dedicarsi al proprio partner.

Cosa vuol dire essere insicuri in amore

L’uomo insicuro, o la donna insicura, diventa facilmente irrazionale, facendosi sovraccaricare da pensieri che dipingono scenari drammatici, persino tragici.

Alla radice c’è spesso un dislivello tra il proprio valore percepito e il valore del partner: si pensa di non avere le qualità adatte per farsi amare, di non essere bella abbastanza, ricco abbastanza, attraente o simpatica abbastanza.

Da qui si potrebbe arrivare a pensare che ci siano persone là fuori che possiedono queste qualità e che sarebbero più adatte per la nostra lei o il nostro lui.

Di conseguenza, si potrebbe diventare possessivi o, in alternativa, ritirarsi in sé stessi per far sentire la nostra mancanza.

Se ti rivedi in comportamenti del genere, considera che potrebbero essere delle strategie lesive, per te e per il tuo partner, perché:

  • il controllo eccessivo soffoca la relazione;
  • la lontananza affettiva fa spegnere l’amore e viene interpretata come mancanza d’interesse.

Il vero impatto della gelosia

Similmente, anche la gelosia fa male alla coppia.

Seppur viene spesso giustificata come un segno di amore, la realtà è che in dosi eccessive avvelena e mette l’altro nelle condizioni di volersi riprendere la propria libertà rinunciando al rapporto.

L’origine della gelosia sta, anch’essa, nell’insicurezza.

Più si è insicuri, infatti, e più si proverà a difendersi dall’eventualità di un tradimento, anche se non esiste nessuna possibilità concreta che ciò accada.

La cosa paradossale è quando ci convinciamo che l’altro non ci ama, avremo dei comportamenti distruttivi che possono realmente portarlo a smettere di amarci.

L’essere difensivi contro un pericolo può andar bene se il pericolo è reale, ma se non lo è finirà per danneggiare noi stessi.

Facciamo l’esempio della persona che, essendo molto insicura, fa di tutto per controllare il proprio partner impedendogli di perseguire i suoi interessi o di uscire con i suoi amici.

Quanto pensi potrà andare avanti la relazione in questi casi?

E quanto pensi sarà soddisfacente?

La gelosia toglie respiro all’amore perché impedisce alla persona che la subisce di crescere e di essere libera.

Non può esserci amore vero se non si ha a cuore la crescita e la libertà di chi diciamo di amare.

Per questo la gelosia eccessiva può essere vista come un segno di attaccamento nevrotico più che come la prova di un amore sincero.

Leggi anche: L’importanza di abbandonare le manie di controllo

L’insicurezza parte da dentro e non da fuori

Per quanto la giustificazione dell’uomo e della donna insicuri in amore sia sempre quella che sia l’altra persona a creare l’insicurezza, la verità è spesso che l’insicurezza parte già da dentro.

Essa è legata alla mancanza di autostima e fiducia in se stessi o alla percezione di uno scarso valore personale.

Ed è anche legata al proprio senso di non-indipendenza.

In altre parole,

Si è insicuri quando (e perché) si dipende troppo dall’altro per stare bene, quando l’avere qualcuno accanto è la condizione principale per non affrontare il terrore di non essere amati da nessuno, nemmeno da sé stessi.

L’incapacità di amarsi è una brutta bestia.

Ci porta a trovare persone che non ci rispettano, che alimentano le nostre insicurezze e ci danno seri motivi per essere gelosi.

Serve dunque a ben poco provare ad aggiustare una relazione provando a controllare i comportamenti dell’altro.

Ciò che va fatto è invece imparare a stare bene con se stessi prima di tutto.

Leggi anche: Amori romantici, quello che i film non ti dicono sull’amore

Come combattere l’insicurezza in amore, e nella vita

So che per imparare ad amarsi ci può volere una vita intera e che non è certo cosa da poco.

Quando però le nostre insicurezze fanno soffrire l’altra non c’è altro da fare che sforzarsi di fare esattamente l’opposto di quello che verrebbe naturale fare, ovvero ciò che faremmo se ci amassimo.

In alto parole:

  • se l’insicurezza ti porta ad essere assente, sforzati di essere presente.
  • quando ti porta a non fidarti, prova a fidarti.
  • se ti fa esser negativo, sforzati di vedere il lato positivo delle cose.

Credimi, so benissimo cosa si prova a non poter controllare l’ansia o le cattive abitudini che indispongono l’altro (tipo rispondere in modo passivo-aggressivo o arrabbiarsi per cose stupide).

Però so anche che, una volta capito quali sono gli aspetti da migliorare, col tempo diventa più facile controllarli.

A prescindere da come si manifestano, le insicurezze in amore possono essere vinte solo sforzandosi di essere disponibili, affettuosi, comprensivi.

Leggi anche: Cos’è l’amore, e quando si ama veramente

Assumiti la responsabilità del tuo benessere

Quando sei comprensivo e lasci spazio alla tua compagna paradossalmente rendi più difficile per lei tradirti o lasciarti.

Se sei positiva e affettuosa con il tuo compagno lo porterai ad apprezzarti maggiormente, a sentirsi fortunato di averti.

Dando adito e importanza alle insicurezze, invece, ci si comporta in modo diametralmente opposto.

Quando ci si fa prendere dall’orgoglio e dalla negatività si smette di fare la propria parte nel rapporto e si aumentano le aspettative nei confronti dell’altro.

In questi casi si arriva anche a distaccarsi pensando: “mi hai fatto stare male quindi ora devi essere tu a impegnarti per farmi capire che mi ami”.

Solo che nessuno ha il potere di immettere nessuna emozione dentro di noi.

Se stiamo male è perché abbiamo del male dentro.

È una buona regola di vita, quindi, quella di concentrarsi su quello che possiamo fare noi stessi per migliorare le cose, non aspettarsi che sia l’altro a fare tutto il lavoro.

La volontà di un altro essere umano non è qualcosa che possiamo influenzare in modo diretto.

Al contrario, le nostre reazioni ai comportamenti altrui sono qualcosa su cui abbiamo il pieno controllo.

Leggi anche: Le 100 frasi sull’amore più belle, memorabili (e divertenti) di sempre

Concentrati sulla tua autostima prima di tutto

Il benessere che deriva dalla tua autostima è molto più stabile del benessere che deriva dall’avere una partner.

Avere autostima è un po’ come avere una riserva di benzina indipendente oltre alla riserva comune.

Anche se l’amore dovesse finire o il tuo compagno dovesse scegliere di lascarti, la riserva indipendente ti permetterebbe di continuare a vivere attraverso la delusione e il dolore per la perdita.

Per riempire la riserva della propria autostima e superare l’insicurezza la cosa migliore da fare è lavorare sulla propria identità e imparare a conoscersi meglio.

Una volta che sai chi sei puoi trovare delle passioni e dei progetti personali da intraprendere e, facendolo, arricchirai la tua vita.

Una vita più piena e ricca ti permetterà non solo di avere più cose da condividere con il tuo partner, ma anche di vedere la vostra relazione come qualcosa su cui lavorare insieme piuttosto che come la tua unica fonte di ossigeno.

Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella vita

Autostima e indipendenza personale: un toccasana per le relazioni

Una relazione in cui entrambi i partner hanno un sano livello di sicurezza personale e di indipendenza à una relazione sana, destinata a durare.

Una persona sicura di sé stessa non proverà a controllare l’altro, non si comporterà in modo geloso o irrazionale, non biasimerà l’altro per le proprie ansie.

Chi è sicuro di sé avrà la stabilità e la chiarezza mentale necessaria a concentrarsi su quello di cui l’altra persona ha bisogno.

E quando prestiamo attenzione all’altra persona, quando le diamo quello che le serve per sentirsi amata, solidifichiamo la relazione, la rivitalizziamo, la salviamo.

È questo l’unico modo per sconfiggere le insicurezze e rafforzare il rapporto.

Tutte le altre strategie, le scorciatoie, sono invece destinate a inquinarlo.

Puoi anche chiedere al tuo fidanzato di cancellarsi dai social o puoi vietare alla tua ragazza di uscire, ma se realmente hai bisogno di questi stratagemmi per sentirti meno insicuro/a, può voler dire che A. non è amore vero o B. hai bisogno di lavorare su di te.

Concentrati su cose su cui hai controllo, come il tuo senso di valore personale, la tua autostima e fiducia.

Ricorda che se vuoi tenere il tuo partner vicino sarai molto più efficace se impari a essere più positivo, affettuoso, solare.

Sono queste le qualità che attirano, che rappresentano un vero toccasana per un rapporto.

Concentrati allora su quanto vali, sui tuoi punti di forza.

Chiediti cosa puoi dare al tuo partner che nessun altro le/gli può dare.

La risposta che darai sarà la tua ancora di salvezza dalle insicurezze in amore, ti servirà a liberarti dalla loro influenza distruttiva.

Leggi anche: Come vivere felici, 6 consigli semplici ed efficaci

La cruciale differenza tra insicurezza e vulnerabilità

A conclusione del nostro discorso, è doveroso accennare l’importantissima differenza tra insicurezza e vulnerabilità.

Mentre la prima, come abbiamo detto finora, può rappresentare un’insidia per la relazione, la seconda la può invece aiutare.

La vulnerabilità è infatti un ottimo modo di costruire fiducia e intimità in un rapporto, in quanto presuppone un aprirsi all’altra persona, un condividere le proprie debolezze senza attaccare o criticare.

Grazie poi alla mancanza di critiche e tensioni, le conversazioni diventano più aperte e il rapporto più profondo ed esclusivo.

Esso viene arricchito da una miglior conoscenza reciproca e instilla nella coppia la voglia di proteggersi a vicenda.

A differenza della persona insicura, la persona che ha il coraggio di essere vulnerabile in una coppia è proiettata verso l’altro, non verso sé stessa.

Come dice Brené Brown, l’autrice di La forza della fragilità, il coraggio di sbagliare e rinascere più forti di prima,

insicurezze in amore

le persone che faticano di meno, quelle che come dico io si sentono complete e appagate, non danno una connotazione negativa di sentimenti ed emozioni che altri cercano di spazzare sotto il tappeto. Le accettano come parte del processo di crescita, senza giudicare.

Tutto ciò vuol dire una cosa sola: che tutti possono essere insicuri e sentirsi fragili, ma quello che ci distingue è l’uso che facciamo di questa fragilità, specialmente nelle relazioni.

Da un lato, infatti, c’è l’opzione di nascondere le insicurezze in amore e provare a controllare il partner per evitare che ci lasci (come abbiamo detto prima).

Dall’altro, c’è la scelta di mettere le nostre carte sul tavolo, mostrare le nostre insicurezze senza accusare, senza vittimismo.

In quest’ultima opzione la vergogna che ci ha isolati prima si trasforma in condivisione, e ci porta a vivere appieno uno degli aspetti fondamentali della vita su questa terra: sentire una connessione con un altro essere umano.

Perché alla fine, senza vulnerabilità non esiste senso di appartenenza o vicinanza, e non si può pienamente amare o sentirsi amati.

Brené Brown: Il potere della vulnerabilità (VIDEO)

6 commenti su “Insicurezze in amore: perché superarle salva la relazione”

  1. Buon giorno sono una donna di 46 anni Sto attraversando da tre anni un calvario che in parte credo essermi costruita da sola nel senso che per o 20 anni precedenti di matrimonio pur essendoci le stesse problematiche io riuscivo a gestire bene questa situazione che invece da tre anni appunto mi da tormento so che alla base c è una profonda insicurezza personale nonostante io sia una persona piacevole ..ma vorrei essere piacevole per mio marito…e credo di esserlo ma ha un modo tutto suo per dimostrarlo …e il suo compiacimento nell osservare altre donne mi ha portato degli evidenti cambiamenti di autostima dandomi un enorme dolore e non riuscendo più a saper gestire la situazione in quanto poi è subentrata da parte mia la richiesta di rinunciare per amore mio a questo suo modo di fare ..essendo che mi fa tanto stare male ….ma puntualmente ….lui torna sempre la !mi chiedo ritroverò mai me stessa e la mia serenità perché io per lui mi sono sempre annullata e lui lo sa che alla fine a me ….mi trova sempre sempre lì!……..

    1. Vincenzo Marranca

      Ciao Catiuscia scusa il ritardo nella risposta, credo che nelle tue parole ci sia una verità importante, cioè che gli uomini non prestano attenzione a quello che sanno di avere. Allora dico (e questo non è un consiglio diretto ma più un opinione da uomo): non sarebbe meglio costruire la propria autostima per arrivare al punto in cui non c’è bisogno dell’approvazione dell’altro per stare bene?
      Ricorda che per noi maschietti non c’è nulla di più sexy (e forse anche intimidente) di una donna che conosce il suo valore 😉

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In questo articolo parleremo di come conoscere se stessi attraverso 20 domande potenti ed efficaci.

Per indagare la propria personalità si parte sempre da un dubbio, una domanda appunto, che ci dà la spinta a iniziare una ricerca per trovarne la risposta.

Questo è un viaggio che, con diversi livelli di intensità e consapevolezza, tutti facciamo, un viaggio che è assolutamente necessario.

C’è un motivo, d’altronde, per cui il motto “conosci te stesso” viene ripetuto da millenni.

Non si può vivere bene altrimenti, non si può essere felici.

Capire se stessi salva dall’infelicità

Immagina di svegliarti tutte le mattine con una sensazione di vuoto e tristezza dentro.

Di seguire sempre la stessa routine facendo tutto in automatico: colazione, caffè, doccia, metro, lavoro, pranzo, lavoro, palestra, spesa, cena, film, letto.

Immagina di avere sempre le stesse conversazioni, di sentire di stare vivendo senza vitalità, senza gioia, in una sequenza di momenti totalmente prevedibili e scontati.

Pesante eh?

Non c’è niente di peggio che sentire di non avere controllo sulla propria vita, essere disorientati, non sapere dove andare, cosa fare, e perché.

Non sapere cosa fare per stare meglio rende quasi ciechi, confusi, amareggiati.

Vivere senza conoscere se stessi è un modo per essere infelici, per sentirsi estremamente soli e impotenti.

Perché per quanto possiamo capire che è importante aver bisogno degli altri per stare bene, non è sempre facile capire che abbiamo anche, e specialmente, bisogno di noi stessi per stare bene.

Dopo tutto, siamo la persona con cui passiamo la maggior parte del tempo, se non ci conosciamo come potremmo mai vivere una vita gratificante?

Se hai una relazione con una persona allergica al glutine, e le vuoi bene, farai di tutto per aiutarla a evitare pasta e pane ed eviterai tu stesso di cucinarle alimenti che contengono tracce di quell’elemento.

Ugualmente, se vuoi bene a te stesso/a, farai di tutto per evitare di stare in situazioni a cui sei intollerante, per creare una situazione di vita che rispecchi quello che sei dentro.

Beh, la consapevolezza è sapere chi sei dentro, a cosa sei intollerante.

Ci salva dal malessere, dall’infelicità, ci permette di trovare l’antidoto giusto a un preciso dubbio o problema esistenziale.

come conoscere se stessi

Leggi anche: Come migliorare la propria vita, 4 scelte fondamentali

Come conoscere se stessi: partire dai valori

Prima ancora di passare alle domande per approfondire la conoscenza di sé, se vogliamo capire come conoscere se stessi dobbiamo partire da una cosa fondamentale: i valori.

I valori sono alla base di ogni scelta che facciamo, guidano le nostre emozioni e influenzano il nostro livello di soddisfazione.

Sono lo standard attraverso il quale giudichiamo la nostra vita e la nostra felicità.

Sono il nostro centro, il punto di partenza da cui parte il nostro senso di sicurezza, autostima, potere ed efficacia personale.

Se il nostro centro è il denaro, per esempio, valuteremo il nostro valore sulla base della nostra ricchezza e saremo vulnerabili a qualsiasi cosa minacci la nostra sicurezza finanziaria.

Se il nostro centro è la nostra relazione, la nostra sicurezza deriverà da come andranno le cose col nostro partner, e tutto quello che può compromettere la relazione sarà valutato come un pericolo alla nostra stessa vita.

Valori sani e non sani

Ci sono innumerevoli valori, innumerevoli centri, su cui possiamo basare tutto quello che facciamo, ma solo alcuni di loro sono sani.

Per valori sani intendo valori che non cambiano nel tempo, che ci portano a essere persone migliori, a compiere azioni giuste che non ledono la felicità di nessuno.

Di contro, per valori non-sani, intendo quei valori che cambiano nel tempo, che non ci danno certezze, che ci portano a compiere atti immorali, che ci portano a denigrare noi stessi o gli altri.

Il denaro e il potere sono valori non-sani, per intenderci.

L’integrità morale e la crescita personale sono valori sani.

I primi non sono sotto il nostro totale controllo, i secondi sì, partono da principi interiori e e ci portano a giudicare noi stessi sulla base di quanto cresciamo e quanto bene facciamo al prossimo.

Se chiunque può portarti via il denaro o il potere nessuno può portarti via la moralità o annullare il tuo percorso di crescita.

Per questo è fondamentale valutare attentamente la solidità dei nostri valori, capire se si basano su qualcosa che abbiamo dentro o qualcosa che è al di fuori di noi.

Per questo, per capire noi stessi, la prima domanda da fare è.

Cosa è importante per me?

Leggi anche: Vivere all’estero ti aiuta a capire chi sei

Guarda al passato per capire chi sei

Per rispondere a questa prima domanda puoi facilmente guardare al tuo passato e alle scelte che hai fatto.

Sei andato all’università? Perché?

Hai cominciato subito a lavorare? Perché?

Ti sei fatto una famiglia? Perché?

Ognuna di queste eventualità contiene una scelta che potrebbe basarsi su un valore preciso, rispettivamente il valore della carriera, della sicurezza finanziaria e della famiglia.

Se oggi ti ritrovi a non essere soddisfatto/a della tua vita, probabilmente vuol dire che quello che per te è importante è cambiato nel tempo, o che in realtà non lo è mai stato e hai bisogno di trovare altri valori, altre priorità.

E per farlo dovrai imparare a immaginare il tuo futuro.

Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella vita ed essere più appagati

Guarda al futuro per capire cosa vuoi

Nel suo libro Le 7 regole per avere successo, Stephen Covey spiega che un modo per capire chi vogliamo essere nella vita è quello di cominciare dalla fine, cioè dal nostro funerale.

Per cosa vorrai essere ricordato quando non ci sarai più?

Cosa vorresti che dicessero le persone al tuo funerale?

Immagina di essere sul letto di morte e di guardare indietro a tutto quello che hai fatto, cosa vedi? Quali risultati hai ottenuto?

Questo è un ottimo modo di valutare le azioni e le scelte che prendiamo nel presente, perché ci porta a proiettarci sulle loro conseguenze, aiutandoci a pianificare obiettivi a lungo e breve termine.

Il modo opposto, quello secondo me più sbagliato, è quello di agire così come viene, affidandosi alle reazioni impulsive, evitando di affrontare le cose difficili, facendo sempre la cosa che viene più spontanea.

Non me ne volete, ma credo che a volte la spontaneità, intesa come azione automatica, non sia del tutto utile alla felicità.

C’è chi è spontaneamente insicuro e impossibilitato a essere vulnerabile e aperto nelle relazioni.

C’è chi preferirebbe, spontaneamente, di non fare nulla tutto il giorno e oziare sul divano.

Ci sono casi in cui la spontaneità e le reazioni automatiche ci allontanano dalle cose che vorremmo.

La consapevolezza e la conoscenza di sé stessi servono proprio a evitare di sabotarci l’esistenza, a trattenere il bambino impulsivo e ignaro che è dentro di noi.

Leggi anche: Vuoi capire chi sei veramente? segui questi 7 step

Come conoscere se stessi, 20 domande

Dopo aver parlato dell’importanza di individuare i propri valori per conoscere meglio se stessi, passiamo adesso a delle domande utili a chiarirci ancora di più le idee.

Ovviamente non mi aspetto che sarai in grado di rispondere con sicurezza a tutte, ma credo che basti riflettere su di esse per far sì che un giorno arrivi la risposta vera, quella che potrebbe avere un impatto enorme sulla tua vita.

1. Cosa faresti se ti dicessero di avere a disposizione gli ultimi 10 anni di vita?

Restringere l’arco temporale dell’esistenza aiuta parecchio a dare un po’ di prospettiva.

Di solito dicono, vivi come se fosse l’ultimo giorno, ma credo che sia ormai diventato un cliché, senza menzionare che è alquanto improbabile che tu scopra di avere un solo giorno da vivere.

Invece 10 anni è il periodo perfetto, ci permette di poter vedere la fine di tutto, di dare importanza a ogni anno, ogni mese, ogni giorno.

Pensa allora che la tua vita finirà tra dieci anni, e chiediti che scelte faresti oggi se questo fosse il caso.

2. Di cosa hai paura?

Le paure sono un po’ come dei recinti che limitano la nostra libertà.

Se vuoi capire chi sei fino in fondo ti potrebbe essere d’aiuto interrogarti su quali siano le paure che hanno influenzato maggiormente la tua vita e immaginare chi saresti senza.

3. Qual’è la tua caratteristica migliore? E la peggiore?

Immagina di dover parlare di te a qualcuno che non ti conosce, cosa diresti di te?

Fa una lista dei tuoi punti di forza e dei tuoi punti deboli. E poi chiediti come puoi sfruttare i primi e migliorare i secondi.

4. Ti capita spesso di sentirti triste senza motivo?

I nostri stati d’animo sono gli indicatori più utili per capire se stiamo vivendo nel modo giusto o sbagliato.

Ci danno informazioni sul nostro Io interiore, sull’efficacia del nostro stile di vita.

Emozioni negative come la tristezza potrebbero comunicare che c’è qualcosa da cambiare, che sia questa una prospettiva, una circostanza o una relazione.

5. L’idea di 3 giorni di solitudine che effetto ti fa?

Come ti sentiresti all’idea di passare 3 giorni solo con te stesso?

Riesci a trovare cose da fare quando non c’è nessuno a farti compagnia? O ti senti a disagio e vorresti trovare delle distrazioni?

La capacità di stare bene con sé stessi comporta lo stare bene anche da soli e, di contro, non stare bene da soli potrebbe significare che non ci si conosce poi così bene, che non ci si vuole poi così bene.

6. Come sei cambiato da quando eri piccolo?

Se non è facile capire dove stiamo andando, è quantomeno fattibile capire da dove siamo venuti.

Come già detto, il passato è una fonte preziosa di informazioni su chi eravamo, chi siamo e chi potremmo essere.

7. Come ti senti quando ripensi al tuo passato?

Per quanto però ci possono essere molte informazioni nel passato bisogna stare attenti a quelle che si selezionano.

Se ripensiamo solo agli eventi negativi ci sentiremo in un modo, se ripensiamo agli eventi postivi ci sentiremo in un altro.

Non è per niente facile essere obiettivi quando si ripensa al passato, ed è pressapoco impossibile ricordare ogni singolo momento vissuto.

Prova quantomeno a non tendere troppo da una parte o dall’altra, a non concentrarti troppo sulle cose brutte.

Sono sicuro che ci sono attimi di bellezza nella vita di ognuno di noi e che bisogna imparare a riconoscerli e ricordarli.

8. Cosa è importante per te in un partner?

Le persone con cui stiamo ci rispecchiano o, quanto meno, rispecchiano una parte di noi.

Cosa cerchi tu in un partner? Che tipo di persona ti piace?

Visto che giudicare se stessi non è sempre facile, possiamo farci un’idea migliore di come siamo fatti osservando le persone con cui passiamo la maggior parte del tempo.

Leggi anche: Cos’è l’amore e quando si ama veramente

9. Come ti vedi tra 5 anni?

Abbiamo già detto che penare al proprio funerale è un trucchetto mentale che ti porta a capire cosa vuoi essere nella vita.

Analogamente puoi portare la tua immaginazione in un punto un po’ più vicino del futuro, per esempio 5 anni da adesso.

Cosa vedi? Come ti vedi? Cosa speri?

Leggi anche: Cose da sapere se si vuole avere più fiducia in se stessi

10. A parte il tempo e il denaro, cosa vuoi dalla vita?

Volere soldi o volere più tempo è comune a ogni essere umano del mondo.

Non dice nulla di noi.

Allora pensa a cosa vorresti dalla vita se il tempo e il denaro non fossero una risposta possibile, o se avessi già entrambi.

È lì che risiede la tua vera essenza, quindi pensaci bene.

11. Cosa ti rende felice?

Ripensa ai momenti più belli e felici della tua vita, cosa hanno in comune?

Quando ti sei sentito perfettamente in pace con te stesso e con il mondo?

12. In che modo potresti renderti utile agli altri?

In altre parole, quali talenti o caratteristiche hai, o potresti avere, che potrebbero portare un valore aggiunto alle vite degli altri?

Non devono essere per forza abilità spendibili nel mondo del lavoro, anche la semplice capacità di ascoltare potrebbe nascondere un’attitudine alla psicologia o al counseling.

Non sottovalutare neanche il più piccolo dei tuoi pregi.

13. Cosa cattura il tuo interesse giornalmente?

Di cosa ti piace parlare? Quand’è che senti la tua attenzione ravvivarsi?

Quali attività ti fanno sentire entusiasta e completamente coinvolto?

14. Qual’è la tua idea di successo?

Questa è la domanda che serve anche a individuare il tuo centro, il tuo valore guida.

Cosa vuol dire per te successo? Avere una famiglia? Avere una casa? Essere in buona salute?

15. Quali persone ammiri?

Chi sono i tuoi punti di riferimento? Quali caratteristiche hanno?

E se potessi prendere qualsiasi qualità da loro, quale sarebbe?

16. Cosa ti manca dalla vita? E come potresti ottenerlo?

La pienezza nella vita si raggiunge attraverso un mix di cose materiali e affettive, spirituali ed cognitive.

In quale area della vita sei maggiormente insoddisfatto? Relazioni? Lavoro? Amicizie? Divertimento?

Analizza le tue insoddisfazioni circoscrivendole a delle aree precise, cioè non farti prendere dall’idea che sia tutto negativo.

Individua una mancanza alla volta e poi chiediti cosa potresti fare per risolverla.

17. Di cosa non potresti fare a meno? Cosa è per te essenziale?

Quali sono i tuoi punti cardine, le persone di cui non potresti fare a meno, gli interessi di cui non potresti fare a meno?

Oppure, se la tua casa stesse andando a fuoco e potessi correre dentro per salvare solo 3 cose, quali salveresti?

18. Se dovessi definire te stesso in due o tre qualità, quali sceglieresti?

Cosa ti definisce maggiormente?

Forse sei curioso o altruista, forse sei una che lavora sodo o che sa trovare soluzioni ai problemi.

Scegli tra le tue qualità quella che ti rappresenta maggiormente.

Leggi anche: Enneagramma test della personalità online

19. Sogni mai di scappare via e cambiare vita?

Cioè, ti senti mai bloccato in una vita che sembra non appartenerti?

Se ti dessero il via libera domani e ti dicessero che puoi andare dove vuoi e afre quello che vuoi senza conseguenze, cosa faresti?

20. Ti vuoi bene?

La domanda più importante.

All fine di tutto, dopo tutti i discorsi sui valori e gli interessi e quello che siamo e non siamo, la sola cosa che conta è l’amore per noi stessi.

Se no ci amiamo non avremo mai l’interesse di conoscerci, e non avremo mai l’interesse a scoprire come essere d’aiuto agli altri, come amare gli altri.

Volersi bene è la chiave.

Volersi bene è la destinazione.

Se non ti vuoi bene vuol dire sicuramente che hai fatto un errore di giudizio, perché non si può vivere con una persona che si odia ogni giorno della vita, è impossibile.

La tua vita dovrebbe allora essere incentrata alla ricerca di un motivo per amarti, e se vuoi un consiglio spassionato non dovresti mai fermati fino a quando non l’avrai trovato.

Lettura consigliata: Piacersi non piacere di Enrico Rolla

Un best seller della psicologia il cui successo è innegabile. 20 ristampe tra il 1987 e il 2015.

Vivere con serenità i nostri rapporti con gli altri significa comportarsi con l’equilibrio di chi non subisce e non aggredisce.

Piacersi non piacere aiuta a cercare e a realizzare questo equilibrio su noi stessi con semplicità nella vita di tutti i giorni, analizzando le piccole difficoltà dei rapporti quotidiani per risolverle o ridimensionarle.

Un libro gradevole e vivace, lontano da ogni pedanteria. Un aiuto a crescere per i giovani, a emergere in mezzo agli altri per i timidi, a imparare a sorridere per gli aggressivi.

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4 commenti su “Come conoscere se stessi, 20 domande utili”

  1. Grazie della vostra condivisione di questo articolo.mi servi per la vita e come conferma che ho scelto bene la strada della mia vocazione religiosa.

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L’invidia è una brutta bestia.

Ti si attacca sulla spalla e ti mostra su quello che fanno gli altri, poi ti guarda e ti dice “e tu?”.

E tu cominci a valutare la tua vita sulla base di uno standard impossibile da raggiungere, perché hai seguito un altro percorso e hai altre potenzialità rispetto alla persona che invidi.

Solo che… se passi il tempo a concentrarti su di lei non le scoprirai mai.

L’invidia e quello che fa al nostro cervello

L’invidia non è nata con i social media e neanche con l’avvento del capitalismo, ma esisteva molto, molto prima.

Già millenni fa c’era sicuramente chi invidiava il vicino che aveva più terra da arare, una moglie più giovane, un gregge più numeroso.

In più, i ricercatori hanno scoperto che non sono solo gli umani a provare invidia, ma anche altri mammiferi come i topi o le scimmie.

In qualsiasi specie che viva in gruppo, insomma, ci saranno delle aspettative di giustizia ed equità, e ogni volta che queste aspettative verranno disattese ci saranno delusioni.

Pare dunque che il meccanismo biologico dell’invidia sia connesso al circuito della rabbia e dello stress, il quale manda segnali di agitazione tutte le volte in cui si ritiene di avere meno rispetto a un termine di paragone.

In aggiunta, l’invidia ci porta a distorcere la realtà in due modi:

  1. ci fa idealizzare la persona invidiata e denigrare noi stessi;
  2. ci bistrattare la persona invidiata per aumentare il nostro senso di valore.

In entrambi i casi, si proverà una sorta di vergogna nascosta che sarà alquanto difficile da ammettere, soprattutto a sé stessi.

Si potrebbe così scambiare l’invidia per attrazione o, al contrario, per un sentimento di ostilità nei confronti del successo altrui.

In casi del genere il nostro cervello va un po’ in panne, i pensieri si fanno aggressivi e si sente una sorta di malessere fisico dovuto alla percezione delle nostre mancanze.

È qui che l’invidia si fa insidiosa in quanto può indurre a vittimismo e insicurezza o, peggio ancora, all’odio nei confronti di sé stessi o di altri.

Inutile dire che, con uno stato d’animo del genere, diventa davvero difficile trovare appagamento nella propria vita.

l'invidia

Leggi anche: Il vero significato del rancore, la storia dei due monaci

Perché siamo invidiosi: ideali interni vs. esterni

Come già accennato, siamo invidiosi perché siamo animali sociali e ci viene naturale paragonare quello che abbiamo noi con quello che hanno gli altri.

Da che esiste l’uomo esistono anche contrapposizioni e guerre dovute all’invidia di un gruppo verso un altro o di una classe sociale verso un’altra.

Il motivo per cui ciò avviene è che ogni essere umano ha un bisogno biologico di valutare sé stesso per capire se sta vivendo bene la propria vita, e il modo in cui lo fa è sempre sulla base di un ideale che può essere interno o esterno.

  • Se questo ideale è interno, cioè basato sulla visione di qualcosa che voglio raggiungere solo per me stesso, allora può fungere da fattore motivante per fare meglio nella vita.
  • Se, di contro, questo ideale è esterno e viene usato non come fattore motivante ma come parametro per valutare quello che ci manca, allora diventeremo invidiosi.

In quest’ultimo caso l’ideale di confronto non servirà tanto a fornire obiettivi ma a rafforzare insicurezza e disistima, bloccando del tutto le possibilità di crescita e serenità personale.

Ricordiamo a tal proposito che l’invidia ci priva di chiarezza e apertura mentale, ed è dolorosa proprio perché nasce da una sensazione di essere difettosi e incapaci.

Quel che è peggio è che mentre compararsi a un ideale auto-determinato ci dà la possibilità di cambiare e acquisire fiducia in noi stessi in modo indipendente dagli altri, paragonarsi agli altri fa sì che per stare meglio noi devono avere qualcosa in meno loro.

Il risvolto dell’invidia: Schadenfreude

I tedeschi hanno un termine per quel sentimento di piacere che deriva dal venire a sapere della sfortuna degli altri: Schadenfreude.

Questo senso di piacere è un po’ il risvolto dell’invidia, il suo lato, per così dire, positivo – anche se non c’è nulla di positivo nel gioire dei mali degli altri.

Provare invidia per i successi altrui, o gioia per le disgrazie altrui, sono dei segni molto chiari di mancanza di autostima.

Ci sono molti motivi per cui una persona non arriva a costruire un giusto livello di fiducia e stima nei confronti di sé stessa, uno tra tanti l’aver avuto un genitore assente o poco coinvolto.

A prescindere dalle motivazioni, però, quello che conta è che sia l’invidia che lo Schadenfreude sono principalmente dei sintomi di una scarsa consapevolezza personale e non le cause dirette dell’infelicità.

Come superare l’invidia, 4 consigli

Teniamo a mente quest’ultima osservazione perché è la chiave per superare l’invidia:

se proviamo rabbia davanti al successo altrui non vuol dire che dobbiamo sperare nell’insuccesso altrui, ma che probabilmente abbiamo qualcosa su cui lavorare.

E questo qualcosa è la nostra autostima, il primissimo punto di partenza per una vita che sia libera, il più possibile, dall’invidia e dalla tendenza a paragonarsi agli altri.

Ecco dunque quali sono i miei 4 consigli per superare questa brutta abitudine:

1. Concentrati sul costruire la tua autostima

Il primo consiglio per superare l’invidia è concentrarsi sulla propria autostima e fiducia personale.

Ma cosa vuol dire avere autostima?

Vuol dire avere la conoscere se stessi, sapere chi si è, quello che si sa fare e dove si vuole arrivare nella vita.

Come dicevamo prima ci sono ideali interni e ideali esterni.

La fiducia e il nostro senso di auto-efficacia aumentano tutte le volte in cui le nostre azioni ci portano ad avvicinarci ai nostri ideali interni.

Se io mi pongo un obiettivo e lo raggiungo sono efficace e acquisisco fiducia nella mia capacità di raggiungere altri obiettivi in futuro.

Se, al contrario, mi pongo un obiettivo e non lo raggiungo, potrei pensare di non avere le capacità giuste per avere successo e perderò fiducia in me stesso.

Il trucco per evitare questa seconda evenienza sta nel secondo consiglio.

2. Concentrati su obiettivi che siano personali e raggiungibili

Come già detto, le persone invidiose tendono a volere quello che hanno gli altri, a valutare la loro vita in base agli obiettivi che hanno raggiunto gli altri.

Se vogliamo avere più autostima e provare meno invidia, è essenziale individuare obiettivi che siano solo nostri.

Inutile puntare ad avere un lavoro di dirigente come il nostro ex compagno di classe in quanto ci sono un percorso e una volontà precisi per arrivare a quel punto.

Magari la nostra strada è un’altra e ci potrebbe rendere molto più felici.

Troviamo allora questa strada, a prescindere da quello che fanno gli altri, perché se non lo facciamo potremmo non solo ritrovarci a fallire in qualcosa che non abbiamo veramente voluto, ma anche ritrovarci ad avere successo in qualcosa che non ha importanza.

E questo potrebbe essere anche peggio.

3. Ricordati di dire grazie

Ok abbiamo parlato di ideali e di obiettivi, adesso concentriamoci sul presente, su quello che abbiamo già.

Anche se non sceglierai mai di fare nulla di quello che ti ho consigliato, puoi sempre sconfiggere le insidie dell’invidia grazie al sentimento più sano e costruttivo del mondo: la gratitudine.

Come spiega Ivan Nossa nel suo libro, Il potere e la magia della gratitudine, la gratitudine è l’antidoto principale contro la negatività e la sofferenza.

È il primissimo punto di partenza in un qualsiasi viaggio di crescita e scoperta personale, il primo scalino di ogni processo di cambiamento e guarigione.

Quando dici grazie per quello che hai, pure se credi di non avere niente, dai a te stessa la possibilità di sentirti ricca, di una ricchezza che solo tu puoi avere, e nessun altro.

Allora la tua attenzione passa da quello che hanno gli altri e tu non hai a quello che tu hai e gli altri non hanno, ed è così che l’invidia si sgonfia.

4. Non paragonarti agli altri, ma paragonati a chi eri ieri

Non so se lo sai già, ma paragonarsi agli altri non serve.

Se vuoi paragonarti a qualcuno, paragonati a chi eri in passato, scopri in che modo oggi sei diverso da ieri.

Questo è l’unico metro che conta per valutare il proprio successo personale, la strada che si è percorsa negli anni.

Se facendo questa riflessione ti renderai conto che sei peggiorato, allora cambia rotta, se eri migliore in passato vuol dire che potrai tornare a essere migliore in futuro.

Se invece ti renderai conto che sei migliore oggi, vuol dire che in ogni caso avrai avuto successo, che sarai andato/a avanti a prescindere da dove andavano gli altri.

E lì, proprio lì, troverai un pretesto, uno dei tanti, per smetterla di provare invidia e provare invece fierezza per essere quello che sei.

VIDEO: Come costruire l’autostima e trasmetterla agli altri

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Il selfie è l’autoritratto dei tempi moderni, il cui significato potrebbe andare ben oltre una semplice foto di sé stessi, specialmente quando diventa un modo per costruire un’identità apparente diversa da quella reale.

È importante sottolineare sin da subito che, visto che permette di imbellire la propria immagine, nessuno è completamente vulnerabile all’attrattiva di un selfie.

Origine e significato nascosto dei selfie

Appena 5 anni fa la stessa parola “selfie” non era ancora entrata far parte a pieno titolo del linguaggio comune.

Grazie alle nuove tecnologie in fatto di smartphone farsi degli autoscatti diventava sempre più semplice e i selfie si diffondevano tra chi li voleva usare per raccontare la propria vita.

In sostanza, sono diventati una sorta di interfaccia tra noi e il mondo.

Ci portarono chiederci come ci vedranno gli altri in un determinato contesto, sotto una determinata luce.

Fare selfie significa anche saper scegliere la posa migliore o il filtro migliore, saper rendere quello che si fa più “glamour” e saper proporre, per lo meno in apparenza, una miglior versione di noi stessi.

Ovviamente queste non sono considerazioni che si fanno prima di scattassi una foto perché ormai è quasi un gesto totalmente normale e spontaneo.

Raramente ci si ferma a pensare al motivo per cui abbiamo il bisogno di condividere la nostra vita e la nostra immagine.

Raramente ci si interroga sul significato nascosto che c’è dietro l’abitudine, e per alcuni l’ossessione, dei selfie.

Leggi anche: La solitudine oggi, da dove nasce, cosa comporta e come si può combattere

L’impatto psicologico dei selfie che facciamo

I selfie che facciamo e quelli con cui ci confrontiamo influenzano la percezione che abbiamo di noi stessi e hanno dunque un impatto psicologico.

Nel suo libro Selfie. Narcisismo e Identità Giuseppe Riva spiega come i selfie che facciamo diano delle indicazioni preziose per comprendere meglio il rapporto con la nostra immagine e il modo in cui interagiamo con il nostro Io.

Per dirla diversamente, si potrebbe dire che la frequenza con cui facciamo i selfie sia indicativa del livello di consapevolezza che abbiamo.

E per cercare di rappresentare graficamente l’interazione tra Io e Me, Riva cita un famoso modello di comunicazione chiamato matrice di Johari, secondo cui esistono 4 parti del sé: 

  1. Il sé pubblico, rappresentato da quello che noi sappiamo di noi e che sanno gli altri. 
  2. Il sé privato, quello che noi sappiamo di noi ma che no volgiamo far vedere agli altri. 
  3. Il sé cieco, che è tutto quello di cui non siamo consapevoli ma che è evidente agli altri.
  4. Il sé sconosciuto, che è la parte di noi non espressa, inaccessibile sia a noi che agli altri. 
selfie significato

Leggi anche: Cos’è l’ego e perché è importante distaccarsene

Cosa vuol dire, a livello psicologico, farsi molti selfie

Le persone che si fanno e che pubblicano molti selfie (condizione che superati certi limiti può essere considerata come un disturbo psicologico chiamato “selfite”) prestano molta attenzione al sé pubblico, ovvero alla parte di loro che vogliono mostrare al mondo.

Si vedono principalmente dall’esterno e il loro senso di valore deriva principalmente dall’apprezzamento degli altri.

Il loro obiettivo diventa il “mi piace”, la loro motivazione principale attirare l’attenzione, divertire e compiacere i propri follower

Quando si arriva a casi estremi la persona arriva ad essere completamente dis-allineata con sé stessa: perde ogni tipo di facoltà di introspezione e anche la capacità di vedere sé stesso/a senza l’interposizione di uno schermo.

La storia di Essena O’Neill

Un esempio del genere fu quello di Essena O’Neill, una fashion blogger australiana che a soli 18 anni è riuscita a raccogliere qualcosa come mezzo milione di follower su Instagram in soli tre anni. 

Nonostante la sua notorietà le permettesse di guadagnare più di mille euro a post, alla vigilia dei suoi 19 anni Essena entrò in crisi e iniziò a mettere in discussione tutto. 

Con una serie di post diventati virali lei spiegò che

i selfie non sono la realtà, ma piuttosto una versione edulcorata di quello che vorremmo essere ma che non siamo, una grande omissione di tutto ciò che ci rende imperfetti e quindi normali.

Prendi questa foto, per esempio, Essena stessa ammette che per ottenere una tale qualità ha dovuto fare più di 50 scatti e poi modificare la foto per molto tempo su diverse applicazioni di foto editing.

selfie significato

Leggi anche: Enneagramma test della personalità online

L’impatto psicologico dei selfie degli altri

Eccoci dunque all’impatto che i selfie degli altri possono avere su di noi.

Per cominciare, non sempre la felicità e la spontaneità mostrate in alcuni selfie corrispondono al vero.

Senza la sincerità della didascalia nella foto sopra, quello che noi vedremmo sarebbe solamente una bella ragazza sorridente.

Potremmo trarre delle conclusioni su di lei guardandola (è bella, famosa, ricca, divertente, ecc…), e forse trarremmo anche delle conclusioni su noi stessi (sono meno bella, meno famosa, meno ricca, ecc…).

Ma quante volte riusciamo a vedere oltre quello che sembra?

Quante volte ci chiediamo cosa c’è dietro quello scatto? Quante volte ci rendiamo pienamente conto di quanto un’immagine sia insufficiente a raccontare la totalità di una persona?

selfie-significato

Prendiamo altre due foto pubblicate da Essena.

Nel post A SINISTRA lei dice: Non è vita reale“. Non ho pagato per questo vestito, ho fatto tantissime foto per tentare di apparire sexy per Instagram. La formalità mi ha fatto sentire estremamente sola…”        

Nel post A DESTRA: “Non c’è nulla di figo nel passare tutto il tuo tempo a editare foto di te stessa per provare al mondo che sei abbastanza. Non lasciare che siano i numeri a definire chi sei. Non permettere a nessuno di dirti che non sei abbastanza senza trucco, gli ultimi trend, più di 100 mi piace su una foto, o un corpo da spiaggia… Quando la smetti di paragonarti agli altri inizi a vedere la tua scintilla e la tua individualità“.

Il vero significato dei selfie e l’effetto dei social

La completa scissione tra ciò che era e ciò che mostrava al pubblico alla fine ha spinto Essena a lanciare l’hashtag #socialmediaisnotreal (i social media non sono reali) per spiegare come non bisogna lasciarsi ingannare dalla bellezza costruita delle foto che vediamo sui social.

L’approvazione altrui vale a ben poco se non si ha coscienza della propria identità.

Se per arrivare ad essere un influencer bisogna porre molta attenzione al sé pubblico, per essere felici bisogna comprendere sé stessi, cioè prestare maggior attenzione al sé sconosciuto. 

Come dice Essena, abbiamo sviluppato una concezione molto limitata di felicità e di valore personale, una concezione che è legata al numero di follower e di like, una concezione che tiene poco conto del nostro valore innato.

Il numero di selfie che facciamo e che postiamo rappresenta la cartina di tornasole che mostra il nostro livello di presenza e partecipazione alla vita reale.

Più se ne fanno e più vuol dire che si è disconnessi dalla parte più vera di sé.

Più ci si ossessiona con i like e con i follower e più si è potenzialmente insicuri dentro.

Ed è questo il vero significato dei selfie, la vera storia che c’è dietro l’uso eccessivo dei social media: il sintomo di un narcisismo che vuole nascondere l’ansia di essere imperfetti e inadatti a ricevere amore per quello che si é.

Nuove malattie mentali: come i social riprogrammano il cervello umano (Video)

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Vivere con poco è un po’ l’antitesi del pensiero moderno.

Dal momento in cui siamo nati ci viene detto di comprare, di soddisfare ogni nostro desiderio, di non accontentarci mai.

Eppure per vivere bene non si deve necessariamente guadagnare di più, ma si può anche volere di meno o… imparare a spendere meglio.

Dopotutto, non tutto ciò che ha valore nella vita deve essere caro anzi, spesso le cose migliori, come il tempo che si passa insieme ai propri cari, sono gratis e hanno più valore dei regali (a volte inutili) che compriamo.

Ecco allora che vivere con poco potrebbe essere la soluzione allo stress nato dal troppo lavoro, dall’esigenza di comprare cose che sembrano indispensabili solo in apparenza.

Vivere bene con poco: il metodo Kakebo

In base a dove abiti, se in città o in un paesino, in centro o periferia, nord o sud Italia, vivere con poco può essere più o meno facile.

È ovvio, per esempio, che vivere con 400 euro al mese sia più fattibile in un paesino del sud che in centro a Milano ma, a parità di condizioni, si può vivere ovunque anche con il minimo necessario se si impara a:

  1. gestire le proprie finanze in modo coscienzioso;
  2. e non farsi condizionare dalle tecniche pubblicitarie spilla-soldi.

Partiamo col punto numero 1.

La gestione dei soldi

Un metodo utilissimo per risparmiare viene dai maestri della vita minimalista, i giapponesi, e si chiama Kakebo, che letteralmente significa “libro dei conti in casa”.

vivere con poco - il metodo Kakebo

In Giappone tutti usano questo sistema, anche i bambini, che fin dalla tenera età imparano a tenere nota delle entrate e delle spese.

Del resto, nell’era delle carte di credito, degli acquisti facili con un click dal cellulare e delle pubblicità onnipresenti che ci spingono a comprare, perdere traccia di quello che si spende è estremamente facile.

Consigli pratici per vivere con poco

Il metodo Kakebo parte dunque da delle linee guida, dei consigli per spendere meno ed evitare il superfluo:

1. Stabilisci un obiettivo e fa una lista

Se vuoi davvero vivere con poco l’intenzione da sola non basta.

  • Scegli qual’è il tuo budget mensile per ogni categoria di spesa, per esempio spese di prima necessità, tempo libero, cultura, ecc.;
  • Fa una lista delle cose che ti servono prima di andare al supermercato ed evita di comprare a pancia vuota – è scientificamente provato che quando abbiamo fame spendiamo di più;
  • Stabilisci un obiettivo settimanale, mensile o annuale di quanto vuoi spendere e quanto vuoi risparmiare.

2. Aspetta 10 secondi

Spessissimo compriamo cose impulsivamente, non pensando.

Ogni volta che sei in un negozio, o al supermercato, e ti ritrovi a mettere nel carrello un articolo in offerta pensando che ti potrebbe servire, conta fino a 10, e poi chiediti di nuovo se ne hai realmente bisogno.

Se non riesci a trovare un motivo valido per comprarlo rimettilo a posto, magari dì a te stesso/a che tornerai a prenderlo il giorno dopo, vedrai che nella maggior parte dei casi non lo farai.

3. Aspetta 30 giorni

Se sei una persona che si fa prendere dall’entusiasmo ogni volta che Amazon ti mostra l’ultimo gingillo tecnologico o il libro che avevi cercato su Google un’ora prima frena.

Datti 30 giorni, o anche una settimana, e vedi se la tua voglia di possedere quell’articolo rimane immutata – e se dopo questo tempo credi di averne ancora bisogno acquistalo.

4. Evita i debiti… come la peste

Se usi carte di credito, salda il pagamento ogni mese ed evita di spendere di più del tuo limite di spesa.

Evita a tutti i costi di chiedere prestiti o finanziamenti a meno che non sia estremamente necessario.

Non farti convincere da seducenti slogan pubblicitari come “è meno di un caffè al giorno” oppure “con soli 200 euro al mese è tua”.

Le spese mensili fisse creano stress e nel tempo potresti ritrovarti a dover ancora pagare le conseguenze di una scelta fatta diversi mesi o anni prima.

Ricorda, i debiti e le rate da pagare sono come delle catene che ti impediscono di vivere appieno la tua libertà.

5. Non preoccuparti di dire di no

Nelle più disparate situazioni, dal mercatino della domenica all’ufficio del nostro consulente finanziario, c’è sempre qualcuno che vuole venderci qualcosa.

E per farlo faranno di tutto per abbassare le nostre resistenze e convincerci, anche e solo per qualche secondo, a mettere una firma o a tirar fuori il portafoglio.

Beh, è proprio in questi casi che bisogna essere forti e saper dire di no.

Ricorda che sarai tu a dover sacrificare qualcosa tutte le volte che fai un acquisto superfluo, possibilmente dovendo rinunciare a qualcosa di necessario dopo.

6. Limita al minimo e liberati di ciò che non serve

Uno studio svolto negli Stati Uniti ha riscontrato che la maggior parte delle persone utilizza solamente il 20% dei vestiti che possiede.

Allo stesso modo, la maggior parte degli oggetti che possediamo non ha nessun valore emotivo per noi ma, semplicemente, molto spesso possediamo soltanto per possedere.

E te ne renderai facilmente conto facendo l’inventario di ogni oggetto che hai in casa – vecchi jeans nell’armadio, soprammobili, utensili della cucina, prodotti di bellezza – e chiedendoti quando è stata l’ultima volta che lo hai usato.

Ci scommetterei uno stipendio che la maggior parte di quello che possiedi serve principalmente a occupare spazio.

Allora prima di fare qualsiasi acquisto chiediti sempre se userai ancora quel particolare articolo tra un anno o due, e poi pensa a tutto quello che hai comprato uno o due anni fa e che hai completamente smesso di usare.

vivere con poco
Metodo Kakebo per vivere con poco

Leggi anche: Cosa fare per essere felici? Avere poche aspettative

Un ostacolo al vivere con poco, le strategie pubblicitarie che ci fanno spendere di più

I pubblicitari non saranno scienziati, ma di certo hanno imparato l’arte di usare la tua psicologia contro di te.

Tanya Lewis

Molti pubblicitari farebbero i salti mortali per far sì che tu non sappia questa verità: quasi tutto quello che ci provano a vendere in realtà non ci serve.

Per far girare l’economia è dunque necessario trovare tecniche pubblicitarie basate su una conoscenza approfondita della psicologia umana, così che anche quando non esiste un bisogno si possa creare dal nulla grazie alla giusta comunicazione.

Se tutti vogliono venderci qualcosa, insomma, per farlo devono conoscere la nostra mente (forse) meglio di quanto la conosciamo noi.

Per vivere con poco ed essere liberi dal desiderio di acquistare beni inutili è allora utile avere dimestichezza con le strategie di vendita che ci sono dietro molti slogan e cartelloni pubblicitari.

Leggi anche: Pensare troppo fa male al cervello

Esempi strategie di vendita spilla-soldi

1. Lotterie e Gratta e Vinci

Nel caso delle lotterie o dei gratta e vinci, le aziende del settore puntano soprattutto sull’inclinazione di molti a sopravvalutare sé stessi, o meglio, la loro fortuna

Secondo ricerche scientifiche, molte delle persone che giocano non comprendono bene le reali probabilità statistiche di vincere e, anche se percepiscono vagamente la difficoltà, preferiscono pensare che loro potrebbero essere speciali, l’eccezione alla regola. 

Per alcuni questo ragionamento aiuta a placare l’ansia provocata da problemi finanziari e gli fa vivere la seducente fantasia di poter risolvere tutti i loro problemi senza alcuna fatica. 

Le aziende operanti nel settore del gioco conoscono benissimo questo meccanismo mentale.

Per questo nelle pubblicità dei gratta e vinci si evidenzia sempre la possibilità di vittoria, si stuzzica la speranza, si raccontano le storie di chi vince, ma mai quelle di chi perde sempre. 

vivere con poco

Leggi anche: Vorrei essere felice ma non so come fare

2. L’influenza dell’atmosfera nei casinò e nei negozi

Se la regola per far giocare alla lotteria è non far capire quanto sia improbabile vincere, la regola per far giocare nei casinò è non far capire che a vincere è sempre il banco.

L’unico modo che i casinò hanno di guadagnare è di far perdere i clienti, così, per farli giocare di più, al loro interno vengono eliminati tutti quei segnali visivi che possano dare loro cognizione del tempo che passa, tipo orologi o finestre.

Alcuni casinò vengono progettati per creare un’atmosfera intima per il giocatore, preferendo agli spazi ampi ed affollati corridoi stretti e bui per le slot machine, cosicché chi gioca non abbia distrazioni e non si senta osservato.

Segnali sonori sono anche usati.

Nei casinò musica allegra e suoni ad alte frequenze mettono il giocatore di buon umore.

Lo scampanellio delle slot machine stimola il cervello e lo rende meno predisposto a ponderare le ramificazioni concrete delle azioni.

L’utilizzo della musica è anche uno dei trucchi usati per farci comprare di più.

È stato infatti riscontrato che quando nei negozi viene usata una musica di sottofondo ritmata il consumatore è più propenso all’acquisto, in quanto la musica fa innalzare il suo battito cardiaco e lo rende più eccitato.

In alcune catene di fast food, invece, la musica ad alto volume viene usata per far sì che chi mangia non si senta troppo comodo e finisca il suo pasto più in fretta. 

3. L’illusione della scarsità

In uno studio del 1975 è stato dimostrato che le persone desiderano di più qualcosa quando sanno che sta per finire. 

Per questo le compagnie aeree o i siti di Booking ti dicono che sono rimasti solamente due posti, o solamente due camere. 

Affrettati! Dice la pubblicità di un servizio telefonico, l’offerta è limitata e scade dopo i primi 1,000 iscritti!

4. L’avversione alla perdita: i periodi di prova gratuiti  

La gente tende a non voler rinunciare a quello che ha.

È la logica che sta dietro i periodi di prova gratuiti: una volta che siamo iscritti a un servizio o abbiamo provato un prodotto per un mese, saremo più reticenti a lasciarlo andare. 

Un altra sfaccettatura dell’avversione alla perdita e l’avversione all’esclusione.

Per questo si vedono pubblicità online che cominciano con, Tutti stanno impazzendo per questo nuovo prodotto! Non perdere quest’occasione!

5. Anchoring: l’illusione del risparmio

Questa tecnica pubblicitaria ci fa comparare il reale prezzo di un prodotto con un altro prezzo, che viene definito ancora.

Quando ci sono gli sconti, per esempio, ci viene detto che un articolo costerebbe 200 ma ci viene venduto a 100.

L’illusione qui sta nel comparare 100 a 200, e nel credere che in tal modo si “risparmi” 100 quando, in realtà, si spende 100.

6. Reciprocità 

Il principio della reciprocità è abbastanza ovvio: se qualcuno fa qualcosa per te tu vorrai fare qualcosa per lui/lei.  

Per esempio nei ristoranti che danno le mentine con il conto i clienti tendono a pagare di più in mance.

Mentre in quelli che regalano un bicchiere di prosecco a inizio serata i clienti sono più propensi a ordinarne un altro (a pagamento).

7. Status sociale 

A volte la gente vuole fare qualcosa semplicemente perché la fanno gli altri, o per sentirsi più importante agli occhi degli altri.

In alcuni programmi televisivi, per esempio, l’inserimento delle risate di un finto pubblico spinge gli spettatori a ridere di più (se gli altri ridono vuol dire che è divertente).

Ci sono poi prodotti che ci vengono presentati come simbolo di ricchezza e che vengono venduti facendo leva sul naturale bisogno di avere l’ammirazione altrui.

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Leggi anche: Cos’è la felicità secondo il Dalai Lama

Vivere con poco ed essere felici si può, basta non lasciarsi distrarre

Per concludere, c’è una cosa che tutte queste tecniche di vendita hanno in comune: tutte si rivolgono al lato più irrazionale del nostro cervello, tutte solleticano le nostre paure e insicurezze più nascoste. 

Quando si entra in un casinò, o da Starbuck’s, o nel Duty-Free di un aeroporto, si viene letteralmente bombardati da input sensoriali: profumi, suoni, segnali visivi, cartelli colorati e parole persuasive.

Tutto ha lo scopo di distrarci, di farci pensare il meno possibile, di farci rilassare, prendere decisioni istantanee senza pensare alle conseguenze.   

Lo scopo della pubblicità è dunque quello di aggirare il nostro giudizio, farci credere che la nostra vita sarà migliore con un altra partita, un altro biglietto, un altro paio di scarpe, un altro profumo, un altro smartphone. 

Ma la semplice verità è che, in molti casi, non lo è. 

In molti casi vivere con poco può davvero migliorare la vita, perché serve a fare spazio mentale, ad avere più tempo da dedicarsi alle cose che ci rendono veramente felici come le passeggiate con gli amici o le chiacchierate al tramonto.

In molti casi si può stare bene anche senza comprare, anche senza sbracciarsi per avere tutto.

Perché i desideri incontrollati sono i veri nemici della felicità, ci tolgono serenità e tempo, ci mettono sotto pressione e ci mettono ansia.

Imparando a vivere bene con poco si scopre che la vita ha molto di più da offrire rispetto a quello che si può trovare nei negozi online e offline.

E se ci ostiniamo a rincorrere il valore degli oggetti che acquistiamo e che ci riempiono soltanto la casa, potremmo non renderci mai conto del valore della felicità vera, quella che parte da dentro.

VIDEO: Meno cose, più felicità

Lettura consigliata: Felici senza Ferrari. Vivere con poco fa bene all’anima

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1 commento su “Si può vivere con poco ed essere felici?”

  1. Condivido, aggiungo che in parte il governo attuale ci sta costringendo a questo stile di vita da risparmio, certo da molto fastidio vedere i nostri governatori con le tasche strapiene di soldi che predicano il risparmio per il popolo fesso.

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Pensare troppo fa male al cervello e all’anima perché intasa la mente con pensieri che, nella maggior parte dei casi, sono irrilevanti.

Rimuginare, infatti, non serve, ti fa incartare, ti toglie energia, ti appesantisce la vita… e non lo dico solo io, ma lo dice anche la scienza e, soprattutto, lo dice mia nonna.

“Gli uomini non sono prigionieri dei loro destini,

ma sono solo prigionieri delle loro menti”

Franklin D. Roosevelt

Il segreto di mia nonna

Ti sarà forse capitato in passato di incontrare qualcuno con livelli di energia fuori dal normale, qualcuno che faceva cose che noi poveri mortali riusciremmo difficilmente a fare tipo svegliarsi alle 6 del mattino per andare a correre prima di un turno di 10 ore.

Mia nonna, per esempio, non corre, ma a 87 anni si sveglia alle 5:30 e passa intere giornate a cucinare, lavare e stirare senza mai riposarsi un attimo, senza mai lamentarsi.

Ma come fa? 

Me lo chiedo spesso, soprattutto quando sento il bisogno di fare un pisolino già qualche ora dopo essermi svegliato.

E la risposta che ho trovato è personale ovviamente, ma forse anche comune.

In poche parole, il segreto dell’energia di mia nonna è… non pensare.

Non dico che lei non abbia pensieri ma che, semplicemente, non si sofferma troppo su di essi, non passa ore a rimuginare o a farsi domande, non ha nessun conflitto interiore da risolvere.

Mia nonna non spreca energia a interrogarsi sul suo futuro, a chiedersi chi è e cosa farà.

Lei ha già trovato le sue risposte e, nel bene o nel male, la vita le sta bene così com’è.

pensare troppo fa male al cervello
Io e mia nonna

Pensare troppo fa male al cervello: l’arte di rimuginare sul negativo

L’atto di rimuginare è tipico di chi è propenso a pensare e ripensare ad eventi negativi passati e a eventualità negative future.

In queste circostanze pensare troppo fa male al cervello in quanto è spesso associato con l’ansia e la depressione, fa sentire impotenti e paralizza le abilità di problem-solving.

Secondo la psicologa Susan Nolen-Hoeksema, rimuginare è un po’ come bere troppo o mangiare troppo, cioè un metodo compensativo che serve a colmare un vuoto o una paura profonda.

In sostanza abbiamo l’illusione di potere ottenere il controllo quando pensiamo troppo, forse perché crediamo di poter valutare meglio una situazione o scovare delle verità nascoste in fondo ai ricordi.

Ma la verità è che molte persone rimuginano per distaccarsi dalla realtà ed evitare di affrontare concretamente i loro problemi.

Ci vuole invece un atto di grande coraggio per abbandonare le manie di controllo e vivere senza pensieri, senza essere prigionieri delle nostre menti.

Mia nonna ci riesce e c’è sempre riuscita grazie alla sua fede nel suo destino.

Lei, sostanzialmente, ha sempre accettato quello che viene e non ha mai provato a combattere gli aspetti indesiderabili della sua realtà.

L’atteggiamento tipico della sua generazione, che potrebbe rasentare la rassegnazione passiva in certi casi, l’ha aiutata a sviluppare una sorta di riluttanza verso la negatività e l’ansia che deriva dal voler tenere tutto sotto controllo.

Per mia nonna è mille volte meglio non pensare, concentrarsi sulle cose positive, sulla salute, sui nipoti, sulle ricette.

Io, d’altro canto, mi sono più volte sentito sovraccaricato come uno di quei computer che provano a processare più operazioni contemporaneamente.

Mentre lei usa la sua mente per pensare al qui e ora, io devo anticipare cosa mi accadrà in futuro così da poter meglio programmare il presente mentre tengo a bada l’esigenza di attraccarmi agli errori del passato… e la rotella del computer mentale in panna gira e gira e gira.

pensare troppo fa male al cervello

Smettere di rimuginare ti dà energia

La lezione che ci insegna mia nonna è che se ci si concentra su poche azioni e pensieri alla volta si risparmia energia vitale.

Soprattutto se queste azioni sono coinvolgenti e rendono felici si riesce ad avere accesso a un entusiasmo e una carica che il riposo, le barrette energetiche o la caffeina non potranno mai dare da soli.

Pensa, per esempio, a come ti senti il giorno prima di partire per una vacanza, o il giorno in cui inizi un nuovo lavoro.

Quando la nostra vita è piena di attività coinvolgenti riusciamo ad attingere a una riserva di energia infinita, mentre quando evitiamo di vivere per rimuginare questa energia si esaurisce nel nulla, in un vortice di pensieri che offuscano la mente e la serenità.

Un ottimo modo per smettere di pensare troppo è allora quello di fare, di agire, di trovare qualcosa che riesce a distrarci e a convogliare la nostra attenzione.

Se pensare troppo fa male al cervello e all’anima, agire libera la mente e fa smuovere il corpo, fa sentire vivi.

Se, poi, non sai cosa fare perché non hai le idee chiare, prova un altro tipo di riflessione, la riflessione positiva.

Leggi anche: Infelicità e desideri: la trappola del modello “se-allora”

Quando pensare fa bene

Quando il pensare è diretto alla formulazione di un piano d’azione non ha lo stesso effetto negativo del rimuginare.

In questi casi si è diretti a trovare una soluzione concentrandosi su degli obiettivi che dovrebbero essere per lo più costruttivi, oppure si ha l’intenzione di capire il motivo di un fallimento per imparare dai propri errori.

Immagina, per esempio, che ti abbia lasciato il partner.

Pensare troppo alla relazione, rivivendo ogni lite, provando a scorgere i primi segni della rottura, condurrebbe con facilità a uno stato di amaro risentimento, rancore o senso di colpa.

Più mettiamo gli eventi negativi al microscopio, infatti, e più troveremo motivi per accusare o accusarci, diventando ciechi al bello che c’è stato o che rimane.

L’alternativa é pensare alla situazione con obiettività emotiva, chiedendosi cos’è andato storto, cosa si potrebbe fare per risolvere la situazione o evitare di fare gli stessi errori in futuro.

Lo so, è più facile a dirlo che a farlo, ma se non lo fai sai già quello che ti aspetta, cioè una vita passata a rimuginare su come sarebbe potuta andare una storia o un’opportunità mancata.

Pensare troppo fa male al cervello, allora smetti di farlo

C’è un vecchio detto in Sud Africa secondo cui c’è un solo modo di mangiare un elefante, ovvero un pezzo alla volta.

La nostra esistenza, insieme a tutte le sue incertezze e problematiche, è un elefante.

Tienilo a mente la prossima volta in cui ti sentirai ingolfato/a nel tentativo di risolvere un dubbio, quando ti ritroverai a pensare e ripensare alla tua vita, al tuo passato e al tuo futuro, senza concludere niente.

E in tutti questi casi ricordati di:

  1. provare a pensare meno, dando priorità alle soluzioni più che ai problemi;
  2. lasciar andare tutte quelle domande a cui non è possibile rispondere;
  3. concentrarti solo su quale sia il primo passo disponibile, quello più ovvio;
  4. trovare attività che ti possono aiutare a distrarti e a sentirti più vivo/a.

In ultima analisi, pensare troppo è un po’ come accellerare con la macchina in folle, si spreca benzina senza andare da nessuna parte.

Nonostante possa anche dare l’illusione del controllo, farsi troppe domande e preoccuparsi eccessivamente sul futuro non fa altro che limitare la naturale predisposizione della mente a guidarci verso la felicità.

Il pensiero è invece produttivo quando:

  • è diretto a trovare soluzioni concrete a problemi concreti;
  • pianifica strategie pratiche per raggiungere obiettivi chiari e definiti;
  • fa domande importanti su questioni che stanno a cuore;
  • aiuta a trovare ottimismo e fiducia in sé stessi.

Pensare in tal modo è in sé attività molto utile, e tutta l’energia impiegata a farlo è energia molto ben spesa.

LIBRO: Cogito ergo soffro. Quando pensare troppo fa male

Cosa accade quando cerchiamo ci affidiamo alla centralità del pensiero nella pratica, nella vita di tutti i giorni, di fronte a scelte e situazioni di per sé irriducibili alla logica e al più ferreo raziocinio?

Cadiamo in una trappola, in un autoinganno, in una vera e propria «psicopatologia della vita quotidiana»: ci illudiamo di poter risolvere una crisi amorosa, un dubbio amletico, una decisione cruciale affidandoci al nitore rassicurante del sillogismo, oppure, all’estremo opposto, cerchiamo la certezza nelle «verità rivelate», religiose, scientifiche o ideologiche.

Da strumento infallibile il cogito si trasforma così in un ostacolo insormontabile, fonte di incertezza se non addirittura di sofferenza psicologica, fino ad assumere forme patologiche.

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3 commenti su “Pensare troppo fa male al cervello: perché e come smettere di farlo”

  1. Buonasera. Questo articolo è stato molto interessante ed utile e mi ci sono vista pienamente. Rimuginare troppo fa male ,toglie respiro,annebbia l anima e consuma la mente inutilmente…. Lasciare andare,agire,fare,uscire,partire,muoversi,andare….. Sono d’accordo su tutto e credo che vada riletto più volte….. Grazie.

  2. Ho cinquant’ anni ,e proprio ieri sera dopo aver avuto l ennesimo scontro con mio figlio ,che cerca in tutti i modi di farmi capire cose che io tralascio per il troppo pensare !
    Stamani ho cercato e trovato e appena finito di leggere ….e mi ritrovo in tutto quello che ho letto!
    Intanto grazie a mio figlio e a voi.
    Rileggere forse mi farà capire come risolvere tante cose.

  3. Sono contento Teresa! sia che ti sia piaciuto l’articolo che tu sia in grado di capire dove e come migliorare, un abbraccio

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Cos’è l’amore?

Beh, la domanda è troppo profonda per un comune mortale come me, quindi lascio rispondere un esperto della natura umana, la persona che più di tutte mi ha fatto comprendere cosa vuol dire veramente amare, Erich Fromm:

L’amore è un potere attivo dell’uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai suoi simili, che gli fa superare il senso di isolamento e separazione, e tuttavia gli permette di essere se stesso e di conservare la propria integrità. Sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, tuttavia restano due.

Ecco che qui troviamo l’elemento fondamentale per una relazione che sia fondata sul vero amore, l’essere uno pur essendo due.

Molto spesso capita infatti che nelle relazioni ci si annulli, che si diventi uno con l’altra persona dimenticandosi di avere un’identità.

Oppure capita che ci si dimentichi di avere un partner e si faccia solo quello che si vuole.

I primi sono quei i casi in cui si vive in funzione dell’altro, in cui si mettono da parte le passioni, gli interessi o gli amici, per il proprio partner.

I secondi sono invece quei casi in cui l’altro non esiste nemmeno, in cui si è talmente sicuri della sua presenza che non si fa nulla per apprezzarlo o gratificarlo.

In mezzo ai due estremi di rapporto co-dipendente e distaccato dovrebbe trovarsi quella che possiamo definire una relazione sana e duratura, nonché la risposta alle domande Cos’è l’amore? e Quand’è che si ama veramente?

Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona

Tutti pensano di sapere cos’è l’amore

Non esiste nessun’altra parola al mondo che sia stata più idealizzata, e forse fraintesa, della parola “amore”.

Tutti sanno cos’è l’amore o, per lo meno, pensano di saperlo.

In nome dell’amore si è sbizzarrita la poesia, la musica, la letteratura, il cinema, l’arte. 

In nome di quello che si definisce amore si fanno promesse eterne e gesta plateali, e poi ci si arrabbia e si soffre.

Se ne potrebbe parlare all’infinito, eppure non si farebbe altro che scalfirne il vero significato.

Perché l’amore è tutto ciò che crediamo essere e anche tutto l’opposto:

  • È un sentimento che nasce spontaneamente ma che va anche nutrito nel tempo.
  • È qualcosa di irrazionale ma anche logico e razionale.
  • È un’attività del cuore ma anche della mente.
  • È un’emozione che ci può rendere vivi ma anche far vivere un’illusione.
  • È un’impulso istintivo ma anche un talento da sviluppare.

Sì, amare è un talento, un po’ come suonare il piano o dipingere, un “movimento” del corpo e dell’anima che si fa più aggraziato man mano che ci si esercita.

Allora, stando così le cose, può darsi che amare richieda anche un certo livello di “pratica”, un certo livello di istruzione e consapevolezza.

E può darsi che, per comprendere fino in fondo cos’è l’amore, sia necessaria la volontà di distinguere ciò che è da ciò che non è.

Leggi anche: Terapia di coppia, come funziona e quando conviene farla

Cosa non è l’amore

  • L’amore non è gelosia, non è possesso, non è dominio, non è dipendenza.
  • L’amore non è attaccamento morboso, non è costrizione o abuso verbale o fisico.
  • L’amore non è manipolazione, non è impedimento alla libera espressione dell’altro.
  • L’amore non è inconsapevolezza o ignoranza, non è insensibilità ai bisogni altrui.
  • L’amore non è autoritario, non è egoista, non è attaccato al denaro o al successo.
  • L’amore non è inquinamento emotivo o ambientale, non è tossico né problematico.
  • L’amore non è dare troppo né togliere troppo, non è troppo indifferente né troppo sospettoso.
  • L’amore non è abnegazione o impotenza.
  • L’amore non può essere posto a condizioni, non può essere limitato a un luogo specifico o a un tempo specifico.
  • L’amore non è esclusione, non è ingiustizia, né disparità.
  • L’amore non è un’isola dove si va a vivere escludendo ed escludendosi, non è una difesa contro il mondo o un pretesto per odiare il mondo.
  • L’amore non è guerra, non è continui litigi o continui complicazioni. 
  • L’amore non è violenza o punizione, non è giudizio o invalidante preoccupazione.
  • Infine l’amore non è condizioni, non è ti amo se o ti amo ma.
cosè-l'amore

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Cos’è l’amore, quando si ama veramente

L’amore non ha niente a che vedere con tutto ciò.

L’amore vero è una inclinazione, un “attività” del pensiero che si traduce in un profondo e incondizionato interesse per la persona amata, in un desiderare spassionatamente la sua evoluzione e il suo benessere, qualsiasi cosa ciò comporti.

Si ama dunque quando si impara a prestare attenzione ai bisogni di soddisfazione e gioia degli altri, quando si impara ad aver fede nelle loro potenzialità, nella loro naturale tendenza a diventare la migliore versione possibile di sé stessi.

Si ama, poi, quando si considera chiunque, anche il proprio figlio, come un essere indipendente da noi, come vita che segue un proprio percorso, una propria crescita.

Si ama quando si desidera questa crescita, quando si lascia che avvenga a suo modo, con i suoi tempi.

Si ama quando ci si perde nell’altro, quando si conosce il suo mondo interiore senza tentare di cambiarlo.

Si ama quando ci si conosce e ci si comprende. Si ama quando si fa una scelta fondamentale: la scelta di lasciar andare la vanità, le proprie pretese di invulnerabilità e perfezione, le richieste infantili di attenzione e validazione.

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L’arte di amare… in primis sé stessi

La premessa indispensabile di questo amore, la condizione unica che dà validità e forza all’amore diretto all’infuori di noi, è l’amore che nasce e si propaga all’interno… l’amore per se stessi.

Spessissimo nella nostra società l’amore per se stessi viene confuso con il narcisismo e l’egoismo, con il porre il proprio interesse d’innanzi a quello altrui.

Questa errata concezione giustifica l’utilizzo del denaro e il perseguimento della ricchezza a tutti i costi, ci impedisce di rispettare la sofferenza altrui, dà legittimità all’ingordigia, inibisce la tolleranza e crea separazione.

L’egoista vede l’altro come qualcosa da sfruttare o superare.

Chi prova amor proprio non si preoccupa tanto di vincere a discapito di qualcuno ma di migliorare se stesso, ed è capace di gioire per i successi degli altri quanto di soffrire per le loro perdite.

Amare se stessi è un’arte, vuol dire sentirsi pieni di qualcosa che si vuole condividere col mondo, avere a cuore la propria realizzazione e quella di chi ci sta accanto.

Amare se stessi vuol dire amare il proprio corpo, aspirare alla salute e alla prosperità dell’anima; vuol dire avere fiducia in se stessi,  volersi bene e voler proteggere il proprio “bambino interiore”.

E poi vuol dire imparare ad avere empatia, perdonare i propri errori e accettare i propri difetti.

Senza l’empatia per sé stessi non esiste compassione per l’altro, e senza compassione per l’altro non c’è amore, non c’è connessione, non c’è pienezza né significato.

Il biasimare sé stessi e l’incapacità di apprezzarsi sono i due più grandi ostacoli all’amore vero, perché…

quando non si sta bene con quello che si è gli altri verranno visti come un mezzo per risolvere le proprie insicurezze, e non come un fine o l’obiettivo finale del nostro amore.

In più, l’amare o il non amare sé stessi segna la differenza tra l’amore infantile, che è principalmente indirizzato a prendere dagli altri, e l‘amore maturo, che è principalmente indirizzato al dare.

Come dice il maestro Eckhart Tolle, “grande e giusto è chi, amando se stesso, ama in egual modo il suo prossimo”, e grande e giusto è chi, amando se stesso, ama in egual modo il mondo intero.

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Frasi sull’amore tratte dal libro “l’Arte di Amare” di Erich Fromm

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L’arte di amare di Erich Fromm è il libro che più di tutti spiega fino in fondo quali sono le caratteristiche principali di un amore sano e maturo, non solo nelle relazioni di coppia, ma anche nel rapporto con i genitori, i fratelli e la società .

Ecco qui alcune delle mie frasi sull’amore preferite tratte dal libro:

L’amore è un sentimento attivo, non passivo; è una conquista, non una resa. Il suo carattere attivo può essere sintetizzato nel concetto che amore è soprattutto Dare e non ricevere.

Ogni tentativo di amare è destinato a fallire se non si cerca di sviluppare più attivamente la propria personalità.

Se una persona ama solo un’altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico.

La vera essenza dell’amore materno è di curare la crescita del bambino, e ciò significa volere che il bambino si separi da lei.

Egoismo e amore per se stessi, anziché essere uguali, sono opposti. L’egoista non ama troppo se stesso, ma troppo poco, in realtà odia se stesso.

Se io sono attaccato a un’altra persona perché non sono capace di reggermi in piedi, lui o lei può essere un “salvagente”, ma il rapporto non è un rapporto d’amore.

Paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare.

L’amore non è la conseguenza di un’adeguata soddisfazione sessuale, ma la felicità sessuale è una conseguenza dell’amore.

Una forma di pseudo-amore che non è rara e spesso si verifica è l’amore idolatrico. Se una persona non ha raggiunto un alto livello di maturità tende a idealizzare la persona amata.

L’amore è possibile solo se due persone comunicano tra loro dal profondo del loro essere, vale a dire se ognuna delle due sente se stessa dal centro del proprio essere.

Ciò che conta, in relazione all’amore, è la fede nel proprio amore e nella propria capacità di suscitare l’amore negli altri… Amare è un atto di fede, e chiunque abbia poca fede avrà anche poco amore.

L’amore è l’unica soluzione valida al problema dell’esistenza umana…

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(Video) Katie Hood – La differenza tra amore sano e non sano

8 commenti su “Cos’è l’amore e quando si ama veramente”

  1. Nutrire lo spirito…con la conoscenza di sé stessi del nostro profondo ….aiuta ad Amare nel modo piu’ bello…nel modo più maturo …nel modo piu’libero….grazie di queste letture di pensieri profondi e semplici!!!!

    1. Amare se stessi per poter dare amore agli altri donarsi è dare la parte migliore di sé incondizionatamente è anteporre il suo benessere al tuo anche se questo comporta un grande dolore e sacrificio

  2. grazie. veramente molto interessante…l’esperienza di amare è la base.
    Conoscere se stessi aiuta a conoscere l’altro.
    grazie ancora.

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 9

L’Enneatipo 9 ha la pigrizia della conoscenza e il suo approccio è l’opposto del 7: mantiene bassi gli stimoli e le idee nuove per evitare di entrare in conflitto con l’equilibrio precostituito; rifugge costantemente dagli eccessi per rimanere in uno stato di pacata sobrietà

La ferita infantile del non essere propriamente considerato porta il 9 a mettersi da parte, a dare priorità all’altro nella convinzione di non valere e di non essere importante per nessuno. 

Le persone appartenenti a questa tipologia sono dunque prevalentemente inerti, dimenticano sé stessi e hanno problemi a definire le loro priorità nella vita. 

Negano la separazione e l’abbandono e si oppongono fortemente al cambiamento e all’introspezione. 

Per proteggere lo status quo si perdono in distrazioni come il cibo, la televisione o il lavoro. 

Non è inusuale che un enneatipo 9 si senta quasi anestetizzato e che si dimentichi di prendersi cura di sé a livello estetico o emotivo. 

Mentre non sono molto capaci di definire spazi e confini personali, la loro fissazione compulsiva con il mantenere uno stato di equilibrio li rende perfetti come mediatori o facilitatori di pace per gli altri. 

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Scheda esplicativa Enneatipo 8

Passione principale

Pigrizia

Centro d’Intelligenza

Istintivo (Corpo)

Punti di forza

Bilanciato, tollerante, pacato 

Problemi

Testardo, ambivalente, incapace di affrontare conflitto

Stile di comunicazione

Inclusivo e rispettoso, a volte ha problemi ad arrivare al punto. Può essere lineare e riuscire ad autocontrollarsi, oppure essere molto confusionario.

Abitudini emotive livello basso

Pigrizia nell’attenzione, accompagnata dalla testardaggine, può rendere difficile affrontare priorità e conflitti necessari.

Abitudini emotive livello alto

Fa la cosa giusta, motivato a spendersi per ciò che deve essere realizzato.

Sfida principale

Integrare armonia e conflitto, risvegliarsi di fronte alle priorità.

Difese psicologiche

I 9 utilizzano il meccanismo difensivo del narcotizzarsi per evitare il confronto diretto e mantenere l’immagine personale di essere in armonia e pace. (Per narcotizzarsi si intende perdere la consapevolezza del momento presente per mezzo di distrazioni) 

Caratteristiche fisiologiche

L’enneatipo 9 tende ad avere costantemente poca energia. La parte bassa della schiena può essere un punto particolarmente delicato in quanto il suo spirito di arretramento lo porta a curvarsi in avanti. 

Come relazionarsi meglio con un enneatipo 9

  • Per creare rapporto: trova il modo di trovare punti in comune, e ascolta senza contraddire o essere troppo belligerante. 
  • Cerca di evitare di essere eccessivamente diretto o impaziente. 
  • Per gestire il conflitto, sii giusto, se diventano passivi/aggressivi prova a capire cosa gli passa per la testa rassicurandoli al tempo stesso. Se hanno bisogno di sfogare la loro rabbia, aiutali a farlo entro certi limiti mantenendo un atteggiamento comprensivo. 
  • Per supportare la loro crescita, dà loro attenzione personale e aiutali a gestire meglio il loro tempo rispettando una lista delle priorità. Chiedi loro di cooperare senza dirgli cosa fare. Prova a smuoverli dalla loro abitudine di essere troppo adagiati sugli allori mostrandoti comprensivo al tempo stesso. 

Le parole di un Enneatipo 9

Nella mia vita non ci sono stati periodi di grande sofferenza, né di grande allegria. Molti anni con pochi alti e bassi e poche alterazioni. Zero gradi: né freddo né caldo. Encefalogramma piatto. 

A volte guardavo gli altri che se la godevano e celebravano momenti di felicità, ma non mi sentivo come loro, mi sembravano eccessivi, e io credevo di non avere problemi. 

Solo che ero cieca e insensibile: la formula migliore per non vedere, non rendermi conto. 

Una caratteristica della mia vita è stata quella di non sentire di appartenere. 

Sono stata una bambina sandwich, in mezzo a cinque fratelli. Non appartenevo al gruppo dei maggiori né a quello delle più piccole.

Non mi sentivo mai integrata.

E mi sono resa conto che avevo negato tutto il mio mondo istintivo: il desiderio, la sessualità, la mia bambina interiore. 

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 8

L’Enneatipo 8 ha vissuto un’infanzia in cui gli è stato negato il diritto di essere bambino, senza cure adeguate sia dal punto di vista materiale che emotivo/affettivo. 

Potrebbe anche aver avuto un padre violento e una madre vittima, per questo è spesso sensibile alle ingiustizie e ha imparato a lottare per difendersi e difendere gli altri. 

Ha il centro d’intelligenza nel corpo, è energico e intenso, tendente a ricoprire posizioni di leadership

La sua passione consiste nell’ottenere soddisfazione e gratificazione istantanea. 

Ha un forte senso di autonomia e tende a voler fare sfoggio della sua forza per compensare un inconsapevole e primitivo senso di debolezza e impotenza

È molto difficile per l’enneatipo 8 combinare la sua indipendenza con l’interdipendenza e la cooperazione, e anche frenare il suo eccessivo appetito per soddisfare i suoi impulsi. 

Ha poca capacità empatica, forse perché non ha mai ricevuto empatia nell’infanzia, e ha rapporti che tendono a essere intensi, caratterizzati dalla mancanza di emotività e dalla compulsione a difendere chi gli “appartiene”. 

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Scheda esplicativa Enneatipo 8

Passione principale

Lussuria

Centro d’Intelligenza

Istintivo (Corpo)

Punti di forza

Entusiasta, generoso, potente.

Problemi

Eccessivo, iroso, autoritario.

Stile di comunicazione

Parla in modo assertivo ed emana autorevolezza e leadership. Quando le cose vanno storte tende ad arrabbiarsi e a voler comandare. 

Abitudini emotive livello basso

Eccesso e vendicatività verso alcune persone. 

Abitudini emotive livello alto

Innocenza, affrontare la vita con un cuore aperto e senza cinismo.

Sfida principale

Incanalare la sua forza in attività produttive, integrando consapevolezza e vulnerabilità. 

Difese psicologiche

Gli 8 negano la vulnerabilità per mantenere l’immagine di sentirsi forti.

Caratteristiche fisiologiche

Pelle spessa e muscolatura solida, fisico impostato, atteggiamento sicuro di sé, non lascia trapelare insicurezza ed è resistente al dolore sia fisico che psicologico (che in quanto segno di vulnerabilità non viene accettato). 

Come relazionarsi meglio con un enneatipo 8

  • Per creare rapporto: non ritirarti davanti alla loro manifestazione di forza, sii chiaro e onesto nell’esprimere le tue posizioni. 
  • Cerca di evitare di controllarli o mancargli di rispetto.
  • Per gestire il conflitto, affrontali di petto; accetta la loro rabbia invitandoli a non spingersi troppo i là. Abbi il polso duro di fronte ad atteggiamenti distruttivi, ma sii empatico davanti a sentimenti di sofferenza nascosti.
  • Per supportare la loro crescita, fa loro notare quando sono inconsapevolmente aggressivi. Aiutali a entrare in contatto con la loro vulnerabilità. Presumi che hanno bisogno di amore e cure anche quando non lo dimostrano. 

Le parole di un Enneatipo 8

Da bimba ricercavo la compagnia degli adulti e non dei coetanei; in adolescenza invece smisi di cercare la compagnia di chiunque. Finita la fase in cui giocavo con mio fratello, più piccolo di me, iniziai a trascorrere le giornate in camera, da reclusa.

In molti dicevano a mia madre che il mio volto sembrava già adulto, in particolare lo sguardo, La mia insegnante di italiano una volta disse ai miei che avevo uno sguardo inquietante

Sembravo essere dominante anche di fronte alle punizioni che gli adulti provavano a impormi

Mi sentivo molto viva nella mia autonomia.

Sono diventata consapevole della mia durezza verso gli altri molto prima di riuscire a vedere la durezza che dimostravo a me stessa. 

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 7

L’Enneatipo 7, l’Ottimista, ha il peccato di gola, che è la necessità irrefrenabile di assaporare tutto quello che il mondo ha da offrire. 

Egli evita il contatto con la sensazione di vuoto riempiendosi la bocca di esperienze e stimoli piacevoli. 

Il piacere della ricerca di stimoli richiede un movimento costante, una funzione che è stata sperimentata nelle relazioni familiari in cui, a causa dell’assenza fisica o emotiva del padre, si è fatto carico di alleviare il dolore o la depressione della madre. 

I 7 sono dunque tipi mentali che pensano e si muovono verso il futuro. Portano ottimismo e positività nelle loro attività e si interessano di molte materie.

Non vogliono essere limitati a fare una sola cosa e preferiscono mantenere le loro opzioni aperte. 

A volte eccellenti comunicatori, sono meno preoccupati di come appaiono e di cosa pensano le persone rispetto agli altri enneatipi.

Per loro la cosa più importante è divertirsi, avere costantemente nuovi stimoli e idee, nuove tecnologie es esperienze piacevoli. 

Ad ogni modo, troppo divertimento può causare problemi

Visto che la loro attenzione cambia così spesso è sfidante per loro andare in profondità nelle cose e vivere pienamente le relazioni. 

Rallentare, vivere nel qui e ora e imparare a tollerare la propria sofferenza e quella degli altri può aiutare a trovare equilibro e stabilità

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Scheda esplicativa Enneatipo 7

Passione principale

Gola

Centro d’Intelligenza

Intellettuale (Mente)

Punti di forza

Avventuroso, amante del divertimento, pensatore veloce.

Problemi

Auto-centrato, poco affidabile, incoerente

Stile di comunicazione

Bravo nel raccontarsi, che può essere una qualità interessante o risultare autoreferenziale. Si sa concentrare sul positivo e tende a ignorare o reinquadrare il negativo

Abitudini emotive livello basso

Ingordigia, non riguardo al cibo, ma come una sorta di intossicazione per l’eccessivo consumo di idee ed esperienze. 

Abitudini emotive livello alto

Sobrietà, limitare gli eccessi e calmare la mente per essere presente nel momento.

Sfida principale

Trasformare l’ideale in reale e pratico, integrare l’ottimismo con il lato oscuro dei problemi.

Difese psicologiche

I 7 usano il meccanismo difensivo della razionalizzazione per evitare la sofferenza e mantenere l’immagine di essere ok. 

Caratteristiche fisiologiche

A differenza dei 5 che tendono a dirigere l’energia verso la mente, i 7 dirigono la loro energia verso la periferia del corpo. Vogliono essere sempre stimolati con idee, sostanze e avventure. Sono spesso flessibili fisicamente. Invece di superare la tensione muscolare, la loro sfida è “essere” nel loro corpo e mantenere i piedi per terra. 

Come relazionarsi meglio con un enneatipo 7

  • Per creare rapporto: apprezza le loro storie e idee positive.
  • Cerca di evitare la negatività e di insistere nel fare le cose in un solo modo.
  • Divertiti con loro. 
  • Per gestire il conflitto, invitali ad ascoltare. Fa loro sapere cosa gli altri si aspettano e di cosa hanno bisogno. Incoraggiali a non disperdersi o distrarsi.
  • Per supportare la loro crescita, incoraggiali alla sobrietà e alla costanza. Aiutali a rimanere con i piedi per terra e ad accettare la sofferenza. Stressa l’importanza di bilanciare le idee con il buon senso. 

Le parole di un Enneatipo 7

È fondamentale capire che il mondo non è stato creato in due giorni e non finirà in tre. E che non finisce senza di me. Non c’è bisogno di tanta intensità per sentirsi vivi e felici. 

Ma dobbiamo scoprire il piccolo, l’insignificante, e poi anche il dolore, la tristezza, la solitudine, che non sono cose che non uccidono ma arricchiscono la vita. 

La corazza contro il dolore sparisce, in realtà, con dolore

Ho trovato piacere nel corpo attraverso alcune semplici attività: camminare, cucinare, praticare la meditazione per non perdermi nelle fantasie, imparare ad ascoltare veramente, me stesso e gli altri. 

Quello che favorisce la mia evoluzione sono le cose più concise, chiare e semplici, invece delle esplosioni dell’essere. Per me è stato importante capire che il limite, il no, può essere terapeutico perché non solo limita la gola, ma protegge. 

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2 commenti su “Enneatipo 7 – L’Ottimista”

  1. Buongiorno molto interessante comprerò i libri consigliati. Dal test sarei riconducibile al tipo 7 ora come posso Migliorare? Seguo il vostro sito che trovo utile e arricchente. Se avete delle idee si possono creare degli incontri presso un bellissimo hotel immerso nei boschi della Sila in Calabria. Grazie per il la oro che fate.

    1. Vincenzo Marranca

      Grazie mille per il commento Giuseppe e per l’allettante proposta, ne possiamo certamente parlare. Riguardo la tua domanda è difficile dare consigli avendo così poche informazioni. Gli enneatipi non sono delle personalità fisse, perché noi esseri umani non siamo fissi e immutabili. Ci sarebbe da capire meglio il contesto in cui vivi per poter dare consigli appropriati

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 6

L’enneatipo 6 ha una consapevolezza scioccante della perdita e di fronte a questa si muove compulsivamente, difendendosi dal pericolo che pervade irrimediabilmente il mondo esterno. 

Si muove in uno stato di allerta e si rifugia nelle autorità e nel potere per trovare sollievo dall’ansia e dai pericoli. 

Nell’infanzia, si riscontra spesso la mancanza di una figura paterna e la percezione della realtà come punitiva ed emotivamente pericolosa.

I 6 sono dunque tipi mentali che usano il loro intelletto per capire il mondo e scoprire se le persone sono amichevoli o ostili. 

Hanno spesso un forte senso del dovere e della lealtà verso i superiori. 

Sono dei perfetti soldati. Si focalizzano sul salvaguardare la sicurezza del gruppo, di un progetto o della comunità. 

Sono bravi nell’anticipare i problemi e trovare soluzioni. 

Conoscere le regole e fare accordi con gli altri è importante, eppure a volte tendono a dubitare di sé stessi e mettere in discussione il prossimo. 

Alcuni 6 sono molto cauti, procrastinatori, esitano e si preoccupano spesso. Altri rifuggono nelle manifestazioni di forza e sicurezza fisica e personale. 

Una volta che imparano a fidarsi di loro stessi e degli altri, i 6 riescono ad agire a dispetto del dubbio e dell’insicurezza. 

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Scheda esplicativa Enneatipo 6

Passione principale

Paura

Centro d’Intelligenza

Intellettuale (Mente)

Punti di forza

Leale, coraggioso, attento alle persone e ai problemi, spesso pensatore strategico. 

Problemi

Sospettoso, pessimista, dubitatore

Stile di comunicazione

Impone limiti a sé stesso e agli altri, pone domande serie, fa l’avvocato del diavolo. A volte ideologicamente infervorato.

Abitudini emotive livello basso

Sospetto e mancanza di fiducia, che lo possono portare a non correre rischi o a un’attitudine aggressiva e pressante. 

Abitudini emotive livello alto

Coraggio, inteso come il muoversi a dispetto della paura.

Sfida principale

Fidarsi delle persone e della vita.  

Difese psicologiche

I 6 usano il meccanismo difensivo della proiezione per evitare di sentirsi rigettati e mantenere un’immagine di persona leale. (La proiezione è un modo di attribuire agli altri qualità che non si possono accettare in sé stessi)

Caratteristiche fisiologiche

Le fobie dell’Enneatipo 6 lo portano a essere nervoso e aggressivo, sia che l’aggressività venga repressa o assecondata. Si riscontra spesso miopia. Gli occhi sono sospettosi e impauriti. Il diaframma trattiene la tensione risultando in un modo di parlare e respirare staccato e poco rilassato. 

Come relazionarsi meglio con un enneatipo 6

  • Per creare rapporto: apprezza la loro attenzione ai problemi, acconsenti alle regole e alle procedure. 
  • Cerca di evitare un cambio improvviso di procedura, di nascondere informazioni o sminuire le loro preoccupazioni. 
  • Per gestire il conflitto, metti le tue carte sul tavolo il più apertamente possibile; non essere ambiguo; spingili ad assumersi la responsabilità delle loro reazioni; rifiutati di accettare le loro proiezioni; ricorda che a volte si ritirano perché si sentono minacciati o per testare l’altro. 
  • Per supportare la loro crescita, aiutali ad affrontare le loro paure e a fidarsi degli altri. Quando possibile, mostragli il lato ironico delle cose; crea un ambiente sicuro dove si possono rilassare ed entrare in contatto con le loro sensazioni ed emozioni. 

Le parole di un Enneatipo 6

Ho sentito la mia autostima aumentare quando ho preso decisioni partendo dalla forza e dal coraggio, abbandonando la convinzione che tutto andrà storto.

Lo stesso mi accade quando gestisco in modo migliore la frustrazione, accettando che non posso piacere a tutti, smettendo di immaginare ciò che gli altri possono pensare di me ed evitando di autogiudicarmi e giudicarli. 

Sono riuscito a distaccarmi dalla tossicità di mia madre, una donna molto paurosa che mi ha allattato con la sua insicurezza, così come a scrollarmi di dosso l’ombra grigia di un padre senza fegato. 

 I bambini sono felici se qualcuno li difende dai soprusi, ma se nessuno li abbraccia possono morire. 

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 5

Coloro che appartengono all’Enneatipo 5 sono tipi mentali che si concentrano sulla comprensione intellettuale e sull’accumulare conoscenza.

Sono spesso accademici o esperti tecnici grazie alle loro abilità analitiche e intellettive.

Attraverso l’acquisizione di conoscenza si tenta di colmare la distanza che sentono nelle relazioni e di non rimanere sovrastati dal caos emotivo che queste comportano. 

In pratica l’enneatipo 5 ha deciso, molto presto nella vita, che per non soffrire doveva chiudere il cuore in un baule e gettar via la chiave

La sua passione principale è l’avarizia, che si può intendere come difficoltà nel dare all’altro parti di sé, nel lasciarsi andare, per trattenere quel poco che si sente di aver conquistato o quel poco che ha dentro.

Nella ricerca di valori superiori che colmino un vuoto interiore, i 5 possono arrivare a disprezzare la vita ordinaria e la gente comune.

La privacy e l’autonomia sono molto importanti per loro e le altre persone potrebbero risultare intrusive. 

L’abilità di distaccarsi dagli altri e dalle pressioni emotive conferisce loro libertà personale, ma può creare solitudine. 

Mentre possono essere intellettualmente brillanti e preparati, esprimere sentimenti nelle relazioni può presentare una bella sfida per questo enneatipo. 

Hanno bisogno di tempo da soli per perseguire i loro interessi e devono riuscire a bilanciare l’esigenza di ritirarsi con quella di trovare contatto con gli altri, anche se la cosa comporta disconforto o conflitto. 

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Scheda esplicativa Enneatipo 5

Passione principale

Avarizia

Centro d’Intelligenza

Intellettuale (Mente)

Punti di forza

Erudito, percettivo, autonomo. 

Problemi

Isolato, eccessivamente intellettuale, taccagno.

Stile di comunicazione

Razionale e tecnico, a suo agio nella sua area di expertise. Non propenso ai convenevoli.

Abitudini emotive livello basso

Avarizia o accumulazione, che vuol dire trattenersi e tenersi per sé le informazioni, il tempo e altre risorse a causa della paura della scarsità.

Abitudini emotive livello alto

Non-attaccamento, l’aver fiducia nelle proprie abilità mentali e il sapersi distaccare da emozioni distruttive. 

Sfida principale

Partecipare alla vita con trasporto emotivo, integrare il mondo interiore con quello esteriore.   

Difese psicologiche

L’enneatipo 5 usa il meccanismo di difesa dell’isolamento per evitare le sensazioni di vuoto e mantenere un’immagine di competenza e preparazione. L’isolamento può essere fisico, o emotivo, inteso come un separarsi dalle proprie emozioni.

Caratteristiche fisiologiche

I 5 tendono a essere bloccati nella loro mente. L’energia viene diretta alla testa dalla periferia del corpo. Molto sensibili al suono, al contatto, alle persone, mantengono la tensione nelle viscere più che nella muscolatura. Possono avere uno sguardo assente. 

Come relazionarsi meglio con un enneatipo 5 

  • Per creare rapporto: approcciali in modo lento e premuroso, dagli il tempo di pensare alle cose. 
  • Cerca di evitare di pressarli troppo per trovare un contatto o prendere decisioni veloci. 
  • Unisciti a loro nel condividere idee e valori alti.  
  • Per gestire il conflitto, non presumere cosa gli stia succedendo, chiedi di parlare in modo chiaro, enfatizza l’importanza della relazione, sta attento alle manie di controllo o alla tendenza a ritirarsi, dà loro le informazioni che cercano e spingili a essere più calorosi e generosi. 
  • Per supportare la loro crescita, incoraggiali a sentire di più con il corpo, crea un ambiente sicuro dove possono condividere le loro emozioni, fa sì che ammettano di tenere alla relazione, aiutali ad affrontare il sentimento di vuoto interiore. 

Le parole di un Enneatipo 5

Provavo un forte disagio in molte situazioni, c’era dentro di me un bambino poco cresciuto che aveva bisogno di imparare molte cose che prima erano sembrate di poca importanza e che invece rivestono un grande significato nella gestione della vita quotidiana.

C’è stato un momento in cui tutto ciò che avevo appreso è sembrato inutile e comunque insufficiente per continuare a stare nella quotidianità, e ho attraversato una fase di delusione rispetto ai risultati ottenuti attraverso la straordinarietà. 

 
È come se la vita mi avesse chiesto cosa fosse realmente mio, non prestato, non appiccicato, non rubato. 

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 4

L’enneatipo 4 ragiona molto con il cuore e i sentimenti, e prova spesso un senso di desiderio e melanconia.

Qualcosa manca nella sua vita e ciò lo può portare a ricercare l’interezza attraverso un idealismo romantico, un amore non corrisposto o un processo di guarigione/ascetismo. 

È facile dunque che nella vita di un 4 ci sia una reale esperienza di frustrazione e di perdita, perché possibilmente ha perso un genitore, o ha avuto un fratello/sorella che ha visto come privilegiato, o è cresciuto in una famiglia in cui si è dovuto mettere da parte e rinunciare all’attenzione esclusiva dei genitori.

Per questo, nel paragonarsi agli altri, i 4 possono provare un sentimento di invidia. 

Tendono a voler trovare il senso della loro vita e a cercarlo nelle relazioni profonde, nel loro lavoro o nella creatività personale

Si fanno prendere dalla tristezza o dalla depressione per alimentare il sentimento di malinconia che si portano dentro.

Possono tendere anche ad assumersi la colpa più che scaricare la loro rabbia sugli altri. 

Questo senso di mancanza e di vittimismo è per loro anche un modo per sentirsi speciali anche se, al tempo stesso, gli rende difficile riconoscere ciò che è buono e soddisfacente in loro.

Molti 4 sono artisti che eccellono nell’esprimere emozioni umane nella danza, nella musica e nella poesia. Più che avere una buona immagine, è necessario per loro essere autentici. 

Spesso passionali, a volte troppo emotivi, hanno bisogno di passare del tempo in solitudine

La chiave della guarigione per l’enneatipo 4 è riconoscere ed essere in grado di soddisfare i propri bisogni, bilanciare la tristezza con la capacità di essere felici nonostante le mancanze e le imperfezioni.  

Leggi anche: Pensare troppo fa male al cervello

Scheda esplicativa Enneatipo 4

Passione principale

Invidia

Centro d’Intelligenza

Emotivo (Cuore)

Punti di forza

Prova empatia, idealista, profondità emotiva.

Problemi

Lunatico, ritirato in sé stesso, poco cooperativo.

Stile di comunicazione

A volte caloroso, a volte distaccato; possibilmente con un tono di tristezza e insoddisfazione.

Abitudini emotive livello basso

Invidia e melanconia, senso di delusione.

Abitudini emotive livello alto

Compostezza, capacità di accogliere una varietà di stati emotivi.

Sfida principale

Riuscire a integrare tristezza e gioia. 

Difese psicologiche

L’enneatipo 4 usa un meccanismo di difesa basato sull’introiezione per evitare di sentirsi ordinario e mantenere un’immagine di autenticità (l’introiezione è un processo psichico per cui si tende ad accogliere in sé oggetti o aspetti del mondo esterno, appropriandosi delle rispettive doti o qualità, vere o presunte).

Caratteristiche fisiologiche

I 4 passano dall’avere molta energia al sentirsi stanchi e depressi. L’espressione personale attraverso la musica, la danza, la scrittura o il lavoro creativo gli permette di creare uno stato emotivo bilanciato.

Come relazionarsi meglio con un enneatipo 4 

  • Per creare rapporto: apprezza la loro sensibilità e creatività. 
  • Cerca di evitare di imporre raziocinio o spingerli a conformarsi. 
  • Unisciti a loro nell’essere attivo, ottenere risultati e riconoscimento. 
  • Per gestire il conflitto, chiedigli di evitare di fare la parte della persona ferita e della vittima. Quando sono turbati, non prendere quello che dicono troppo seriamente in quanto potrebbe essere solo la sensazione del momento a farli parlare.
  • Per supportare la loro crescita, sostienili nel trovare equilibrio emotivo e incoraggiali a esprimere ciò che provano in modo diretto al posto di farsi prendere dalla depressione o negatività. Aiutali a combattere il loro critico interiore e resistere il vizio del biasimarsi. Mostra l’impatto che le loro parole hanno sugli altri. 

Le parole di un Enneatipo 4

Avevo paura di dissolvermi nel mondo, di perdere il mio posto e sparire. Tutto questo l’ho capito negli incontri con gli amici, quando ho imparato a rimanere lì a ridere e ad ascoltare, riposandomi dal voler essere sempre al centro dell’attenzione. 

Da bambina, super protetta da mia nonna e controllata eccessivamente da mio padre, sono cresciuta distante dagli altri bambini. Mi proibivano di andare al parco per paura che mi contagiassero con cattivi comportamenti o malattie.

Goffa sia nel gioco sia nelle relazioni sociali, cercavo di essere al centro dell’attenzione nelle pause a scuola, recitando le operette del teatro di mio padre.

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Fonti:

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 3

La vanità porta l’enneatipo 3 a falsificare il proprio sé per costruire un’immagine personale presentabile al mondo, l’immagine di una persona amata, rispettata e affermata.

Ogni ombra o fallimento viene vissuta come distruttiva per la reputazione di persona efficiente e produttiva.

Ciò, probabilmente, perché il 3 ha imparato a essere un figlio gradevole e compiacente nell’infanzia, per rispondere alle aspettative di una madre richiedente e fredda.

L’enneatipo 3 ragiona dunque, e parecchio, con le emozioni, canalizzandole nell’ottenere risultati, prendendo iniziativa e lavorando sodo per raggiungere obiettivi. 

Coloro che hanno questa tipologia di personalità come predominante sono altamente adattabili ed eccellono nel soddisfare le aspettative altrui se la cosa li potrà portare al successo. 

A loro piace rimanere attivi, sempre in movimento, e gli viene difficile fermarsi o rallentare. 

La loro ossessione con il mantenere la loro immagine e nel performare al massimo delle loro abilità può arrivare a compromettere la loro salute

Un pericolo per i 3 è quello di puntare troppo l’attenzione sull’elogio esterno e i premi materiali, tanto da perdere contatto con chi sono dentro. 

Per loro non è facile uscire dal loro ruolo e sentire i loro sentimenti, decidere da soli cosa è importante.

Nel mondo imprenditoriale occidentale dilagano gli enneatipi 3 in quanto la mentalità è quella di premiare chi lavora sodo ed porta risultati. 

In particolare, il fatto che l’alta prestazione e il successo siano delle caratteristiche idealizzate dalla cultura moderna fa sì che il tipo 3 sia diventata la personalità più rappresentativa del mondo di oggi. 

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Scheda esplicativa Enneatipo 3

Passione principale

Vanità

Centro d’Intelligenza

Emotivo (Cuore)

Punti di forza

Di successo, energetico, produce molto con buoni risultati

Problemi

Lavora troppo, impaziente, competitivo 

Stile di comunicazione

Entusiasta, motiva sé stesso e gli altri al successo

Abitudini emotive livello basso

Vanità, mantenere sempre le apparenze di successo

Abitudini emotive livello alto

Veritiero, volontà di andare oltre le apparenze per sviluppare autenticità personale

Sfida principale

Lasciar andare l’immagine sociale e trovare la propria essenza 

Difese psicologiche

L’enneatipo 3 fa di tutto per non mostrare agli altri di aver fallito. Si identifica con il ruolo di persona di successo e si perde al suo interno. 

Caratteristiche fisiologiche

L’enneatipo 3 deve stare attento al rischio d’infarto. Pensa sempre ad essere produttivo e a ottenere risultati. La cosa può creare tensione nell’area del petto e del cuore. Presi da stress, il loro sistema immunitario si indebolisce facilmente. Sotto la tensione si trova spesso una profonda tristezza per aver perso contatto con sé stessi.

Come relazionarsi meglio con un enneatipo 3 

  • Per creare rapporto: apprezza il loro lavoro, non essere troppo lento nel parlare. 
  • Cerca di evitare di fargli sprecare troppo tempo. 
  • Unisciti a loro nell’essere attivo, ottenere risultati e riconoscimento. 
  • Per gestire il conflitto, ricordagli che il successo può arrivare in diversi modi e che le persone sono importanti, sfida la loro retorica senza imbarazzarli. 
  • Per supportare la loro crescita, aiutali a guardarsi dentro e capire chi sono veramente, incoraggiali a esprimere i loro sentimenti e la loro vulnerabilità, specialmente durante i fallimenti. Ricordagli di prendersi cura di sé stessi; valorizzali per quello che sono, non per quello che fanno. 

Le parole di un Enneatipo 3 

Desideravo essere al centro dell’attenzione e dello sguardo delle persone, e dispiegavo tutte le mie capacità per ottenerlo. Mostravo la mia intelligenza o la mia istruzione. Mostravo i simboli del mio status sociale: bei vestiti, orologi di marca, una macchina che lascia tutti a bocca aperta. 

Era una necessità infantile e narcisistica, per la quale cercavo l’applauso costante ritrovandomi ogni volta con un senso di vuoto.

Era difficile credere nelle mie intuizioni perché ero sempre stata negata. Era come se dovessi sentire quello che volevano i miei genitori e così avevo una confusione enorme su qual era la mia verità. Ho imparato a reprimere il piacere e la mia spontaneità. 

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Letture consigliate

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I 9 Enneatipi:
Profilo Enneatipo 2

La persona che ricade nell’enneatipo 2 si concentra sulle relazioni. È molto brava a costruire connessioni e a provare empatia per gli altri. 

È anche molto capace di essere di supporto e aiutare il prossimo a trovare il suo potenziale. 

Si presenta spesso come colui che ha tutto e che può dare tutto; non vuole mostrarsi come carente o bisognoso; la falsa abbondanza è la sua fissazione.

In molti casi la madre è stata depressa o infantile e ha richiesto al figlio di ricoprire un ruolo genitoriale creando una confusione nella chiarezza dei ruoli.  

Alla base della sua esigenza di distinguersi c’è dunque l’esperienza traumatica della deprivazione affettiva materna che comporta una sensazione di non sentirsi amati.

L’intenzione segreta dell’enneatipo 2 è farsi adorare, raggiungere il potere e la fama individuale. 

La facciata sociale, consiste nel mostrarsi caldo e relazionale, disposto ad aiutare in modo magnanimo e fedele. 

Per questi motivi, spostare l’attenzione su sé stessi e capire di cosa hanno bisogno è molto difficile per gli enneatipi 2.

Vogliono essere accettati e apprezzati dagli altri e arriveranno a cambiare sé stessi per ottenere il plauso altrui

Essendo un po’ come delle spugne emotive, i 2 devono stare attenti a cosa assorbono dalle persone che stanno loro intorno. 

Arrabbiarsi o imporre dei limiti personali può essere una cosa molto impegnativa per loto. 

Anche se essere amati e riconosciuti come speciali ha i suoi vantaggi, non è un sostituto per l’essere amati da sé stessi. 

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Scheda esplicativa Enneatipo 2 

Passione principale

Orgoglio

Centro d’Intelligenza

Emotivo (Cuore)

Punti di forza

Premuroso, popolare, comunicatore

Problemi

Privilegiato, ingenuo, dipendente 

Stile di comunicazione

Gentile ed empatico, dà consigli, a volte militante di una causa

Abitudini emotive livello basso

Orgoglio nell’essere speciale, importante e indispensabile. Oppure poca auto-stima quando non riceve approvazione. A volte usa l’indifferenza come scusa per allontanarsi dalle relazioni intime.

Abitudini emotive livello alto

Umiltà, che vuol dire essere capace di sapere e tenere a mente l’esperienza del riconoscere il proprio valore personale senza eccessiva auto-critica. 

Sfida principale

Trovare sé stessi nella relazione. Bilanciare dipendenza e autonomia.

Difese psicologiche

Il meccanismo di difesa dei 2 è quello di evitare di vedere i propri bisogni e sentimenti per mantenere l’apparenza di essere colui che dà aiuto piuttosto di riceverlo.  

Caratteristiche fisiologiche

Sono tipi che sentono molto a livello emotivo. Hanno un corpo morbido e flessibile con uno sguardo che non teme il contatto diretto. È facile per loro somatizzare sentimenti repressi in sintomi fisici. 

Leggi anche: Qual è il senso della vita, l’illuminante risposta di Alfred Adler

Consigli per relazionarsi meglio con un Enneatipo 2 

  • Per creare rapporto, sii il primo a cercare il contatto e mostra apprezzamento e approvazione quando possibile. 
  • Cerca di evitare di ferire i suoi sentimenti o di essere troppo critico. 
  • Per gestire un conflitto chiedigli di fare un esame di coscienza e di mettersi nei panni dell’altro, provare a immaginare cosa prova e ascoltare cosa ha da dire. 
  • Per supportare la sua crescita aiutalo a riconoscere apertamente i suoi bisogni e di trovare del tempo per sé stesso. 

Le parole di un enneatipo 2

Sono diventata consapevole di essere dipendente dal lavoro e dalla superiorità nelle relazioni. Il bisogno individuale di gloria e adorazione contrastavano con la possibilità di relazionarmi ai miei simili come pari.

Mi ero costruita un’immagine di me come desiderabile, amabile, affettuosa, una persona che occupa un posto nel cuore degli altri. 

Così giustificavo tutti i miei atti in nome dell’amore, ma questo amore si confondeva con piacere, sedurre, attrarre, essere speciale. Non era amare l’altro, era idealizzare l’amore, sfruttarlo per costruire l’immagine di persona amata. 

Avevo uno stile di vita totalmente disordinato, cercavo in ogni modo di non entrare in contatto con me stessa e di evitare di star male.

In cambio, non mi davo tregua: l’euforia era la mia compagna abituale e mi distraeva dalla vita interiore con una costante ricerca di sensazioni e di esperienze che mi distraessero dal senso di abbandono.

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I 9 Enneatpi:
Profilo Enneatipo 1

L’enneatipo 1 nasconde una profonda sensazione di vuoto esistenziale che prova a compensare attraverso la compulsiva ricerca della perfezione e dell’integrità.

Chi appartiene a questa tipologia si allontana dal dolore e dalla paura nascondendosi nell’immagine della superiorità che, nel loro modo di pensare, è l’unico modo di riparare la perdita della pienezza.

A volte gli enneatipi 1 sono stati bambini accuditi ma che sono stati obbligati a essere giudiziosi e a rispettare le regole, perdendo così la loro istintività ed emotività.

Pongono particolare enfasi sull’integrità personale e l’auto-controllo

Ragionano in termini di giusto e sbagliato e la loro attenzione è spesso diretta ad aggiustare ciò che non va per loro piuttosto che provare ad adattarsi.

L’inadattamento prevede così un continuo sforzo e impegno a fare le cose bene, fino a trasformarsi in una pretesa irrealizzabile: essere perfetti.

Allora sono in uno stato di continua tensione e non riescono mai a essere soddisfatti né di sé stessi né di quello che riescono a ottenere.

Gli 1 sono anche molto responsabili e rigorosi, al punto da essere quasi nevroticamente etici, e criticano le persone che non prendono la vita tanto seriamente quanto loro. 

Hanno degli standard molto alti e tendono a vedere le cose in bianco e nero.

È molto facile per loro prendersela con gli altri o con sé stessi. 

Sono idealisti e mettono molto sforzo nel migliorare il mondo attorno a loro, cosa che spesso li mette nel ruolo di riformatore sociale

Atteggiamenti ed espressioni sono improntati a serietà e compostezza.

Mostrano una freddezza controllata, un sorriso sottile e una certa gentilezza che si può trasformare in indignazione o superiorità aristocratica.

I punti di crescita cruciali per loro sono l’accettare le imperfezioni e il tollerare i punti di vista altrui. 

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

Scheda Esplicativa Enneatipo 1

Passione principale

Centro d’intelligenza

Ira

Istintivo (Corpo)

Punti di forza

Onesto, responsabile, orientato al miglioramento 

Problemi

Risentimento, non-adattabilità, iper-criticità 

Stile di comunicazione

Preciso e dettagliato, con la tendenza a fare prediche

Abitudini emotive livello basso

Risentimento, rabbia e rancore

Abitudini emotive livello alto

Serenità, lasciar andare le cose come stanno

Sfida principale

Cambiare cosa si può cambiare e accettare il resto. 

Difese psicologiche

L’enneatipo 1 usa dei meccanismi di difesa compensativi che lo aiutano a evitare la sua rabbia e mantenere l’immagine di chi ha sempre ragione. Per esempio se si sentono innervositi proveranno a comportarsi in maniera gentile e calma in apparenza. 

Caratteristiche fisiologiche

La pressione dell’aver sempre ragione porta l’enneatipo 1 a provare rigidità e tensione, particolarmente nella mandibola, nel collo e nelle spalle. 
Il viso si contrae in un’espressione di giudizio rabbioso o di risentimento. 

Consigli per relazionarsi meglio con un enneatipo 1 

  • Per creare rapporto, rispetta la sua integrità e prendi le cose seriamente.
  • Cerca di evitare di fare promesse che non puoi mantenere ed essere negligente. 
  • Per gestire il conflitto, chiedi all’enneatipo 1 di esprimere la sua rabbia in modo chiaro; ammetti i tuoi errori; parla con convinzione e autorità; spingilo a vedere le cose sotto un altro punto di vista. 
  • Per supportare la crescita, aiutalo a essere meno critico con sé stesso e ad accettare gli errori; chiedigli di perdonarsi e perdonare; ricordagli di condividere la responsabilità con gli altri; incoraggialo a lasciarsi andare. 

Le parole di un enneatipo 1 

Non volevo essere deboluccio, fragile, sensibile, e quindi nascondevo i miei stati d’animo, le difficoltà, e non chiedevo.

Così come mi volevano loro, mi faceva sentire diverso, incapace, limitato. In fondo non avevo fiducia che papà e mamma potessero rispondere alle mie esigenze.

Con il tempo mi resi conto che tanti dei miei comportamenti coprivano un profondo senso di svalutazione e di inadeguatezza ed erano diretti a soddisfare un gran desiderio di riconoscimento

Se un tempo pensavo che dovevo essere perfetto per essere riconosciuto e far parte di questo mondo, oggi posso dire: “che regalo non esserlo, così posso crescere e godermi di più la vita”.

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Enneagramma Test Online Gratuito a fine articolo.

Il test dell’Enneagramma serve a valutare e a conoscere meglio la propria personalità per ricondurla a una delle sue 9 tipologie individuali di riferimento, dette Enneatipi.

Ogni Enneatipo descrive un preciso modo di stare al mondo e dimostra come la personalità sia un’espressione esterna di convinzioni radicate e assunzioni di base che motivano le nostre azioni e reazioni.

Panoramica 9 Enneatipi

L’Enneatipo 1, per esempio, detto il Perfezionista, è convinto che deve essere perfetto prima di ottenere ciò che vuole, nega le imperfezioni e tende a essere iper-critico (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 2, detto il Donatore, si concentra sull’ottenere l’approvazione e la gratitudine degli altri per sentirsi una brava persona, è spesso autoreferenziale e assorbito in sé stesso (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 3, detto l’Esecutore, pensa che per essere valido deve avere successo, per questo è spesso competitivo, stacanovista o eterno studente (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 4, detto il Romantico, è segretamente convinto di avere qualcosa che lo renda non-amabile, così usa l’introspezione e la creatività per sentirsi speciale (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 5, detto l’Osservatore, si rifugia nella mente e nella conoscenza per evitare l’intimità, nega i propri bisogni ed è spesso iper-idealista (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 6, detto lo Scettico Leale, ha paura della perdita, immaginando spesso scenari negativi, tende ad aver paura e cercare la sicurezza (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 7, detto l’Ottimista, cerca di compensare il suo vuoto interiore con le distrazioni, il divertimento, le passioni e gli eccessi; ha problemi a impegnarsi veramente nei progetti e nelle relazioni (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 8, detto il Capo, tende a dominare per evitare di essere dominato, ha uno stile molto abrasivo e rifugge da vulnerabilità e debolezza (vai al profilo completo).

L’Enneatipo 9, detto il Mediatore, fa di tutto per evitare il conflitto e mantenere una parvenza di armonia; è spesso pigro e ha problemi ad agire verso priorità auto-imposte (vai al profilo completo).

Enneagramma Test
Enneagramma Test

L’Enneagramma: una breve storia

Il diagramma a 9 punte viene usato da secoli per mappare le diverse sfumature della coscienza umana.

In era moderna è stato originariamente reso popolare nel 1915 da George Gurdjieff, un filosofo e insegnante che lo ha usato nel suo programma di sviluppo personale.

Successivamente, dal 1965 in poi, Oscar Ichazo ha assegnato 9 tipologie di personalità all’Enneagramma, mentre Claudio Naranjo e altri psicologi della Berkley hanno incorporato nel sistema le ultime teorie della psicologia moderna.

A differenza di molti sistemi psicologici che si concentrano sul lato nevrotico delle persone, l’Enneagramma descrive anche i punti di forza e il potenziale di ogni Enneatipo.

Non esistono personalità che sono migliori o peggiori.

Come si potrà notare leggendo il profilo completo di ogni Enneatipo, ogni personalità ha i suoi alti e bassi, un suo modo di essere in uno stato di rilassamento e un suo modo di essere in uno stato di tensione e squilibrio.

Leggi anche: Gerarchia dei bisogni di Maslow, cos’è e perché può cambiarti la vita

Enneagramma Test: Personalità ed Essenza

Un’idea fondamentale che sta alla base del test dell’Enneagramma è che gli esseri umani hanno due importanti aspetti: l’essenza e la personalità.

Ciò vuol dire che, da un lato, ognuno di noi ha un vero Io (distinto dall’Ego), una vera essenza che va al di là di classificazioni, ruoli sociali, familiari e professionali.

Dall’altro, alcuni aspetti della nostra personalità sono riconducibili ad esperienze, traumi e circostanze comuni a più persone, e per questo sono raggruppabili in un sistema di apprendimento del comportamento e del carattere.

Leggi anche: Come conoscere se stessi, 20 domande utili

I 3 centri di intelligenza

I 9 Enneatipi dell’Enneagramma sono suddivisibili in 3 sottogruppi detti Triadi, ognuno dei quali è caratterizzato da un centro d’intelligenza che dirige la vita dell’individuo.

Questi centri di intelligenza sono Testa, Cuore e Corpo:

  1. Centro Intellettuale (Testa): usa la mente per il pensiero razionale e analitico; nello stato di tensione rifugge nella Paura.
  2. Centro Emotivo (Cuore): guidato da sentimenti positivi e negativi, prova empatia per gli altri, romanticismo e devozione; nello stato di tensione rifugge nella Depressione.
  3. Centro Istintivo (Corpo): usa il corpo per il movimento, per generare consapevolezza, conosce attraverso “le viscere”, i presentimenti e le sensazioni fisiche, cerca sicurezza personale e appartenenza sociale; nello stato di tensione rifugge nella Rabbia.
Enneagramma test

Leggi anche: Cose da sapere se si vuole avere più fiducia in se stessi

A cosa serve l’Enneagramma

Capire il nostro centro di intelligenza e il nostro Enneatipo primario può facilitare di molto la nostra vita personale e professionale.

Non si sta parlando soltanto di teorie qui.

L’Enneagramma è un sistema di apprendimento del comportamento umano che serve, prima di tutto, a comprendere i motivi per cui facciamo quello che facciamo.

È uno strumento molto utile che combina la tradizionale saggezza degli antichi con i dettami della psicologia moderna, e che ha 3 principali ambiti di applicazione:

  1. Crescita personale e spirituale
  2. Relazioni più soddisfacenti a casa e a lavoro
  3. Sviluppo della leadership personale e abilità di comunicazione

Favorendo la consapevolezza della nostra natura, l’Enneagramma ci dà la possibilità di guardare alla nostra vita sotto una prospettiva più informata e completa.

E ci dà anche la possibilità di scegliere tra continuare a vivere seguendo i vecchi schemi di comportamento o superarli per costruire una situazione di vita migliore.

Leggi anche: Qual è il senso della vita? L’illuminante risposta di Alfred Adler

Enneagramma Test RHETI

Il test dell’Enneagramma ti può dunque dare delle indicazioni preziose sul tuo Enneatipo e le convinzioni nascoste che hanno indirizzato le tue scelte fino ad adesso.

Questa particolare versione del test è una porzione del cosiddetto test RHETI (The Riso-Hudson Enneagram Type Indicator).

Nonostante siano solo 36 delle originali 144 domande, se le risposte verranno date in modo sincero, il test sarà comunque affidabile e sarà molto probabile che il tipo di personalità corrisponderà a uno dei primi due o tre risultati.

Enneagramma Test: 3 Consigli per ottenere un risultato accurato 

Per svolgere il test dell’Enneagramma nel modo più accurato possibile:

  1. Ricorda che non ci sono risposte giuste o sbagliate e che non ci sono tipologie di personalità migliori di altre.
  2. Rispondi alle domande tenendo a mente il tuo comportamento e le tue reazioni negli ultimi anni e non affidarti a sensazioni occasionali.
  3. Non analizzare troppo le affermazioni e scegli semplicemente quella che si avvicina di più alla verità.

Il test ti mostrerà un risultato evidente (con la descrizione del tuo Enneatipo e il link verso la rispettiva scheda) se avrai dato più di 6 risposte attinenti allo stesso Enneatipo.

Qualora risulti dal test che la tua personalità ricada all’interno di due o più enneatipi, prova a parlare con qualcuno che ti conosce bene per vedere se le risposte che hai dato riflettono effettivamente il tuo comportamento, e poi prova a rifare il test.

Ad ogni modo, è utile ricordare che la nostra personalità è spesso più multiforme e complessa di quanto pensiamo, e che è probabile rivedere aspetti del proprio carattere anche in più di un enneatipo.

Ultime considerazioni e letture consigliate

Effettuare un’analisi approfondita della personalità è qualcosa che richiede tempo e possibilmente il supporto di un professionista.

Non è facile conoscersi e vedere con chiarezza le sfumature e gli ingranaggi nascosti del proprio carattere.

Un test da solo non può porre luce definitiva su chi siamo veramente, ma è comunque un mezzo utilissimo per iniziare a spostare l’attenzione su alcuni aspetti e motivazioni del nostro modo di fare.

Se, dopo aver fatto il test dell’Enneagramma, sei interessato/a a comprendere più a fondo la tua personalità, consiglio la lettura di questi due libri:

Enneagramma Test

VAI AL TEST

2 commenti su “Enneagramma test della personalità online: scopri il tuo enneatipo”

  1. Vi ringrazio perché è organizzato molto bene ed è facilmente comprensibile per chi, come me, si è avvicinato da poco allargomento. Ps. Ovviamente ho fatto un “grosso” passaparola

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Le convinzioni limitanti sono tutte quelle credenze che in modo più o meno consapevole limitano il nostro raggio d’azione e che hanno l’insidiosa caratteristica di rendere il processo di vivere più difficile del dovuto.

Per mostrare come nascono ti racconto una piccola storia:

Convinzioni limitanti: la storia dell’elefantino e del picchetto

Quando era appena un cucciolo, l’elefantino fu portato al circo per essere addestrato e venne legato a un picchetto con una catena.

All’inizio l’elefantino si dimenava e provava a liberarsi, ma il picchetto era troppo profondo e la catena troppo robusta così, dopo centinaia di tentativi andati a male, arrivò a una triste conclusione: non sono abbastanza forte.

Passano gli anni e l’elefantino, che adesso pesa 6 tonnellate, è ancora legato allo stesso picchetto.

Gli basterebbe un leggero strattone a sradicarlo, ma è così sicuro di non avere la forza per farlo che rimane lì fermo, limitato dalla catena e dalla convinzione di non poterla rompere.

convinzioni limitanti
Convinzioni limitanti

Le 6 convinzioni limitanti più comuni

Molte persone passano quello che ha passato l’elefantino della storia, sono incatenate a delle credenze limitanti che impediscono loro di essere completamente libere.

Da piccoli hanno imparato una verità su loro stessi e hanno continuato a crederci negli anni, anche se le circostanze che l’avevano resa possibile sono cambiate, anche se loro stessi sono cambiati.

Anche se ci sono innumerevoli tipi di persone e personalità, le convinzioni limitanti spesso si assomigliano, si ripetono, e a monte sono tutte riconducibili a una qualche forma di mancanza di fiducia.

A fini esemplificativi ho scelto le 6 più comuni:

1. Non ho valore 

  • Le persone convinte di non avere valore sono alla costante ricerca dell’ approvazione altrui, senza la quale credono di non essere niente;
  • si fanno in quattro per essere apprezzati dagli altri, anche se può capitare che, per confermare la loro convinzione, facciano inconsapevolmente in modo di farsi rigettare;
  • spesso sono tipi permalosi e prendono tutto sul personale;
  • fanno cose che una persona valorosa farebbe – come essere un buon cristiano, un ambientalista, ecc. Il loro valore è definito da quello che gli altri considerano importante, non da quello che pensano loro stessi, perché, non avendo valore, la loro opinione non conta.
  • a volte interrompono relazioni o lavori prima che gli altri si possano rendere conto che non valgono.

2. Non sono abbastanza bravo/a

  • Chi crede di non essere abbastanza bravo/a o sceglie di non affrontare le vere sfide della vita o, all’opposto, sceglie di affrontarle tutte;
  • sono studenti perpetui, che provano a fare tutto e a raggiungere mete sempre più alte per dimostrare di essere all’altezza;
  • per loro quello che fanno non è mai abbastanza e si deve sempre fare di più;
  • non sono mai contenti dei traguardi che riescono a raggiungere e quando ottengono dei riconoscimenti li screditano nella loro mente, in quanto accettarli confermerebbe l’infondatezza della loro convinzione;
  • sono quelli che dicono frasi del tipo dovrei fare di più, studiare di più, lavorare di più, guadagnare di più”;
  • dietro tutto quello che fanno giace un sentimento di vuoto interiore che provano a colmare con un’incessante occupazione.

Leggi anche: Vuoi capire chi sei veramente? Parti da questi 7 step

3. Non appartengo

  • Chi è convinto di non appartenere tenderà a comportarsi da eremita;
  • sarà molto diffidente nei confronti delle persone e troverà sempre scuse per non fidarsi;
  • se entrerà a far parte di un gruppo si comporterà in modo inusuale o sarà poco socievole, per giustificare la sua futura, e ai suoi occhi inevitabile, espulsione;
  • oppure farà di tutto per piacere ai membri del gruppo, per non farsi buttare fuori;
  • presterà particolare attenzione a ciò che rende gli altri diversi da lui per confermare a se stesso di non appartenere.

4. Non posso fidarmi di me stesso o degli altri

  • Le persone che non si fidano sono solitamente convinti che gli altri le tradiranno quindi creano, inconsapevolmente, le circostanze adatte a favorire il tradimento;
  • non permettono a nessuno di farli sentire al sicuro e provano a fare tutto da sole;
  • hanno la tendenza a sentirsi fraintesi;
  • si sentono spesso poco riconosciuti, poco valorizzati o imbrogliati;
  • hanno serie difficolta ad aprirsi e a essere vulnerabili di fronte gli altri;
  • vogliono garanzie e regole per evitare di essere fregati;
  • di solito ammettono apertamente di non fidarsi di nessuno.

Leggi anche: 11 caratteristiche delle persone con integrità morale

5. Non ho potere

  • Il sentimento predominante di chi crede di non avere potere è la rabbia;
  • biasimano sempre gli altri per quello che gli accade e si sentono vittime;
  • cercano di ottenere uno status symbol, un segno del loro potere;
  • sono convinti che gli altri abbiano il potere così possono arrivare a usare la manipolazione per instaurare alleanze e ottenere supporto;
  • a volte scelgono sfide che sono impossibili da superare così da manifestare il fallimento e confermare il credo;
  • se non riescono a imporre il loro volere possono diventare violenti;
  • fanno molta fatica ad assumersi la responsabilità delle loro azioni.

6. Devo essere perfetto/a

  • Coloro che credono di dover essere perfetti non iniziano mai niente;
  • Qualsiasi progetto o sfida hanno davanti impone un’eccessiva preparazione;
  • si paragonano agli altri e scorgono imperfezioni in loro per stare meglio;
  • possono essere particolarmente ossessionati dalle apparenze e dall’ostentare la perfezione;
  • distruggono o cancellano tutte le prove della loro imperfezione.

Leggi anche: Perché pensi di avere ragione anche quando hai torto

Le convinzioni limitanti nelle relazioni

Nelle relazioni le convinzioni limitanti possono provocare insicurezze e atteggiamenti nocivi come l’essere sospettosi, possessivi e gelosi.

Qui la convinzione limitante pone un freno alla relazione o può persino comprometterla del tutto.

Per fare qualche esempio:

  • Le persone che credono di non avere valore sceglieranno dei partner che aumentano il loro status sociale piuttosto che dei partner con cui hanno una reale intesa.
  • Coloro che non hanno fiducia tenderanno a cercare persone che sono facilmente controllabili.
  • Chi crede di dover raggiungere la perfezione avrà lo stesso tipo di pretesa nei confronti del proprio compagno o compagna mettendoli così sotto pressione.

In ognuno di questi casi la relazione sarà “intossicata” dalla convinzione limitante che impedirà alla persona di amare veramente l’altro, rispettare la sua libertà e fidarsi pienamente.

Le convinzioni limitanti nella vita professionale

Anche in ambito lavorativo le convinzioni limitanti possono degli effetti distruttivi.

In primis, la mancanza di fiducia nel proprio valore e nelle proprie abilità impedisce di cercare e trovare le giuste opportunità.

Porta a scegliere solo opzioni sicure che, nella maggior parte dei casi, sono quelle meno soddisfacenti e mantiene una visione di sé distorta, inferiore rispetto al vero potenziale.

In secondo luogo, credenze come “devo essere perfetto per essere accettato” o “non ho potere” ci fanno sentire delle vittime sfortunate delle circostanze e ci tolgono la forza di creare soluzioni ai nostri problemi lavorativi e finanziari.

Infine, coloro che hanno delle forti convinzioni limitanti su sé stessi tendono a trovare scuse e a biasimare gli altri (il proprio capo, l’economia, lo stato) per tutto quello che non riescono a fare.

Leggi anche: Le 4 principali abitudini che accomunano le persone fortunate

Prendere coscienza delle convinzioni limitanti

L’elemento principale che aiuta a prendere coscienza di una convinzione limitante è il conflitto, cioè l’insopportabile sofferenza che emerge quando qualcosa che desideriamo sul serio diventa compromessa dalle nostre stesse credenze.

Per esempio, come dicevamo prima chi non crede di potersi fidare avrà seri problemi a instaurare relazioni intime e durature.

Arriverà dunque un punto in cui, dopo l’ennesima delusione in amore, dovrà scegliere se abbandonare la convinzione e fidarsi, o continuare a stare male e convivere con le conseguenze del non fidarsi.

Il conflitto aiuta a prendere coscienza della convinzione limitante, porta a capire che il problema potrebbe in effetti non essere negli altri o nelle circostanze, ma dentro sé stessi, in quello che si crede.

Sarebbe un po’ come sé l’elefantino, stanco di essere incatenato, arrivasse a pensare, “ok, non ce la faccio più a vivere così, forse è arrivato il momento di provare qualcosa di drasticamente diverso”.

Superare le convinzioni limitanti

Dopo aver preso atto di una convinzione limitante l’ultima cosa da fare è rimpiazzarla e il modo in cui si potrà fare cambia da persona a persona.

C’è chi semplicemente si stanca di avere una bassa considerazione di sé e riesce col tempo ad acquisire autostima senza troppo sforzo.

E c’è invece chi, come me, ha dovuto impegnarsi per lottare contro l’idea di non meritare cose lo avrebbero reso felice.

In quest’ultimo caso, e qui parlo per esperienza personale, si deve continuare a immaginare nella propria mente uno scenario in cui la convinzione limitante non esiste, chiedendosi Cosa farei se….

  • Cosa faresti se fossi convinto di avere valore?
  • Cosa faresti se fossi convinto di poterti fidare delle persone?
  • Come cambierebbe la tua vita se avessi potere?
  • O come sarebbero diverse le cose se non sentissi il bisogno di essere perfetto?

Il semplice immaginare di poter essere diversi, a livello neurologico, equivale a essere diversi, anche se solo per qualche secondo.

Se ripetiamo questo esercizio, cioè se inviamo al nostro cervello continui messaggi che contrastano una convinzione limitante, arriverà un momento in cui inizieremo a crederci e a cambiare il nostro modo di agire.

Ecco dunque una lista di affermazioni positive giornaliere che possono aiutare a rimpiazzare le credenze limitanti.

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Non sei destinato né programmato geneticamente a essere ciò che sei per tutta la vita.

Infatti è nata una nuova scienza che restituisce all’individuo il potere di creare la realtà che desidera vivere.


Nel suo libro, il dottor Dispenza, autore noto a livello internazionale, speaker, ricercatore e chiropratico combina la fisica quantistica con la neuroscienza, la chimica del cervello, la biologia e la genetica per mostrarci cosa sia veramente possibile realizzare.

Una volta che hai perso l’abitudine di essere te stesso e hai cambiato veramente il tuo modo di pensare, la tua vita non sarà più la stessa!

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Molte persone in certi momenti della propria vita vedono comparire i sintomi dell’ansia

Questa è una reazione naturale ad eventi stressanti come un trasferimento, una cambio di lavoro o un inghippo finanziario.  

Il problema sorge quando i sintomi dell’ansia si presentano in situazioni minori e iniziano ad interferire con la vita di tutti i giorni. 

In casi del genere imparare a riconoscerli è il primo step. 

10 Sintomi dell’ansia 

1.Preoccupazione eccessiva 

Uno dei sintomi dell’ansia più comuni, per il quale vale la premessa di prima: va bene preoccuparsi per situazioni difficili ma quando lo stato di preoccupazione si presenta frequentemente e dura per un periodo considerevole di tempo si potrebbe essere davanti un Disturbo d’ansia generalizzato

2. Stato di agitazione 

Quando ci si sente ansiosi può capitare che una parte del nostro sistema nervoso simpatico vada in overdrive causando un accelleramento del battito cardiaco, con mani sudate o tremanti, e bocca secca. 

Chi si torva in tale stato di agitazione non riesce a ragionare con chiarezza, la sua mente offuscata dal cocktail di sostanze chimiche rilasciate dall’organismo che reagisce alla situazione come se fosse in pericolo di vita.

sintomi dell'ansia
Sintomi dell’ansia

3. Irrequietezza 

Questo sintomo è specialmente presente nei bambini e adolescenti ansiosi e viene descritto come “una spiacevole urgenza a muoversi di continuo”.

L’irrequietezza non è un vero e proprio stato di agitazione, ma può essere molto più insidiosa in quanto può passare inosservata.

Di solito la persona irrequieta ha un motivo preciso che può essere più o meno evidente.

E a volte questo sintomo dell’ansia nasconde delle preoccupazioni più profonde che non sono state propriamente considerate e comprese.

4. Fatica 

La fatica cronica può essere legata a un disturbo d’ansia o ad altre condizioni psicologiche come la depressione. 

L’essere perennemente stanchi ci porta a voler staccare la spina, anche se solo per un po’, per non dover affrontare le varie inquietudini che affliggono la mente.

5. Difficoltà a concentrarsi 

Molte persone che soffrono d’ansia hanno problemi a concentrarsi. 

Questo accade perché lo stato di agitazione provocato dall’ansia “monopolizza” la nostra attenzione tenendo la nostra mente impegnata con altre preoccupazioni e lontana dal momento presente.

Va ricordato che il nostro cervello impiega moltissima energia, e ogni operazione intellettiva o celebrale brucia calorie.

Per questo motivo quando il cervello è immerso in pensieri negativi non riesce, fisicamente, a dividere la propria energia in più funzioni, un po’ come quando il computer che è impegnato con un’operazione non può svolgerne un’altra senza rallentare o bloccarsi.

6. Irritabilità 

Quando si è ansiosi si tende a non essere molto pazienti con gli altri, per questo uno studio svolto su 9000 adulti ha riscontrato che il 90% di coloro che soffrono d’ansia si sentono abitualmente altamente irritabili

7. Muscoli tesi 

Come già accennato l’ansia influisce sul nostro sistema nervoso e può provocare tensione muscolare, come se il nostro corpo si stesse preparando a subire un attacco. 

Le spalle si alzano e il respiro si fa più corto, alcuni possono sentire crampi allo stomaco o tremori agli arti.

8. Problemi ad addormentarsi 

Visto che l’ansia invade la mente con pensieri negativi e porta ad eccessiva preoccupazione, ciò può a sua volta provocare insonnia, in quanto per addormentarsi il corpo ha bisogno di essere rilassato e la mente sgombra da pensieri pressanti. 

9. Attacchi di panico 

Nei casi più estremi l’ansia può tramutarsi in veri e propri attacchi di panico, che si manifestano in un rapido battito cardiaco, dispnea, nausea, paura di soffocare, oppressione toracica, paura di perdere il controllo o morire. 

Gli attacchi di panico possono capitare in isolamento o in modo inaspettato e frequente.

10. Difficoltà nelle situazioni sociali 

Si tratterebbe della cosiddetta ansia sociale, che accade quando eventi o situazioni sociali vengono evitate perché: 

  • ci si sente impauriti e nervosi, 
  • si ha paura di essere giudicati, 
  • ci si sente facilmente imbarazzati o umiliati dagli altri.

10 rimedi naturali per combattere i sintomi dell’ansia

Una volta visto quali sono isintomi più comuni vediamo adesso come combattere l’ansia in modo naturale

  1. Una dieta salutare, ricca di verdure, frutta, proteine, può abbassare il rischio di sviluppare un disordine dell’ansia. 
  2. La valeriana ha un effetto sedativo sul sistema nervoso, aiuta a controllare i valori di pressione arteriosa e calma i dolori spastici.
  3. La camomilla e la melissa, per rilassare la muscolatura e la mente.
  4. Il magnesio agisce positivamente sulla regolazione degli stati emotivi e aiuta dunque a controllare i sintomi dell’ansia
  5. Limitare la caffeina: un eccessivo consumo di caffè o bevande che contengono caffeina può far peggiorare i sintomi dell’ansia. 
  6. Evitare l’alcol: un disordine dell’ansia e il consumo di alcol sono spesso collegati. 
  7. Smettere di fumare: nonstante la leggenda secondo cui le sigarette fanno rilassare in verità aumentano il battito cardiaco e possono esasperare la condizione fisica di tensione causata dall’ansia. 
  8. Esercizio fisico: è riscontrato che un esercizio fisico regolare oltre a produrre endorfine ha un impatto positivo anche sulla salute mentale.
  9. Meditazione: Imparare a meditare è forse il rimedio più adatto all’ansia in quanto porta il cervello ad uno stato di rilassamento in modo del tutto naturale, semplicemente concentrandosi sul proprio respiro.
  10. Yoga: lo yoga è un’altra disciplina orientale che porta a prendere contatto con il proprio corpo, liberando la mente dai pensieri tossici e negativi.

Leggi anche: L’importanza di abbandonare le manie di controllo

Un ultimo rimedio per affrontare meglio l’ansia

Per tantissimi anni l’ansia mi ha impedito di ottenere risultati sperati nella vita privata, scolastica e professionale.

L’ho sempre vista come un peso non necessario, come qualcosa che rende tutto più difficile del dovuto.

Fortunatamente nel tempo ho imparato a gestirla, soprattutto grazie alla lettura di libri e di articoli come questo.

Leggere è dunque un altro potente rimedio contro i sintomi dell’ansia, un rimedio che aiuta a smentire la convinzione di essere i soli a sentirsi deboli e inadatti alla vita.

In realtà non potrebbe esserci nulla di più falso.

Tutti sono ansiosi in qualche misura, o lo sono stati. Tutti hanno una qualche forma di vulnerabilità.

I libri e i siti di crescita personale possono aiutarti a condividere quello che ti affligge, a rivederlo nell’altro, a non farti condizionare troppo dai pensieri negativi.

Lettura consigliata: Il potere di adesso

Il potere di adesso, Eckhart Tolle, un rimedio contro l'ansia

Il primo libro ad avermi aiutato a convivere con la mia ansia di vivere è stato Il potere di adesso di Eckhart Tolle.

Si tratta di un viaggio stimolante e straordinario alla scoperta del potere di adesso, per scoprire che possiamo trovare la via d’uscita al dolore lasciandoci andare al presente, senza più restare ancorati al passato o proiettati verso le preoccupazioni sul futuro.

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Per capire cos’è l‘Ego – sulla base del significato attribuito dalla Natural Success Academy di William Whitecloud – partiamo da uno scenario immaginario.

Cos’è l’ego? Lo scenario della barca alla deriva

Sei insieme ad altre persone su una barca nel bel mezzo dell’oceano pacifico.

In totale siete in 8 ma c’è posto solo per 7: se continuate a navigare con il peso in più rischiate di affondare.

Uno di voi deve sacrificarsi per aiutare il gruppo a sopravvivere, e per scegliere chi sarà si decide di votare.

Prima della decisione finale, però, ogni persona avrà la possibilità di fare un ultimo appello ai compagni, esponendo i motivi per cui pensa di poter essere indispensabile alla sopravvivenza degli altri.

Dopo che tutti avranno spiegato cosa li rende utili, si procederà alla votazione e la maggioranza deciderà chi deve abbandonare la barca. 

Cosa diresti quando viene il tuo turno? In che modo saresti utile agli altri? Quali qualità ti renderebbero indispensabile? 

Saper rispondere onestamente a queste domande vuol dire essere consapevoli del proprio valore.

Non essere in grado di rispondere o, peggio, provare a farlo con la manipolazione, può voler dire essere disconnessi da sé stessi.

Una prima distinzione tra Ego e Io giace proprio nella relazione che ognuno di noi ha con il percepito valore e importanza personale.

Cos’è l’ego? La radice è nell’infanzia

Un persona che non conosce il proprio valore proverà a costruirlo attraverso riconoscimenti esterni o concentrandosi sull’ottenere l’ammirazione altrui, e si convincerà di avere importanza a prescindere dal reale merito.

Ma prendiamo un caso ipotetico.

Un personaggio con amicizie altolocate viene incaricato di coprire la posizione di Direttore Sanitario senza concorso e senza le dovute qualificazioni; orgoglioso dell’incarico si insedia nel suo ufficio e si mette a lavoro ma, dopo appena qualche anno, iniziano a piovere segnalazioni e denunce. 

Perché quest’uomo ha accettato un lavoro per cui non era qualificato, per passione o per il desiderio di prestigio?

Ed è il suo obiettivo di ricoprire quel ruolo parte di una verità personale o di una finzione auto-costruita?

Prima di speculare sulle possibili risposte andiamo indietro. Andiamo all’infanzia, non solo quella dello sfortunato direttore, ma quella di tutti noi. 

cos'é l'ego
cos’è l’ego

Quando siamo piccoli la vita è un po’ come stare su quella barca di cui parlavamo prima.

Solo che al posto di dimostrare che siamo utili dobbiamo fare in modo di ottenere amore, perché è l’amore l’unica cosa che ci sfamerà, vestirà e terrà a galla in quella fase.

Per poter ottenere amore allora sviluppiamo una strategia, un ruolo che servirà a darci la sicurezza di cui abbiamo bisogno.

Chiameremo questo ruolo Ego.

L’ego è dunque l’insieme di convinzioni su noi stessi sviluppate al fine giustificare la nostra richiesta di amore e attenzione.

Ipoteticamente, a livello dell’Ego il direttore sanitario credeva di meritare una posizione di rilievo, perché in passato ha imparato che l’unico modo per essere accettati (per essere amati) è essere posizionati al di sopra degli altri.

Per lui conta ben poco che egli abbia talento o passione per il suo lavoro, o che qualcun altro possa essere più qualificato di lui.

Quando è l’ego a dirigere le nostre scelte di vita saremo incentrati a ricevere qualcosa che crediamo di non avere, invece di dare qualcosa che abbiamo. 

La persona che vive nel suo ego rimane dunque in uno stato infantile, vivendo nella convinzione di meritare più degli altri e agendo con poca (o nessuna) considerazione per il prossimo.

cos'è l'ego

Leggi anche: La filosofia Huna: 7 principi fondamentali

Distaccarsi dal proprio Ego, individuare cos’è l’Io

C’è la possibilità di distaccarsi dal proprio ego e iniziare a vivere seguendo un orientamento superiore del proprio essere.

Chiamiamo questo orientamento L’Io.

  1. L’Io è tutto ciò che sei al di là del condizionamento del tuo passato, della tua cultura e della tua famiglia;
  2. L’Io è tutto ciò che sei quando in te non esiste più la paura di non essere accettato dagli altri;
  3. L’Io è tutto ciò che sei quando vivi sulle fondamenta dell’amore per qualcosa che è già dentro di te. 

Se vogliamo vivere una vita piena, lo scopo di tutti noi è capire cos’è l’ego per noi e poi compiere il passaggio dal mondo dell’Ego al mondo dell’Io, tornando a essere uno con noi stessi. 

Sia l’Ego che l’Io sono due strumenti, due veicoli.

Entrambi hanno lo scopo di condurci alla felicità, solo che uno può riuscire a farlo mentre l’altro no. 

Non è un caso che le persone con un grande Ego non siano mai soddisfatte, che siano spesso considerate ego-iste, che siano sempre alla ricerca di qualcosa in più.

Vivere nell’Ego vuol dire vedere il mondo come qualcosa che è al servizio del nostro benessere, vivere nell’Io significa mettersi al servizio del mondo. 

Con questa nuova consapevolezza ritorniamo alle domande di prima. 

Se fossi su una barca alla deriva nell’oceano pacifico e ti venisse chiesto di convincere i tuoi compagni a non abbandonarti cosa diresti? In che modo saresti utile agli altri? Quali qualità ti renderebbero indispensabile?

Senza entrare nel merito delle miriadi di risposte possibili consideriamo il modo in cui risponderebbero due persone: una orientata dall’Ego e una orientata dall’Io.

Ego

  • Vorrà provare agli altri tutto quello che sa fare, distorcendo i fatti se necessario;
  • Userà principalmente il pronome personale “io”, con cui inizierà ogni frase;
  • Il discorso sarà incentrato principalmente su di lui o lei;
  • Se non avrà contenuti con cui convincere il gruppo a salvarlo proverà invece a impietosire;
  • Parlerà di una condizione di salute o una debolezza che meriterebbe un atteggiamento clemente e compassionevole da parte dei compagni;
  • In ogni caso sarà percepibile una sottile forma di disperazione dal suo tono di voce e dal suo atteggiamento, in quanto l’obiettivo principale dell’Ego è la salvazione dalla morte, la sicurezza da un pericolo.
cos'é l'ego

Io

  • Parlerà con calma e sicurezza. Il suo discorso non sarà una presentazione o un monologo;
  • Egli non proverà a vendersi o a suscitare pietà. Al contrario, la persona che ha scoperto il suo Io porrà maggiore attenzione al di fuori di sé;
  • Farà domande agli altri per capire quali sono i bisogni del gruppo, agirà da leader mettendo in discussione la scelta stessa di abbandonare qualcuno in mare;
  • Proverà a trovare soluzioni alternative e, facendolo, mostrerà agli altri le sue qualità, mostrerà il suo valore agendo, non con le parole;

Cos’è l’ego: conclusioni

Tornando alla vita reale. 

Nessuno di noi è completamente orientato dall’Ego o completamente orientato dall’Io.

Ci saranno circostanze in cui una parte sarà più prominente dell’altra ma, in generale, sono due spinte che sono presenti, a vari livelli, in ogni essere umano. 

Saperle distinguere aiuta a non sprecare tempo in lavori e relazioni che servono solo a darci un falso senso di autostima e a trovarne altri che nutrono la nostra anima, il nostro vero Io.

Porta a casa il blog di Dentro la Tana del Coniglio:

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La filosofia del Kintsugi, l’antica pratica giapponese di riparare i vasi rotti con oro liquido, porta con sé un messaggio di rinascita e compassione: le fratture arricchiscono.

filosofia Kintsugi
Kintsugi Filosofia

Siamo abituati a gettar via tutto quello che si rompe, a cercare il nuovo, a rimpiazzare facilmente il vecchio.

E, allo stesso modo, siamo abituati a pensare che le persone che abbiano vissuto traumi o esperienze negative hanno qualcosa in meno rispetto ad altre.

Eppure, e come sempre, c’è un altro modo di vedere.

In un vaso che si rompe, secondo la filosofia del Kintsugi, risiede l’opportunità di aumentarne la bellezza e il valore.

In un persona che si rompe, a causa di un trauma, un fallimento o una malattia, risiede l’opportunità di temprare la propria personalità.

Kintsugi filosofia di vita

Non esistono persone che non sono rotte in qualche modo.

Chi più chi meno, tutti abbiamo subito una perdita, vissuto un rifiuto, una mancanza di attenzione o amore.

Le fratture che ci contraddistinguono non devono essere per forza evidenti e non devono avere per forza conseguenze drammatiche.

Come si evince leggendo le varie tipologie di personalità del sistema dell’Enneagramma, la nostra personalità è spesso definita dai piccoli e grandi traumi dell’infanzia, da fratture invisibili che riflettono l’assenza genitoriale o la percezione di essere poco amabili.

Nella filosofia Kintsugi questi traumi sono le fratture e noi siamo i vasi.

Così come i vasi possono essere riparati con l’oro liquido e diventare così più preziosi, noi esseri umani possiamo riparare le nostre ferite interiori con l’amore e la comprensione, accogliere le nostre debolezze e le nostre fratture emotive per diventare più forti e più sani di prima.

Leggi anche: 6 caratteristiche delle persone che hanno resilienza psicologica

L’arte del Kintsugi in pratica

Così nel mondo del Kinsugi filosofia e praticità si incontrano.

L’idea della bellezza diventa l’atto stesso di rendere gli oggetti più belli, non soltanto la sua contemplazione.

L’idea di unicità diventa rispetto per la funzione delle cose e l’attaccamento a loro.

Per riparare oggetti di ceramica basta creare un liquido denso composto da colla bicomponente e polvere dorata e poi applicare il composto alle fratture in modo che sia visibile.

Usare oro liquido è una metafora perfetta per rappresentare il valore prezioso del prestare attenzione alle cose e dell’averne cura.

E porta anche ad avere benefici più ampi.

Kintsugi filosofia: imparare ad amare le imperfezioni

Smettendo di buttare e imparando ad aggiustare non solo risparmiamo e limitiamo l’impatto ambientale del nostro consumismo sfrenato, ma sviluppiamo una sensibilità pratica che possiamo poi usare con le persone e con noi stessi.

La filosofia di base del Kintsugi, infatti, insegnandoci a non giudicare i difetti, ci insegna anche a non giudicare le persone per le loro imperfezioni.

Sarebbe troppo facile usare le insicurezze degli altri come pretesto per mollarli, o usare le nostre mancanze come scusa per piangerci addosso e sentirci vittime.

Esattamente come sarebbe facile buttare un piatto che si è rotto.

Ma facile, spesso, vuol dire controproducente a lungo termine, e chi segue la via più facile potrebbe scoprire un giorno di non aver imparato a vivere veramente.

Perché è bello riparare gli oggetti, ed è bello dare una seconda opportunità alle persone; dare una seconda, e una terza, e una quarta opportunità a noi stessi.

La filosofia del Kintsugi, come molte filosofie di origine orientale, porta così ad avere un aumento di pazienza che si trasforma in maggiore fiducia in sé stessi, promuove un atteggiamento di rispetto, di umiltà e di empatia.

È una filosofia che insegna a dare più valore alle cose e alle persone, che porta, in definitiva, a pensare prima di parlare

Perché così come può capitare di rompere qualcosa a causa della distrazione, può succedere di ferire qualcuno usando parole scelte senza cura e considerazione per il suo benessere.

Kintsugi filosofia

Leggi anche: Pensare troppo fa male al cervello

Kintsugi metafora e messaggio principale

Per riassumere, chiudiamo con la lezione principale della filosofia del Kintsugi e la sua metafora: le fratture arricchiscono le persone rendendole uniche.

Le persone sopravvissute a traumi ed eventi negativi acquistano forza e bellezza come degli oggetti riparati con oro liquido.

I segni delle loro ferite diventano degli abbellimenti che li rendono speciali e indistinguibili.

Ma questa verità ha una doppia valenza perché seppur bisogna accettare le proprie fratture emotive bisogna prestare attenzione alle fratture emotive degli altri cercando (soprattutto) di non crearne altre.

Questo modo di vivere è l’essenza di una vita non violenta, di un’umanità condivisa e del rispetto reciproco.

E il rispetto è fondamentale per essere una presenza positiva nel mondo: è la caratteristica che marca la linea di demarcazione tra chi crea armonia e chi crea disarmonia, tra chi migliora la vita altrui e chi, forse involontariamente, la peggiora.

LIBRO: Kintsugi. L’arte segreta di riparare la vita

L’antica arte del Kintsugi, sviluppata in Giappone a partire dal quindicesimo secolo, consiste nell’utilizzare un metallo prezioso per riunire i pezzi di un oggetto di ceramica rotto, rendendolo così un’opera d’arte unica ed evidenziandone le crepe anziché nasconderle.

La filosofia profonda del Kintsugi, però, va ben oltre la semplice pratica artistica, e ci parla di guarigione e resilienza.

Riparato con cura, l’oggetto danneggiato pare accettare e riconoscere i propri trascorsi e paradossalmente diventa più forte, più bello, più prezioso di quanto non fosse prima di andare in frantumi.

Una metafora che, dipanandosi, illumina di nuova luce ogni processo di guarigione, riguardi esso una ferita fisica o emotiva.

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Frasi e aforismi sulla felicità circolano sin dai tempi di Aristotele.

Da secoli, scrittori e pensatori di tutti i tempi e culture tentano di afferrare la vera essenza della felicità e capita spesso che arrivino a conclusioni molto simili.

In questi aforismi sulla felicità noterete infatti che ci sono delle tematiche ricorrenti come la condivisione, l’amore per gli altri, la capacità di pensare bene.

Tutti elementi essenziali a una vita felice, tutte caratteristiche proprie di una persona che vive con serenità e leggerezza.

Frasi Citazioni e Aforismi sulla Felicità

1. “La vera felicità è abbastanza economica, eppure a quale prezzo paghiamo le sue contraffazioni”

Hossea Ballou

Molto di quello che speriamo ci renda felice non sempre lo fa.

La verità è che si può essere felici anche con poco.

2. “L’amore è quella condizione in cui la felicità dell’altra persona diventa essenziale alla tua”

R.A.Heinlein

Uno dei miei aforismi preferiti sulla felicità.

Sono infatti convinto che si è più felici quando si pensa agli altri, che si sta meglio quando il nostro amore viene diretto all’esterno e si pensa meno a sé stessi.

3. La felicità è quando quello che pensi, quello che dici e quello che fai sono in armonia

Mahatma Gandhi 

Non c’è nulla al mondo che ti dà più stabilità dell’essere in armonia con te stesso.

4. “Calcola la tua età dagli amici che hai, non dagli anni, e valuta la tua vita dai sorrisi, non dalle lacrime”

John Lennon
aforismi sulla felicità
Aforismi sulla felicità

5. “Dicono che una persona ha bisogno solo di tre cose per essere veramente felice in questo mondo: qualcuno da amare, qualcosa da fare, e qualcosa da sperare”

Tom Bodett 

6. “Non è quello che hai o chi sei o dove sei o cosa stai facendo che ti rende felice o infelice.
È quello che pensi

Dale Carnegie

7. “Non puoi essere felice a meno che non sei infelice a volte”

Lauren Oliver

8. “Il buon senso e la felicità sono una combinazione impossibile

Mark Twain

9. “Il successo è ottenere quello che desideri, la felicità è desiderare quello che hai

W.P.Kinsella

10. “La felicità non è reale se non è condivisa”

Dal film Into the Wild

Frase tratta da un film meraviglioso, ci fa capire che ha poco senso inseguire il successo personale se poi ci porta ad allontanarci dalle persone che amiamo.

aforismi sulla felicità

Aforismi sulla felicità e sulla vita

11. “Una formula matematica per la felicità: La Realtà divisa per le Aspettative. Ci sono due modi per essere felici: migliora la tua realtà o abbassa le tue aspettative

Jodi Picoult

Uno tra i più utili aforismi sulla felicità, perché molto di quello che ci rende infelici parte dalla nostra testa, dall’avere aspettative irrealistiche o poco attinenti alla nostra vera natura.

12. “La felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri

Marco Aurelio 

Una vita migliore parte sempre da pensieri migliori.

Come dimostrano gli esperimenti sull’acqua di Masaru Emoto, i pensieri intrisi di paura e odio portano discordanza e creano problemi di vario tipo.

I pensieri di amore e gratitudine creano armonia e bellezza.

13. “La felicità non è l’assenza di problemi, è l’abilità di saperli gestire

Steve Maraboli

14. “Preferirei essere felice piuttosto che aver ragione in qualsiasi giorno

Douglas Adams 

L’ossessione che alcuni di noi hanno con l’avere ragione può portare a un deterioramento dei rapporti personali.

Non si può stare bene in una relazione in cui solo una persona è sempre dalla parte giusta.

Ogni tanto l’umiltà di ammettere di avere torto aiuta la felicità perché rafforza la connessione con chi amiamo.

15. “In generale, le persone più infelici che conosco sono quelle che sono ossessionate con sé stesse; le persone più felici che conosco sono quelle che si mettono al servizio degli altri. Nell’insieme, sono arrivato a capire che quando ci lamentiamo della vita è perché stiamo solo pensando a noi stessi

G.B.Hinckley

16. “La felicità non è un obiettivo, è la conseguenza di una vita ben vissuta

Eleanor Roosevelt

17. “L’azione potrebbe non sempre portare alla felicità, ma non c’è felicità senza azione

William James

Le azioni hanno un peso.

Gli infelici sono spesso vittime delle circostanze, si sentono impotenti o arrabbiate col mondo perché nessuno dà loro ciò che vogliono.

Il fatto è che nessuno ti darà mai ciò che ti serve realmente per essere felice.

Se vuoi essere felice scopri cosa ti serve e poi agisci. Ai fini della tua serenità a lungo termine è meglio un’azione sbagliata che una non-azione.

18. “I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perché”

Mark Twain

19. “Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle”

Denis Waitley

Aforismi sulla felicità e sulla vita

20. “La vita non è fatta di cose incredibili, fantastiche. E’ fatta di piccole cose, ma quando non chiedi l’impossibile, quelle piccole cose si trasformano in realtà eccezionali”

Osho

A volte quando si rincorrono cose impossibili nella vita lo si fa perché si vuol compensare un sentimento di vuoto o di perdita.

La persona che è veramente piena, a posto con sé stessa, sa come apprezzare le piccole cose, ed è solamente grazie a questa semplicità che la vita diventa più leggera e la felicità a portata di mano.

21. Se si costruisse la casa della felicità, la stanza più grande sarebbe la sala d’attesa.

Jules Renard

22. Le 5 regole per vivere felice: 1) Non odiare. 2) Non ti preoccupare. 3) Dona di più. 4) Abbi meno aspettative. 5) Vivi con semplicità.

Anonimo

23. La vera felicità proviene da un senso di pace ed appagamento interiore che a sua volta si ottiene coltivando altruismo, amore, compassione, e grazie all’eliminazione di rancore, egoismo e avidità.

Dalai Lama

24. L’ottimismo è un magnete della felicità. Se rimani positivo, le cose buone e le buone persone saranno attratte da te.

Mary Lou Retton

25. Cercare la felicità fuori di noi è come aspettare il sorgere del sole in una grotta rivolta a nord.

Proverbio tibetano

26. Non ci può essere felicità se le cose in cui crediamo sono diverse dalle cose che facciamo.

Freya Stark

27. Perché è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai ancora l’anima addormentata e ti semina dentro un’immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi.

Alessandro Baricco

28. Quando prendi molto sul serio il mondo, non puoi sapere cosa sia la felicità. La felicità accade unicamente quando hai messo radici in una visione del mondo secondo la quale tutto non è altro che un gioco.

Osho Rajneesh

29. Ora, non ci si ferma soddisfatti e felici quando un nostro desiderio si realizza. Piuttosto, ci si spinge subito a desiderare qualcos’altro che ci possa soddisfare in maniera migliore. Desideriamo il desiderio più che la realizzazione di esso.

Zigmunt Bauman

30. Quelli che sperano di raggiungere la felicità cercando ricchezze, gloria, potere e imprese eroiche, sono ingenui quanto un bambino che vuole afferrare l’arcobaleno per farsene un mantello.

Dilgo Khyentse Rinpoche

Libro: Dentro la tana del coniglio – Cosa ci rende felici

Dentro la tana del coniglio copertina libro

Dentro la Tana del Coniglio parla di felicità, di cosa la favorisce e di cosa la limita.

È uno spazio di condivisione dove si parla del percorso di crescita, di cosa vuoi dire diventare grandi, creare la vita che si desidera.

In queste pagine si raccontano esperienze di cambiamento, si sfida il concetto di “normale”, si mettono in discussione tutte quelle convinzioni che impediscono di scoprire il proprio talento, quello che si è veramente

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La proiezione psicologica è un meccanismo di difesa che consinste nello spostare caratteristiche proprie sugli altri per allontanarsene il più possibile.

Prima individuata da Sigmund Freud e poi elaborata da Carl Gustav Jung, la proiezione è comune agli individui che non hanno imparato a conoscere loro stessi e il loro lato oscuro.

Come affermava il vecchio proverbio della pagliuzza e della trave nell’occhio, può infatti capitare che ciò che non viene elaborato o accettato in noi stessi diventi molto più visibile negli altri provocando fastidio o reazioni di rabbia.

Per mostrare esattamente questo meccanismo, voglio qui condividere una storia che mi riguarda e che per molto tempo ho considerato imbarazzante.

Proiezione psicologica al corso di motocicletta

Ero al corso di motocicletta.

In otto ci trovavamo nel parcheggio di un edificio dove avremmo sostenuto l’esame pratico per la patente A e tra di noi c’era un ragazzo mingherlino e silenzioso.

Aveva la schiena curva e il viso pieno di brufoli, portava gli occhiali e dei jeans larghi che sembrava non venissero lavati dai tempi del liceo.

Era goffo, talmente goffo che quando salì in sella alla sua moto perse subito il controllo e cadde per terra a rallentatore.

Mentre gli altri accorsero ad aiutarlo io mi sentivo ribollire dentro, c’era qualcosa in lui che mi dava sui nervi e la cosa si intensificò nel guardarlo tentare di sollevare la moto senza riuscire.

Nella mia testa gli urlavo contro frasi di rabbia come: Sfigato muoviti! Non vedi che tutti aspettano te? Cosa sei venuto a fare a farci perdere tempo? Perché non fai un favore a tutti e te ne vai? 

Ma non dissi nulla, tentai di non pensarci e continuai con la lezione di guida.

proiezione psicologica
proiezione psicologica

Durante le varie prove che ci venivano assegnate tutti riuscivamo a restare in sella senza troppi intoppi… Eccetto lui. 

Continuava a fermarsi, a rallentare quando doveva accelerare, a far tremare il manubrio, a uscire fuori strada. Un vero imbranato.

Più la mia rabbia nei suoi confronti lievitava e più, a confronto, mi sentivo rincuorato di non essere come lui.

Io ero sicuramente più cool, più figo, più in gamba.

Io le moto le sapevo portare, non avevo bisogno che nessuno mi dicesse cosa fare, non avevo bisogno di migliorare.

O, per lo meno, era così che speravo che fosse.

La proiezione psicologica in atto

La fase di esercitazione durò più di dodici ore, che inclusero anche un secondo giro di prove l’indomani mattina, prima dell’esame vero e proprio.

I miei compagni di classe diventarono tutti un po’ più bravi con la pratica, ma il ragazzo mingherlino continuava a stare sulla sella dritto dritto come un manico di scopa.

Avrei scommesso che non avrebbe passato l’esame ed ero sicuro che sarebbe arrivato ultimo.

Poi iniziarono i test ufficiali.

C’erano nove prove, ognuna delle quali veniva valutata con punteggio da 1 a 10. Bisognava ottenere un punteggio minimo di 60 per passare.

Ogni prova consisteva in un aspetto preciso della guida su strada: curve a destra e a sinistra, rettilineo con cambio da seconda a terza, fermata con scalata da terza a prima e via dicendo.

Nel bel mezzo dell’esame, mentre ero ancora concentrato a prendermela (mentalmente) col ragazzo, non mi accorsi che iniziavo a perdere colpi.

Non riuscivo a rimanere dentro le linee, a mantenere il controllo della moto o a fermarmi prima del segnale di stop.

proiezione psicologica

Leggi anche: Cos’è l’ego e perché è importante distaccarsene

Iniziai a innervosirmi.

E un dubbio angosciante mi fece sudare i palmi delle mani: e se non fossi capace di superare l’esame?

Arrivò la parte finale (che sbagliai) e quando anche l’ultimo partecipante terminò i suoi giri, ci chiesero di rientrare nell’edificio dove aspettammo l’arrivo dell’istruttore con la cartella dei risultati.

In un’atmosfera di silenzio e tensione chiamarono uno ad uno i nostri nomi e ci dissero il punteggio ottenuto nell’esame di teoria e in quello di pratica.

Quando finirono una cosa divenne chiara: mi ero piazzato ultimo della classe nella pratica, con un punteggio di 61 su 100.

E la cosa più imbarazzante fu che il ragazzo mingherlino, lo stesso che, ci avrei giurato, avrebbe dovuto fallire miseramente, ottenne un 72/100.

In poche parole, aveva fatto meglio di me.

Alla fine dei conti ero io il perdente del gruppo, un boccone estremamente amaro da ingoiare, ma grazie al quale imparai una delle lezioni più importanti della mia vita.

E la lezione è questa:

Quando proviamo fastidio, risentimento o odio nei confronti di qualcuno, è probabile che il sentimento non abbia nulla a che vedere con la persona in sé, ma con noi stessi.

È probabile insomma che si tratti di una proiezione mentale.

La proiezione, una scomoda verità

Arriviamo così alla morale della storia: quel ragazzo ero io.

Non fisicamente, ovvio, ma metaforicamente.

Era la parte di me a cui non è mai stato consentito di sbagliare, a cui non è mai stato dato il tempo di imparare

L’odio che ho sentito risuonare dentro non era nient’altro che una proiezione, il retaggio di un’emozione che avevo vissuto in passato e che si ripresentò nel presente quando venne stimolata da qualcuno che mi assomigliava in un modo che era difficile da accettare.

Avrei potuto continuare a credere che il ragazzo fosse oggettivamente un buono a nulla, che quel test non significava niente, ma a cosa sarebbe servito?

Il risultato parlava chiaro: ero io quello che aveva ancora molto da imparare, non lui.

Lui passò dal non saper portare una moto a ottenere la patente grazie alla pazienza e all’empatia degli insegnanti (pazienza ed empatia che non avevo avuto) .

Io, invece, pur credendo di essere al di sopra di tutti nel gruppo, persi l’occasione di migliorarmi, di crescere, di ammettere di non saper fare bene qualcosa.

La mia debolezza si travestì da arroganza e mi fece diventare, anche se solo per un giorno, e anche se solo nella mia mente, un bullo.

proiezione psicologica

Leggi anche: Come si diventa un bullo a scuola (e nella vita)

La proiezione mentale accade perché è più facile prendersela con gli altri

Quanto è semplice evidenziare le mancanze altrui? Quanto è semplice notare le debolezze degli altri e ignorare le proprie?

Molto. Troppo.

Dopo il giorno dell’esame di motocicletta, tutte le volte in cui sento dell’odio o della rabbia montare dentro mi chiedo, da dove viene? Quale parte di me mi ricorda questa persona?

Ho mai fatto quello per cui sto giudicando l’altro?

E nella maggior parte dei casi in cui mi pongo quest’ultima domanda la risposta è Sì.

Un sì che riesce a smorzare l’impatto di emozioni altamente frustranti e negative, un sì che mi ricorda che tutti possono sbagliare, un sì che mi fa sentire più connesso con gli altri, un sì che mi rende più umile

Quando ripenso a quel ragazzo vorrei tornare indietro nel tempo e abbracciarlo, dirgli Tranquillo, non fa niente se sei caduto, riproviamoci insieme, neanch’io sono capace.

Avrei tanto voluto dirgli queste parole, e avrei tanto voluto che qualcuno le avesse dette a me.  

Dentro la tana del coniglio copertina libro

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La prima volta che ho sentito parlare di resilienza psicologica mi trovavo in California.

Ai tempi lavoravo in un ambiente competitivo come quello della musica e mi sentivo spesso atterrato dalle difficoltà di una vita lontana dalla famiglia e dalle persone a me più care.

Mi sentivo solo e isolato in una città enorme dove è facilissimo perdersi.

Ogni giorno tornavo a casa da lavoro dopo aver passato più di un’ora nel traffico ed ero atterrato dalle incertezze.

Mi chiedevo se ce l’avrei mai fatta a restare ed ero molto tentato dall’idea di mollare tutto e tornare a casa.

resilienza psicologica

Leggi anche: Cose da sapere se si vuole avere fiducia in se stessi

6 caratteristiche di chi ha resilienza psicologica

Lo ammetto, in quel periodo non avevo nessuna resilienza psicologica e nessuna delle 6 caratteristiche di una persona resiliente:

1. L’abilità di cambiare prospettiva e trovare il lato positivo in ogni situazione.

2. La capacità di dare il giusto peso alle sconfitte senza esasperare la portata dei propri errori.

3. L’abilità di trasformare i fallimenti in motivazione a fare meglio.

4. La capacità di provare empatia per se stessi e per gli altri.

5. La forza di tenere a bada le emozioni negative come la rabbia, la frustrazione o l’invidia.

6. La capacità di lasciar andare il rancore e il senso di colpa.

La maggior parte di coloro che hanno compiuto qualcosa di grande nella vita hanno una o tutte queste caratteristiche.

Nel raccontarti la loro storia, ti diranno che hanno lavorato tanto, dovuto superare pesanti sconfitte e trovare la motivazione a continuare, che hanno dovuto lottare contro situazioni impossibili e imparare a perdonarsi per i propri errori.

Le difficoltà fanno parte della vita

Niente che abbia vero valore arriva in modo semplice e indolore nella vita, per questo c’è assoluto bisogno di resilienza psicologica per vivere.

Senza di essa si possono raggiungere solo obiettivi facili, come se si scegliesse di arrivare a una particolare destinazione evitando le salite.

Diventare resilienti equivale dunque ad aumentare la potenza del nostro motore mentale, ci permette di arrivare più in alto percorrendo rapidi pendii e curve pericolose.

Non ci sarebbe sfida altrimenti, non ci sarebbe soddisfazione.

Visto che tutte le cose più belle della vita arrivano con un certo livello di sforzo e sacrificio, la resilienza psicologica è la chiave per evitare che questo sforzo e questo sacrificio ci atterrino e ci impediscano di ottenere ciò che vogliamo.

Leggi anche: Il metodo completo per capire cosa fare nella vita ed essere più appagati

Resilienza significato universale e individuale

Rielaborando quanto già detto:

La resilienza psicologica è la capacità di affrontare le difficoltà senza scoraggiarsi troppo, e di perseguire i propri obiettivi a discapito di errori e fallimenti. 

Nota bene: non conta molto la natura o lo spessore di questi obiettivi. 

La resilienza potrebbe appartenere all’aspirante attore che va a vivere all’altro capo del mondo per inseguire il suo sogno come alla casalinga che ogni giorno deve destreggiarsi tra faccende di casa, mariti assenti e figli disordinati. 

Le difficoltà che affrontiamo non sono assolute

Ognuno di noi ha la propria montagna da scalare e ognuno di noi diventerà tanto più resiliente quanto imparerà ad aver sempre meno timore di questa montagna. 

Hai paura di non riuscire a laurearti? 

La resilienza per te sarà la capacità di studiare e presentarti a ogni sessione d’esame anche se non credi di potercela fare.

Hai paura di non essere abbastanza preparato per il mondo del lavoro? 

Sviluppare la resilienza per te vorrà dire inviare curriculum e presentarti ai colloqui anche dopo essere stato rifiutato o ignorato più volte.

Vorresti trovare il coraggio di vivere all’estero ma non sai parlare la lingua? 

Sviluppare la resilienza ti aiuterà ad affrontare le tue paure un poco alla volta, fino ad arrivare al passo decisivo.

Leggi anche: Infelicità e desideri, la trappola del modello “se-allora”

Essere resilienti equivale anche a essere genitori di sé stessi

In sostanza, la resilienza è la nostra arma principale contro tutto quello che di difficile e scomodo c’è nella vita. 

Potremmo scegliere di evitare il difficile e lo scomodo, è vero. Ma cosa risolveremmo?

È pressappoco impossibile non incontrare imprevisti in tutto quello che si tenta di fare, non avere difficoltà o delusioni nelle relazioni e nel lavoro.

Senza resilienza ci si dovrebbe affidare ad aiuti esterni ogni volta che si incappa in una di queste difficoltà o delusioni.

Con la resilienza ci si aiuta da soli.

Così come da piccoli ci affidiamo ai nostri genitori per risolvere ogni cosa, da grandi diventiamo noi i genitori di noi stessi.

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Leggi anche: Conoscere se stessi è la sfida più importante della vita

Come sviluppare la resilienza psicologica, la tecnica del re-framing

Adesso che abbiamo capito cos’è e cosa comporta la resilienza psicologica, proviamo a capire come svilupparla.

La tecnica più efficace per allenare la resilienza, a mio avviso, è quella del reframingovvero del re-inquadramento. 

Quando un evento negativo o una situazione difficile ci scoraggiano, o quando mollare sembra essere la scelta più semplice, si ha la possibilità di guardare tutto sotto una prospettiva diversa. 

Se ci pensi bene, ti renderai conto che non sono tanto le cose che ci accadono a procurarci stress ma il significato che gli diamo. 

Potrei abbattermi perché ho perso il lavoro per esempio, oppure potrei vedere lo “sfortunato” evento sotto un altro punto di vista. 

Potrei apprezzare il fatto che ho più tempo da passare in famiglia o che posso finalmente finire quel corso che mi interessava tanto.

Il trucco è trasformare le avversità in opportunità. 

Adesso potresti dire che è solo un modo per illudersi o la solita solfa rosa e fiori da Pollianna, ma chi ti dice che la vera illusione non stava invece nel pensare alla perdita del lavoro come a una tragedia

Chi dice che gli aspetti negativi debbano essere sempre più reali di quelli positivi? 

Il segreto sta nel raggiungere il giusto equilibrio.

Se vedi tutto come negativo ti sarà molto difficile sviluppare la resilienza psicologica perché non troverai nessun motivo per andare avanti. 

Dall’altro lato, se impari a re-inquadrare, a trovare la prospettiva che ti permette di vedere meglio il lato positivo della situazione, la resilienza, cioè la tua capacità di affrontare l’evento o la situazione difficile, sarà una conseguenza naturale

Leggi anche: Come cambiare la propria vita – e quando farlo

10 Frasi sulla resilienza

La resilienza vuol dire accettare la tua nuova realtà, anche se è peggiore di quella che avevi prima.

Elizabeth Edwards

Se il tuo cuore è spezzato, crea dell’arte con i pezzi.

Shane Koyczan

Una cosa bella della vita, una volta che inizi a prendere nota delle cose per cui sei grata, inizi a dimenticarti delle cose che ti mancano.

Germany Kent

Solo le persone forti sono in grado di organizzare la loro sofferenza per fare in modo di sopportare solamente il dolore che è necessario.

Emil Dorian

Davanti alle avversità abbiamo due scelte, possiamo essere amareggiati o possiamo essere migliori. Queste parole sono la mia stella cometa.

Caryn Sullivan

Il successo è il fallimento vanno e vengono, non lasciare che ti definiscano. È ciò che sei veramente che conta.

Kamal Ravikant

Non scoprirai mai il tuo vero potenziale fino a quando non sarai forzato ad andare molto più in là della tua zona di confort.

Tony Dovale

La vita è sempre piena di sfide ma con la pazienza e la resilienza possiamo trasformarle in opportunità di crescita.

Amit Ray

La resilienza non è l’abilità di rialzarsi dopo la caduta, è soprattutto una costante resistenza alla tendenza di mollare.

Janna Cachola

A volte, quando sembra che le cose stiano andando in frantumi, in realtà stanno andando a posto.

Zaid Ismail

Lettura consigliata: La forza della resilienza. I 12 segreti per essere felici, appagati e calmi

La chiave per trasformare le esperienze effimere in risorse interiori durature è già custodita dentro di noi ed è la nostra forza. 

La vera capacità di adattarsi a un mondo in continuo cambiamento scaturisce da forze interne come la grinta, la gratitudine e la compassione.

Questa è la resilienza, quella dote di cui abbiamo bisogno ogni giorno per crescere una famiglia, lavorare insieme ad altri, affrontare lo stress, i problemi di salute, le divergenze, il dolore o semplicemente i momenti di difficoltà.

Con la sua caratteristica miscela di neuroscienza, mindfulness e psicologia positiva, il dottor Rick Hanson ci mostra come sviluppare dodici forze interiori vitali legate al nostro sistema nervoso

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Sempre più persone al giorno d’oggi si interrogano su come vivere felici.

Basti pensare che la parola felicità è una delle più ricercate su Google e che, soprattutto negli ultimi anni, sono sempre più popolari corsi e seminari che insegnano alle persone come essere sereni e vivere meglio.

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Ma perché a volte è così difficile capire come vivere felici?

La risposta è tanto semplice quanto ampiamente diffusa: per vivere felici bisogna prima di tutto imparare a essere.

E quando dico essere non intendo la solita tiritera shakespeariana fatta di teorie esistenziali.

Saper essere è qualcosa di estremamente pratico, vuol dire, semplicemente, conoscersi e saper vivere sulla base di questa conoscenza.

Di solito chi vive seguendo falsi presupposti e false credenze finisce sempre per essere infelice e, viceversa, l’infelicità serve a comunicare che qualcosa non torna, che si sta vivendo in modo sbagliato.

Rimandando le riflessioni più approfondite sull’esigenza di seguire fino in fondo la propria natura al mio libro Dentro la Tana del Coniglio – Cosa ci rende felici, voglio qui dare solamente dei consigli che affrontano di petto la questione del come vivere felici.

6 consigli su come vivere felici

1. Fa un lavoro che ti piace, e che ti soddisfa

Quello del lavoro sicuro è ormai diventato un mantra dell’economia moderna, ma raramente ci viene detto che un lavoro che sembra sicuro nel breve termine può diventare in-sicuro nel lungo termine.

Insicuro perché:

A. il mondo e l’economia sono in continuo cambiamento e anche perché

B. fare qualcosa che non piace produce stress e può portare nel tempo ad avere altissimi livelli di insoddisfazione, nonché inficiare la performance e persino compromettere la salute.

come vivere felici
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2. Evita le persone negative

Il mondo è pieno di persone. Se ti ritrovi circondato da colleghi, amici o parenti che in qualsiasi modo ti scoraggiano, non sei obbligato/a ad averci a che fare.

A volte la gente è negativa perché si porta dietro un bagaglio di ricordi e frustrazioni passate che continuano ad avere un brutto impatto sul loro presente.

E a volte queste frustrazioni vengono proiettate sugli altri invece che risolte con sé stessi.

Per questo tieni sempre a mente che alcuni parlano male perché hanno il male dentro, offendono e bistrattano perché sono state offese e bistrattate in passato.

Se quanto detto ti è già capitato, lascia passare e segui il prossimo consiglio.

Leggi anche: Comprendere meglio la felicità in 20 aforismi

3. Trova la tua nicchia

Trova chi ti comprende, chi ha i tuoi stessi interessi.

Circondati di persone che ti ispirano, con cui non hai bisogno di fingere, di cui ti puoi fidare.

Ognuno di noi è come una pianta e il contesto sociale, o lavorativo, in cui ci troviamo è il terreno che può farci crescere, e dunque migliorare, o appassire.

4. Coltiva la gratitudine

Prima di aspirare ad avere quello che non si ha, bisogna imparare ad essere grati per quello che si ha.

La gratitudine ci porta ad essere sereni, produce uno stato d’animo aperto e fondamentalmente ricettivo.

Per questo chi è contento di quello che ha finisce per attirare maggiori opportunità nel lavoro e nella vita privata.

È una sorta di loop dove la gratitudine genera felicità che a sua volta genera fortuna che a sua volta genera maggior gratitudine e maggior felicità.

Chi non sa essere grato con poco non sarà in grado di essere grato con molto quindi è bene imparare a coltivare l’arte della gratitudine sin da subito.

Leggi anche: Vorrei essere felice, ma non so come farlo

5. Perdona

C’è un vecchio detto che dice che la persona che biasimi diventa il tuo padrone.

E da ciò ne deriva che ogni volta che coviamo del rancore nei confronti di qualcuno ne diventiamo involontariamente schiavi.

Perdonare, allora, non è un atto di debolezza ma, al contrario, un atto di auto-preservazione che aiuta a essere più sereni.

Non importa quale sia la gravità dell’offesa, rimuginare su quello che ci hanno fatto fa male più a noi che all’altro.

6. Sii paziente con te stesso/a

Forse il consiglio più importante che posso darti, la cui importanza ho imparato ad apprezzare negli anni, sperimentando sulla mia pelle cosa vuol dire non avercela, la pazienza.

Sono sempre stato una persona che pretende molto, da me stesso in primis.

In moltissime occasioni mi sono posto obiettivi che erano al di fuori della mia portata aspettandomi di raggiungerli in tempi record solo perché dovevo dimostrare qualcosa, a non so chi.

In passato avevo l’abitudine di credere che, una volta diventato grande, avrei dovuto saper rispettare determinati standard di condotta e di performance, senza mai concedere a me stesso la possibilità di imparare, o di sbagliare.

Devo ancora fare lo sforzo di ricordarmelo di tanto in tanto, ma rispetto a prima sono molto più pronto ad ammettere che non so fare qualcosa e che ho bisogno di tempo per imparare.

È vero, ciò mi porta a sentirmi incapace in alcune occasioni, ma è meglio essere incapaci e avere la pazienza di migliorare che essere incapaci e rimanerci perché si è troppo orgogliosi per cambiare.

come vivere felici
come vivere felici: sta calmo e impara dai tuoi errori

Come vivere felici: conclusioni

In conclusione, potrei continuare a darti consigli all’infinito e spiegarti la mia idea di cosa vuol dire vivere felici, ma non so fino a che punto servirebbe.

Ognuno di noi ha un suo modo di stare al mondo ed è normale che se un particolare lavoro potrebbe rendere felice uno potrebbe rendere un altro completamente infelice.

E lo stesso vale per una città, una relazione o un hobby.

Però c’è una cosa che ho capito negli anni, e questa cosa è che ci sono degli aspetti della vita che riescono ad avere un impatto sulla felicità di tutte le persone, o per lo meno così sembra.

Questi aspetti hanno a che fare con quanto abbiano appena detto: con la natura della propria occupazione, con la capacità di provare gratitudine, con la qualità delle relazioni.

A prescindere dalla tua provenienza, sesso, età o religione, in quanto essere umano sei quasi geneticamente predisposto ad aver bisogno di certe cose per vivere felice.

Per questo, se dovessi riassumere in poche righe come si può avvicinarsi il più possibile a uno stato di felicità ti direi:

Non sei perfetto, non sei perfetta, abbi la pazienza di imparare a vivere nel modo che ti è più congeniale, di scoprire cos’è che sai fare meglio, cosa ti piace.

In pochi sanno chi sono già dalla nascita, il resto di noi lo scopre strada facendo.

In questo percorso non farti influenzare da chi prova a buttarti giù di morale, ognuno ha le proprie battaglie interiori da combattere, non farti carico di quelle degli altri.

Perdona chi ti fa del male, trova piuttosto qualcuno che voglia condividere il tuo viaggio, e non dimenticare mai di essere grato per quello che hai già raggiunto.

Lettura super consigliata: Il libro della Gioia, Dalai Lama e Desmond Tutu

come vivere felici, copertina libro della gioia

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L’idea che voglio esplorare in questo articolo è quella secondo cui viaggiare rende felici e di come questa attività produca benefici diversi rispetto allo shopping.

Come forse avrai già sperimentato, sia viaggiare che fare nuovi acquisti possono avere un impatto positivo nello stato di benessere di una persona.

Ma quello che forse non sai è che la durata di questo impatto non è la stessa nel tempo.

Secondo le ricerche della Cornell University mentre la sensazione di piacere che si prova nel comprare cose (e il loro stesso valore) diminuisce nel tempo, il valore dei ricordi che ci può regalare un viaggio, o una nuova esperienza, aumenta.

In altre parole, la felicità che deriva dal fare shopping è solamente temporanea.

Questo è il primo motivo del perché viaggiare serve di più alla nostra felicità del comprare.

Specialmente quando è solo un modo per ovviare alla noia o alla monotonia di una vita senza stimoli, lo shopping raggiunge solo parzialmente il suo scopo.

Nel giro di niente le cose che compriamo passano dall’essere il nuovo all’essere il solito, qualcosa a cui siamo abituati, che diamo per scontato, che ci dimentichiamo persino di avere.

D’altro canto,

potresti mai dimenticarti di un viaggio con il tuo partner in Turchia?

Dimenticheresti mai di aver visto Parigi o la muraglia cinese o la statua della libertà?

Leggi anche: Come essere felici cambiando il proprio modo di pensare

Perché viaggiare rende felici e arricchisce

Alla fine, il vero valore di quello che compriamo non sta nel prezzo, ma nel modo in cui ci fa sentire, non soltanto nel momento dell’acquisto ma anche negli anni avvenire.

Guardando indietro nel tempo cosa ti darebbe più soddisfazione, ripensare a quel giorno in cui comprasti un bel paio di scarpe in saldo o a quella settimana in Puglia con gli amici?

Non sto dicendo di passare dall’app di Zara all’app di Ryanair. È indubbio che alcune cose servono e vanno comprate.

Il punto centrale qui è che quando abbiamo già quello che serve, e la scelta è tra comprare ancora o spendere gli stessi soldi per fare delle esperienze, scegliere le ultime potrebbe regalare maggior felicità, sia nel breve che nel lungo termine.

Il viaggio giusto, nel momento giusto, con le giuste persone, aiuta a cambiare prospettiva.

Entrare in contatto con culture diverse dalla nostra rende più aperti e tolleranti, e sapere cosa c’è al di là dei confini del proprio orticello diminuisce l’impatto della paura dell’ignoto… e del diverso.

Lo stesso vale per tutte quelle esperienze che ci fanno uscire dalla nostra zona di confort, per quelle esperienze che ci portano a fare qualcosa che non pensavamo di poter fare.

Fare un viaggio e fare shopping: la differenza

Più volte nella vita ho detto mi sono pentito di aver comprato quel giubbotto, quella macchina o quel cellulare.

Ma mai nella vita ho detto di essermi pentito di aver fatto un viaggio, anche se è andato male o si è rotta la macchina nel bel mezzo delle montagne e abbiamo dovuto attendere il carro attrezzi per strada, di notte; anche se hanno sbagliato la prenotazione e ci hanno dato una stanza sola per quattro persone; anche se l’aereo ha ritardato e abbiamo perso la coincidenza.

È questa la differenza principale tra un viaggio e lo shopping: un acquisto andato storto si butta via o si regala.

Un viaggio andato storto può trasformarsi in un’avventura, una storia da raccontare e da ricordare.

E sono proprio i ricordi che renderanno la tua vita migliore, che ti faranno sentire ricco e che, all’età grande, ti faranno sentire di aver realmente vissuto.

perché viaggiare

Leggi anche: Si può vivere con poco ed essere felici?

Insegnate ai figli a viaggiare più che a comprare

La mia vita non sarebbe stata la stessa se mio padre non mi avesse insegnato a viaggiare, se già dalle scuole medie non mi avesse mandato in Inghilterra per imparare l’inglese.

Grazie a lui ho capito che se insegni ai tuoi figli a viaggiare li metti nelle condizioni di doversi fidare di sé stessi e di imparare a confrontarsi con culture diverse.

Quando da piccolo hai visto posti nuovi cresci con una concezione del mondo più amichevole, come qualcosa da esplorare e non da temere.

Così, se ti capita di voler andare a vivere all’estero per lavoro o studio non hai paura, ma lo fai con entusiasmo e adrenalina, lo fai perché sai che ti può servire a crescere.

Poi può darsi che torni o che rimani fuori, ma in ogni caso avrai dato la possibilità a te stesso di fare nuove esperienze e facendolo avrai imparato qualcosa di nuovo su di te.

Non sottovalutare dunque l’importanza del viaggio come strumento di arricchimento e scoperta personale, e non pensare al peggio quando viaggi.

Pensa al meglio.

Pensa che sì, viviamo in un mondo dove capitano cose brutte, ma viviamo anche in un mondo dove capitano cose stupende, dove puoi viaggiare nella maggior parte delle nazioni senza temere che ti possa capitare qualcosa di brutto.

Per questo viaggiare ti porta ad avere fiducia nel prossimo e la stessa fiducia che è un pilastro portante della felicità.

Lettura consigliata: Le coordinate della felicità di Gianluca Gotto

Se ogni tanto desideri mollare tutto e partire. Se ti senti “fuori posto” in una vita normale. Se sogni di essere libero di vivere come preferisci.

Se ami viaggiare e ti piacerebbe lavorare viaggiando. Se sei stufo di inseguire un’idea di felicità decisa da altri… questo libro potrebbe aiutarti a cambiare vita e a trovare la forza di seguire i tuoi sogni.

È la storia di un ragazzo che si ribella a una vita “giusta” ma infelice e si mette a cercare la sua strada, fino a diventare, dopo mille avventure in giro per il mondo, un nomade digitale.

Formato Kindle €8,99

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Tra le miriadi di esperienze che ti potranno aiutare a scoprire chi sei quella che credo abbia la maggior efficacia è decisamente vivere all’estero. 

Quando vivi lontano da casa, dalla famiglia e dalla cultura del tuo paese, infatti, tutte le convinzioni e abitudini che hanno orientato la tua esistenza smettono di avere un ruolo determinante.

Non c’è più nessuna apparenza e, teoricamente, nessuna personalità da preservare.

È ovvio, alcuni tratti del nostro carattere rimangono con noi ovunque andiamo, ma è anche vero che il contesto ha un impatto enorme su ciascuno di noi. 

Vivere all’estero moltiplica gli stimoli, e senza stimoli non si cresce

Se vivere all’estero, in un contesto multi-culturale con diverse opzioni di studio e lavoro potrebbe stimolare e far emergere talenti e interessi, un contesto di vita ristretto potrebbe avere l’effetto opposto e limitare di parecchio la crescita e la scoperta di sé stessi.

Per fare un esempio estremo:

Immaginiamo che un ragazzo avesse scelto di rimanere per sempre a casa con i propri genitori e di non diventare economicamente indipendente.

Il ruolo che lui avrebbe all’interno di quel contesto sarebbe principalmente quello di figlio – incompatibile con il ruolo di impiegato, di imprenditore, di professionista, di marito.

I suoi interessi e i suoi hobby potrebbero essere influenzati da genitori e amici, da quello che pensano di lui, da quello che sperano per lui, dal modo in cui lo vedono.

Un contesto molto puritano potrebbe limitare l’esplorazione della sua sessualità.

Una cerchia di amici che lo considerano una persona timida potrebbe frenarlo dal fare qualcosa di intraprendente.

Se fosse abituato a seguire gli altri potrebbe imparare a credere che non sia possibile ottenere un ruolo di leader.

In sostanza, finché il nostro ragazzo seguirà esclusivamente le direttive di vita che ha appreso dalla famiglia e dal contesto sociale non potrà mai sapere come ci si sente a essere qualcosa di diverso, e per questo non potrà mai scegliere liberamente.

vivere all'estero

Leggi anche: Ikigai, l’arte di scoprire il senso della propria vita 

Vivere all’estero rende più consapevoli, secondo la scienza

Il nostro caso estremo vuole dimostrare che rimanendo ancorati a quello che conosciamo non avremo mai la possibilità di conoscere quello che il mondo ha da offrire, e quello che possiamo diventare.

Ed è qui che vivere all’estero ci viene d’aiuto: mettendoci di fronte a situazioni inaspettate, come esperienze, percorsi lavorativi e di studio diversi, ci costringe a scegliere, a chiederci cosa ci piace e, dunque, a diventare più consapevoli.

E la scienza lo conferma.

Uno studio condotto da Hajo Adam, un ricercatore della Rice University in Texas, ha scoperto che le persone che vivono all’estero hanno una maggiore chiarezza del loro “Self-Concept” ovvero il concetto di sé.

In particolare, Adam sostiene che quando vivi all’estero vieni sradicato/a dai valori della tua cultura di appartenenza e sei costretto/a a rivalutarli, potenzialmente a scegliere i tuoi.

Grazie a questa esperienza si matura, si diventa più creativi, ci si libera dalle aspettative altrui e dalle proprie, si impara a rispettare e riconoscere la propria natura.

Perché trasferirsi all’estero può stravolgere la vita e la personalità

Il pensiero di trasferirsi all’estero può intimidire alcuni e può entusiasmare altri.

In base al motivo per cui si sceglie di farlo ci si potrebbe concentrare maggiormente sugli aspetti pratici come la casa, la lingua o lo stipendio, ma bisogna considerare anche gli aspetti psicologici.

Ovviamente ci sono delle difficoltà da affrontare quando si va a vivere migliaia di chilometri lontani da casa.

E l’opportunità di trarre il massimo dall’esperienza risiede proprio nel modo in cui affrontiamo queste difficoltà.

Se ci concentriamo solamente sul lavoro e replichiamo la vita che avevamo nella nostra città di origine ovviamente vivere all’estero non farà molto per cambiare la nostra personalità ma sarà un po’ come vivere in una succursale di casa propria.

Se però sappiamo metterci in gioco, se abbiamo il coraggio di fare esperienze e amicizie nuove, l’abitare in qualsiasi città che non sia la tua ti può capovolgere i pensieri.

La mia esperienza nel vivere all’estero

È esattamente questo quello che mi è successo.

Vivendo in diverse città estere mi sono sempre trovato in situazioni che mi facevano paura in qualche modo.

Ho affrontato la solitudine, i problemi finanziari, l’ansia di non trovare prospettive per il mio futuro.

Allora mi è capitato che in questo stato di tensione mi sono ritrovato a dovere prendere decisioni immediate che non avrei preso se fossi stato tranquillo e al sicuro a casa mia.

Ho messo il mio massimo impegno e la mia massima determinazione nel trovare le opportunità e le esperienze giuste, perché mi stavo ca***do sotto dalla paura.

Ecco perché trasferirsi all’estero e viverci per un po’ ti può cambiare dentro, ti mette in una situazione dove sei costretto a fare cose, a guardarti intorno, a trovare la strada giusta.

Senti di avere meno tempo da perdere in chiacchiere quando vivi all’estero, senti di non poterti permettere il lusso di rimanere indefinito.

All’estero ci stai bene solo se sai chi sei, a prescindere che tu lo scopra prima, o che sia l’esperienza stessa a fartelo scoprire.

La scelta di distaccarsi dal luogo in cui si è cresciuti, anche se solo per un periodo, potrebbe allora regalare tanto, potrebbe rendere più completi.

Certo, potrebbe allontanare da chi si ama, ma potrebbe avvicinare a chi si é.

E non c’è limite di età o scadenza per farlo, c’è sempre la possibilità di partire, come c’è sempre la possibilità di tornare, come c’è sempre, e in ogni luogo, la possibilitàdi trovarsi.

Trasferirsi all’estero dove conviene

Dopo aver affrontato la parte motivazionale ed esistenziale del nostro discorso passiamo al lato pratico.

Diciamo che ti sei convinto a fare un’esperienza all’estero, dove conviene?

Ovviamente capita che ci siano opportunità di lavoro o di studio che indirizzano le nostre scelte e oscurano tutti gli svantaggi di un determinato posto.

Ma, ipotizzando che possiamo scegliere una nazione prima ancora di trovare queste opportunità, vediamo quali sarebbero i vantaggi e gli svantaggi di 3 diverse opzioni:

1. Stati Uniti

Vivere negli Stati Uniti è un sogno che molti hanno nel cassetto, The American dream, la speranza di una terra dove tutto è possibile e dove anche l’ultimo arrivato ha la possibilità di arrivare in cima.

Beh, sarà anche stato vero a inizio secolo scorso, ma non è più così facile fare fortuna negli States.

Innanzitutto bisogna considerare il fattore visto: visitare New York per un po’ è facile, e con un visto turistico puoi rimanere qualche mese e farti una buona idea di come si viva in America.

Ma trasferirsi lì legalmente e avere diritti è un altro paio di maniche.

Si può studiare in un college americano con un visto studente, o si può lavorare con un visto lavorativo (difficile da ottenere e anche da rinnovare), o si può ottenere una green card grazie a un parente stretto o vincendo la cosiddetta Electronic Diversity Visa Lottery.

Le scelte per trasferirsi legalmente negli States sono dunque limitate e comportano spesso delle spese non inconsistenti.

vivere all'estero, New York city

2. Europa

L’Unione Europea semplifica già le cose, considerando che non c’è più l’ostacolo del visto lavorativo, le uniche difficolta pratiche da superare sono la lingua, il fattore/lavoro scuola e le varie pratiche di registrazione ai servizi pubblici di sanità e tassazione.

Ciò rende le cose più complicate rispetto a vivere in Italia, vero, ma ci dà comunque una scelta che molti cittadini di altri paesi non hanno, la scelta di scegliere un regime di tassazione diverso per esempio, o la scelta di vivere liberamente in un paese che ha molte più opportunità del tuo.

Se vai a vivere a Londra, per esempio (al momento in cui scrivo Brexit non è ancora stata finalizzata) avrai moltissime opportunità di lavoro nel campo della musica e della finanza ma le tue spese saranno più alte.

In Germania troverai un mercato del lavoro più remunerativo ed equo rispetto al nostro e non devi preoccuparti più di tanto di imparare il tedesco visto che l’inglese è pressapoco parlato ovunque.

In Svezia i servizi sono efficienti e aprire un’impresa è relativamente semplice grazie alla burocrazia leggera. Unico svantaggio anche qui… il costo della vita un po’ alto.

Tra le mete più ambite in Europa ci sono poi il Portogallo, la Spagna, la Polonia e la Romania (in quest’ultima il costo della vita è particolarmente conveniente).

3. Australia

Trasferirsi in Australia è relativamente semplice rispetto agli Stati Uniti, e soprattutto per i giovani al di sotto dei 30 anni ci sono diverse opportunità lavorative con visti annuali.

Inoltre, altri punti a favore sono il clima, le bellezze naturali, la possibilità di fare sport all’aperto e la cultura degli australiani che sono in genere molto ospitali e aperti.

Il fattore più negativo è la lontananza da casa, che potrebbe essere pesante per troppo tempo, ma nonostante questo con un po’ di conoscenza dell’inglese vivere in Australia può davvero essere per molti il nuovo sogno americano.

Nel libro Dentro la tana del coniglio – cosa ci rende felici troverai altre storie di persone che hanno trovato sé stesse grazie al viaggio:

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Nell’era in cui non si possono più risolvere le dispute a colpi di pistola, avere ragione o torto diventa quasi una questione di vita o di morte.

Metaforicamente parlando ovviamente.

In concreto, avere, o pensare di avere, ragione, dà un senso di stabilità, di forza, fa sentire al sicuro e a posto con sé stessi.

Avere torto, di contro, è un po’ come perdere, come dimostrare agli altri di essere deboli, imperfetti.

Per questo facciamo di tutto per dimostrare che le nostre ragioni siano le più valide, per questo spesso avere ragione conta molto di più che essere dalla parte della verità.

Mai come in questo periodo storico ho visto così tante persone difendere a spada tratta opinioni che sono facilmente smentite dalla logica, dalla scienza, dal buon senso o dai fatti.

E a volte ho l’impressione che si preferiscano bugie confortanti e semplici da accettare a verità che comporterebbero uno sforzo, un cambiamento.

Paradossalmente, proprio nell’era in cui l’informazione è universalmente accessibile, c’è ancora chi ignora secoli di scienza per tornare a credere che la terra sia piatta, che esista una supremazia razziale, che i vaccini non servano o che l’Universo sia in realtà stato creato da Dio.

avere ragione
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Leggi anche: Cose da sapere se si vuole avere fiducia in se stessi

Credere di avere ragione quando si ha torto può avere conseguenze negative

Ognuno è libero di credere in ciò che vuole ovviamente, ma come si fa quando convinzioni fondate su falsi presupposti hanno un impatto negativo sulla vita individuale o collettiva?

Pensa a chi è convinto che il riscaldamento globale non sia provocato dall’uomo per esempio.

Quali conseguenze potrebbe avere sull’ambiente?

E cosa succederebbe se questo credo si rivelasse completamente infondato?

Teoricamente, tutte le volte in cui si deve decidere da quale parte stare si dovrebbe valutare attentamente l’attendibilità delle prove e delle fonti, nonché il contesto storico, i benefici e gli svantaggi.

Nella pratica ci sono istanze in cui non si fa niente di tutto questo, istanze in cui non ci si rende conto che gli svantaggi delle proprie convinzioni sono, nel breve o lungo termine, superiori rispetto ai benefici.

Leggi anche: Come affrontare la vita quando sorgono i problemi

Questa svista è ampiamente conosciuta nell’ambito della psicologia, e viene chiamata “ragionamento motivato”, cioè la difesa (più emotiva che razionale) di una convinzione che avviene selezionando i fatti che confermano le proprie opinioni e screditando quelli che le smentiscono.

Per chi ragiona in questo modo la priorità non è la verità, ma aver ragione a tutti i costi, perseguire quello che ritiene giusto a discapito delle conseguenze negative su sé stessi o sugli altri.

L’ossessione di avere ragione, un esempio storico

Un esempio storico eclatante di questo meccanismo fu l’imprigionamento di Alfred Dreyfus, un ufficiale dell’esercito francese, di origine ebrea, che nel 1894 fu ingiustamente accusato di aver venduto informazioni segrete ai tedeschi.

In quel caso, nonostante nulla di concreto fosse emerso dalle indagini, si arrivò a una condanna e a uno scandalo nazionale.

Gli (antisemiti) investigatori dell’esercito ignorarono diverse prove che discolpavano Dreyfus e ci vollero 10 anni prima che qualcuno riuscì a provare la sua innocenza.

Leggi anche: Qual’è il senso della vita

Chi abbandonerà la pretesa di aver ragione?

Se è vero che al mondo ci sono centinaia se non migliaia di diverse interpretazioni della realtà, e che non tutte possono essere vere, qualcuno di noi dovrà pur aver più torto in qualcosa, ma chi?

Quando è stata l’ultima volta che hai sentito un politico ammettere di aver fatto un errore?

Che hai visto un razzista riconoscere il valore dell’accoglienza? O un magistrato ammettere pubblicamente di aver accusato la persona sbagliata?

Ci saranno sicuramente casi in cui ciò accade ma nella vita di tutti i giorni riconsiderare le proprie posizioni e fare un atto di mea culpa non è la regola ma l’eccezione.

Come ne usciamo allora?

La mia soluzione è una semplice domanda da fare a sé stessie se fosse l’altro ad aver ragione e io ad avere torto?

Nel tempo ho imparato che c’è pressappoco la stessa probabilità che sia io a sbagliare in qualcosa rispetto a qualcun altro, che sia io a non considerare informazioni che mi contraddicono.

Ciò non vuol dire che bisogna passare dall’avere sempre ragione all’avere sempre torto.

Ma che avere torto ogni tanto è liberatorio, rende più umili, aiuta a consolidare i rapporti e a rendersi più aperti e disponibili agli occhi degli altri.

Leggi anche: Mentalità aperta: quali sono i vantaggi e come svilupparla

Il ragionamento motivato non è altro che una disfunzione della mente che non ha imparato a riconoscere in modo autonomo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, della mente che non è cresciuta, che non è forte abbastanza da ammettere le proprie fallacie.

Interrogarsi sulla bontà delle proprie opinioni non è dunque un segno di debolezza, ma di forza e saggezza.

Ignorare le ragioni di chi la pensa diversamente da noi è il vero segno di fragilità, e, a prescindere dalle apparenze, puoi stare sicuro che più un persona è arrogante e inamovibile e più e fragile dentro.

Quindi, tutte le volte in cui sei impelagato in uno scontro di opinioni, prima di provare ad atterrare il tuo avversario con argomentazioni ben elaborate chiediti, e se non fosse come la penso? E se avessi torto?

Può dare un po’ di fastidio farlo all’inizio, ma ti assicuro che scoprire di avere torto di tanto in tanto aiuta a espandere le prospettive, a imparare, a diventare persone migliori.

Per approfondimenti sugli errori di giudizio: La trappola del comandante. Alla scoperta degli errori cognitivi che ci impediscono di decidere correttamente

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Che siamo in grado di riconoscerle o no, l’Universo opera attraverso leggi molto basilari, e tra le tante culture ad averle scoperte nel corso dei secoli vi è quella Hawaiana, dove dei maestri spirituali chiamati Kahuna tramandano gli insegnamenti della filosofia Huna, il “segreto” della vita.

filosofia huna
filosofia huna

Il credo principale di questa filosofia è quello secondo cui ciascuno di noi crea la propria esperienza personale della realtà attraverso i pensieri, le emozioni e i desideri. 

Ogni individuo è dunque co-creatore del proprio mondo insieme con l’Universo, e l’Universo è Dio (tutto ciò che è, era e sarà).

Partendo da questo presupposto vediamo più in dettaglio i principi fondamentali della filosofia Huna.

7 principi fondamentali della filosofia Huna

  1. Il mondo che ci circonda è il riflesso dei nostri pensieri, ergo, se cambi il modo di pensare, cambi il tuo mondo.
  2. Non esistono limiti. Letteralmente, non figurativamente, non ci sono limiti tra te, inteso come la tua anima, il tuo io, e il tuo corpo, tra te e gli altri, tra te e l’Universo, tra te e tutto ciò che è. Il senso di separazione, la dualità, fonte di ogni male, è un illusione. Visto dunque che siamo uno col mondo non ci sono limiti a ciò che possiamo creare. Tutto ciò che si riesce a concepire, si può manifestare.
  3. L’energia scorre laddove l’attenzione viene diretta. Il pensiero diretto in un determinato punto dello spazio e del tempo verso un determinato obiettivo, crea, se mantenuto con convinzione nel tempo, una cascata di reazioni a vari livelli che comportano una ridistribuzione biologica e cosmica dell’energia nell’ambiente. Queste reazioni a loro volta daranno vita a delle esperienzeutili a manifestare quell’idea.
  4. Il momento presente è il momento del potere. Il passato non esiste, il futuro, una percezione speculativa della mente. Entrambi sono solamente delle proiezioni astratte, l’una distorta dal filtro percettivo della memoria, l’altra dall’insicurezza e dall’ansia dell’anticipazione. In questo esatto momento, adesso, hai il potere di cambiare le tue convinzioni e di piantare, consapevolmente, i semi di una nuova realtà, quella di tua scelta.
  5. Tutto ciò che vive tende alla felicità, all’amore. Per raggiungere questo stato bisogna dare incondizionatamente, porsi al servizio di qualcosa di più grande di noi.
  6. Il potere viene da dentro. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è dentro di noi, o nel campo energetico dell’Universo, a cui abbiamo libero accesso, quando riusciamo ad essere in pace con noi stessi.
  7. La verità di questi principi, si misura con l’efficacia del pensiero nella realtà individuale. Laddove c’é malattia, violenza e miseria troveremo anche il pensiero negativo che li ha creati. Dove incontriamo felicità, amore e abbondanza di energia e salute troveremo anche il pensiero positivo.
filosofia Huna
L’occhio di Kanaloa, simbolo Huna che rappresenta Amore, Potere, Connessione e Armonia interiore.

Leggi anche: Quando le parole diventano una profezia autoavverante

Trasformare la propria vita con la filosofia Huna

Questi principi non sono semplicemente delle formulazioni astratte o metafisiche.

La loro comprensione e attuazione ha il potere di dirottare il corso di una vita intera, di portare cambiamenti radicali.

Seppur sia comodo o logico pensare al mondo come un insieme di elementi governati dal caso, esiste una sorta di “magia” sottostante alle cose che viviamo.

È una magia che non riusciamo a sentire tra il caos e gli impegni quotidiani, ma che può essere riscoperta in silenzio o in natura.

Questa magia ci ricorda che facciamo parte di qualcosa di immenso, qualcosa che dà vita alla vita, che muta, interagisce, respira, qualcosa che ha un fine.

Questo qualcosa è là fuori ma è anche dentro, ne facciamo parte così come Lei fa parte di noi.

Quando pensiamo di essere separati in qualche modo ci scoraggiamo, ci sentiamo impotenti perché non riusciamo a immaginare come possiamo influenzare il mondo e ottenere quello che vogliamo.

La filosofia Huna, invece, ci insegna a credere in noi stessi e nel potere delle nostre intenzioni di avere un impatto sull’esterno.

Affermando che la realtà che viviamo è un riflesso dei nostri pensieri ci dà il potere di cambiarla, la possibilità di scegliere se continuare a vivere in una determinata situazione o meno.

Se si riesce ad accettare la responsabilità di poter fare tutto questo si acquisisce un’arma di difesa contro le “sfortune” e gli imprevisti della vita, in quanto non verranno più visti come qualcosa che accade a noi, ma come qualcosa che accade attraverso noi, e che possiamo dunque trasformare.

Per approfondimenti: Ho’omana – Il grande libro di Huna, lo sciamanismo hawaiano

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Per molti di noi non è sempre facile capire come affrontare la vita.

Si spera sempre per il meglio ma quando la realtà ci mette davanti problemi e complicazioni facciamo di tutto per evitarli o toglierli di torno.

E se questo fosse l’approccio sbagliato? Un modo poco produttivo di affrontare la vita?

Se ci ostiniamo a credere che i problemi nascano dal nulla non facciamo altro che dargli un’autonomia che non hanno, in quanto pressappoco tutto quello che viviamo ha una causa riconducibile a una nostra scelta del passato.

Soffermandoci sullo strato superficiale di una situazione che definiamo “un problema”, come il non andare bene a scuola, il non riuscire a trovare lavoro o l’essere sovrappeso, potremmo mancare di capirne la vera causa e notare la nostra responsabilità nel crearlo.

Perché è vero che, a volte, il mal di testa è solo un mal di testa e si può facilmente combattere con una pillola.

Però a volte il mal di testa è qualcosa di più, forse è dovuto a uno stile di vita stressante o e collegato ad una miopia non curata.

Allo stesso modo, se siamo sovrappeso si può scegliere la soluzione più ovvia e andare da un dietologo.

Ma se i chili di troppo sono la conseguenza dello stress o della frustrazione, il dietologo potrà attutire il problema solo superficialmente, senza poter andare alla radice.

come affrontare la vita

Come affrontare la vita: ricorda che tutto è connesso

L’approccio del combattere di petto i problemi è molto comune nella nostra società.

Siamo abituati a vedere tutto ciò che si allontana dalle nostre migliori aspettative come un impedimento, e siamo abituati a pensare che impedimenti e problemi siano qualcosa da evitare a tutti i costi.

  • Ingurgitiamo pillole di ogni tipo per ogni tipo di dolore o fastidio;
  • prendiamo psicofarmaci se siamo tristi;
  • integratori se siamo stanchi;
  • aspirine se siamo raffreddati;
  • facciamo causa se siamo offesi;
  • chiudiamo i porti se ci sentiamo invasi;
  • cambiamo i governi se l’economia non cresce.

Atteggiamenti del genere possono andare bene o andare male, ma hanno comunque qualcosa in comune.

In ogni esempio si pensa principalmente al sintomo del problema, e viene spesso ignorata sia la sua vera causa che il suo messaggio.

C’è sempre un motivo per cui sorgono i problemi nella vita

Non sarà sempre facile da trovare, ma farlo è possibile con pazienza e fiducia.

Rimanere fermi nel rifiuto del problema, invece, oltre ad essere la cosa più semplice da fare, potrebbe avere il risultato opposto, quello di esasperarlo:

  • succede quando vietare qualcosa ne fa incrementare l’uso;
  • succede quando la gelosia ossessiva porta al tradimento;
  • succede quando la guerra per la pace porta più guerra;
  • succede quando il carcere rende criminali;
  • succede quando le punizioni portano a un peggioramento della condotta.

Quando ci concentriamo sui problemi, quando cerchiamo scorciatoie per risolverli, li rafforziamo, perché non è il problema che va “aggiustato”, ma il pensiero, la struttura mentale, fisica, organizzativa che lo ha creato.

Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda obsoleto il modello esistente

Buckminster Fuller

È il modello, quindi, che va aggiustato, e il modello parte spesso dal nostro modo di pensare, di vedere noi stessi e una determinata situazione.

Perché forse non è la mancanza di lavoro il problema, forse abbiamo scelto il lavoro sbagliato per il motivo sbagliato.

Magari non è il non andare bene all’università il problema, forse non c’è passione per quello che si studia e si ha l’inconsapevole desiderio di fare altro.

Per affrontare al meglio la vita e i problemi che ci possono affliggere dobbiamo tenere a mente una cosa sola: TUTTO È CONNESSO

  • le nostre azioni con i nostri pensieri,
  • i nostri pensieri con le nostre emozioni,
  • le nostre emozioni con il modo in cui ci vedono gli altri,
  • il modo in cui ci vedono gli altri con le opportunità che ci vengono date,
  • le opportunità che ci vengono date con il nostro tenore di vita,
  • il nostro tenore di vita con il nostro livello di soddisfazione,
  • il nostro livello di soddisfazione con la nostra felicità.

La causa prima di una valanga può essere lo spostamento di un semplice fiocco di neve a monte, e la causa di un fallimento una voglia di riscatto nata nell’infanzia, la causa di un gesto sconsiderato un mancanza di attenzione.

come affrontare la vita

Leggi anche: Cambiare la propria vita, come e quando farlo 

Come affrontare la vita: va alla radice

Adesso dovrebbe essere chiaro che se hai problemi di coppia o tuo figlio si comporta male, fermarsi alla superficie potrebbe non portare a nulla.

La soluzione sta sempre alla radice, e ti renderai conto che più vai a fondo nel capire la dinamica di un problema e più aumenterà il tuo controllo.

Un esempio tipico:

La tua ragazza da tempo è diventata fredda e distaccata e tu temi che ti possa lasciare.

Se guardi il problema in modo diretto passerai subito a delle misure per evitarlo, per esempio mostrare la tua preoccupazione alla tua compagna in modo passivo-aggressivo o provare a farla ingelosire.

Sei concentrato su quella che credi sia la causa del problema non ti renderai conto che provando a risolverlo lo esasperi perché la tua ragazza reagisce al tuo comportamento con ulteriore chiusura. 

Soluzione?

Vai a fondo, e lì forse vedrai che il motivo per cui la tua ragazza è fredda è un altro, perché non parlate, o sei stato troppo impegnato con il lavoro e non le hai dato le dovute attenzioni.

Diverso da quello che pensavi eh?

Se così stanno le cose la situazione cambia, adesso hai il controllo.

Il problema (il suo atteggiamento) era lì per dirti qualcosa, per portare un messaggio, e se lo ascolti ti basta cambiare qualcosa in te stesso per risolverlo.

Tutto migliora in questo modo.

Tutto (le relazioni, la società, la situazione economica, ecc.) può cambiare in meglio se ci assumiamo la responsabilità di andare alla radice e di cambiare noi stessi prima di tutto.

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Le incomprensioni e le liti di coppia sono una parte normale di ogni relazione.

Anche nelle coppie più solide si litiga, ci si innervosisce, ci si lascia prendere dalla rabbia e si dicono cose che non si pensano.

Ciò accade spesso perché un partner, a differenza di qualsiasi altra persona, è colui, o colei, da cui ci si aspetta di più, da cui si pretende di più, e che ha più probabilità di ritrovarsi coinvolto/a nelle nostre turbolenze emotive.

A un partner si dice tutto, ma può capitare che non si dicano proprio le cose più importanti perché, possibilmente, si ha paura della reazione o si vorrebbe essere compresi senza chiederlo.

I litigi d’amore diventano così un pretesto perfetto per ricalibrare le dinamiche interne della relazione, per dar sfogo a pensieri non verbalizzati e rafforzare le fondamenta del legame.

Non sempre il motivo delle liti di coppia è ovvio

Per massimizzare l’efficacia del tempo passato a discutere e far sì che si arrivi a una conclusione il prima possibile, è utile tenere a mente che non sempre il motivo principale del litigio è quello più ovvio.

Una lite che si scatena per la mancata risposta a un messaggio o per un commento sarcastico, per esempio, potrebbe nascondere un’insoddisfazione di natura più ampia come la mancanza di attenzione o di fiducia nel proprio partner. 

Discutere sul merito del mancato messaggio o del commento fuori luogo potrebbe, allora, portare a nulla, anzi, potrebbe far peggiorare la situazione.

Di contro, trovare le vere cause di queste piccole insoddisfazioni rende più semplice la comunicazione, e ci evita il duro lavoro di risolvere ogni singola incomprensione

Evita di entrare nel merito di ogni singola questione

Il motivo per cui entrare nel merito delle incomprensioni è opera così ardua è che ciascuno di noi ha una naturale tendenza a proteggersi e a non voler perdere.

Provando a giustificare costantemente le proprie azioni si arriva ad una sorta di metaforica lotta corpo a corpo dove il nostro interlocutore farà di tutto per non essere messo al tappeto, e viceversa.

Con un atteggiamento del genere, ovvero con un modus operandi basato sul sistema io-ho-ragione-tu-torto, è più difficile arrivare alla radice di multipli problemi e tantomeno alla loro soluzione.

L’alternativa è, per l’appunto, trattare i piccoli problemi come se fossero dei sintomi di un problema più grande, e dedicarsi all’identificazione di quest’ultimo.

In tal modo si riesce a dare una meta alla discussione, un obiettivo a cui puntare, insieme.

liti di coppia

Leggi anche: 4 consigli per litigare meno e capirsi meglio

3 semplici regole per affrontare al meglio le liti di coppia

1. Non andare via

A prescindere dal motivo per cui si sta discutendo, a prescindere dalla gravità di quello che l’altra persona abbia potuto dire, non andar via, non sbattere la porta, o la portiera, non staccare il telefono.

Andar via nel bel mezzo di un’accesa discussione è il miglior modo per togliere potere all’altro, e ci dà l’illusione della vittoria quando, in realtà, non fa altro che far aumentare il risentimento.

Se ti sei agitato troppo o sei arrivata al punto in cui non riesci più a ragionare, dillo chiaramente, scusati e chiedi di fare una pausa per riassettare i pensieri.

Vedrai che se lasci passare del tempo tornerai alla discussione con più calma e con una prospettiva diversa.

2. Ricordati del positivo

Quando si è presi dalla frustrazione e non si riesce a vedere la luce alla fine del tunnel, è facile lasciarsi prendere dal pessimismo e vedere solo i tratti negativi dell’altra persona.

In questi casi lamentarsi durante una lite di coppia è una sorta di droga che annebbia il cervello e ci fa voler continuare a criticare l’altro fino a quando questo non si arrende ed alza bandiera bianca.

Purtroppo, però, non è questa la reazione naturale di chi viene criticato.

Perché, di solito, più si punta il dito su una persona facendole notare gli aspetti negativi del suo carattere e più la persona perde fiducia in sé stessa e nella relazione.

Per questo ricordarsi di dire qualcosa di positivo come, “dopotutto ti amo” oppure “so che non è colpa tua”, ha il beneficio di abbassare i meccanismi di difesa del partner e iniettare una dose di speranza nella discussione.

Arriviamo così alla terza regola…

Leggi anche: Cos’è l’amore e quando si ama veramente

3. Non rinfacciare

Come già detto, quando si entra nella modalità del io-ho-ragione-tu-torto nelle liti di coppia si tende a voler portare l’altro alla resa, e per farlo si può arrivare ad usare determinate “armi”.

Queste armi possono essere gli errori passati del partner, i suoi difetti, i lati negativi del suo carattere, i suoi punti deboli.

La tecnica di rinfacciare liti passate o di giudicare il carattere dell’altra persona è attraente in certe situazioni perché aiuta a fare “punteggio”, a provare la propria superiorità, ma di rado aiuta la coppia in quanto:

  • denota mancanza di fiducia e la presenza di cattiva fede;
  • aggiunge carne al fuoco e distrae dall’obiettivo principale del litigio (rappacificazione); 
  • può creare risentimento e ferire il partner; 
  • può condurre a dei discorsi inutili e impossibili da risolvere, dei veri e propri vicoli cechi dai quali non si può uscire se non tornando indietro. 

In ogni lite di coppia il nemico principale è la mancanza di comunicazione provocata dall’incapacità di esprimere le proprie frustrazioni. 

Quando non siamo onesti con noi stessi e non diciamo le cose come stanno, ci lasciamo prendere più facilmente dalla rabbia e possiamo arrivare a dire o fare cose che ledono il nostro benessere e quello della persona che amiamo. 

La solidità di una relazione si costruisce attraverso la comprensione vicendevole dei bisogni di entrambi e attraverso la cooperazione per la loro soddisfazione.

Video: Coppia Felice – Litigio Costruttivo

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Nessuno nasce razzista.

Come scrive Nelson Mandela, “nessuno nasce odiando qualcun altro per il colore della pelle, o il suo ambiente sociale, o la sua religione”.

“Le persone odiano perché hanno imparato a odiare”.

Ma perché impariamo a odiare?

Ogni giorno si leggono e si vedono casi di persone che non riescono a tollerare la presenza di chi è diverso da loro, che sono fermamente convinte che la razza sia il fattore principale nel determinare il valore e il comportamento di un essere umano.

In uno di questi casi mi è capitato di assistere in prima persona.

razzista

Esempio di razzista ordinario

Io e Giuliana eravamo appena saliti sul treno per Palermo quando davanti a noi si sedettero due ragazzi di colore.

Passa il controllore e, con tono molto cordiale, ci chiede il biglietto.

Poi si rivolge a loro, ma stavolta il tono è molto più sgarbato, come se desse per scontato che i due non avessero i soldi per pagare. 

Uno dei ragazzi, forse urtato dall’atteggiamento, esce fuori una banconota da 50 euro senza guardare in faccia il controllore. 

Al che quello inizia a infastidirsi, anche perché non ha il  resto da dargli, e continua a rivolgersi a loro in modo irritato e superbo.

Così lo stesso ragazzo che ha dato la banconota tira fuori dal borsello un pugno di monete, innescando un diverbio sull’esatto ammontare del resto da dare. 

“Ma tu sai contare?” chiede il controllore a un certo punto.

E poi voltandosi verso gli altri passeggeri, questi n***i sono tutti maleducati”.

Dopo un po’ arrivarono pure due poliziotti che intimarono ai ragazzi di non creare problemi, come se, tra tutte le persone che c’erano sul treno, i problemi potessero solo essere creati da “loro”.

razzista

Il razzista ha sempre i suoi buoni motivi

Dopo aver assistito alla scena, e sentendomi quasi in colpa, ho voluto scusarmi e chiedere ai due ragazzi da dove venissero. 

Hanno risposto che venivano dalla Nigeria. Entrambi lavoravano, uno dei due studiava anche.

Ci hanno detto che una volta l’anno tornano in Nigeria, che la situazione lì è difficile, che parlano tre lingue.

Mi sono chiesto quante lingue parlassero il controllore e i due poliziotti. 

Dopodiché ho iniziato a interrogarmi sul motivo di tanta diffidenza. 

È ovvio che ci siano delle ragioni più o meno valide per pensare male di qualcuno senza conoscerlo. È ovvio, o probabile, che ogni razzista avrà avuto brutte esperienze. 

Ma in fondo non capita a tutti di avere brutte esperienze con persone di ogni razza e religione?

Se, in vacanza in Sicilia, tu venissi derubato da due palermitani, arriveresti a pensare che i siciliani sono tutti dei delinquenti?

Se un fruttivendolo italiano ti fregasse arriveresti a pensare che tutti i fruttivendoli sono dei truffaldini?

Probabilmente no.

Perché allora con gli immigrati è così semplice (per alcuni) fare di tutta l’erba un fascio?

Perché alcuni tendono all’odio e all’ostilità nei confronti di persone dal colore della pelle diverso dal loro?

Razzista non ci si nasce, ma si diventa… in 5 stadi

La risposta a queste domande si basa su una teoria psicologica, secondo la quale il razzismo non è una caratteristica genetica di un essere umano ma qualcosa che un bambino impara imitando gli atteggiamenti dei genitori e del contesto sociale in cui si vive. 

A loro volta, i genitori o gli adulti di un determinato contesto sociale diventano razzisti perché, in molti casi, hanno bisogno di un meccanismo di difesa psicologico contro l’insicurezza e l’ansia. 

Il loro percorso mentale verso il razzismo si sviluppa e raggiunge il suo apice in 5 stadi, o fattori psicologici:

Primo stadio: l’identificazione con un gruppo di appartenenza

Sentire l’esigenza appartenere non è anormale, anzi, fa parte della condizione umana voler far parte di qualcosa di più grande di noi, che sia questa una squadra di calcio, un’associazione, una classe sociale, un partito politico, una fede religiosa o una nazione.

Il problema sorge quando l’individuo non ha abbastanza sicurezza in sé stesso, perché magari non ha mai scoperto i propri valori o le proprie potenzialità, e tende così a identificarsi interamente con il gruppo per sentirsi più al sicuro, integrato e definito.

Secondo stadio: l’emergere dell’ostilità verso gruppi diversi

Se l’individuo insicuro di sé passa al secondo stadio, inizia a provare ostilità verso gruppi diversi dal suo.

A un certo livello questo può accadere quando, per esempio, i tifosi di una squadra entrano in conflitto con i tifosi di una squadra rivale durante una partita.

Nel caso del razzismo, la stessa cosa si può manifestare con l’identificazione di un nemico comune, un fattore che porta le persone a legare maggiormente tra di loro e a consolidare maggiormente la loro contrapposizione ideologica.

razzista

Terzo stadio: la perdita di empatia

Nel terzo stadio la persona è talmente identificata con il suo gruppo di appartenenza (che sia il suo partito, la sua razza o la sua nazione) che non riesce a provare empatia per chiunque non ne faccia parte.

In questa fase, l’evoluzione dell’atteggiamento razzista è già progredita abbastanza da poter essere considerata come un disturbo psicologico e antisociale. 

Quarto stadio: l’emergere del pregiudizio

Il quarto stadio è caratterizzato dall’emergere del pregiudizio, ovvero dall’omologazione e generalizzazione di chiunque non condivida i valori del gruppo di appartenenza.

Questo atteggiamento comporta la mancanza di interesse nell’altro, e porta a vedere l’altro non come una persona ma come un essere privo di umanità o identità personale. 

In questa fase, per alcune persone, la violenza o la discriminazione sono giustificate, appunto, dalla percepita mancanza di umanità dei soggetti interessati.

Quinto stadio: proiezione

Più che uno stadio finale questo è un fattore psicologico che accomuna molte persone con tendenze razziste o xenofobe. Si tratta del meccanismo della proiezione.

Ciò vuol dire che l’individuo può essere (seppur inconsapevolmente) talmente in conflitto con sé stesso da proiettare le sue imperfezioni e debolezze sugli altri.

E lo farebbe, anche qui, per difendersi, per evitare l’autocritica e la responsabilità personale. 

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Leggi anche: La proiezione psicologica, una storia imbarazzante

La redenzione del razzista

Se, da un lato, tutti possono imparare a odiare, dall’altro, e sempre citando Mandela, tutti possono imparare ad amare, perché l’amore arriva in modo più naturale nel cuore umano che il suo opposto.

È qui sta la redenzione del razzista.

Nella possibilità di conoscere un’altra via, un altro modo di pensare e di vedere il diverso.

Perché basta guardare città come New York, Berlino o Londra per rendersi conto di quanto una piena integrazione aggiunga valore a un territorio, e per vedere che la diversità culturale non solo ci rende più ricchi, ma ci rende anche più umani.

Per conoscere meglio la storia e il vero significato del razzismo leggi: Lungo cammino verso la libertà. Autobiografia, di Nelson Mandela

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Se qualcuno mi chiedesse cosa fare per essere felici avrei zero dubbi sulla risposta, abbassare le aspettative.

Adesso potrai pensare che sia un consiglio un po’ pessimista, o cinico, ma in verità non c’è nulla di male nel voler scegliere ambizioni realistiche.

Viviamo in un periodo storico in cui ad alcuni di noi viene costantemente detto di “puntare sempre più in alto”, di “non smettere mai di sognare”, di “non accontentarsi mai”.

Eppure aspettarsi troppo dalla vita può portare a tanta (forse anche inutile) infelicità.

Come diceva Shakespeare, “le aspettative sono la radice di tutte le angosce”.

Cosa fare per essere felici: la storia dell’uomo che stava annegando

Quando dico che le aspettative sono da evitare non intendo che avere dei sogni sia del tutto sbagliato, ma semplicemente che bisogna accettare quello che viene senza imporre falsi ideali su persone e situazioni.

Se aspetti che la vita metta in scena il film dei tuoi sogni e dei tuoi desideri esattamente nel modo in cui lo immagini, corri il rischio di perdere di vista ciò che di bello e utile la vita ti vuole regalare… un po’ come nella barzelletta dell’uomo che stava annegando:

Un uomo stava annegando quando una barca passò di lì e si offrì di aiutarlo.

“Prendi il salvagente” dissero dalla barca.

“No grazie” disse l’uomo. Dio mi salverà”

Dopo qualche minuto passò una nave e, di nuovo, venne lanciato un salvagente.

Afferra il salvagente e ti tireremo su”

“No, grazie disse l’uomo, Dio mi salverà”

Quando l’uomo stava quasi per morire passò un’altra imbarcazione il cui equipaggio tentò anch’esso di salvare il pover uomo ma, anche quest’ultima volta, egli si rifiutò in attesa della mano divina che lo avrebbe salvato.

Dopo essere annegato l’uomo arrivò in paradiso e, trovatosi al cospetto di Dio gli chiese, “Dio perché non mi hai salvato?”

“Ci ho provato” Dio rispose, “ti ho mandato non una, non due, ma tre navi in tuo soccorso, e tu hai rifiutato

Leggi anche: Come essere felici cambiando modo di pensare: un sistema realistico in due fasi

Vuoi sapere come essere felice? Lasciati stupire dalla vita prima di tutto

Morale della favola, i modi in cui quello che vorremmo avere si manifesta sono innumerevoli e non sempre corrispondono a ciò che ci aspettiamo.

Le persone e le esperienze stupiscono oltre i limiti dell’immaginazione quando lasciamo che tutto vada come deve andare, quando diciamo di sì al nuovo e la smettiamo di pretendere che la vita corrisponda alle nostre aspettative.

Con poche (ma buone) aspettative c’è più spazio per le sorprese, c’è più spazio per la resilienza nei momenti più difficili, c’è più spazio per la comprensione.

Se uno si aspetta poco dalla vita e dalle persone consente agli altri di essere come sono senza giudizio, e consente agli eventi di fare il loro corso senza imporre loro il proprio (a volte miope) disegno.

Di contro, quello che spesso pensiamo di volere diventa ciò che non vogliamo in futuro, perché, ammettiamolo, a volte l’unico grande ostacolo che si frappone tra noi e la felicità siamo noi stessi.

Leggi anche: 4 modi per smettere di sentirsi inferiori agli altri

Cosa fare per essere felici: la lista delle aspettative

Le aspettative creano dunque una scissione tra quello che vorremmo vedere e quello che è, generando il rifiuto per tutto ciò che non è come vogliamo.

  • Ci si aspetta che la gente sia più ordinata, passionale, pacifica, intelligente;
  • Che gli altri si comportino correttamente, che ci facciano sentire accolti e amati, che ci rispettino, che siano disponibili alle nostre richieste.
  • Che il lavoro dia soddisfazioni, che paghi bene e faccia sentire utili;
  • Ci aspettiamo di arrivare a fare determinate esperienze entro una certa età, di mettere su famiglia entro i trenta e di goderci la vita dopo la pensione.
  • Speriamo che non ci siano malattie, incidenti di percorso, che la macchina funzioni sempre bene, che i figli vadano bene a scuola;
  • Che le elezioni politiche vadano a favore del partito più giusto, che il buon senso venga universalmente riconosciuto;
  • Ci si aspetta che la scuola e l’università ci insegnino tutto quello che serve per fare successo nel mondo, che gli insegnanti si comportino sempre in modo equo ed imparziale;
  • Ci aspettiamo che tutti abbiano lo stesso rispetto per le cose a cui teniamo noi, che condividano quei valori che consideriamo “normali”, che guidino alla giusta velocità, usino le frecce nel modo più appropriato, riciclino la plastica correttamente;
  • Infine, ci spettiamo di essere ricompensati per gli sforzi, di essere riconosciuti adeguatamente per l’impegno… ma, purtroppo, o per fortuna, non sempre è così.

Più lunga è la lista di aspettative come queste e più aumenta la probabilità di rimanere delusi, indignati, affranti, frustrati, furiosi e arrabbiati col mondo.

Se la lista è corta, invece, c’è meno spazio per la delusione, e più spazio per le cose che contano, quelle che ci portano a essere felici nel tempo.

Perché la felicità appartiene a coloro che riescono a mantenere la calma mentre tutto va a rotoli, a coloro che sanno dare il giusto peso alle cose senza drammatizzare, a coloro che sanno trovare la gratitudine nella sofferenza.

cosa fare per essere felici

Leggi anche: Perché ci lamentiamo e come smettere di farlo 

Cosa fare per essere felici e realisti rispetto ai propri sogni

In definitiva, non è vero che senza aspettative si finisce per accontentarsi di relazioni mediocri e vite insoddisfacenti.

Non è vero che si impedisce a se stessi di sognare.

Il problema di cui stiamo parlando qui sorge quando viviamo solo di sogni e non abbiamo nessuna strategia concreta per realizzarli.

Va benissimo avere l’ambizione di fare qualcosa di grande tipo diventare un cantante o uno stilista di successo.

Ma se questa rimane solo un’aspettativa e non viene affiancata da un metodo di lavoro efficace rimarremo sicuramente delusi.

Quindi se pensi che degli obiettivi del genere ti renderebbero felice non limitarti a viverli nella tua mente.

Acquista consapevolezza di quali sono gli ostacoli nel realizzarli, di quello che serve fare, e poi rimboccati le maniche e mettiti a lavoro.

Perché a dispetto di quello che ti vogliono far credere i guru della legge dell’attrazione sognare da solo non basta, prima o poi si deve iniziare a fare i conti con la realtà.

Cosa fare per essere felici e realisti con gli altri

Un ultimo accenno alle aspettative che mettiamo sugli altri.

Non si può imparare cosa fare per essere felici se viviamo delle relazioni in cui gli altri vengono idealizzati.

Un marito, partner o genitore deve avere la possibilità di commettere errori, di sbagliare ed essere perdonato.

Altrimenti staremo più male noi e faremo stare male gli altri, mettendoli sotto pressione.

Dobbiamo consentire alle persone della nostra vita di amarci a modo loro senza provare a cambiarle per renderle come vorremmo che siano.

In linea di massima, è molto più semplice scegliere di frequentare persone che sono già come vogliamo piuttosto che tentare di cambiare qualcuno.

Anche qui una sana dose di realismo aiuta.

Perché le persone non sono idee, sono esseri reali e complicati, con le proprie aspettative e le proprie debolezze, anche loro bisognose di affetto e amore, anche loro meritevoli di trovare la propria felicità.

Lettura consigliata: L’arte della felicità 

Conoscere se stessi, controllare le emozioni distruttive, sconfiggere l’egoismo per aprirsi agli altri attraverso l’esercizio quotidiano alla compassione: ecco riassunti i precetti che il buddhismo indica come gli ingredienti fondamentali per un’esistenza più felice.

Ma questa è davvero una via percorribile per noi occidentali, costantemente indirizzati a modelli di vita tutti incentrati sulla competizione e il successo?

Come possiamo conciliare il percorso suggerito dalla saggezza orientale per raggiungere la serenità interiore con le sfide che la società ogni giorno ci propone? Dopo “L’arte della felicità”, il Dalai Lama prosegue nel suo insegnamento, affrontando questi temi in un ambito cruciale: il mondo del lavoro.

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Il concetto della profezia autoavverante è estremamente utile a farci prestare attenzione a quello che diciamo e pensiamo più spesso.

Nel capitolo “Parole” del mio libro, Dentro la tana del coniglio – cosa ci rende felici, parlo proprio dell’importanza che le nostre parole hanno sugli altri e su noi stessi, di come una semplice convinzione possa diventare realtà.

Parole… che diventano profezie autoavveranti

“Parla con integrità, dì soltanto ciò che intendi dire, evita di usare la parola per parlare contro te stesso o gli altri. Usa il potere della tua parola nella direzione della verità e dell’amore” 

Miguel Ruiz

Se fai un piccolo sforzo, e ti impegni veramente, noterai che tutto quello che hai creato e vissuto nella vita è partito dalle parole.

Le parole sono dei sigilli che creano, marcano e guidano le esperienze, delle finestre sonore sulla nostra anima. Sono la cosa più semplice e, anche se non ce ne accorgiamo, la cosa più potente che abbiamo.

All’interno delle parole si nascondono le nostre reali intenzioni e la nostra vera fede. Con le parole possiamo creare mondi nuovi, coinvolgere persone, iniettare idee nuove nell’ecosistema, creare letteratura che ispira.

Con il potere delle parole possiamo ferire, possiamo distruggere; possiamo usarle come armi, come pugni, come pugnali.

Possiamo farle entrare nella pelle e spingerle fino in fondo, dove rimarrebbero ad echeggiare per mesi, anni, o tutta la vita.

Nonostante si sia generalmente convinti che per fare realmente del male a una persona si debba colpirla in qualche modo, il dolore e il danno provocati dalle parole possono essere di gran lunga superiori a quello di una botta al corpo.

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Leggi anche: Pensare troppo fa male al cervello: perché e come smettere di farlo

Storia di una profezia autoavverante

Le ferite delle parole non fanno rumore, non lasciano segni visibili, sono lame silenziose che tagliano la corteccia della personalità rendendola più debole.

Soprattutto da piccoli le parole che ci dicono più spesso diventano una profezia autoavverante, sono dei veri e propri scalpelli che forgiano l’identità e lasciano segni indelebili.

In quella fase si è più vulnerabili e più propensi a credere (o meglio, ad acconsentire) a tutto ciò che ci viene detto, dando alle parole l’autorità di cambiarci per il meglio o per il peggio.

Per esempio, ho sentito la storia di una bambina, di nome Stephanie, che adorava cantare.

Una sera la madre tornò a casa molto stanca e con il mal di testa. Stephanie era invece abbastanza allegra e continuava a cantare, nonostante la madre le chiedesse di far piano.

Quando non ce la fece più, la madre le urlò contro, “stai zitta! Hai una brutta voce!”.

La bambina smise di cantare, e la madre immediatamente si rese conto di quello che aveva fatto.

Non pensava che Stephanie avesse una brutta voce, il contrario. Il mal di testa e la stanchezza le fecero perdere il controllo per appena il tempo che serviva a pronunciare poche parole.

Tuttavia furono poche parole che rimasero impresse nella mente della bambina per gli anni avvenire.

Tutte le volte in cui dovette cantare in pubblico le sentì risuonare nella sua mente, hai una brutta voce, hai una brutta voce”.

Ci volle un notevole sforzo per zittirle. Furono pronunciate una volta soltanto, ma nella mente di Stephanie si ripetono ancora oggi.

Se lei non avesse acconsentito, se non avesse scelto di credere a quella frase, non sarebbe neanche rimasta nella memoria fino al giorno dopo, e non si sarebbe certo trasformata in un profezia che si autoavvera.

Leggi anche: La memoria dell’acqua: gli esperimenti di Masaru Emoto

Quando le parole degli altri diventano profezie autoavveranti

Una volta che diamo valore a qualcosa che ascoltiamo, rendendolo parte della nostra storia, possiamo farlo diventare una “profezia”.

  • Così il bambino che si sente spesso dire, “sei bravo ma non ti impegni”, finisce per crederci così tanto che a quarant’anni si chiede come mai non metta tutto sé stesso in niente.
  • Così la bambina che sente dire da una compagna, “dovresti mangiare meno, sei grossa” in terza elementare, sviluppa un disturbo alimentare a 25 anni.

Tutte queste parole in sé non hanno nessun intento malevolo. Possiamo usare la parola “grossa” o la parola “brutta” in molti contesti in cui non avrebbero nessun eco.

Quando però vengono pronunciate con l’intento sbagliato, o interpretate nel modo sbagliato, acquistano potere e possono insediarsi nel cuore.

Leggi anche: Cosa succede quando si impara ad ascoltare il cuore

L’impeccabilità della parola

Nelle parole che ci vengono dette quando quello che siamo non rientra nell’ideale di qualcun altro risiede una forza estremamente distruttiva, che può creare un divario interno tra un’inclinazione e un’aspettativa:

Francesco è gay e vuole fare il designer ma la madre si aspetta che lui abbia una vita “normale”.

Giovanna è appassionata di musica e chiede al padre di comprarle un pianoforte, il padre invece le compra una tastiera giocattolo dicendole, “non valeva la pena di comprare un pianoforte perché tanto smetti subito tutto quello che inizi”.

Pietro, dopo aver consegnato la tesi universitaria al professore di psicologia gli sente dire, “lei non è portato per questo mestiere dovrebbe pensare di fare qualcos’altro”.

Il potere delle parole può far male da piccoli, può far male da grandi. Possono esser dette con buoni intenti ed essere comunque lette come un rifiuto.

Può lasciare sul fondo della coscienza l’idea di non essere abbastanza, può lasciar dentro la mancanza di fiducia.

Le parole possono venire da dentro o da fuori. Possono essere interiorizzate e ripetersi all’infinito come un disco inceppato nel jukebox dei pensieri.

Di contro, si può arrivare a costruire tanta bellezza con le parole, tanta ricchezza, specialmente quando si presta attenzione al messaggio emotivo che portano e si rispetta il loro potere.

Il mondo intorno a te cambierà profondamente se inizi ad essere impeccabile con la parola, ovvero quando la tua parola, il tuo modo di parlare, smetterà di portare con sé una carica emotiva negativa.

Nell’impeccabilità della parola non esiste “peccato”, non esiste danno a sé stessi o all’altro.

Nell’impeccabilità della parola esiste soltanto un sincero desiderio per la verità personale, unito a una profonda determinazione di proteggersi e di proteggere dal male che può essere causato da parole intrise di paura, invidia, gelosia o rabbia.

In questi primi passi di ogni crescita personale si presta molta attenzione alle parole che vengono dette, e a quelle che vengono semplicemente pensate, nonché all’intenzione che sta dietro entrambi.

Lettura consigliata: I quattro accordi. Guida pratica alla libertà personale. Un libro di saggezza tolteca

La profezia autoavverante e l’effetto Pigmalione

In psicologia, il fenomeno di influenzare il futuro degli altri per mezzo delle aspettative è definito come Effetto Pigmalione, anche detto Effetto Rosenthal.

Il team di ricercatori che lo ha studiato negli anni sessanta, guidato dal professor Robert Rosenthal, ha svolto un esperimento di psicologia sociale che ha dimostrato in modo quasi incontrovertibile che le aspettative degli insegnanti sugli alunni aveva un impatto sulla loro performance scolastica.

In altre parole, quando un insegnante pensa, o è convinto, che un alunno sia mediocre, il suo atteggiamento influenzerà la percezione dello studente stesso che si comporterà in modo tale da confermare la convinzione del maestro.

Quando, invece, gli insegnanti ritengono che dei bambini siano particolarmente intelligenti faranno in modo che la loro performance scolastica, e persino il loro quoziente intellettivo, migliori nel tempo.

La scoperta dell’effetto Pigmalione è dunque la conferma scientifica che le persone non sono dei compartimenti stagni e non sono invulnerabili alle parole e alle aspettative degli altri.

Quello che gli altri dicono di noi, il modo in cui veniamo visti, può diventare una profezia che si autoavvera, può trasformare la nostra vita, in meglio o in peggio.

È allora una grandissima responsabilità degli adulti e degli educatori, la responsabilità di trattare i più piccoli con rispetto e cura, di usare delle parole che non rendano per loro difficile crescere e credere in sé stessi.

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È abbastanza facile da notare quanto gli amori romantici nei film siano diversi dagli amori romantici nella vita reale.

Se hai mai visto una commedia romantica avrai sicuramente familiarità con scene di dichiarazioni d’amore in pubblico, corse all’impazzata verso l’aeroporto, baci appassionati sotto la pioggia.

Ti sarà anche capitato di vedere una di quelle scene dove due sconosciuti si incontrano per la prima volta in un luogo affollato e tutt’ad un tratto l’universo intorno si ferma, violini iniziano a suonare, gli occhi si riconoscono, come se sapessero che da quel momento in poi nulla sarà più come prima.

Insomma, gli amori romantici sullo schermo hanno un’intensità e una bellezza che riesce a farci sognare, farci sperare che un giorno la stessa cosa possa capitare a noi.

La nostra percezione dell’amore viene così influenzata fino a far elevare le nostre aspettative e a farci pretendere niente di meno che un “…e vissero felici e contenti”.

Leggi anche: Insicurezze in amore, perché superarle salva la relazione

Quanto sono realistici gli amori romantici nei film?

Ma quant’è plausibile questa visione? Quant’è realistica questa speranza?

A mio parere, uno dei fattori che a volte rende difficile vivere amori romantici nella vita reale è la concezione stessa che abbiamo dell’amore, soprattutto a causa del modo in cui ci viene presentato nei film.

Prendiamo la classica commedia britannica “Love Actually per esempio.

In essa ci sono diverse storie d’amore e tutte nascono senza che ci sia nessun dialogo, ovvero senza che venga approfondita la conoscenza dell’altra persona:

  • Uno scrittore s’innamora della donna delle pulizie pur non parlando la sua stessa linguaquando, successivamente, impara un po’ di portoghese, lo fa per chiederle di sposarlo.
  • Il primo ministro inglese (Hugh Grant) si innamora dell’assistente appena dopo averle stretto la mano.
  • Un bambino si innamora della ragazza più popolare della scuola senza che lei sappia nemmeno della sua esistenza, e suo padre (Liam Neeson) rimane fulminato dalla madre di un compagno di scuola (Claudia Schiffer) subito dopo essersi presentati.
  • Un fotografo è follemente innamorato della moglie del suo migliore amico pur non avendo mai approfondito il rapporto con lei. Alla fine, in una famosa scena del film, le dichiara il suo amore sulla porta di casa sua, la vigilia di natale, mentre il marito (sempre il suo migliore amico) è nell’altra stanza.
Amori Romantici - love actually

Leggi anche: Cosa succede quando si impara ad ascoltare il cuore

Il rischio di credere agli amori romantici che ci mostra il cinema

La lezione che se ne trae da film del genere è che l’amore è sostanzialmente una questione di attrazione fisica, un sentimento irrazionale che ti travolge senza che tu possa controllarlo, qualcosa che, nella sua forma più vera, dura in eterno e “riempie” la tua esistenza.

Il rischio di adottare una visione del genere è che potrebbe farci andare fuori stradadistorcere le nostre aspettative e rendere più difficile riconoscere un tipo di amore diverso, un amore più reale.

Perché in verità l’amore non è soltanto un sentimento, non è eternamente passionale, non è solo attrazione fisica, non monopolizza l’intimità delle relazioni, non fa sentire perennemente apprezzati e amati, non fa sentire automaticamente inclusi e meno soli. 

Un amore che rispettasse questi presupposti sarebbe un amore troppo bello per essere vero, un amore che non richiederebbe nessuno sforzo, un’amore piatto e mono-dimensionale.

Sarebbe sostanzialmente la versione adulta e romanticizzata dell’amore incondizionato che speravamo di avere o che abbiamo avuto da piccoli dai nostri genitori.

Da grandi, invece, l’amore diventa la somma di due desideri, di due bisogni diversi, il nostro e quello dell’altra persona.

Diventa una promessa reciproca, la promessa di tenere a bada la tendenza tutta umana di pensare solo a sé stessi. 

E sta qui la difficoltà più grande.

È questa la parte di storia che i film romantici non sempre ti fanno vedere, la sfida che inizia dopo la fase della conquista, dopo il primo “ti amo” e dopo i titoli di coda.

Leggi anche: Cos’è l’amore e quando si ama veramente

Quello che i film romantici non ti dico sull’amore

Quello che i film non ti dicono è che dopo aver detto “ti amo” per la prima volta bisogna trovare il modo di continuare a dimostrarlo.

Che dopo il primo bacio o la prima notte insieme bisogna impegnarsi per mantenere viva l’intimità.

Che l’attrazione fisica non basta a mantenere vivo un rapporto, che serve anche avere valori in comune, un simile senso dell’umorismo, una simile visione della vita, un obiettivo condiviso, simili interessi.

Quello che i film non ti dicono è che le liti di coppia spesso nascondono un bisogno frustrato non espressamente comunicato, e che si ripetono fino a quando questo bisogno non verrà rispettato e soddisfatto.

Il cinema non ti mostra la vera imperfezione, non ti dice che il tuo partner avrà dei difetti e, soprattutto, non ti insegna ad accettarli e ad amarli.

Non c’è film che ti dica cosa fare quando ti sentirai solo/a, o come comunicare le tue frustrazioni senza biasimare l’altro.

Quello che i film non ti dicono è che l’amore nella vita reale è complicato, a volte più banale, ma nel complesso molto più vero, molto più bello.

Non ti dicono che le aspettative vengono spesso disattese quando si pretende che debba essere l’altro a comprenderci e a doversi prendere cura di noi.

Non ti dicono che il romanticismo è importante ma che bisogna anche pensare alle piccole cose pratiche che aiutano a vivere meglio la relazione, come trovare il tempo da dedicare all’altro, ascoltarlo, dare peso ai suoi desideri, anche quando non coincidono con i nostri.

amori romantici - 500 days of summer

Leggi anche: 30 domande da fare per conoscere meglio una persona

Il romanticismo estremo può uccidere l’amore vero

È significativo che, nonostante i buoni propositi e le promesse di amore eterno, i matrimoni durino in media 17 anni.

Ed è ancora più significativo che le coppie che si sposano a San Valentino abbiano più probabilità di divorziare rispetto e quelle che scelgono un’altra data.

Ci fa capire che (statisticamente) più peso si dà al romanticismo estremo e meno si sarà in grado di risolvere i problemi quando arriveranno.

Ci fa capire che c’è una linea di separazione tra le risoluzioni e le azioni, tra le intenzioni e la realtà dei fatti, tra quello che si vorrebbe l’amore fosse, e quello che è.

C’è forse la necessità di una rivalutazione dell’amore dunque, un modo diverso di vedere le cose che aiuti a vivere il rapporto in modo più consono a quella che è la realtà delle dinamiche relazionali.

Il punto centrale qui è che ci si aspetta troppo dall’amore e troppo poco da sé stessi.

Si tende ad addebitare le colpe dei fallimenti e delle incomprensioni all’altro, o alla mancanza di amore, e ci si dimentica di valutare con obiettività le proprie azioni, o di assumersi le proprie responsabilità.

Infine, il romanticismo estremo ci impedisce di apprezzare appieno la quotidianità e l’ordinarietà dell’amore, senza le quali non può esserci nessuna relazione duratura e solida.

È ovvio che i film possono mostrare solo i punti salienti di una storia, che non possono mostrare i momenti più blandi di una vita di coppia come il fare la spesa insieme o il passare una sera in pigiama davanti la TV.

Eppure nella vita reale sono questi i momenti più importanti, quelli che rappresentano la parte più consistente di una storia.

Se non si impara a stare bene con una persona quando non c’è nulla di straordinario o romantico attorno a noi, allora l’amore sarà qualcosa che si potrà vedere solo nei film.

Lettura super consigliata: L’arte di amare di Erich Fromm

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AAA Cercasi compagnia

“Ciao, sono una ragazza di 28 anni e cerco la compagnia di un uomo gentile. Sono carina, amorevole, onesta e istruita.”

“Cercasi compagnia di donna. Sono un ragazzo single serio simpatico romantico tranquillo fedele e molto dolce. Contattami se anche tu vuoi una relazione seria, no perditempo”

“Sono una persona comprensiva e affidabile. Mi piacerebbe incontrare un uomo attento ai miei bisogni che mi sa amare per quella che sono…”

“Ho 43 anni, sono single da un po’ di tempo ormai e mi manca avere una donna al mio fianco…”

Il web è pieno di annunci del genere, pieno di esseri umani attaccati a uno schermo, alla ricerca di compagnia, di un contatto con altri esseri umani.

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Cercare compagnia nell’era dei social

È anche per questo che usiamo i social dopotutto: trovare una connessione, soddisfare il bisogno di riconoscimento, sentirci più inclusi.

Il paradosso del nostro tempo sta nel fatto che, nonostante sia più facile connettersi è meno facile capirsi.

Nonostante le miriadi di modi in cui si può dare voce a pensieri od opinioni – come chattare, messaggiare, inviare foto, videochiamare – c’è meno intimità tra le persone.

Un questionario somministrato a più di 20.000 persone ha rilevato che sono proprio i giovani tra i 18 e 22 anni, la cosiddetta generazione Z, a riportare maggiori livelli di solitudine.

Inoltre, nell’ambito di uno studio effettuato negli Stati Uniti è stato riscontrato che un quarto dei partecipanti si è sentito estremamente solo almeno una volta nelle due settimane precedenti.

Cosa vuol dire questo? Ma, soprattutto, cosa comporta?

Cosa vuol dire essere soli

Essere soli, innanzitutto, non vuol dire necessariamente essere isolati dal mondo.

È possibile sentirsi soli anche in mezzo alle persone, in famiglia, ad un concerto, a scuola.

È possibile sentirsi soli anche se si ha un compagno o una compagna.

L’origine della solitudine che affligge l’animo umano va ritrovata non necessariamente nella mancanza di compagnia, ma nella mancanza di un forte legame, nella mancanza di fiducia, di accettazione, di intimità.

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Leggi anche: Dipendenza dal cellulare, cosa comporta e come superarla

Cercare la compagnia degli altri per proteggere la salute

L’avversione alla solitudine ha una ragione evolutiva.

Storicamente i rapporti sociali hanno sempre permesso all’uomo di sopravvivere, di crescere più al sicuro dai pericoli, di ottenere supporto psicologico e materiale dal gruppo di appartenenza.

Per questo motivo, a livello fisiologico, la solitudine può comportare alti livelli di stress.

Essere soli, per la parte più primordiale del nostro cervello, vuol dire essere in pericolo, essere più vulnerabili, avere più probabilità di morire. 

Coincidentalmente, coloro che non hanno amici intimi a cui rivolgersi per ottenere affetto, comprensione o empatia:

  • muoiono prima;
  • hanno più probabilità di sviluppare infezioni respiratorie croniche o di contrarre malattie
  • hanno meno probabilità di sopravvivere a invertenti chirurgici o a problemi fisici come l’infarto.

È stato pure riscontrato che il danno provocato dallo stress della solitudine per la salute umana è equiparabile al danno provocato dal fumare 15 sigarette al giorno.

E questi sono solo i rischi per la salute fisica.

La paura di essere isolati dai propri simili ha delle conseguenze rilevanti anche per la mente.

Da soli si è più suscettibili alla tristezza, alla depressione, alle dipendenze dalle droghe o dall’alcol.

Da soli si ha meno autostima, meno energia e voglia di fare.

Per questo cercare la compagnia degli altri e imparare a costruire relazioni intime e durature non è solo normale, ma può anche migliorare e allungare la vita.

Leggi anche: Come vivere felici, 6 consigli semplici ed efficaci

Cercasi compagnia: i fattori principali di un rapporto sano

Conta dunque ben poco avere mille amici su Facebook, come serve a ben poco essere in una relazione se questa relazione non è vera.

Quello che conta è individuare e saper coltivare i fattori principali che costituiscono un rapporto sano e rafforzano i legami tra le persone.

E questi fattori sono:

  • la capacità di ascolto,
  • la capacità di accettare l’altro senza giudicare,
  • la capacità di provare empatia,
  • la capacità di comprendere o quantomeno rispettare punti di vista diversi.

Molti di noi, pur avendo partner e amici, si sentono soli perché non si sentono compresi, accettati o ascoltati.

A nessuno piace parlare con chi non ascolta ed è esclusivamente incentrato su di sé, a nessuno piace sentirsi meno degli altri, sminuiti, ignorati.

L’egoismo e la mancanza di attenzione verso l’altro ostacolano la connessione e compromettono i rapporti, che siano questi familiari, di amicizia, amore o affari.

Tutti hanno bisogno di riconoscimento

cerco compagnia, Andrew Carnegie
Andrew Carnegie

Per mostrare quanto il bisogno degli altri accomuni tutti gli esseri umani , si cita spesso la storia di Andrew Carnegie, il magnate dell’acciaio che divenne uno degli uomini più ricchi al mondo nella seconda metà dell’ottocento.

Nonostante la sua immensa fortuna, Andrew era alla costante ricerca di amicizie, riconoscimento e apprezzamento.

L’unico problema per lui era che alla gente non piaceva molto.

Mark Twain, considerato uno sei suoi più “cari amici” disse di lui che “lui stesso è il suo argomento più caro, l’unico argomento in cui lui è stupendamente interessato”.

Pare infatti che Carnegie non facesse altro che vantarsi dei complimenti ricevuti da persone famose e che parlasse per ore ed ore delle attenzioni che gli venivano mostrate.

La sua storia è indicativa di come i potenti e i ricchi sono spesso affamati quanto i poveri, anche loro desiderosi di attenzione, riconoscimento, ammirazione.

La mancanza di riconoscimento e compagnia affligge ogni essere umano a prescindere dalla sua posizione economica e sociale, e dimostra che il bisogno degli altri è il principale fattore di democratizzazione per gli uomini.

Perché ci rende tutti uguali, azzera le differenze, ci ricorda che il denaro serve a poco se non si hanno amici, se non si ha il rispetto e la comprensione degli altri.

Lo stesso Warren Buffet, attualmente il terzo uomo più ricco del mondo, afferma:

“Se arrivi alla mia età e nessuno pensa bene di te, non importa quanto sia grande il tuo conto in banca, la tua vita è un disastro”

Quindi prima ancora di pensare al successo materiale, pensa alle persone.

  • Prima di pretendere di essere ascoltato, ascolta;
  • prima di pretendere di essere compreso, comprendi;
  • prima di pretendere amore o compagnia, dedicati a qualcuno; 
  • prima di pretendere rispetto o ammirazione, impara a rispettare, a vedere le cose dal punto di vista dell’altro.

Perché impegnarsi nei rapporti non è una perdita di tempo, è un vero e proprio investimento con ritorni sostanziali in salute e in felicità.

Lettura consigliata: Solitudine, l’essere umano e il bisogno dell’altro

copertina libro Solitudine - L'essere umano e il bisogno dell'altro di John T.Cacioppo

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Vorrei essere felice ma non so come fare”.

Sarà una frase che almeno io ho pensato cento volte nella vita e solo adesso mi rendo conto di quanto sia contraddittoria.

Dicendo “vorrei essere felice” infatti non faccio altro che confermare a me stesso che non lo sono e che la felicità è una realtà ipotetica, non attuale.

È proprio da questo presupposto mentale che poi si va a cercare la felicità nei posti sbagliati, al di fuori di noi.

Quando per essere felice si sente il bisogno di avere

In passato, per esempio, provavo a essere felice provando a ottenere quello che mi mancava.

Volevo avere tanti soldi nel conto corrente e migliaia di like nella pagina Facebook.

Compravo cose che non mi servivano tipo un iPod o una chitarra nuova, l’ennesimo paio di jeans e l’ennesimo paio di occhiali da sole.

Mi bastava entrare in un supermercato per ritrovarmi alla cassa con il carrello pieno di prodotti che non sapevo di desiderare.

Passavo dal Duty Free dell’aeroporto e le vetrine dei negozi mi attiravano come luci alle falene:

“desidero un profumo che faccia impazzire le donne, dell’intimo che mi faccia sembrare come quel modello della foto, una giacca Armani per fare bella figura alle feste“.

Erano pensieri che mi rendevano felice per un attimo, per il tempo che ci voleva a tornare alla banale vita di tutti i giorni.

Nonostante questo continuavo a comprare lo stesso tutte le volte che potevo… e anche quando non potevo.

Mi illudevo di avere un bisogno concreto e che per essere completo dovevo avere di più o essere di più.

Scambiavo la sensazione di momentanea euforia post-acquisto per felicità e la rincorrevo come i drogati rincorrono il piacere sfuggevole della cocaina.

Quando per essere felici si sente il bisogno di mangiare

Il sistema di ricompensa del cervello rilascia stimoli gratificanti non solo quando compriamo ma anche quando facciamo altre attività come mangiare o fare l’amore.

Quando affermo vorrei essere felice e non vedo delle soluzioni a lungo termine mi verrà naturale affidarmi a questi stimoli per provare qualcosa che assomigli anche lontanamente alla felicità.

Così capita anche che si tenti di colmare il vuoto dell’infelicità con il cibo, l’oggetto di un desiderio più accessibile e facile da realizzare.

Io porto ancora nella pancia i chili di tutti i momenti di solitudine che ho provato ad allontanare, di tutte le voglie di salato, di fritto, di dolce che ho voluto soddisfare per coprire la mia tristezza.

Perché non mangiamo solo per saziare la fame, mangiamo anche per illuderci di avere il potere di realizzare i nostri desideri e rendere la vita più eccitante.

Vorrei essere felice mentre aspetto di realizzare i miei desideri

Non ce ne rendiamo conto ma il tipo di felicità che tanto rincorriamo al di fuori di noi esiste solo nell’attesa.

  • La sensazione di piacevole anticipazione di un pacco Amazon dura solo fino al momento in cui lo si scarta.
  • L’eccitazione che si prova quando ci si siede in pizzeria dura solo fino a quando non si taglia la prima fetta.
  • Il sogno di avere un’auto nuova dura solo fino a quando non è stata parcheggiata davanti casa per qualche giorno.

Dopodiché l’euforia svanisce, la dopamina rilasciata dal nostro sistema di ricompensa ritorna a livelli normali e la vita si fa di nuovo ordinaria e monotona.

La mentalità dell’essenziale

Non so fino a che punto ciò sia vero, ma se c’è una cosa che la pandemia del Covid-19 ci ha insegnato è che una gran fetta di PIL, cioè di quello che compriamo e produciamo, non è essenziale alla nostra sopravvivenza e al nostro benessere.

Di una cosa del genere te ne rendi conto solo quando non puoi più usufruire della tua libertà, quando devi pensare alla salute e mettere da parte tutto il resto.

Con una mentalità orientata all’inessenziale ci sono sprechi di tempo e di denaro.

Nei casi più estremi accade che si lavora 12 ore al giorno per potersi permettere cose che non servono e impressionare gente che non ci piace nemmeno.

Con una mentalità orientata all’essenziale capisci che si può essere appagati anche a casa e trovare la serenità nell’affetto delle persone che si amano.

Non è una questione di rinuncia, ma di ricalibrare le aspettative per renderle più in sintonia con la vera natura della felicità interiore.

La felicità interiore

La felicità interiore è uno stato di appagamento che non è dipendente da quello che accade al di fuori di noi.

Essa parte pur sempre dalla soddisfazione dei bisogni primari ma va molto oltre fino ad arrivare alla realizzazione di sé stessi e alla scoperta del significato della propria vita.

Grazie a questa felicità si diventa una presenza positiva ed ecologica nel pianeta, si impara a vivere con poco e a costruire relazioni più sane.

La felicità interiore ti fa anche ricalibrare il concetto di successo personale e, paradossalmente, ti porta ad avere maggior abbondanza nella tua vita.

Mentre la mentalità del “vorrei essere felice” e del “vorrei avere questo o quello” ti rende avido e invidioso, la felicità interiore ti mette in uno stato di stabile equilibrio dove non si è toccati dal successo o dall’insuccesso degli altri.

vorrei essere felice

Leggi anche: Come vivere felici, 6 consigli semplici ed efficaci

Vuoi essere felice? Parti da te

Non c’è nessuno che può renderti felice.

Non c’è niente che può renderti felice.

Solo tu puoi rendere felice te stesso/a.

Come spiego estensivamente in questo articolo la felicità vera parte dal modo di pensare, perché una mente negativa e orientata alla mancanza non potrà mai regalarti una vita positiva dove hai tutto ciò che ti serve.

Il senso di mancanza, di non avere abbastanza, ce l’hanno anche i super ricchi, anche chi avrebbe buoni motivi per essere felice ma invece non lo è.

E credimi che ce ne sono.

La povertà è dunque un concetto altamente relativo: abbiamo la povertà materiale che a volte è accompagnata dalla ricchezza di spirito.

E poi abbiamo la ricchezza materiale, che a volte è accompagnata dalla povertà di spirito.

In ogni caso se ti affidi alle circostanze esterne per essere felice rischi di lavorare per nulla.

Di contro, se lavori su di te puoi stare tranquillo che, qualsiasi cosa accada, non ti ritroverai più a dire vorrei essere felice perché lo sarai sul serio.

Lettura consigliate

Avere o Essere di Erich Fromm ci dice che ci sono due modalità di vita a questo mondo: si può impiegare il tempo a guadagnare per avere prima di tutto o si può impiegare lo stesso tempo per imparare – prima di tutto – a essere.

Dalla scelta che facciamo risulterà il nostro stato di benessere materiale e psicologico.

Se facciamo della sicurezza materiale il nostro unico obiettivo rischiamo di passare una vita a rincorrere falsi ideali perdendoci in un ciclo perpetuo di desideri insoddisfatti.

Se, al contrario, impariamo a essere prima di avere, i riconoscimenti materiali che otterremo grazie al lavoro avranno più significato, saranno degli accessori alla felicità che non avranno compromesso la nostra integrità morale.

VIDEO: Trova la tua innata felicità

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Il significato di Ikigai esprime molte cose: il senso di soddisfazione che si prova nel fare certe atticvità, l’entusiasmo che si prova al mattino prima di andare a lavoro, o la semplice sensazione di essere nel posto giusto, con le persone giuste.

In italiano non esiste una parola che, da sola, racchiuda un significato così profondo.

E il motivo è forse che i giapponesi si sono resi conto, prima di noi, di quanto sia importante vivere in armonia con sé stessi.

Per loro trovare la propria funzione nel mondo è un privilegio, un privilegio a cui tutti noi possiamo accedere tenendo bene a mente i 4 fattori dell’Ikigai:

  1. ciò che si ama fare,
  2. ciò che si sa fare bene,
  3. ciò per cui si potrebbe essere remunerati,
  4. ciò di cui il mondo ha bisogno.
ikigai significato

Leggi anche: Positività in pillole, cambiare la propria vita con le affermazioni

Perché è importante comprendere il significato di Ikigai, e trovarlo

Oggigiorno può capitare di incontrare persone spinte solo da uno o due dei quattro fattori motivanti dell’Ikigai.

Per esempio:

  • c’è chi si orienta esclusivamente sul terzo fattore perseguendo solo attività  remunerative;
  • chi vuole essere remunerata e fare qualcosa che ama fare;
  • c’è chi fa cose che ama ma che non pagano;
  • chi fa cose che non ama ma che sa fare bene;
  • infine, c’è chi fa cose che sa fare bene e che pagano ma che non ama fare.

Ognuno di noi persegue la propria realizzazione nel modo che gli è più consono.

La conseguenza di un approccio scandagliato e poco consapevole è però la possibile mancanza di soddisfazione, di scopo, o di utilità.

ikigai significato

La cultura dell’Ikigai insegna che quando la ricerca del senso della propria esistenza avviene tenendo in considerazione tutti e quattro i fattori ne risulta un maggior senso di importanza, una maggiore sicurezza finanziaria, una maggior consapevolezza e, in generale, una vita migliore.

Diverse ricerche scientifiche lo confermano: coloro che agiscono seguendo motivazioni intrinseche e che sono coinvolti in progetti ritenuti significativi vivono più a lungo e riportano livelli di felicità superiori.

Cosa vuol dire questo?

Beh, sarà anche un modo romantico di vedere le cose ma secondo me vuol dire che se abbiamo un motivo per vivere abbiamo anche un motivo per restare, che senza motivo ci spegniamo, ce ne andiamo prima.

L’esempio di Okinawa ci aiuta a scoprire il significato di Ikigai

L’isola di Okinawa, in Giappone, è la prova di quanto appena affermato.

Lì le persone trovano il loro Ikigai in una vita semplice, coltivando e mangiando i loro ortaggi, rendendosi disponibili al prossimo e vivendo senza fretta.

Il risultato è che Okinawa detiene il record mondiale di centenari e ultracentenari, riporta livelli bassissimi di obesità e molti meno casi di cancro rispetto al mondo occidentale.

Con questo non ti sto consigliando di trasferirti in Giappone. La stessa armonia e felicità degli abitanti di Okinawa può essere raggiunta a Milano, Roma o Palermo.

Per farlo scopri quali sono le tue potenzialità, cosa ami fare, cosa potrebbe darti una remunerazione e quale bisogno del prossimo saresti in grado di soddisfare.

Anche se la compresenza di questi fattori si costruisce nel tempo, concentrarsi su di essi singolarmente può aiutare sin da subito a vivere meglio…

Leggi anche: Come vivere felici, 6 consigli che funzionano sul serio

Scopri il tuo Ikigai… un passo alla volta

Se non sai ancora quali sono le tue potenzialità concentrati su quello che ti piace fare, concediti un po’ di tempo per sviluppare una passione o un hobby.

Se non sei sicuro/a di cosa ti piace fare dedicati ad una buona causa facendo qualcosa di cui il mondo ha bisogno.

Invece, se non sai come metterti al servizio scopri quali abilità potrebbero permetterti di guadagnare del denaro da utilizzare per formarti, per conoscerti, per migliorarti.

Ci sono molti modi in cui si può costruire armonia con sé stessi. Non importa quale scegli.

La semplice volontà di fare il primo passo è abbastanza da mettere in moto un percorso di crescita che un giorno potrebbe scaturire in nuove opportunità di lavoro, nuove relazioni, nuove competenze.

Dare spazio e tempo a sé stessi e alla scoperta di chi si è veramente è un’attività altamente remunerativa.

Non si riceveranno forse accrediti mensili ma nel tempo si riceverà  molto di più: energia e voglia di vivere, entusiasmo, salute, senso di utilità e scopo, passione, talento, felicità.

Ikigai

Scoprire l’Ikigai nel tempo moderno

Per come vanno le cose oggi trovare il proprio Ikigai è un lusso che non tutti possono permettersi.

Ci sono diversi fattori che ci impediscono di scoprire quello che sappiamo fare o di renderci conto di cosa abbia bisogno il mondo.

Così, semplicemente, ogni tanto si sceglie quello che è disponibile e ci si dimentica di quello che si desidera, si sacrificano le passioni e il talento per lo stipendio o lo stipendio per le passioni e il talento.

Sembra insomma che trovare tutti e quattro gli elementi di una vita equilibrata sia un impresa che solo le persone fortunate riescono a concludere, mentre il resto si accontenta di quello che il destino gli mette davanti.

Il fatto è però che non si può comprendere appieno il vero significato di Ikigai senza capire anche bisogna affrontare delle difficoltà per trovarlo, che senza le difficoltà il senso della nostra vita non avrebbe lo stesso peso.

Se fosse chiaro sin da subito cosa piace fare, cosa si sa fare, cosa serve fare e come essere pagati, non ci sarebbe nessuna sfida.

Il modo di oggi sembra programmato per forzarci ad andare avanti a tentativi e la vera soddisfazione, quella che ti fa vivere meglio e più a lungo, arriva solo a chi è disposto a perseverare e a fallire pur di scoprire il suo posto nel mondo, il suo Ikigai.

Lettura consigliata: Ikigai di Bettina Lemke

Ikigai è una parola magica, così magica che non ne esiste una traduzione semplice nelle lingue occidentali.

Possiamo definirlo “la ragione di esistere”, “il motore della vita”, o ancora meglio “ciò per cui vale la pena di alzarsi la mattina”.

Ognuno di noi possiede il proprio, anche se non tutti ne sono consapevoli: è la premessa fondamentale per vivere una vita sana, soddisfacente e, semplicemente, felice.

Esempio ne sono gli abitanti dell’isola giapponese di Okinawa, dove il tasso di ultracentenari è tre volte superiore a quello delle quattro isole più grandi del paese: la loro consapevolezza riguardo al proprio ikigai, unita a uno stile di vita sano e rilassato, li rende una tra le popolazioni più longeve e felici del pianeta.

Ispirandosi a loro e suggerendo esercizi pratici che guidano al riconoscimento dei valori e degli obiettivi veramente importanti per ciascuno nella vita, l’autrice ci insegna a riconoscere cosa ci trasmette energia, curiosità, positività, realizzazione personale, fiducia in noi stessi, progettualità. In altre parole, cosa ci serve per essere felici.

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Probabilmente ti sarà capitato di litigare con qualcuno.

Ti sarà forse capitato di non essere d’accordo, o di pensar male, magari di un partner, un genitore, un amico o un parente.

E poi, nel giro di pochi minuti, senza capire come, ecco che inizi a ribollire dentro, a voler dirgliene quattro, dire qualcosa di tagliente, qualcosa che faccia sentire la persona in colpa, che la faccia vergognare, che le faccia chiedere scusa.

Quante volte ti è capitato? Ma soprattutto, ha mai funzionato?  Quante volte le tue reazioni impulsive hanno favorito la connessione e la comprensione reciproca?

Non so a te, ma a me non è mai capitato.

Non mi è mai successo di risolvere un conflitto imponendo sull’altro il mio punto di vista, come non mi è mai successo di fare in modo che l’altro mi dia ragione semplicemente mostrando il merito delle mie idee.

Non è così che funziona.

Il merito non è tutto. Quello che vediamo o ascoltiamo è soggetto a reinterpretazione, viene distorto.

Specialmente quando litighiamo laviamo i panni delle parole e delle azioni degli altri nell’acqua del nostro passato e delle nostre esperienze, e crediamo spesso nell’oggettività delle nostre opinioni senza metterle in dubbio.

Litigare è facile, capirsi è difficile

Per tale motivo è semplice al giorno d’oggi fraintendersi, non capirsi, insultarsi.

Nonostante la miriade di modi di comunicare la tecnologia e la frenesia del mondo moderno ci impediscono di guardarci negli occhi, non ci danno il tempo di fermarci a contemplare, di dare il beneficio del dubbio, o semplicemente di ascoltare.

Che sia un atteggiamento ambiguo del proprio partner o un commento politicamente scorretto su Facebook, è facilissimo saltare a conclusioni, convincersi di aver inquadrato una persona o una situazione, permettersi di giudicare, respingere, cancellare.

Dare adito al giudizio e alle emozioni negative sugli altri è senza dubbio la cosa più automatica e facile da fare.

Ma c’è un’alternativa?

Certo, c’è sempre un’alternativa, soprattutto per chiunque fosse realmente interessato a migliorare le proprie relazioni e la propria capacità di comprensione.

Partiamo allora da alcuni consigli pratici per farlo.

4 consigli per litigare meno e comprendersi meglio

1. Respira

Il primo passo per dare più profondità e valore alle azioni e alle parole. Il più semplice. Respira.

Se ti trovi in una situazione che ti rende nervoso, dove le tue emozioni potrebbero prendere il meglio di te e farti dire cose di cui potresti pentirti aspetta, conta fino a dieci, fai un paio di respiri profondi, chiediti se vale la pena di dire quello che vorresti dire.

Cedere alla tentazione di litigare con la persona, di “dire la tua”, è un po’ come cedere alle tentazioni del cibo: sì, nel momento potrà anche dare soddisfazione, ma spesso ti penti di quello che hai fatto il giorno dopo.

litigare

Leggi anche: Come fare meditazione: quello che c’è da sapere

2. Non criticare o giudicare

Una volta ricordato di respirare, tieni a mente una cosa fondamentale: criticare non serve.

Quando critichi qualcuno non farai altro che metterlo sulle difensive.

Al di là della tua buona fede o della bontà dei tuoi commenti, se il tuo interlocutore si sente criticato o giudicato la sua reazione d’istinto non sarà di prestare attenzione a quello che dici ma di controbattere.

Si viene così a creare una contrapposizione di idee e di intenti dove ogni parte proverà a sopraffare l’altro in una sorta di competizione.

Con questi presupposti sarà impossibile o comunque molto difficile trovare un punto d’incontro in quanto non sarà tanto importante valutare i contenuti con obiettività e umiltà ma vincere a discapito dell’altro.

3. Mostra gratitudine e apprezzamento

Se invece di partire con una critica trovi il modo di mostrare il tuo apprezzamento per la persona coinvolta, sarà molto più semplice disinnescare eventuali reazioni nervose.

Al posto di iniziare un commento con un’accusa diretta, per esempio, inizia dicendo qualcosa del tipo, “lo sai che ti voglio un mondo di bene e non vorrei mai farti sentire in colpa”.

Oppure, “apprezzo moltissimo quello che hai fatto per me e penso che senza di te non saremmo dove siamo, ma…”

In questo modo elimini la possibilità che il tuo interlocutore si senta in difetto e fai in modo che le tue parole incitino un’apertura nei tuoi confronti.

Nel momento in cui una persona si sente al sicuro, infatti, è molto più disposta ad ascoltare il tuo messaggio anche se questo contiene delle critiche.

Diventa allora più semplice comprendersi, o persino trovare un modo di collaborare.

4. Prova a comprendere l’altro prima di pretendere di essere compreso

Come già accennato, quando parliamo lo facciamo dal nostro punto di vista, e spesso parliamo più a noi stessi che agli altri.

Se vuoi creare un rapporto di intimità e fiducia con qualcuno è allora essenziale nell’atto di litigare mettere da parte il tuo pensiero per un secondo e metterti nei panni dell’altro.

Ascolta, senza interrompere, senza rispondere, senza “ma”.

Una volta entrato in uno spazio di empatia e fiducia ti renderai contro che c’è poco da criticare, c’è poco da arrabbiarsi, c’è poco da giudicare.

L’altro non va cambiato, va compreso.

Al posto di provare a convincere usando tecniche di persuasione o arrampicandoti sugli specchi, prova a chiedere scusa, prova a dire “ti capisco”, prova a mostrare la tua vulnerabilità e a rispettare quella dell’altra persona.

Come litigare meno e meglio: conclusioni

Saper gestire al meglio i conflitti con gli altri è davvero una questione di esperienza e maturità.

L’impossibilità di comprendersi è spesso generata dall’egoismo e dalle emozioni negative che impediscono di vedere il punto di vista dell’altro.

Ne consegue che se si impara a comprendere sé stessi e soprattutto a controllarsi la comunicazione diventa più facile e fluida.

È tutta una questione di intelligenza emotiva, dunque, di saper imparare a decifrare le proprie emozioni per capire quali sono quelle che ci condurranno inevitabilmente a rotture indesiderate con le persone che amiamo.

Litigare non sempre è una cosa negativa, se fatto bene e con rispetto può far progredire la relazione e portare a un’intimità maggiore.

Il segreto è sempre ed esclusivamente uno solo: pensa all’altro.

Evita di imporre il tuo punto di vista a tutti i costi, invece, fa domande, sposta l’attenzione dall’interno, da quello che vuoi dire, all’esterno, a quello che sta dicendo l’altro.

È una cosa abbastanza difficile da fare per chi non è abituato ma, col tempo, garantisce risultati notevoli in termini di rapporti più sereni con le persone che ci stanno accanto.

Lettura consigliata:

litigare meno e l'intelligenza emotiva

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