Se lo chiediamo in giro non avremo problemi a sentir dire che lo scopo della vita è essere felici, ma quante persone possono affermare di sapere con esattezza cos’è la felicità?
Un tempo pensavo che la felicità fosse fare esperienze uniche come vivere in un albergo a 5 stelle.
Poi un giorno mi ritrovai in una stanza super lussuosa nel 32esimo piano di un palazzo di vetro di Guangzhou e mi resi conto che non ero affatto felice.
Tra le mani avevo un libro, L’arte della felicità, in cui sua Santità il Dalai Lama parlava proprio del fatto che l’abbondanza materiale non aiuta a vivere felici se non si ha la giusta attitudine mentale.
E in quel momento capii perfettamente cosa volesse dire.
Come milioni di persone nel mondo moderno avevo agito nella convinzione che la felicità fosse una cosa, mentre in realtà era un’altra, almeno per me.
Non avevo la piena consapevolezza di cosa fosse, ma sapevo che non la potevo trovare nella fama, nel lusso o tra i cento “mi piace” di un post su Facebook.
Capii che la felicità richiede un lavoro interno, un percorso di apprendimento.
Così continuai a leggere le parole del Dalai Lama, e quello che imparai cambiò completamente il mio modo di prendere decisioni, di inseguire l’obiettivo di una vita felice.
Chi è il Dalai Lama e cos’è per lui la vera felicità
Il Dalai Lama (Tenzin Gyatso) è la massima autorità buddista tibetana, la guida spirituale del popolo del Tibet che negli ultimi decenni (a causa del suo esilio) è diventato una figura importante anche per noi occidentali.
Il motivo per cui i suoi insegnamenti hanno un appiglio così universale è la chiarezza con cui descrive la sua ricetta per una vita sana e felice.
La felicità è spesso, e per il modo in cui viviamo, qualcosa di irraggiungibile e sfuggevole.
Tendiamo a pensare che ci siano tanti, forse troppi, elementi che la compongono, e che se non si verificano le giuste condizioni esterne non sarà possibile essere felici.
La natura mentale della felicità
Per il Dalai Lama il significato di felicità è diverso, e in parte prescinde da quello che abbiamo e da quello che ci manca.
Certo, esistono degli elementi chiave che facilitano la gioia di vivere, come la salute, la ricchezza e gli amici, ma non bastano questi da soli a capire cos’è la felicità o a rendere una persona felice.
A fare la differenza è l’atteggiamento mentale.
In altre parole, la vera felicità è stabile e durevole. È quella cosa che resta nonostante gli alti e i bassi della vita e le normali oscillazioni dell’umore.
La vera felicità parte da dentro; è ciò che ti permettere di apprezzare quello che hai e di non soffrire per quello che non hai.
È un rapporto pacifico con il mondo e con sé stessi, uno stato di appagamento e apertura verso gli altri, un sentimento di fiducia e di calma.
Comprendere la felicità e l’infelicità con gli stati mentali
In pieno accordo con gli insegnamenti della filosofia buddista, il Dalai Lama spiega che, come tutto il resto, la felicità e la sofferenza hanno sempre una causa.
Se desideriamo la felicità, dice, dovremo vedere quali cause la producono e, se non desideriamo la sofferenza, dovremo assicurarci che le cause e le condizioni da cui si origina non insorgano più.
Vediamo dunque alcuni esempi di stati mentali che creano sofferenza e di altri che creano felicità.
I desideri e la ricerca del piacere
La sofferenza e l’infelicità possono essere causate da diversi fattori e tra questi ci sono i desideri non appagati.
Quando si parla di desideri Tenzin Gyatso distingue tra due tipi: desideri positivi e desideri negativi.
Tra quelli positivi ci sono il desiderio di essere felici, di avere rapporti sani e di essere d’aiuto agli altri.
Sono considerati invece negativi tutti quei desideri che sono irrealistici o che possono arrecare danno a noi o agli altri.
Il desiderio di ricchezza alimentato dall’avidità, per esempio, conduce a uno stato di perenne insoddisfazione.
Lo stesso vale per la ricerca spasmodica del piacere attraverso il gioco, l’alcol o la droga.
Il rapporto negativo con gli altri
Nel rapporto con gli altri si possono provare diversi stati negativi come l’ostilità, la rabbia, l’odio o l’invidia.
Questi sono stati mentali altamente nocivi per la nostra felicità e che alimentano la sofferenza.
Sono spesso causati da un rapporto poco salutare con sé stessi e da una mancanza di amore interiore.
Ci portano a paragonarci agli altri e a essere infelici per i loro successi.
Ci impediscono di apprezzare quello che abbiamo e a comprendere cosa ci rende felici.
La sofferenza
Per il buddismo, lo scopo della vita è superare lo stato di sofferenza.
Il problema è che molti di noi fanno l’esatto opposto, creando, invece di risolvere, il proprio malessere.
Per sofferenza auto-indotta si intende quella sofferenza non necessaria, che nasce a causa di una eccessiva sensibilità.
Quanti di noi, infatti, ingrandiscono l’importanza di determinati eventi creando stati mentali di stress e angoscia?
E quanti, poi, si convincono di essere i soli a provare determinate sensazioni negative esasperando così la loro infelicità?
A riguardo, Jacques Lusseyran affermò che l’infelicità colpisce ciascuno di noi perché ci riteniamo al centro del mondo, perché siamo convinti di essere i soli a soffrire in maniera intollerabile.
Con questo non si vogliono sminuire le circostanze che fanno stare male alcuni.
Piuttosto, si vuole marcare una linea di separazione tra la sofferenza giustificata e quella che è il risultato di una tendenza al vittimismo o all’autolesionismo.
Perché soffrire di tanto in tanto è normale e la sofferenza stessa è una parte integrante della vita su questa terra.
Quello che però la rende insopportabile è la convinzione che debba essere estirpata o evitata a tutti costi.
Gli stati mentali positivi: la compassione e gratitudine
Il Dalai Lama afferma che l’unico modo di contrastare gli stati mentali negativi che distruggono la felicità è quello di sviluppare degli stati mentali positivi.
E tra questi hanno particolare importanza la compassione e la gratitudine.
- La compassione serve ad annullare l’effetto nocivo della rabbia e dell’odio verso gli altri; aiuta a rendersi conto che tutti gli esseri umani sono come noi e che la natura dell’uomo è intrinsecamente buona.
- La gratitudine, invece, aiuta a contrastare gli effetti negativi dei desideri irrealistici, porta ad apprezzare quello che si ha, ad essere più appagati.
Senza compassione il mondo può diventare un posto estremamente spiacevole, pieno esseri estranei e potenzialmente pericolosi.
E se non si sa provare gratitudine si diventa vittime del desiderio incontrollato che produce delusione e sofferenza continue.
Sviluppare questi stati mentali positivi fa parte del cammino verso la felicità e di quello che il Dalai Lama chiama l’addestramento mentale.

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Addestrare la mente alla felicità
Se l’aspetto cruciale della felicità è la nostra attitudine mentale vuol dire che cambiando la nostra mente è possiamo essere più felici.
Ma come si fa?
Secondo il Dalai Lama ci sono 5 step che favoriscono il cambiamento in positivo, ma prima di vedere quali sono dobbiamo introdurre due concetti: la duttilità della mente è l’importanza di cambiare ottica.
La duttilità della mente
La nostra infelicità è spesso il risultato di abitudini di pensiero.
Non è completamente vero che siamo il risultato dei nostri geni e che la personalità è immutabile.
Diverse ricerche hanno ormai appurato che il nostro cervello è duttile, che può essere modificato.
Esso è dotato di plasticità, che è la capacità di cambiare e riconfigurare le connessioni in base a nuovi pensieri ed esperienze.
Questa straordinaria caratteristica dell’encefalo rappresenta forse la base fisiologica che ci permette di modificare la mente.
Agendo sui pensieri e adottando nuove ottiche possiamo influire sulle vie neurali e correggere il modus operandi del cervello.
Il cambio d’ottica
Il cambio d’ottica è particolarmente utile per limitare l’effetto di stati mentali negativi.
Il Dalai Lama illustra alla perfezione come si fa quando parla della sua attuale condizione di esiliato.
Alcuni di voi sapranno che il Tibet è stato occupato dal governo cinese e che Tenzin Gyatso non può rientrare in patria.
Una situazione del genere potrebbe essere vista facilmente come una situazione negativa e suscitare odio e risentimento.
Da una certa ottica, lui stesso dice, questo fatto è senza dubbio tragico.
Ma se si considerano gli stessi avvenimenti da un altra angolazione ci si rende conto che, come profugo, egli ha alcuni vantaggi, come la possibilità di vivere senza formalità o l’opportunità di conoscere gente.
Cambiando modo di vedere certe situazioni si sgombra la mente dalle emozioni negative e si è liberi di concentrarsi sul cammino verso una vita più felice.
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I 5 step del cambiamento
Eccoci dunque al punto centrale dell’addestramento alla felicità, i 5 step del cambiamento:
- Apprendimento
- Convinzione
- Determinazione
- Azione
- Sforzo
Per apprendimento si intende l‘educazione alla felicità, ovvero la comprensione di quei fattori che ci aiutano a essere felici e di quelli che ce lo impediscono.
Una volta sviluppata tale consapevolezza serve altro.
Così come non basta sapere che il fumo provoca danni alla salute, non basta sapere che l’invidia o il rimorso provocano danni alla felicità mentale.
Al sapere va aggiunta anche la convinzione di voler cambiare il proprio modo di pensare.
Per sapere se si è convinti o no bisogna rispondere sinceramente a una semplice domanda: voglio essere felice?
Oppure, voglio che le mie azioni conducano alla felicità?
Se la risposta è positiva si passa a valutare la propria determinazione con le domande del tipo: quanto voglio essere felice? E cosa sono disposto a fare per raggiungere questo obiettivo?
Se abbiamo la convinzione e la determinazione possiamo passare all’azione, grazie alla quale si sviluppano gli stati mentali positivi di cui si parlava prima, la compassione e la gratitudine.
Ma, siccome non è facile agire una volta per creare uno stato di felicità stabile e durevole, serve un ultimo step, lo sforzo.
Grazie allo sforzo si può evitare di lasciarsi sopraffare dalle vecchie abitudini e dai vecchi stati mentali negativi.
Tornando alla metafora del fumatore, sarebbe come resistere all’urgenza di fumare trovando la forza di dire “no” a un’azione che (pur arrecando piacere immediato) ci arreca danni seri nel lungo termine.
Le emozioni negative che ci rendono infelici sono come delle vere proprie droghe.
Siamo spesso completamente assuefatti a esse e non ci accorgiamo nemmeno quando siamo sotto il loro effetto.
Proviamo invidia e rabbia, biasimiamo gli altri e li disprezziamo in modo del tutto naturale, non rendendoci conto che così facendo creiamo noi stessi la nostra infelicità.
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Il senso d’urgenza
Personalmente, credo che capire la reale conseguenza di questi stati d’animo sul benessere mentale e la salute fisica non sia molto facile.
Basta accendere la TV per essere esposti a indignazione, urla, liti e conflitti continui.
L’odio e il rancore più che essere visti come sentimenti pericolosi vengono messi in mostra negli studi televisivi come una parte normale delle nostre relazioni.
Per questo a volte viene a mancare un sesto elemento essenziale al cambiamento, che rende più pregnante il bisogno di re-inventarsi: il senso d’urgenza.
L’urgenza aiuta a dare efficacia ai nostri sforzi, ci dà una seria motivazione a cambiare le cose in meglio.
Quando ci sono pericoli imminenti gli esseri umani di solito tirano fuori il meglio di loro.
Pensa alle stragi naturali, ai terremoti e alle inondazioni, a come in questi casi la gente ritrova il coraggio e la voglia di aiutare.
Allo stesso modo, se pensiamo al fatto che il nostro tempo su questo pianeta è limitato, potremmo ritrovare l’urgenza di vivere al meglio ogni singolo giorno.
Se consideriamo che questo potrebbe essere l’ultimo giorno o l’ultimo anno di vita, sarà più semplice trovare la voglia di apprendere cos’è la felicità, nonché la determinazione di cambiare e di vivere meglio.
Il mio rapporto con la felicità
Dopo aver letto il libro del Dalai Lama la tematica della felicità ha iniziato ad appassionarmi molto.
E lo ammetto, se lo ha fatto è perché non sono mai stato una di quelle persone che riescono a essere felici con naturalezza.
Tuttora tendo a trovare motivi per non essere contento e me la prendo spesso con me stesso per quello che non sono ancora diventato.
Ma se non fossi così determinato a imparare a essere felice starei molto peggio.
Grazie ai 5 step del Dalai Lama sono stato in grado di intraprendere un cambiamento radicale e sono adesso capace di contenere l’impatto di certi stati emotivi negativi come il rimorso o il senso di colpa.
E consiglio a chiunque di fare lo stesso, di capire il più possibile cosa sia la felicità e di impegnarsi per creare le circostanze che la rendono meno irraggiungibile.
Le più belle frasi del Dalai Lama sula felicità e sulla vita
Dal libro L’arte della Felicità del Dalai Lama con Howard Cutler.
Tuttavia io resto profondamente convinto che la natura umana sia in buona sostanza compassionevole e mite, che questa sia la sua caratteristica predominante.
Finché considereremo la sofferenza qualcosa di innaturale, una condizione da temere, non elimineremo mai le sue cause e non riusciremo mai a vivere una vita felice.
Credo che il giusto impiego del tempo sia, ove possibile, nel servire gli altri, gli altri esseri senzienti. Ove non sia possibile, bisogna almeno evitare di far loro del male.
Più sofisticato sarà il livello di educazione e conoscenza in merito a ciò che produce la felicità e a ciò che produce la sofferenza, più capaci saremo di raggiungere la felicità.
Io considero sana una persona compassionevole, dotata di buon cuore e di calore interiore.
Il vero antidoto all’avidità è l’appagamento. Se abbiamo un forte senso di appagamento, non ci importa di ottenere o no l’oggetto; in un modo o nell’altro, siamo ugualmente soddisfatti.
Cambiando il modo in cui ci percepiamo possiamo influire in maniera molto concreta sulla nostra interazione con gli altri sulla nostra gestione della vita quotidiana.
Se esaminiamo qualsiasi situazione con cura, sincerità e mancanza di pregiudizi, arriviamo a capire che anche noi siamo, in larga misura, responsabili del dispiegarsi degli eventi
Qualunque comportamento cerchiamo di modificare, qualunque azione o obiettivo sia oggetto dei nostri sforzi, dovremo maturare innanzitutto la forte disposizione, il forte desiderio di cambiare.
Libro: L’arte della felicità (Italiano) Copertina flessibile

Un articolo ben fatto, complimenti.
Avevo sempre ignorato fino ad oggi la compassione, spero di poter trarre il meglio da questa lettura.
Personalmente ho creato il mio centro dell’universo intorno all Gratitudine, ed ogni volta che mi trovo ad interagire con persone insoddisfatte, irrequiete o sovrastate dai loro problemi, ricordo loro che quanto hanno non è per niente scontato.
Spesso bastano gli esempi ad aprire le nostre menti, altre volte dobbiamo sbatterci la testa, ma aiutiamoci.
Il mondo è già brutto abbastanza, non serviamo noi..
Riguardo quest’ultima affermazione devo lavorare sul concetto opposto, che purtroppo ancora manca dentro di me.
Grazie ancora. Un caloroso saluto
Fabio Romano
Grazie mille Fabio,
hai perfettamente ragione spesso siamo irrequieti perché non ci rendiamo conto di quanto siamo realmente fortunati. Ci accorgiamo di quanto siano importanti le cose che diamo per scontate, come la salute o la famiglia, colo quando ci vengono a mancare, mentre tutto ciò che rapisce la nostra attenzione nella vita quotidiana alla fine non è poi così essenziale come crediamo.
Si dovrebbe trovare un modo di dare peso a quello che realmente conta senza con ciò rischiare di ignorare le cose pratiche che, sfortunatamente per il modo in cui viviamo, monopolizzano il nostro tempo e ci impediscono di vivere realmente.
Un caloroso saluto a te