Il selfie è l’autoritratto dei tempi moderni, il cui significato potrebbe andare ben oltre una semplice foto di sé stessi, specialmente quando diventa un modo per costruire un’identità apparente diversa da quella reale.
È importante sottolineare sin da subito che, visto che permette di imbellire la propria immagine, nessuno è completamente vulnerabile all’attrattiva di un selfie.
Origine e significato nascosto dei selfie
Appena 5 anni fa la stessa parola “selfie” non era ancora entrata far parte a pieno titolo del linguaggio comune.
Grazie alle nuove tecnologie in fatto di smartphone farsi degli autoscatti diventava sempre più semplice e i selfie si diffondevano tra chi li voleva usare per raccontare la propria vita.
In sostanza, sono diventati una sorta di interfaccia tra noi e il mondo.
Ci portarono chiederci come ci vedranno gli altri in un determinato contesto, sotto una determinata luce.
Fare selfie significa anche saper scegliere la posa migliore o il filtro migliore, saper rendere quello che si fa più “glamour” e saper proporre, per lo meno in apparenza, una miglior versione di noi stessi.
Ovviamente queste non sono considerazioni che si fanno prima di scattassi una foto perché ormai è quasi un gesto totalmente normale e spontaneo.
Raramente ci si ferma a pensare al motivo per cui abbiamo il bisogno di condividere la nostra vita e la nostra immagine.
Raramente ci si interroga sul significato nascosto che c’è dietro l’abitudine, e per alcuni l’ossessione, dei selfie.
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L’impatto psicologico dei selfie che facciamo
I selfie che facciamo e quelli con cui ci confrontiamo influenzano la percezione che abbiamo di noi stessi e hanno dunque un impatto psicologico.
Nel suo libro Selfie. Narcisismo e Identità Giuseppe Riva spiega come i selfie che facciamo diano delle indicazioni preziose per comprendere meglio il rapporto con la nostra immagine e il modo in cui interagiamo con il nostro Io.
Per dirla diversamente, si potrebbe dire che la frequenza con cui facciamo i selfie sia indicativa del livello di consapevolezza che abbiamo.
E per cercare di rappresentare graficamente l’interazione tra Io e Me, Riva cita un famoso modello di comunicazione chiamato matrice di Johari, secondo cui esistono 4 parti del sé:
- Il sé pubblico, rappresentato da quello che noi sappiamo di noi e che sanno gli altri.
- Il sé privato, quello che noi sappiamo di noi ma che no volgiamo far vedere agli altri.
- Il sé cieco, che è tutto quello di cui non siamo consapevoli ma che è evidente agli altri.
- Il sé sconosciuto, che è la parte di noi non espressa, inaccessibile sia a noi che agli altri.

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Cosa vuol dire, a livello psicologico, farsi molti selfie
Le persone che si fanno e che pubblicano molti selfie (condizione che superati certi limiti può essere considerata come un disturbo psicologico chiamato “selfite”) prestano molta attenzione al sé pubblico, ovvero alla parte di loro che vogliono mostrare al mondo.
Si vedono principalmente dall’esterno e il loro senso di valore deriva principalmente dall’apprezzamento degli altri.
Il loro obiettivo diventa il “mi piace”, la loro motivazione principale attirare l’attenzione, divertire e compiacere i propri follower.
Quando si arriva a casi estremi la persona arriva ad essere completamente dis-allineata con sé stessa: perde ogni tipo di facoltà di introspezione e anche la capacità di vedere sé stesso/a senza l’interposizione di uno schermo.
La storia di Essena O’Neill
Un esempio del genere fu quello di Essena O’Neill, una fashion blogger australiana che a soli 18 anni è riuscita a raccogliere qualcosa come mezzo milione di follower su Instagram in soli tre anni.
Nonostante la sua notorietà le permettesse di guadagnare più di mille euro a post, alla vigilia dei suoi 19 anni Essena entrò in crisi e iniziò a mettere in discussione tutto.
Con una serie di post diventati virali lei spiegò che
i selfie non sono la realtà, ma piuttosto una versione edulcorata di quello che vorremmo essere ma che non siamo, una grande omissione di tutto ciò che ci rende imperfetti e quindi normali.
Prendi questa foto, per esempio, Essena stessa ammette che per ottenere una tale qualità ha dovuto fare più di 50 scatti e poi modificare la foto per molto tempo su diverse applicazioni di foto editing.

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L’impatto psicologico dei selfie degli altri
Eccoci dunque all’impatto che i selfie degli altri possono avere su di noi.
Per cominciare, non sempre la felicità e la spontaneità mostrate in alcuni selfie corrispondono al vero.
Senza la sincerità della didascalia nella foto sopra, quello che noi vedremmo sarebbe solamente una bella ragazza sorridente.
Potremmo trarre delle conclusioni su di lei guardandola (è bella, famosa, ricca, divertente, ecc…), e forse trarremmo anche delle conclusioni su noi stessi (sono meno bella, meno famosa, meno ricca, ecc…).
Ma quante volte riusciamo a vedere oltre quello che sembra?
Quante volte ci chiediamo cosa c’è dietro quello scatto? Quante volte ci rendiamo pienamente conto di quanto un’immagine sia insufficiente a raccontare la totalità di una persona?

Prendiamo altre due foto pubblicate da Essena.
Nel post A SINISTRA lei dice: “Non è vita reale“. Non ho pagato per questo vestito, ho fatto tantissime foto per tentare di apparire sexy per Instagram. La formalità mi ha fatto sentire estremamente sola…”
Nel post A DESTRA: “Non c’è nulla di figo nel passare tutto il tuo tempo a editare foto di te stessa per provare al mondo che sei abbastanza. Non lasciare che siano i numeri a definire chi sei. Non permettere a nessuno di dirti che non sei abbastanza senza trucco, gli ultimi trend, più di 100 mi piace su una foto, o un corpo da spiaggia… Quando la smetti di paragonarti agli altri inizi a vedere la tua scintilla e la tua individualità“.
Il vero significato dei selfie e l’effetto dei social
La completa scissione tra ciò che era e ciò che mostrava al pubblico alla fine ha spinto Essena a lanciare l’hashtag #socialmediaisnotreal (i social media non sono reali) per spiegare come non bisogna lasciarsi ingannare dalla bellezza costruita delle foto che vediamo sui social.
L’approvazione altrui vale a ben poco se non si ha coscienza della propria identità.
Se per arrivare ad essere un influencer bisogna porre molta attenzione al sé pubblico, per essere felici bisogna comprendere sé stessi, cioè prestare maggior attenzione al sé sconosciuto.
Come dice Essena, abbiamo sviluppato una concezione molto limitata di felicità e di valore personale, una concezione che è legata al numero di follower e di like, una concezione che tiene poco conto del nostro valore innato.
Il numero di selfie che facciamo e che postiamo rappresenta la cartina di tornasole che mostra il nostro livello di presenza e partecipazione alla vita reale.
Più se ne fanno e più vuol dire che si è disconnessi dalla parte più vera di sé.
Più ci si ossessiona con i like e con i follower e più si è potenzialmente insicuri dentro.
Ed è questo il vero significato dei selfie, la vera storia che c’è dietro l’uso eccessivo dei social media: il sintomo di un narcisismo che vuole nascondere l’ansia di essere imperfetti e inadatti a ricevere amore per quello che si é.