Nell’era in cui non si possono più risolvere le dispute a colpi di pistola, avere ragione o torto diventa quasi una questione di vita o di morte.
Metaforicamente parlando ovviamente.
In concreto, avere, o pensare di avere, ragione, dà un senso di stabilità, di forza, fa sentire al sicuro e a posto con sé stessi.
Avere torto, di contro, è un po’ come perdere, come dimostrare agli altri di essere deboli, imperfetti.
Per questo facciamo di tutto per dimostrare che le nostre ragioni siano le più valide, per questo spesso avere ragione conta molto di più che essere dalla parte della verità.
Mai come in questo periodo storico ho visto così tante persone difendere a spada tratta opinioni che sono facilmente smentite dalla logica, dalla scienza, dal buon senso o dai fatti.
E a volte ho l’impressione che si preferiscano bugie confortanti e semplici da accettare a verità che comporterebbero uno sforzo, un cambiamento.
Paradossalmente, proprio nell’era in cui l’informazione è universalmente accessibile, c’è ancora chi ignora secoli di scienza per tornare a credere che la terra sia piatta, che esista una supremazia razziale, che i vaccini non servano o che l’Universo sia in realtà stato creato da Dio.
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Credere di avere ragione quando si ha torto può avere conseguenze negative
Ognuno è libero di credere in ciò che vuole ovviamente, ma come si fa quando convinzioni fondate su falsi presupposti hanno un impatto negativo sulla vita individuale o collettiva?
Pensa a chi è convinto che il riscaldamento globale non sia provocato dall’uomo per esempio.
Quali conseguenze potrebbe avere sull’ambiente?
E cosa succederebbe se questo credo si rivelasse completamente infondato?
Teoricamente, tutte le volte in cui si deve decidere da quale parte stare si dovrebbe valutare attentamente l’attendibilità delle prove e delle fonti, nonché il contesto storico, i benefici e gli svantaggi.
Nella pratica ci sono istanze in cui non si fa niente di tutto questo, istanze in cui non ci si rende conto che gli svantaggi delle proprie convinzioni sono, nel breve o lungo termine, superiori rispetto ai benefici.
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Questa svista è ampiamente conosciuta nell’ambito della psicologia, e viene chiamata “ragionamento motivato”, cioè la difesa (più emotiva che razionale) di una convinzione che avviene selezionando i fatti che confermano le proprie opinioni e screditando quelli che le smentiscono.
Per chi ragiona in questo modo la priorità non è la verità, ma aver ragione a tutti i costi, perseguire quello che ritiene giusto a discapito delle conseguenze negative su sé stessi o sugli altri.
L’ossessione di avere ragione, un esempio storico
Un esempio storico eclatante di questo meccanismo fu l’imprigionamento di Alfred Dreyfus, un ufficiale dell’esercito francese, di origine ebrea, che nel 1894 fu ingiustamente accusato di aver venduto informazioni segrete ai tedeschi.
In quel caso, nonostante nulla di concreto fosse emerso dalle indagini, si arrivò a una condanna e a uno scandalo nazionale.
Gli (antisemiti) investigatori dell’esercito ignorarono diverse prove che discolpavano Dreyfus e ci vollero 10 anni prima che qualcuno riuscì a provare la sua innocenza.
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Chi abbandonerà la pretesa di aver ragione?
Se è vero che al mondo ci sono centinaia se non migliaia di diverse interpretazioni della realtà, e che non tutte possono essere vere, qualcuno di noi dovrà pur aver più torto in qualcosa, ma chi?
Quando è stata l’ultima volta che hai sentito un politico ammettere di aver fatto un errore?
Che hai visto un razzista riconoscere il valore dell’accoglienza? O un magistrato ammettere pubblicamente di aver accusato la persona sbagliata?
Ci saranno sicuramente casi in cui ciò accade ma nella vita di tutti i giorni riconsiderare le proprie posizioni e fare un atto di mea culpa non è la regola ma l’eccezione.
Come ne usciamo allora?
La mia soluzione è una semplice domanda da fare a sé stessi… e se fosse l’altro ad aver ragione e io ad avere torto?
Nel tempo ho imparato che c’è pressappoco la stessa probabilità che sia io a sbagliare in qualcosa rispetto a qualcun altro, che sia io a non considerare informazioni che mi contraddicono.
Ciò non vuol dire che bisogna passare dall’avere sempre ragione all’avere sempre torto.
Ma che avere torto ogni tanto è liberatorio, rende più umili, aiuta a consolidare i rapporti e a rendersi più aperti e disponibili agli occhi degli altri.
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Il ragionamento motivato non è altro che una disfunzione della mente che non ha imparato a riconoscere in modo autonomo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, della mente che non è cresciuta, che non è forte abbastanza da ammettere le proprie fallacie.
Interrogarsi sulla bontà delle proprie opinioni non è dunque un segno di debolezza, ma di forza e saggezza.
Ignorare le ragioni di chi la pensa diversamente da noi è il vero segno di fragilità, e, a prescindere dalle apparenze, puoi stare sicuro che più un persona è arrogante e inamovibile e più e fragile dentro.
Quindi, tutte le volte in cui sei impelagato in uno scontro di opinioni, prima di provare ad atterrare il tuo avversario con argomentazioni ben elaborate chiediti, e se non fosse come la penso? E se avessi torto?
Può dare un po’ di fastidio farlo all’inizio, ma ti assicuro che scoprire di avere torto di tanto in tanto aiuta a espandere le prospettive, a imparare, a diventare persone migliori.
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