In una conferenza TED di alcuni anni fa Ken Robinson, autore britannico ed esperto di educazione, spiegò che la scuola uccide lentamente il pensiero creativo dei bambini.
Nel divertente video del suo discorso (a fine articolo), divenuto virale su YouTube, lui racconta una storia molto simpatica:
Una bambina durante la lezione è concentrata a disegnare quando l’insegnante le si avvicina.
“Cosa stai facendo?” le chiede l’insegnante.
“Sto disegnando Dio” risponde la bambina.
“Ma nessuno sa com’è fatto Dio”
“In un minuto lo sapranno!”
Con questo aneddoto si vuole far capire come uno dei pregi dei bambini sia la mancanza di paura, nella fattispecie la paura di commettere errori.
Mentre per molti adulti gli errori sono qualcosa da evitare a tutti i costi, i bambini sono generalmente liberi di dire e fare quello che vogliono, di dare sfogo alla loro creatività senza timore o freno – una capacità che, purtroppo, perdono crescendo.
La scuola uccide il pensiero creativo perché insegna a dare troppo peso agli errori
Secondo Robinson, la creatività va scemando negli anni perché la scuola insegna a dare troppo peso agli errori, ad aver paura di fallire, a sentirsi giudicati per le proprie idee.
Il pensiero creativo, invece, prescinde dagli errori, anzi, forse parte proprio da essi, e fiorisce grazie a essi.
Viene stimolato da tutte quelle attività che richiedono un coinvolgimento attivo delle facoltà creative e che prescindono dall’assorbimento passivo di informazioni.
Purtroppo, però, per il sistema educativo attuale, tali attività sono, per lo più, secondarie.
L’esigenza di una nuova gerarchia di materie per favorire il pensiero creativo e divergente
Nella maggior parte delle scuole del mondo si tende a dare più importanza all’intelligenza accademica, cioè alla capacità di assorbire, comprendere e memorizzare nozioni.
Ci si concentra parecchio sulle scienze e le materie umanistiche perché sono utili al mercato, al business, alle corporazioni.
Di contro, hanno meno peso le arti, la danza, la musica o il teatro, in quanto meno compatibili con le esigenze del mondo del lavoro.
C’è bisogno di una nuova gerarchia di materie scolastiche per stimolare la creatività
In un approccio educativo alternativo, bisognerebbe riordinare questa gerarchia e considerare tutte le forme di espressione creativa, incluse quelle corporee come la danza, al pari della letteratura o della matematica.
Una scelta del genere darebbe maggiori possibilità di espressione a coloro che non hanno una spiccata intelligenza accademica ma eccellono o potrebbero eccellere in altri settori.
Ci sono infatti vari tipi di intelligenza, per esempio c’è chi è dotato di intelligenza corporeo-cinestetica e riesce a pensare meglio muovendosi; chi è dotato di intelligenza visivo-spaziale e riesce a ricreare immagini nella propria mente; chi sa interagire con le persone ed ha quindi una spiccata intelligenza interpersonale.
Coloro che hanno queste intelligenze potrebbero essere, rispettivamente, dei potenziali ballerini, pittori o politici, e potrebbero eccellere nei loro campi anche se andassero male a scuola.
Si pensi, per esempio, che Steven Spielberg non fu ammesso a scuola di cinema, che Albert Einstein fu bocciato all’esame di ammissione al Politecnico di Zurigo, e che gli insegnanti di Thomas Edison pensavano fosse troppo stupido per imparare qualsiasi cosa.
- Steven Spielberg
- Albert Einstein
- Thomas Edison
La creatività e il pensiero divergente, tipici delle menti più brillanti, (di solito) non fanno parte del curriculum scolastico.
Possono di certo nascere grazie allo studio o parallelamente ad esso, ma non sono delle capacità che possono essere apprese da sole.
Al massimo, possono essere allenate e spronate grazie a un sistema educativo che riesce a distinguere e valorizzare le intelligenze uniche degli studenti, e ad insegnare loro a vedere l’errore e il fallimento non come segni di inabilità ma come pretesti per imparare.

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La scuola a volte uccide la motivazione a imparare
In sostanza, in tutti i campi artistici e non, quello che può essere considerato come errore nei limiti di un determinato quadro teorico, o corrente di pensiero, può facilmente trasformarsi in innovazione e originalità all’interno di una prospettiva più aperta.
Fortunatamente, l’innovazione non dipende dai voti, ma accade spesso quando qualcuno si prende la responsabilità di andare contro la vecchia guardia, contro il pensiero dominante di un particolare settore artistico, professionale o accademico.
Il pensiero creativo allora non serve solo a chi vuole intraprendere una carriera nelle arti, ma anche a chi vuole affermarsi in altri settori considerati meno creativi.
Esso serve ad avere una voce, serve a scoprire e modellare un’identità, a distinguersi, a trovare e spianare una strada unica e personale.
Se non viene adeguatamente incoraggiato, si corre il rischio di perdere un enorme quantità di capitale umano che verrebbe sprecato in attività frustranti e fallimenti scolastici.
Se gli insegnanti fossero invece preparati a riconoscere le varie potenzialità e le diverse intelligenze dei propri studenti, si riuscirebbe a recuperare molta di quella motivazione che si spegne ogni giorno tra i banchi di scuola e a incanalarla verso altre materie, altri corsi, altre carriere, altre strade.
A mio parere, quando si prova a forzare un metodo educativo su chi non ha la giusta intelligenza per seguirlo si fa un danno.
Si danneggia il futuro degli studenti e si danneggia la loro serenità psicologica.
Non sono d’accordo con Picasso quando dice che siamo tutti degli artisti, ma sono fermamente convinto che, al di là degli schemi mentali assorbiti negli anni di istruzione, siamo tutti, potenzialmente, dei creativi, nel senso che tutti, nessuno escluso, nel giusto contesto e con la giusta preparazione, saremmo in grado di sviluppare una voce, un talento, un’identità unica ed originale.
La nostra originalità potrebbe dunque servire all’avanzamento di una professione, all’arricchimento di un’arte o al miglioramento della società stessa…
Per approfondimenti su approcci alternativi all’istruzione leggi il meraviglioso libro di Ken Robinson, Scuola Creativa:
